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Poche battute, perché il personaggio che farebbe annegare tutti i migranti pur di non “sporcare” il suolo di una Italia i cui problemi, peraltro, non sono i migranti ma la crisi del capitale, non ne merita di più. Due in particolare. La prima riguarda la cecità tipica di un razzista convinto che, pur di ottenere consensi, fa passare i recenti “accordi” con gli altri stati europei come una vittoria al 70%, quando, da Macron alla Merkel, tutti si sono rifiutati di accogliere altri rifugiati al pari della Polonia e dell'Ungheria come gli altri paese dell'est europeo. La seconda molto più grave è che Salvini si dimentica, come tutti i politici italiani di destra o di centro destra (di sinistra non ce ne sono più da tempo), che la causa di questi esodi biblici è l'imperialismo occidentale di cui l'Italia fa parte, anche se con un ruolo di secondo piano. Gli esodi di massa sono cominciati nel 2003 (attacco americano all'Iraq, (nascita delle prime formazioni jihadiste, Isis compreso). Sono continuate dopo l'invasione della Libia (Francia e Inghilterra con l'avallo prima e l'appoggio militare poi degli USA) che ha incrementato i flussi attraverso il Mediterraneo. Nello stesso anno (2011) l'attacco alla Siria ha completato il quadro. Milioni di sventurati sono fuggiti dalla devastazione, dalla morte e dalla criminale arroganza dell'imperialismo. Dimenticanza che assomiglia più ad una rimozione di un crimine sociale per far apparire criminale chi fugge dalla fame e dalla miseria turbando i sonni, peraltro non tranquilli, degli stessi italiani che hanno votato Salvini (e la destra). Ma il discorso sarebbe troppo lungo e merita una trattazione a parte. In questo caso vogliamo soltanto mettere in evidenza una “chicca” del Salvini pensiero che può dare l'idea di come andremo a finire se certe dichiarazioni dovessero avere un seguito operativo nel “corpore vili” del proletariato italiano.
In un rozzo discorso tenuto all'Auditorium Milano Congressi, di fronte ad una platea eterogenea ma composta prevalentemente da imprenditori e professionisti, si è esibito a tutto campo nella spiegazione del programma politico del suo governo, con l'evidente scopo di tranquillizzare gli astanti, i poteri forti, l'establishment italiano. Ambienti che, forse, avevano preso sul serio il suo falso atteggiamento di “anti-sistema” che ha esibito per tutta la campagna elettorale e che adesso ha riposto nel limbo delle cose da non ricordare, come i 50 milioni di euro della gestione Bossi, poi Maroni e, infine, sua, che la Lega avrebbe dovuto restituire allo stato ma che, in realtà, sono stati “spesi” in azioni speculative tra investimenti in bond africani e diamanti.
Il pezzo forte del suo discorso è stato quello relativo al problema del mondo del lavoro e, più precisamente, al cosiddetto “Decreto Dignità”, smentendo clamorosamente il suo omologo Di Maio, vicepresidente, come lui, di un governo debole, imbelle e parolaio, molto attento a servire, non gli interessi degli italiani, ma le necessità di un capitale, italiano sì, ma contro la stragrande maggioranza di quegli elettori che Salvini dichiara di voler difendere in “primis” dalle ondate migratorie, poi dalla povertà e dalla precarietà occupazionale.
Con grande disinvoltura il Salvini salvatore di tutto e di tutti, o quasi, così si è espresso nei confronti di una delle promesse sue e dei suoi colleghi del Movimento 5 stelle: "Capisco che Di Maio voglia contrastare il precariato, ma non bisogna danneggiare le imprese e i lavoratori costringendoli al 'nero' perché ci sono troppi vincoli e costi”. Nessun'altra frase avrebbe avuto più efficacia di questa nel rassicurare l'assemblea di rappresentanti del capitale, soprattutto imprenditoriale, quello che nella bufera della crisi economica ha maggiormente sofferto in termini di competitività, produttività e fallimenti. Ecco dunque la ricetta, in barba a tutte le promesse precedenti. Il precariato è una brutta cosa, per chi lavora è una spada di Damocle che molto spesso cala sulla testa del proletariato, ma, se è necessaria alle esigenze del capitale, ben venga, con buona pace di tutti e anche di quelli che avevano creduto che Renzi pensasse davvero che i contratti a termine favorissero nuovi posti di lavoro. Se non altro Salvini (l'antisistema) è stato più onesto ed esplicito: la precarietà è un punto fermo che non si tocca, altrimenti per le imprese sarebbero dolori. Meglio che questi dolori li sopportino chi lavora, tanto ci sono abituati. L'esternazione inoltre contiene una serie di obiettivi non dichiarati, ma ben presenti, che vanno dal mantenimento della cancellazione dell'articolo 18, dal Jobs act ad una riforma della legge Fornero che ne cambi la forma ma non i contenuti. Riforme che avevamesso in campo il famigerato nemico Renzi, lasciate al loro posto senza nemmeno dire un “grazie” a chi, come lui, ha lavorato per tenere in piedi la fragile struttura capitalistica italiana, scaricandone il peso sui soliti lavoratori, frastornandoli di frottole tanto incredibili quanto impraticabili nelle attuali condizioni di crisi del capitalismo internazionale.
Le ultime elezioni, sia quelle politiche che amministrative, hanno dimostrato che i flussi elettorali hanno visto un'ulteriore fuga di proletari, gli ultimi del PD, verso le sirene della Lega. La fuga è avvenuta, come dice il neo sindaco leghista di Pisa, perché il PD ha voltato le spalle ai lavoratori (vero), mentre la Lega ne difenderà gli interessi (falso e fraudolento).
A chiusura di questo breve commento alle esternazioni del “ministro dell'inferno”, valga come monito per chi ha giustamente penalizzato il PD per manifesto tradimento delle più elementari politiche di difesa del proletariato italiano che, peraltro, risalgono a tempi in cui Renzi non era ancora nato.
La Lega al governo saprà fare di peggio, sia in termini di politiche di accoglienza dei migranti, sia in termini di leggi sul lavoro che andranno al di là del ripristino della precarietà quale “male necessario”. Al riguardo si legga anche la dichiarazione del ministro del lavoro (degli altri) Di Maio che ha voluto precisare che “io sono il ministro del lavoro e non dei lavoratori, per cui mi devo interessare anche delle imprese” tanto, prosegue il ministro, “gli stessi lavoratori sono, nel loro piccolo, degli imprenditori”. Siamo nelle mani del gatto e della volpe, senza poter riconoscere chi dei due è la volpe. Il monito sta ad indicare che il proletariato deve smetterla di oscillare da una scheda all'altra nell'illusione che chi promette mantiene. Le uniche promesse che verranno mantenute sono quelle che andranno a sostegno del fragile capitalismo italiano e che per i lavoratori ci saranno le solite fregature a colpi di lacrime e sangue. Saltabeccare da Renzi a Salvini è come pretendere che, uguali servi del capitale, possano sostenere gli interessi di coloro che vengano sfruttati al massimo per sostenere le sempre più impellenti necessità del capitalismo in crisi di profitti. Salvini e Di Maio si arrogano oltretutto “l'onore”di aver contribuito a svirilizzare la lotta di classe che altrimenti avrebbe potuto riempire le piazze se non vi fosse stata una forza politica “in grado di arginare e incanalare il malcontento della stragrande maggioranza degli italiani” all'interno del quadro istituzionale. E allora il monito che vale, non tanto per Salvini e Di Maio, ma per quei proletari che li hanno votati è: la lotta di classe non si combatte nelle urne. La lotta di classe non consiste nello scegliere il meno peggio o nel credere alle fandonie dei commessi viaggiatori del capitale. La lotta di classe è tale solo se rompe con i meccanismi di gestione sociale della borghesia, e si rivolge contro lo sfruttamento, contro il capitale e il suo vorace rapporto con la forza lavoro.
Altrimenti cambiano i governi, cambiano i politici in un turbinio di elezioni in cui vince chi le spara più grosse, ma il capitale rimane sempre al suo posto, ed è sempre lo stesso mostro che ingurgita voracemente plusvalore, mentre il proletariato ne rimane l'eterna vittima che lo produce.
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