Capisaldi

Si e no

In Europa, la maggior parte delle nazioni dipendenti sono, più che nelle colonie, avanzate dal punto di vista capitalista. Ma è precisamente ciò che provoca una maggior resistenza all'oppressione nazionale e alle annessioni.

È precisamente in virtù di ciò che lo sviluppo del capitalismo, in Europa, è meglio garantito in tutte le situazioni politiche, e principalmente nel caso di separazione, che nelle colonie.

In Europa, ciò si nota ancor meglio: il capitalismo in Polonia, in Finlandia, in Ucraina, in Alsazia, sviluppa indiscutibilmente le sue forze produttive più energicamente, più rapidamente e con più spontaneità che nell'India, nel Turkestan, in Egitto e in altre colonie propriamente dette. È impossibile arrivare ad uno sviluppo indipendente o ad uno sviluppo qualunque della produzione mercantile in una società senza capitale. In Europa, le nazioni dipendenti hanno il loro capitale e le possibilità per costituire un capitale nelle condizioni più varie. Nelle colonie, il capitale coloniale non esiste o quasi; la colonia non può costituirlo.

La distinzione economica tra le colonie e i popoli europei - almeno per la maggioranza di questi ultimi - consisteva in ciò che le colonie erano comprese nello scambio delle merci, ma non ancora nella produzione capitalista. L'imperialismo ha cambiato tutto ciò. L'imperialismo è, tra altre cose, l'esportazione del capitale. La produzione capitalista sempre più rapidamente, si trasforma nelle colonie. È impossibile strappare le colonie dalla dipendenza dove esse sono vis-a-vis del capitale finanziario europeo.

Dal punto di vista militare come dal punto di vista dell'espansione, la separazione delle colonie non è realizzabile che con il socialismo; sotto il regime capitalista essa non è possibile che a titolo d'eccezione, oppure al prezzo di molte rivoluzioni tanto nelle colonie che nelle metropoli.

Altrimenti che nelle condizioni di subordinazione politica, in funzione di un capitale finanziario.

Che significa dunque, se si tiene conto di tutto ciò, la rivendicazione d'un affrancamento immediato e incondizionato delle colonie?

Non è chiaro che tale esigenza è molto più “utopistica”, nel senso volgare, grottescamente “marxista” della parola: “utopia”?

Sotto il nome di “utopia” si comprende qui tutto ciò che differisce dalle idee ordinarie, banali, e particolarmente ciò che è rivoluzionario.

Ma i movimenti rivoluzionari di tutti i generi - in questo numero i movimenti nazionali - nella situazione europea, sono più possibili, più ostinati, più coscienti, più difficili a vincere che nelle colonie.

Marx scriveva nel “La Critica del Programma di Gotha”:

“Tra la società capitalista e la società comunista si stende un periodo di trasformazione rivoluzionaria tra la prima e la seconda. A questa trasformazione corrisponde anche un periodo di transizione politica, durante la quale lo Stato non può essere altra cosa che una dittatura rivoluzionaria del proletariato.”

Fin qui tale verità era indiscutibile per i socialisti ed essa implica il riconoscimento dello Stato fino al compimento dello sviluppo del socialismo vincitore, realizzato nel comunismo integrale.

Si conosce l'aforisma di Engels sulla morte lenta dello Stato.

Noi abbiamo intenzionalmente sottolineato che la democrazia è una forma dello Stato che deve scomparire con la fine dello Stato.

In generale la democrazia politica non è che una delle forme possibili (benché teoricamente normali, per il “puro” capitalismo) della sovrastruttura, al di sopra del capitalismo. E il capitalismo e l'imperialismo, come lo mostrano i fatti, si sviluppano in presenza di tutte le forme politiche sottomettendosele tutte. Ecco perché, è radicalmente falso parlare di “impossibilità” di realizzare una delle forme di una delle rivendicazioni della democrazia.

Lenin (Da “Contre le Courant” Ottobre 1916)

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.