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Pubblichiamo parte di un lungo lavoro scritto dall'allora Nucleo de Comunistas Internacionalistas de Colombia, simpatizzante del BIPR, che, colpito dalla repressione e da tormentate vicissitudini interne, scomparve dopo un breve periodo di attività. Dei compagni costituenti il Nucleo, purtroppo, non abbiamo saputo più nulla. Nonostante il tempo, la disamina dei meccanismi dell'accumulazione e della crisi rimane tuttora valida e per questo lo riproponiamo a chi ci legge. Il saggio integrale, in spagnolo, si può leggere qui: leftcom.org
Nella crisi capitalista sono presenti - come possibilità - la rivoluzione e la guerra imperialista. L’alternativa "comunismo o barbarie", posta da Rosa Luxemburg all’inizio del secolo XX, torna ad essere all’ordine del giorno. Il fatto che la crisi di valorizzazione del capitale sia arrivata ad essere cronica, porta con sé l’intensificazione del carattere repressivo-distruttivo delle forze produttive e dei mezzi tecnici impiegati dal capitalismo.
Ricordiamo che dalle difficoltà dell’accumulazione, originate da questa insufficiente valorizzazione del capitale impiegato nei processi produttivi, deriva necessariamente il tentativo del capitale di ampliare la base di estorsione del plusvalore - su cui si fonda il sistema - in maniera continua e ininterrotta.
Dato che la capacità dei capitali nazionali per supportare questa base è limitata per l’aumento eccessivo della composizione organica del capitale delle metropoli (sempre più capitale costante e fisso), il capitale è costretto a espandersi a scala mondiale. In ciò sta l’origine dell’imperialismo e della guerra.
I fattori che danno impulso all’espansione del capitale non sono, tuttavia, fisici, ma economici; essi risiedono nell’impossibilità di produrre, sopra un livello dato del capitale totale, una quantità di plusvalore sufficiente per finanziare l’accumulazione successiva. Il capitale, dunque, cerca di ampliare, in qualsiasi modo gli sia possibile, la massa di lavoro eccedente (sopralavoro) che serve alle necessità di valorizzazione del capitale sociale in funzione.
L’accumulazione del capitale (riproduzione allargata), nella misura in cui si sviluppa grazie alla crescente concentrazione e centralizzazione dell’economia che assorbe il plusvalore disponibile, è entrata in una fase di crisi molto prima che il capitale avesse raggiunto in termini fisici una presenza sovrabbondante in ogni parte del mondo; di più, è entrata in crisi in una situazione nella quale il mondo si trova in modo evidente sotto-capitalizzato.
Quando parliamo di “sovrapproduzione di capitale”, ci riferiamo, dunque, ad un livello di capitale da valorizzare che diviene eccessivo rispetto alla massa di plusvalore suscettibile di essere estratta dallo sfruttamento della forza-lavoro del proletariato il quale serve di base alla produzione capitalista. Come si sa, la tensione per vincere questo limite implica:
- l’esportazione di capitali verso quei luoghi in cui la composizione organica del capitale (c + v) impiegato nei processi produttivi è minore e, pertanto, l’investimento in capitale costante e capitale variabile (forza-lavoro) consente ancora di ottenere un saggio del profitto superiore a quello delle metropoli;
- lo sviluppo di forme parassitarie del capitale-denaro e, con un’urgenza estrema, la necessità di garantire un approvvigionamento sicuro e un consumo a poco prezzo delle materie e delle fonti di energia, oggi massicciamente sollecitate dalla produzione industriale e dal funzionamento del gigantesco apparato meccanizzato delle società moderne.
Ciascun gruppo/blocco capitalista (e, pertanto, imperialista) necessita di sfere di influenza, zone di interessi, ecc., che entrano nelle loro rispettive aree geo-strategiche. Però, posto che, prima o poi - come sottolineò Rosa Luxemburg - si forma una situazione in cui tutte le colonie e sfere di interessi saranno proprietà di certi gruppi imperial-capitalisti, lo scoppio di uno scontro all’ultimo sangue tra questi gruppi è inevitabile: la guerra mondiale.
In questo senso, gli Stati e gli apparati creati per la guerra, sebbene sembrino obbedire a un’altra logica e ad altri motivi, sono, in effetti, funzionali ai dilemmi della riproduzione capitalista, e pertanto rispondono, prima di tutto, all’imperativo di fondo della valorizzazione, sviluppando la lotta commerciale e finanziaria dei capitali con altri mezzi. Questo spiega perché l’economia industriale-civile si sia tramutata rapidamente nel corso del XX secolo (e sarà così finché durerà il capitalismo) in economia militare. La causa ultima della guerra si trova, dunque, nel fatto che ogni blocco imperialista-capitalista vuole/cerca di evitare la crisi definitiva scaricandola all’esterno; dunque, per l’accumulazione capitalista, nel suo insieme, non c’è un plusvalore sufficientemente grande a soddisfare le sue esigenze.
La lotta per ampliare i mercati, per nuove sfere redditizie di investimento, per ottenere aree o settori di applicazione del capitale che garantiscano extraprofitti, lo scambio ineguale nel commercio estero, il parassitismo economico del grande capitale finanziario, lo sfruttamento di paesi arretrati eccetera, tutto questo fa parte delle vie d’uscita provvisorie alla crisi, agendo come controtendenze della stessa.
Alla fine, tuttavia, tali misure, unite allo sforzo di rallentare la caduta del saggio di profitto e incrementare lo sfruttamento del proletariato – il quale, a sua volta, ha il suo limite nelle condizioni minime di riproduzione della forza-lavoro – diventano inefficaci: l’equilibrio nei rapporti tra le potenze e le imprese si rompe, facendosi sempre più strette le frontiere economiche in un mondo già diviso e sfruttato al massimo/limite.
Tutti i conflitti che il capitalismo porta con sé – il dominio di classe, le rivalità interborghese, l’egemonia di una nazione sopra le altre, le lotte 'nazionali' e internazionali intercapitalistiche, ecc. – si acutizzano e si intrecciano a livelli estremi, si mescolano tra loro formando una situazione esplosiva. Posto che - come disse Rosa Luxemburg,
la guerra mondiale non può essere se non un tentativo per evitare la crisi finale e posto anche che non risolve la crisi in se stessa, ma getta i semi di nuove guerre
... la guerra e l’impegno metodico nell’assoggettamento-sfruttamento-distruzione dell’uomo e della natura costituiranno l’unica “soluzione” ai problemi di sopravvivenza di questo sistema economico-sociale.
Tuttavia, di fronte allo sprofondamento dell’umanità nella barbarie – recrudescenza dello sfruttamento e della miseria, abbrutimento generalizzato, degrado progressivo dell’ambiente, apparizione di forme estreme di dominio dell’uomo sull’uomo, ecc. – si erge l’alternativa comunista del proletariato. Però questa alternativa non sorge meccanicamente dalla situazione oggettivamente data dalla crisi capitalista, ma richiede lo sviluppo storico di una soggettività di classe capace di costituirsi in partito politico di fronte al capitale. Solamente l’intervento rivoluzionario cosciente del proletariato può trasformare la crisi marciante del capitalismo nella sua crisi finale.
Ciò esige la creazione di un’arma necessaria alla lotta del proletariato: la formazione di un partito di classe opposto a tutti gli stati nazionali esistenti e alla borghesia mondiale. Lo sviluppo mondiale del capitalismo imperialista, l’impossibilità che le borghesie nazionali esistano senza l’imperialismo (a questo proposito, ricordiamo il ruolo giocato dal capitale finanziario), fanno sì che i compiti del proletariato rispetto alla sua propria missione non gli permettano, da una parte, di allinearsi con i movimenti di liberazione nazionale. I quali, là dove si manifestano (o si etichettano come tali) – e questa osservazione ha grande pertinenza con episodi recenti come le lotte argentine e latino-americane – in ragione della struttura della società attuale, non sono forme autonome del sistema capitalista-imperialista, ma espressione degli scontri che si agitano al suo interno. Nemmeno di essere portati avanti da alcuna burocrazia né dagli apparati riformisti ed ex-stalinisti che oggi dominano il movimento operaio.
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