Crisi del bordighismo? forse, in nessun caso crisi della sinistra italiana

Per abitudine, e potremmo aggiungere per inerzia teorica, la sinistra italiana è stata confusa fin qui, so­pratutto presso i comunisti degli altri paesi, col bor­dighismo, o meglio col nome di Bordiga e con le for­mulazioni teoriche che hanno caratterizzato il suo pen­siero personale.

t avvenuto che il ricorrente isolamento di questo compagno, spiegabile col fatto di essere stato il più adu­lato e il più “tradito”, aggiunto al fatto che i com­pagni che gli stavano vicini erano schiacciati da quella sua eccezionale facondia e dalla elaborazione teorica assai caratteristica per la sua straripante verbosità ed estemporaneità al servizio d'una cultura tecnica, storica e filosofica più vasta che profonda, ha impedito il for­marsi di una coscienza critica tra i compagni della si­nistra, e una continuità, anche organizzativa, d'un saldo nucleo di lotta. È avvenuto che l'iniziativa per un'opera d'opposizione condotta contro la bolscevizzazione prima e contro lo stalinismo poi, ha trovato in Bordiga sol­tanto un remissivo e stanco fiancheggiatore, mai un iniziatore, per cui si può affermare che dal defenestramento della sinistra (1923) fino al suo parziale e inte­ressato risveglio avvenuto di recente sotto il martella­mento della parte più sensibile del nostro partito, Bordiga appare come il combattente che ha preferito rima­nere per quasi un trentennio sotto le immani macerie del collo della 3a internazionale, avvenuto storicamente con l'affermazione dello stalinismo in Russia e nel mondo.

La ridda degli “ismi” (leninismo, trotzkismo, stali­nismo, bordighismo), ha significato in ogni epoca la fase di deflusso d'ogni grande esperienza, il segno distintivo di questa o quella “chiesa” che gli epigoni della dot­trina o i virtuosi d'ogni innovazione tattica sempre pun­tualizzano, esteriorizzandolo, un processo di decadenza quando non di degenerazione.

La storia degli ultimi decenni dei partiti legati alla sorte della internazionale comunista conferma l'esat­tezza di questa nostra considerazione e sono pochi co­loro che si siano salvati da questa contaminazione, l'ideologia della ritirata, rimanendo saldamente ancorati alle idee “maestre” più che all'opera personale o alle pretese dei “maestri”.

Tra questi pochi è doveroso annoverare la sinistra italiana che esule per la maggior parte in terra di Francia o del Belgio, in parte relegata nelle galere o confinata nelle isole dal fascismo, ha tenuto a distin­guersi apertamente dall'arbitrario e polemico appella­tivo di “bordighista”.

L'oggetto di questo nostro studio è precisamente quello di dare finalmente a Cesare quel che è di Cesare, e lo faremo riferendoci non ad una generica obiettività, che di fatto è sempre parziale e soggettiva anche quan­do è fatta in buona fede, ma alla nota e documentata esperienza di questi anni. Se quindi il bordighismo come particolare e “originale” atteggiamento di pensiero e di tattica ha avuto il suo momento più tra i partiti dell'internazionale che da noi, questo è dovuto ad un interesse polemico e di “tendenza” degli organi direttivi del Comintern, a cui faceva comodo caratterizzare e sistematicamente confondere il movimento della sini­stra italiana con il pensiero e gli atteggiamenti perso­nali di Bordiga.

Va riconosciuto tuttavia che per i quattro quinti è dovuto a Bordiga il lavoro teorico di questa corrente, e sempre per i quattro quinti, almeno fino al 1923, è l'ap­porto della sua attività politica e organizzativa.

Ciò premesso vediamo come e quando il pensiero di Bordiga ha espresso veramente e solamente se stesso e quando invece esso è passato per intero nel patrimo­nio teorico e tattico della sinistra italiana, vediamo cioè fino a che punto si è barato dallo stalinismo nostrano e internazionale nell'identificare Bordiga con la sinistra.

Ma innanzitutto come deve essere considerata l'ope­ra di un militante dell'avanguardia rivoluzionaria nel suo contributo più o meno rilevante nella elaborazione dei problemi di teoria in genere, di economia e di storia, o di prassi più schiettamente politica e tattica? Deve essere considerata, crediamo, nel modo più imperso­nale, anche quando è personalissima ; nel senso cioè che il rivoluzionario, qualunque sia l'epoca _del _suo apporto teorico, qualunque sia il suo nome, opera con gli stru­menti che gli provengono dal cantiere del lavoro scien­tifico accumulato dalla classe; ripiglia i motivi che altri prima di lui avevano enunciato e condotto ad un certo grado di sviluppo quale era stato reso possibile da un dato processo di maturità della classe operaia ope­ratosi sotto la spinta degli stimoli e dei bisogni di quel dato momento della vita del capitalismo. Il rivoluzio­nario intellettuale deve abituarsi a spogliare la sua personalità dai manti del “culturalismo” dalla fisima di farsene piedestallo ad affermazioni personali attraverso il mal vezzo delle accademie paesane quando non addi­rittura della setta alla moda massonica.

In questo senso dobbiamo ancora a Marx il saggio ammonimento quello di un Marx che non si sentiva di essere marxista di fronte a certe teorizzazioni del marxismo.

Dobbiamo ripulire una buona volta casa nostra dal ducismo teorico e dalla mentalità della confraternita sotto il segno della infallibilità dell'uno e della supina osservanza degli altri.

Si vuol concludere questa premessa con l'afferma­zione, per noi d'ordine pregiudiziale, che la sinistra ita­liana ha affondato le sue radici nel terreno vivo del socialismo messo alla prova dalla dura, operante e for­mativa esperienza della prima guerra mondiale: ha im­personato l'iniziativa rivoluzionaria del primo dopo­guerra, in continuità di una matura esperienza critica, ha puntualizzato l'opposizione ora palese, ora latente contro l'indirizzo prevalentemente “russo” della terza internazionale; ha operato ed opera da polo di attra­zione delle residue scarsissime forze rimaste ancorate sul piano di classe e della lotta rivoluzionaria dopo, la dispersione tragica dell'organismo unitario dell'Interna­zionale, passato armi e bagagli sul fronte dello schiera­mento imperialista e della guerra.

Si tratta di una prima distinzione sul metodo di considerare la formazione della corrente di sinistra mar­xista, se legata ad una coscienza teorica e politica in connessione con lo sviluppo degli avvenimenti iniziatisi nel cuore della prima guerra mondiale, oppure all'opera 'di interpretazione di questo o quel compagno, di questo o quel raggruppamento; la prima è una formulazione dialettica propria del marxismo, mentre la seconda ci riporta ai modo tutto idealistico e soggettivo di consi­derare la funzione degli uomini nella dinamica del con­flitto di classe.

L'infanzia della sinistra italiana è caratterizzata dal­l'astensionismo. Strano destino questo di certe idee madri che la realtà dovrà poi sottoporre a duro vaglio e alle più impensate metamorfosi. Questa corrente è astensionista, d'un astensionismo tra teorico e tattico, fino al Congresso di Livorno (1921); da questa data fino al 1924 è elezionista con nostalgia astensionista più o me­no accentuata.

stato motivo di polemica astiosa e cattiva quello degli stalinisti che attribuiscono a Bordiga l'accortezza tattica d'aver ceduto sul problema dell'astensionismo, per il piatto di lenticchie della direzione del partito., Noi diciamo piuttosto che l'astensionismo di Bordiga non è mai pervenuto, come quei frutti che rimangono sempre un po' acerbi, ad una organica e sufficiente ela­borazione teorica. La povertà di argomentazioni del di­scorso di Bordiga al II Congresso dell'Internazionale e delle tesi relative presentate allo stesso Congresso dalla delegazione italiana, è constatazione notevole per la sua negatività, allo stesso modo e nella stessa proporzione che lo erano le argomentazioni elezioniste, di un ele­zionismo “tout court” di Lenin fatte in contradditorio, mentre in Italia urgevano problemi che richiedevano ben altro che i pannicelli caldi d'una stantia polemica e d'una prassi altrettanto stantia e unilaterale come quella dell'astensionismo, incapace di per sé a sostituire alla strada parlamentare, quella rivoluzionaria ; altrettanto stantia e unilaterale quella dell'elezionismo che, dovevafinire per confondere il parlamentarismo rivoluzionario con le esperienze del governo operaio di Turingia e di Sassonia chiamato a chiudere tragicamente la fase della rivoluzione tedesca ed europea, spianando la strada al­l'avvento di Hitler.

Arriviamo così a questa netta distinzione della si­nistra italiana da Bordiga e da certi bordighisti; la si­nistra non è mai stata per un astensionismo teorico o moralistico o costituzionale; non paventa l'elezionismo, e quando decide di servirsene, lo fa considerandolo sem­plice espediente tattico, particolarmente opportuno nel­la fase in cui il proletariato si lascia maggiormente “prendere” dalla illusione elettoralistica e conduce la battaglia per una vera e propria propedeutica del boi­cottaggio contro ogni aspetto del parlamentarismo. Nello stesso tempo non ha accettato né ha mai fatto suo l'altro aspetto del partecipazionismo bordighista alle elezioni basato su un calcolo puramente quantita­tivo e formale; per la sinistra la battaglia politica con­tro tutto lo schieramento dei partiti borghesi, è quello che conta e non il numero dei voti che potranno essere raggranellati da un movimento come il nostro che per sua natura non è chiamato a giocare alcun ruolo sul piano della democrazia parlamentare.

Su questo problema la sinistra italiana aveva defi­nitivamente precisato la sua fisionomia teorica e tattica al Convegno di Imola all'atto dello scioglimento della frazione astensionista e più decisamente con le tesi base della costituzione del partito ai Congressi di Livorno (1921) e di Roma (1922).

Che in questo precisarsi dei compiti del partito an­che su questo problema che tanto ha appassionato alcuni settori della internazionale comunista, Bordiga si sia accortamente barcamenato, è fatto in sé di banalissima importanza, se ciò non stesse ad esteriorizzare un mo­mento della facilità e instabilità teorica di questo com­pagno continuamente oscillante tra una valutazione de­terministica dei fatti che gli è naturale, ed una valuta­zione dialettica di comodo, presa d'accatto dal marxi­smo, per ciò sentita ed espressa deterministicamente secondo i canoni del più abusato scientismo positivista.

Vedremo che là ove la sinistra italiana è spinta a dissentire da Bordiga, l'origine del dissenso indicherà ogni volta che questo avviene per il diverso modo di interpretare il marxismo.

Dal Congresso di Livorno alla defenestrazione della sinistra avvenuta nel 1923, la politica del partito, impron­tata alla ideologia della nostra corrente per i suoi nove decimi non solo è tuttora valida, ma costituisce quanto di vivo e duraturo è sopravvissuto al disastro ideologico ed organizzativo abbattutosi sulla internazionale di Lenin.

Gli anni 1924 e 1925 segnano il periodo della intensa bol­scevizzazione dei partiti della internazionale; il cam­biamento della guardia ai vertici delle sezioni ritenute “appestate” di sinistrismo ne aveva drammaticamente segnato l'inizio. L'opposizione a questa politica, latente nel partito russo, non ha avuto internazionalmente sto­ria all'infuori della nostra presa di posizione attraverso la denuncia aperta fatta con la costituzione del “Comi­tato d'Intesa”. Fatto nuovo nella storia della sinistra italiana, l'iniziativa di una presa di posizione di lotta frontale parte per la prima volta dalla base, da una di­rezione collettiva e spersonalizzata della nostra corrente, con Bordiga al rimorchio. Questa situazione rimarrà immutata fino al giorno in cui non sarà posta ai compagni della sinistra la necessità di prendere l'altra ini­ziativa, quella di difendere lo stesso apporto teorico del compagno Bordiga contro il Bordiga della volontaria clausura.

L'aspra battaglia condotta dal Comitato d'Intesa fino al Congresso di Lione (1926) funzionò da vero e tem­pestivo campanello d'allarme nei riguardi della politica imposta dagli organi centrali dell'Internazionale, e at­tende di essere esaminata al lume degli avvenimenti che seguirono. È certo comunque che nessun dissenso storico si manifestò allora tra i compagni del Comitato d'Intesa e Bordiga all'infuori di una tendenza di questo compagno a “mollare” di fronte alla enorme pressione esercitata da Mosca che vedeva in questa specie di pro­nunciamento della sinistra italiana una lacerazione della disciplina formale realizzata in nome della vera disci­plina rivoluzionaria, esempio che avrebbe potuto “sug­gestionare” altri paesi, particolarmente la sinistra te­desca.

Al Convegno di Napoli, cui era demandata la deci­sione se continuare o far cessare l'opera del Comitato d'Intesa si è dovuto procedere in senso maggioritario e mettere in minoranza Bordiga per poter condurre la battaglia fino al Congresso di Lione, e non capitolare di fronte all'intimidazione di Zinoviev, l'allora segretario dell'Internazionale. Nello spazio di pochi mesi la sini­stra che al Convegno Nazionale del 1923 controllava tutt'ora la maggioranza del partito e sentiva attorno a sé la solidarietà e la simpatia dell'apparato funzionari­stico (per la verità questo termine non aveva il signifi­cato che poi ha assunto nella storia del movimento ope­raio), vide attorno a sé farsi il deserto, fenomeno questo che meriterà una pagina a parte nella storia della sinistra italiana, ma è comunque certo che nei compagni consapevoli apparve allora per la prima volta in tutta la sua importanza e gravità la constatazione che la vita e l'avvenire di questa corrente andavano sempre più sfuggendo a quella atmosfera per buona parte fittizia nella quale era andato isolandosi il pensiero di Bordiga che vi viveva dentro come il baco nel bozzolo che si era tessuto.

È troppo facile, sopratutto troppo comodo attribuire la dispersione della sinistra al fascismo da un lato, e alla reazione stalinista dall'altro. Sta di fatto che dal 1926 la sinistra ha praticamente cessato di vivere nella organiz­zazione della internazionale stalinista e tutte le ulteriori manifestazioni di pensiero, di stampa e di organizza­zione di questa corrente avvengono al di fuori della persona fisica di Bordiga, su direttive che per buona parte divergeranno dal suo pensiero e sopratutto dal suo “atteggiamento”, atteggiamento non casuale, ma voluto che si protrarrà fino alla caduta del fascismo.

Analizziamo allora alle radici le ragioni di un isola­mento, il suo legame col modo di sentire i problemi d'ordine ideologico e d'ordine politico del marxismo. Bordiga non aveva mai cessato di considerare la Russia come una realtà economica con prevalenti caratteri so­cialisti : per lui soltanto la politica di Stalin e della in­ternazionale avevano degenerato.

Da questo momento le posizioni divergono: mentre la sinistra continuerà a muoversi sulla linea tradizionale che si ispira ad una visione dialettica della storia in generale e della lotta del proletariato in particolare, per cui il partito e i doveri della milizia rivoluzionaria si annullano in conseguenza delle mutate condizioni obiet­tive, Bordiga si mantiene conseguente al suo modo di sentire tutto deterministico e vi si uniforma. Abbiamo' scritto “conseguente” senza voler sofisticare se questa convenienza gli servisse per giustificare a posteriori il suo “non fare” o era logica personale applicazione' d'una ferrea premessa deterministica di tirare i remi in barca e attendere da un rovesciamento radicale la nuova situazione per riparlare di partito e di milizia rivolu­zionaria.

Bordiga si atterrà scrupolosamente a questo coman­damento per cui gli sarà estraneo ciò che faranno i compagni organizzatisi in frazione all'estero, come gli sarà estranea l'opera di riallacciamento dei primi nuclei clandestini che porterà fino alla costituzione del partito. E quel che è peggio anche i colossali avvenimenti della insurrezione del proletariato spagnolo, del crollo della internazionale e della seconda guerra imperialista han­no atteso invano una sua messa a punto e di critica e di collaborazione teorica atti a dimostrare la efficacia della continuità del marxismo dottrinario, e sopratutto atti ad apprestare il materiale di idee e di esperienza indispensabili per la futura ripresa del partito di classe.

Questo non lo diciamo per formulare un argomento di polemica personale, ma soltanto per precisare che la strada del bordighismo divergeva da quella della si­nistra italiana, per la stessa ragione che il metodo dia­lettico diverge dal metodo deterministico là ove pre­sume che la rivoluzione possa fare a meno della vo­lontà realizzatrice degli uomini.

È avvenuto così che la troppo lunga assenza dalla lotta politica, l'attaccamento formale e sentimentale al­l'internazionale e all'esperienza economica della Russia sovietica portassero Bordiga ad un grave errore di pro­spettiva nel senso cioè di porre la deviazione al posto della controrivoluzione; al posto del ruolo solidale del capitalismo imperialista nella guerra, la distinzione in tanti capitalismi frazionati in una graduatoria di di­verse responsabilità (capitalismo n. 1, capitalismo n. 2 ecc.); al posto della guerra universalmente capitalista e obiettivamente controrivoluzionaria, considerare i belligeranti regressivi gli uni e progressivi gli altri.

Si è venuta così a determinare per noi della sinistra la situazione davvero paradossale di dover difendere il pensiero di Bordiga entrato legittimamente a far parte dei patrimonio della sinistra italiana e di respingere quel tanto che ritiene non conforme al marxismo e all'interesse della lotta rivoluzionaria; in una parola si è posto per la sinistra la necessità di dover difendere il Bordiga non deteriore contro certo bordighismo da... loggia massonica venuto a suppurazione.

Si è visto poi sopraffino per l'incostanza e la sor. prendente “souplesse” dimostrata quanto di tutto ciò si dovesse attribuire a particolare vizio mentale e a vero e proprio convincimento, quanto invece a vezzo cerebrale e a “sfizio” intellettualistico di chi riempiva il tempo della milizia di classe interrotta con la facile tecnica del paradosso e dello storicismo del tutto sco­lastico che si pone alla ricerca dilettantistica delle forze borghesi che portano nel loro seno la carica del “pro­gressivo”.

Sta di fatto comunque che dalla costituzione del partito ad oggi la distinzione che è oggetto di questa nostra trattazione si è fatta più precisa e determinante.

I problemi sui quali tale distinzione si è maggiormente verificata fino al punto di provocare riflessi d'ordine pratico ed organizzativo, sono ben chiari nella coscienza dei militanti del partito, ma non è male riproporli al nostro esame per misurarne la distanza e dare materia di studio per una critica obiettiva e consape­vole d'una sinistra italiana troppo spesso confusa con Bordiga e quel che è peggio col bordighismo.

Ecco in sintesi quanto precisa in modo inconfutabile il volto ideologico e politico della sinistra italiana:

  1. La interpretazione dialettica della vita e del mon­do quale è data dal marxismo dottrinale e quale la vi­cissitudine delle lotte proletarie ha confermato come valido e insostituibile strumento di teoria e di prassi rivoluzionaria. La necessità permanente e concreta di legami indissolubili tra partito e classe, per la consi­derazione ormai ovvia che il partito rivoluzionario sa­rebbe svuotato d'ogni contenuto storico se staccato dal­la classe, come la classe smarrirebbe se stessa, incapace quindi di pervenire ai suoi compiti storici fidando sulle sole sue forze, se le venisse meno la guida del partito.
    La rivoluzione, l'esercizio della dittatura, come la costruzione della società socialista sono la risultante' della felice combinazione di queste due forze sogget­tive fondamentali e tra loro interdipendenti; nulla in­fatti avverrebbe nella storia senza l'intervento della vo­lontà umana, come la volontà opererebbe a vuoto se cessasse di essere l'elemento realizzatore delle forze obiettive da cui si origina ed è determinata.
    Tra le forze soggettive del moto rivoluzionario non vi è determinazione che non sia a sua volta determinata.
    La sinistra ha inteso tradurre questa impostazione teorica del marxismo nel senso che permanenti debbono essere i legami del partito con le masse proletarie, con le loro lotte e con i loro interessi; per la sinistra non esistono condizioni obiettive del proletariato, anche nei periodi più bui e reazionari, nei quali bisogna rompere questi legami con le masse perché piegate a su­bire la pressione nemica, e finite perciò come unità storica di classe, e come passate armi e bagagli al ca­pitalismo.
  2. La sinistra italiana ha ripudiato tanto in epoca di semi bonaccia come sotto la tormenta reazionaria la teoria del congedo provvisorio in attesa che il mondo del capitalismo operi per conto suo, per un processo interno del suo meccanismo sotto i segni d'una inevi­tabile fatalità storica quel capovolgimento della situa­zione obiettiva da consentire anche ai rivoluzionari in congedo di riprendere il loro posto nella milizia rivo­luzionaria, risorta anch'essa a vita nuova nello spazio d'un mattino quasi per virtù taumaturgica...
    Questo spurio e falso determinismo antidialettico che non considera le alterne vicende della lotta, gli alti e bassi del moto proletario, che non sa decifrare nelle situazioni difficili il da farsi tra il non da farsi, ma teorizza la diserzione preventiva, non è mai entrato nel patrimonio dei realizzatori del marxismo come Lenin. La rivoluzione d'ottobre è stata possibile non per l'im­provvisa apparizione del partito bolscevico, ma dal fatto che questo partito rappresentava di fronte alle masse in moto verso l'insurrezione la somma dei decenni di lotte di faticosa formazione teorica, di contrasti e di scissioni in mezzo alle quali mai era venuta meno la fiducia nelle masse lavoratrici anche quando sembra­vano assenti e corrotte e dominate dalle forze della con­trorivoluzione e del tradimento.
  3. La sinistra italiana considera la Russia come espe­rienza che sta tutta nel capitalismo, con questo di par­ticolare che la pianificazione dell'economia nell'ambito dello stato, inizialmente orientata verso la costruzione della società socialista, ha servito come base alla prima grande esperienza di capitalismo di stato, episodio organico di economia e di politica che bene caratterizza la fase terminale dello sviluppo monopolistico del capitalismo.
  4. La sinistra italiana considera economicamente, socialmente e politicamente solidale, a struttura obiettivamente monolitica lo schieramento del capitalismo nel mondo, anche in quei paesi ove appare meno pro­gredito e più evidenti sono i segni esteriori del suo sviluppo ineguale. Per questa considerazione, che sca­turisce dal più elementare marxismo e che per questa stessa elementarità può non soddisfare gli spaccatori in quattro del capello teorico, l'economia americana va­le in tutto quella sovietica sotto il profilo della prassi capitalistica, allo stesso modo che la politica americana vale in tutto quella sovietica sotto il profilo della cri­minalità d'una classe che vive sulla guerra e sullo sfrut­tamento delle masse lavoratrici di tutto il mondo.