Ed ora si riprova col “protezionismo”

Le “tariffe protezionistiche” dovrebbero spingere, negli Usa, il “ciclo positivo”; lo stesso con le riduzioni fiscali alle imprese le quali si guardano bene però dall’investire: ad espandersi, con alterne ricadute, sono solo i giochi di Borsa a Wall Street, aspettando “correzioni” dei corsi azionari, con lo spauracchio di quanto accadde coi mutui subprime nel 2008.

È guardando agli interessi finanziari di Wall Street e al Dollar Standard in pericolo, che Trump mette sul tavolo la carta dei dazi sulle importazioni. Nel mentre la Fed riattiva il QE a 60 mld di dollari al mese, poiché le Banche reclamano liquidità: mercato monetario agitato, scadenze fiscali, emissione di Bond, insomma occorre altro denaro e se la Fed non lo stampa sono guai. E poi c’è una esposizione allarmante di asset di Banche straniere negli Usa, in particolare la Deutsche Bank e la giapponese Sumitomo. La prima sta anche per licenziare 9mila dipendenti in Germania. Quindi, nonostante la roboante promessa fatta un anno fa dalla Fed di alzare i tassi al di sopra del 3%, ora li sta tagliando ripetutamente. Con Trump che sbraita per quelle riduzioni, dopo aver scelto, lui stesso, il nuovo Governatore della Fed!

Al momento, i sonni del capitalismo americano sono agitati da non pochi incubi, fra cui quello del futuro delle quotazioni azionarie delle società legate ai social media. O quello della mole di liquidità in circolazione, fra cui i prestiti agli studenti per spese scolastiche diventate astronomiche, e per altri consumi come auto e case. Le politiche monetarie si alternano, mentre salgono i guadagni finanziari favoriti dai fittizi movimenti delle “creazioni” di denaro direttamente trasferito alle Banche. Ma anche questi spazi di manovre si stanno esaurendo sotto cumuli di debiti (pubblici e privati) e pericolosi aumenti dei tassi delle carta di credito, dei mutui e prestiti. Cresce il numero delle aziende americane in difficoltà; alcune con patrimoni che non coprono i debiti e quindi chiedono prestiti, i «leverage loans» che dovrebbero riguardare imprese con debiti quattro volte le entrate. Qualcosa come i mutui subprime e si parla già di una cifra globale vicina ai 1.200 miliardi.

Il quadro delle follie finanziarie è al culmine: il debito Usa (Stato, famiglia, imprese) è al 250% del Pil; quello delle famiglie è al 75%, 15.600 mld di dollari, e così le imprese non finanziarie con altri 15.300 mld (dati Fed).

Il ritorno al protezionismo vorrebbe essere un tentativo di arginare una crisi che non fa che aggravarsi e va ad indebolire quel commercio internazionale che già si sta irrigidendo proprio nei paesi più sviluppati i quali sulle esportazioni hanno fino a ieri fondato le loro speranze di “sviluppo”. Quello che Marx vedeva allora (siamo nel 1848) “conservato” dal protezionismo con l’intenzione di calmare gli spiriti bollenti del capitale; ma finendo col risvegliarne altri: aumenti dei costi di produzione e poi dei prezzi di vendita di molte merci provenienti dall’estero, dove gli altri capitali non stanno certo a guardare. Così i dazi minacciati da Trump saranno dei boomerang, visto le risposte in arrivo, compresa la svalutazione della moneta cinese mentre il dollaro – come valuta di riserva per molti paesi – avrà non pochi problemi, oltre notevoli danni commerciali e monetari per tutti. La stessa Cina, con un dollaro debole avrebbe conseguenze negative e perciò svaluta il renminbi!

Intanto, negli Usa il saliscendi delle quotazioni azionarie continua: alcune multinazionali, coi bilanci in agitazione, approfittano degli sgravi fiscali di Trump per “investire” milioni di dollari nel riacquisto dei propri titoli: Goldman Sachs stima un movimento per 900mld di dollari, col ricorso a debiti pur di spingere in alto le quotazioni. Fra speculazioni e accumuli di capitale fittizio si sta ingrossando una vera e propria zavorra: non si sa cosa farne né dove depositarla (i tassi bancari sono negativi…). Chi cerca prospettive guardando a eventuali mercati in sofferenza, si trova con in mano un pugno di mosche o peggio di “derivati”, ricomparsi (secondo stime della Banca Mondiale) con un valore nozionale di oltre 2 milioni di mld di euro, (33 volte il Pil mondiale!), mentre l’economia reale è ferma ai livelli 2007. Un rischio sistemico incombente (1).

Va ripetuto che il valore azionario delle imprese è del tutto illusorio, basandosi su una capitalizzazione di quelli che saranno i dividendi futuri, supponendo che il saggio di profitto resti invariato. Le Banche Centrali non fanno che facilitare prestiti al circuito bancario nel tentativo di sorreggere la zattera finanziaria. All’orizzonte la prospettiva di una esplosione della bolla dei bond “illiquidi” (non trovano compratori) emessi da società private. Intorno, una impalcatura di carta straccia, la quale ne chiede altra senza alcun rapporto con la sottostante economia reale dove la produzione di beni e servizi tende a rallentare di giorno in giorno, e la produzione-circolazione di merci si affloscia assieme alla bandiera, ormai sdrucita, del “denaro che crea valore”. Criptomonete comprese.

Dunque, al culmine dello “sviluppo” e in piena crisi di decadenza del capitalismo, ogni “misura” adottata non fa che aggravare l’agonia di un sistema e di una società che aspettano solo la loro distruzione ad opera del proletariato internazionale.

DC

(1) Dai tempi di Reagan il saldo commerciale Usa è negativo e il settore manifatturiero è in calo occupazionale con pessime condizioni di lavoro e salari fermi da oltre 10 anni. In 15 anni sono svaniti circa tre milioni di posti-lavoro, quasi tutti produttivi. E così la quota del settore manifatturiero sul valore aggiunto complessivo è diminuita di quasi due punti percentuali. Al “progresso tecnologico” – che nel capitalismo si accompagna alla “liberalizzazione” e deregolamentazione del mercato del lavoro – segue la caduta del saggio di profitto! Le conseguenze per i lavoratori sono disastrose. E gli “esperti” parlano di una “maggiore partecipazione alle catene globali del valore”, grazie alla divisione internazionale del lavoro.

La General Electric ha congelato le pensioni dei suoi dipendenti (circa 20mila) per risanare i conti, ricevendo prestiti per circa 105,8 mld di dollari: vi sarebbero deficit delle pensioni per circa 8 mld di dollari. Il suo debito industriale ammonta a 54,4 mld di dollari (New York Times). Sono circa 100mila gli ex dipendenti che ancora attendono l’arrivo delle loro pensioni (Financial Times).

Quanto alla United Auto Worker è in corso uno sciopero di oltre 4 settimane col blocco della produzione di motori V-8 presso la fabbrica di Ramos Arizpe, Coahuila, in Messico. Sono già stati licenziati 415 dei 2.100 dipendenti della fabbrica, mentre altri circa 10.000 lavoratori non appartenenti al sindacato in Nord America sono stati “rimpiazzati” a causa dello sciopero. La GM ha chiuso anche un impianto in Messico che produceva pickup (Chevrolet Silverado e GMC Sierra 1500), licenziando temporaneamente i circa 6.000 operai. Altri “tagli” in Canada e nell’impianto DMax in Ohio. The Buckingham Research Group ha stimato in circa 153 mila lavoratori, in tre settimane, i licenziamenti effettuati.

Domenica, February 16, 2020

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.