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Home ›Patto sociale e responsabilità sindacale: continuità e sviluppi della logica sindacale
È sotto gli occhi di tutti che la Grande Crisi del 2008, lungi dall'essersi conclusa, continua a devastare il sistema capitalistico e i suoi meccanismi di funzionamento in maniera irreversibile.
La caduta tendenziale del saggio di profitto né è il motore primo, che innesca ed allarga ad ogni sfera produttiva e finanziaria i suoi effetti, mentre le controtendenze messe in atto ne accompagnano il corso senza inficiarne la sostanziale validità e progressività.
La progressiva stagnazione di tutti i fattori economici e produttivi, l'aumentato parossismo nella competizione internazionale fra i monopoli produttivi-finanziari e fra gli stessi Stati e aree capitalistiche, l'ipertrofia cresciuta a dismisura dell'area finanziaria e speculativa di capitali in cerca di valorizzazione fittizia - dopo essere fuggiti dall'area dell'investimento produttivo, visti i bassissimi rendimenti - segnano il tempo di questa fase di crisi capitalista.
Le ricette, tutte le ricette, messe in campo per far rianimare il moribondo sistema capitalistico, si sono rivelate dei pannicelli caldi che alla lunga hanno solo avuto un effetto di calmierare gli effetti più devastanti della crisi e di permettere la sopravvivenza del capitalismo stesso.
Ma non è stato un processo a “costo zero”. Il proletariato internazionale, in diverse forme e modi, ne ha pagato un prezzo altissimo, là dove è stato sempre più costretto a veder svanire le proprie sicurezze e ad accedere in maniera sempre più larga a condizioni di lavoro precarizzate e semi servili, con un netto peggioramento delle stesse condizioni di vita. E lì dove è, ha vissuto direttamente il “proprio” ruolo di “carne da macello” dentro i conflitti armati fra potenze imperialiste nelle diverse aree del mondo.
È all'interno di questo quadro generale che si muove anche il nostro paese, con le sue specificità e particolarità di essere un paese del centro imperialista, ma con una collocazione produttiva e industriale tutt'altro che florida, sia per sua composizione che per gli effetti che la crisi del 2008 ha prodotto e trascinato fino ad oggi sulla tenuta dello stesso sistema nazionale.
Ai processi indotti dalla crisi, di concentrazione e centralizzazione capitalistica su base preminentemente continentale sia in campo manifatturiero che finanziario, ha fatto da contraltare una effettiva restrizione della base produttiva e un allargamento e un approfondimento degli indici di sfruttamento della forza lavoro. La ricerca dei margini di profitto non ha potuto che incidere sulle condizioni del lavoro vivo (forza lavoro). Mentre espelleva dai processi produttivi migliaia di lavoratori chiudendo i “rami secchi”, andava a modificare gli stessi sulla base delle ristrutturazioni tecnologiche che hanno costituito l'ossatura del nuovo modo di produrre (distruggendo altri posti di lavoro). Il massimo sfruttamento, la precarietà del lavoro e della propria esistenza sono divenuti la norma.
A tutt'oggi il numero dei lavoratori ufficiali inseriti nelle vertenze aperte al Ministero dello Sviluppo Economico arriva a più di trecentomila. E questi sono quelli ufficiali, mentre quotidianamente in tutti i settori si aprono nuove crisi aziendali.
È in questo quadro che si inserisce la proposta recente del Segretario della CGIL Landini di un “nuovo patto sociale” fra sindacato, governo e padronato per arrestare il declino dell'Italia e per sostenerla, prima che il paese si sbricioli.
Ma qual è il senso effettivo di questa proposta?
Volgendo lo sguardo all'indietro, potremmo tranquillamente dire che per l'esperienza dei “patti sociali” del passato, questi non hanno prodotto che fregature per quella classe lavoratrice che si diceva, nelle intenzioni sindacali, di voler tutelare. E su questo potremmo fermarci. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ma ciò non ci esime da un esame più attento delle peculiarità di fase in cui viene a calarsi e dei suoi contenuti specifici, con elementi di continuità e discontinuità rispetto al passato anche recente.
Ciò che emerge sicuramente in una linea di continuità è l'elemento del ruolo sindacale di farsi carico presso la classe lavoratrice dei problemi del sistema capitalistico, in sostanza di svolgere quel ruolo di stabilizzazione delle relazioni sociali e produttive in funzione delle esigenze capitalistiche, scaricando sulla classe lavoratrice gli oneri della crisi. Un ruolo che si è prodotto progressivamente con il modificarsi e il venir meno della mediazione interclassista che ha segnato il declino della gestione “socialdemocratica “ delle relazioni sociali e della mediazione possibile fra interessi contrapposti, in cui il ruolo sindacale di mediazione sociale e di ricomposizione nell'alveo delle compatibilità era “scambiato” con i sovrapprofitti che la fase capitalistica poteva elargire. Da più di un trentennio questa fase è finita.
Il patto sul costo del lavoro del '93 con il governo Ciampi, quello successivo di Natale con il governo D'Alema, quello del 2002 con il governo Berlusconi, oltre a quei tanti siglati direttamente con la controparte confindustriale, segnano questa china.
Il piano formale di “parte sociale” con interessi consolidati verso le altri parti politiche e sociali ne ha costituito l'altrettanto “cornice formale” di legittimazione sul piano borghese delle risultanze generali e del proprio ruolo. Tuttavia, nessuna rappresentazione reale o di possibile “scambio” fra interessi operai e quelli di sistema ne era il contenuto sostanziale, bensì la totale subordinazione dei primi ai secondi. Questo è sempre stato il risultato effettivo.
Ancora oggi la proposta di Landini si colloca in questa continuità, ovvero il farsi carico da parte del mondo del lavoro delle impellenze della crisi del capitale. E i discorsi sui “diritti” del lavoro, sulla “parità” fra mondo del lavoro e impresa appaiono “fuffa” che va filtrata attraverso le esigenze delle reali condizioni di crisi, su cui si misura lo spessore delle stesse proposte del segretario CGIL
Ovviamente dentro il discorso di Landini ci sono diversi scopi e obiettivi.
Se la constatazione dello “sbriciolamento” del tessuto produttivo è la premessa alle proposte, non se ne può che vedere l'inconsistenza effettiva. Qual è la ricetta che il Segretario propone? L'uso di soldi pubblici, da dirottare direttamente ai padroni per sostenere i processi produttivi, le crisi aziendali e una nuova politica di sviluppo infrastrutturale. Un trasferimento di risorse immane, che, come tutto il corso degli eventi ci ha dimostrato non potrebbe che essere sostenuto dall'ulteriore depauperamento delle prestazioni sociali, dall'attacco ai livelli salariali (diretti, indiretti e differiti) e dall'aumento delle condizioni di sfruttamento del mondo del lavoro.
Dal lato più direttamente produttivo, le vicende odierne della Whirpool e dell'ex Ilva, che catalizzano i fattori di crisi dell'economia industriale italiana, dimostrano la logica di rapina e di ricerca del massimo profitto “finché va bene” su cui si muovono obbligatoriamente gli orientamenti padronali in questa fase.
L'”inutilità”, espressa dal vertice confindustriale, di tenere aperte produzioni ritenute decotte, esprime al meglio l'ottica di chi è pronto a prendere con la mano destra, ma a tenersi il proprio con la mano sinistra in tasca, se non ne vede la convenienza .
Dall'altro lato, la stessa proposta di elargizione di soldi al padronato per opere infrastrutturali appare viziata al fondo dalle dinamiche reali su cui si incaglia ogni intervento in forma keynesiana di “domanda aggregata”, che si presenta tra l'altro di corto respiro, come politica di contro tendenza.
Ma ciò che in questa proposta complessiva di Landini emerge come elemento costitutivo è l'abbandono di un sia pur vago riferimento a ciò che ha segnato anche il recente passato sindacale, seppur in forma velleitaria e per lo più propagandistica a scopi elettorali ( patrimoniale, equità, redistribuzione...) per far propria una ricetta borghese fra le tante.
Ci sarebbe da dire che la “necessità fa virtù”. Ma in questo senso cadono le ultime maschere di ipotesi “riformiste” per palesarsi la realtà per quella che è : forza sociale portatrice di un programma borghese idoneo alla fase di crisi, la cui effettiva consistenza e validità si misura in prima e ultima istanza con quello che la crisi capitalista stessa pone sul piatto anche alla stesse forze borghesi.
Su un binario parallelo la proposta di Landini si muove su obiettivi anche più “politici”, ovvero che fanno stretto riferimento al quadro degli equilibri di governo e degli equilibri politici più generali.
A nessuno è sfuggito come la CGIL abbia perorato la nascita del governo attuale, di contro alla parentesi populista precedente. La proposta di Landini mira a calmierare e ricomporre una serie di problemi che vedono gli equilibri di governo abbastanza traballanti. La formulazione di un “patto sociale” a tre, significherebbe, nei suoi intenti, chiamare a ricollocare il fronte confindustriale, ora abbastanza tiepido, in sintonia con l'azione di governo. Significherebbe costruire, almeno nelle intenzioni, una sorta di “blindatura” alla sua azione, dove riposizionare il proprio interesse specifico della riaffermazione del ruolo sindacale in questa fase. Ma su questo piano gli obiettivi contingenti della proposta di Landini scontano il possibile avvitamento dei problemi che si pone di affrontare di fronte alle contraddizioni dirompenti date dalla crisi latente degli equilibri governativi, e quindi dal rimanere nel novero dei “desiderata” senza futuro o, alla meglio, di lanciare l'amo per costruirne i presupposti, ma con sbocchi assolutamente incerti. Perché, come sempre, il riscontro alla praticabilità di ogni proposta è dato dalle condizioni che ne permettono la fattibilità concreta.
Sicuramente, al di là degli aspetti politici e degli interessi immediati, che pur esistono e muovono l'azione dei diversi soggetti, la proposta di Landini, letta su un piano di tendenza della prospettiva di funzione e ruolo sindacale, proprio perché nata in primis dal maggiore sindacato italiano, segna un ulteriore passaggio in avanti di quella funzione generale di “Sindacato-Istituzione” su cui va modellato il soggetto sindacale. Se nella fase precedente la “responsabilità” sindacale verso le “compatibilità” borghesi era l'aspetto centrale del riconoscimento della sua funzione negli assetti borghesi, la presa oggi in carico, in termini di proposta e ruolo, tutto interno alle necessità borghesi, non solo esprime una diversa natura rispetto a quel vecchio organo di mediazione e composizione fra interessi contrapposti, ma lo assurge ad elemento che trova il suo posto reale all'interno della dialettica borghese, assumendo ruoli e responsabilità confacenti. Una dinamica che riprende e attualizza alla nostra epoca i termini del vecchio corporativismo fascista, pur mancandone oggi una più completa ricostruzione e ratificazione sul piano legislativo, nonostante i passi in avanti fatti anche su questo versante .
Ciò che è certo è che, al di là della concretizzazione o meno delle prospettive landiniane, quello che emerge è che questi processi si collocano per i loro contenuti e modalità fuori e contro i reali interessi proletari e della classe lavoratrice. Varianti funzionali al solo obiettivo di conservazione di un sistema che produce solo sfruttamento, distruzione, morte e guerra.
La vera alternativa per il proletariato si colloca nel processo di emancipazione da questo sistema fuori e contro le logiche borghesi da qualsiasi parte provengano.
EGBattaglia Comunista #01-02
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