Con Macron è “Francia first”

Al nuovo presidente francese non è parso vero che il suo omologo americano accettasse il suo invito a Parigi per lanciare e rilanciare le reciproche immagini sullo scenario internazionale. Probabilmente durante la visita parigina Macron deve aver strappato a Trump la promessa di non interferire sulle scelte di politica estera della Francia nel nord del continente africano. In modo particolare in Libia, dove l'Eliseo aveva già in mente di dare il via ad una azione diplomatica che mettesse la Francia al sicuro sui futuri destini della rendita petrolifera dell'ex dittatore Gheddafi, oggi messa in crisi dal dualismo interno tra Serraj e Haftar e dagli interessi esterni, quelli italiani in primo luogo.

Con Sarkozy, la Francia nel 2011, grazie all'avallo americano e all'aiuto dell'Inghilterra, si è resa interprete di un atto di pura aggressione imperialistica nei confronti della Libia. Come abbiamo avuto modo di commentare nel marzo del 2016 su BC, le ragioni dell'operazione militare erano molteplici, ma con il problema petrolio in primo piano:

Nel 2011 su iniziativa della Francia di Sarkozy e con l’appoggio dell’Inghilterra, la quarantennale dittatura del Colonnello è rovinosamente caduta sotto i colpi dell’imperialismo di Parigi. L’allora presidente francese, mimando i comportamenti del presidente americano Bush, invocava la necessità di un intervento militare in Libia, in nome della lotta alla dittature, (non dimentichiamo che si era aperta la fase delle 'primavere arabe'), per mostrare al mondo arabo da riconquistare, che la Francia non era più la vecchia potenza colonialista di cui diffidare, ma una nazione che lottava contro le oppressioni per contribuire a ridare fiducia e democrazia a quelle popolazioni che per decenni avevano subito il peso di feroci dittature personali che, finalmente, stavano per essere rovesciate. Una sorta di esportazione della democrazia di vecchia memoria riadattata alle caotiche vicende nord africane. Ovviamente nulla di tutto questo rispondeva a un minimo di verità. L’imperialismo francese aveva tre obiettivi da realizzare con la caduta del regime di Gheddafi.
La “campagna di Libia” mirava ad una redistribuzione delle ingenti riserve energetiche della Libia in modo da penalizzare la concorrenza dell’ENI a favore della TOTAL-FINA. Prima della caduta Gheddafi garantiva circa il 40% delle proprie esportazioni all’Italia e solo un 22% alla Francia. Sarkozy sperava di rovesciare i termini delle percentuali facendo della Francia il paese privilegiato a spese dell’Italia e di tutti gli altri aspiranti concorrenti. 2) Il governo francese aveva paura che la minacciata decisione di Gheddafi di creare una divisa nord africana garantita dalle riserve auree e finanziarie di Tripoli contro il Franco africano (CFA) imposto dalla Francia per facilitare le sue manovre finanziarie e commerciali su ben 14 paesi dell’area, potesse diventare realtà. Se ciò fosse avvenuto per Sarkozy sarebbe stata una clamorosa sconfitta in un momento, oltretutto, dove il suo indice di popolarità era ai minimi termini.

da BC n° 2-2016

A sei anni di distanza la nuova presidenza francese, sotto le mentite spoglie di una “diplomazia pelosa”, convoca una riunione a Parigi tra i due contendenti libici, Serraj e Haftar. Il primo sostenuto dall'occidente, il secondo dall'Egitto e dalla Russia, per favorire una soluzione negoziale al fine di allontanare il rischio di un aperto conflitto armato tra le parti e per favorire al più presto le elezioni interne che sanciscano, una volta per tutte, la nascita della nuova Libia. Tutto falso. Macron vuole essere se non l'unico, il più importante interlocutore del nuovo governo libico con l'evidente scopo di allontanare dai pozzi petroliferi le mire di Mosca e del Cairo e di ridurre, se non di cancellare, la presenza dell'Eni che, ancora oggi, è la più importante compagnia petrolifera estera presente in Libia. Non a caso il presidente francese si è ben guardato dal consultare chicchessia, tanto meno il governo italiano, visto più come rivale che come alleato nelle vicende libiche.

Non va dimenticato infatti che, sempre sotto l'egida degli Usa, nel recente 2016, si era pensato ad una tripartizione della Libia sotto l'eufemistico nome di piano B. Piano che sarebbe entrato in vigore qualora il governo Serraj non fosse riuscito ad esprimersi in termini di assoluta affidabilità. Piano B che prevedeva la tripartizione della Libia qualora le cose non si mettessero per il “verso giusto”, quello voluto a suo tempo dagli Usa in collaborazione con l’Italia, Francia e Inghilterra, ovvero dall’imperialismo occidentale, sempre pronto per uscire dal cassetto. Secondo l’impostazione del piano la Tripolitania andrebbe sotto “l'amministrazione” italiana, la Cirenaica sotto quella inglese e alla Francia spetterebbe il Fezzan. Il tutto basato sull'ipotesi di un possibile fallimento del governo di al Serraj, da cui l’inevitabilità di un intervento armato delle tre potenze d'area per la “stabilizzazione” di questa terra destabilizzata dai precedenti interventi imperialistici, in “primis” quello francese.

Macron in un colpo solo ha superato anche questo scoglio. La sua iniziativa diplomatica ha dapprima escluso la concorrenza dell'Italia non invitandola al tavolo delle trattative, in seconda battuta ha bypassato anche il progetto di spartizione della Libia a spese dell'Inghilterra e della solita Italia. A poco sono valse le parole riparatorie nei confronti del primo ministro Gentiloni con cui si addolciva la pillola dichiarando che

senza il contributo italiano non c'è possibilità di dare vita ad un processo di pacificazione.

Né vale di più la successiva visita di Serraj s Roma per chiedere aiuto alle navi italiane per gestire la lotta contro il “traffico di uomini” nel canale di Sicilia. Sul terreno delle scuse ad un simile comportamento il presidente francese si è esibito in una serie di dichiarazioni che percorrono tutte le grigie tonalità della menzogna:

La nostra azione diplomatica deve dunque adoperarsi per assicurare un piano di sicurezza nel Maghreb e nel Mediterraneo, onde fronteggiare le crisi regionali”. A tal proposito, “non intendo nascondere la mia preoccupazione. E' dalla Libia che hanno attinto risorse tutti coloro che nel Sahel hanno stretto alleanza con al Qaeda... e con l'Isis che oggi sta tentando di farne una base operativa. Come sempre è dalla Libia che parte per l'Europa una gran massa di rifugiati e migranti. Se la Libia dovesse essere conquistata dai terroristi sarebbe una catastrofe.

Nulla di più spudoratamente falso. La Libia confina con il Niger e il Ciad dove esistono del contingenti militari francesi che non hanno mai bloccato il flusso dei commercianti di uomini contro i quali Macron si scaglia a parole. Invoca una lotta al terrorismo, in prima persona si fa garante della necessità di un piano di pacificazione in Libia, paventa catastrofi sociali che devono assolutamente essere bloccate come, se non peggio, del suo predecessore Sarkozy. Ipocrisia? Certo, funzionale a nascondere i veri interessi imperialistici di Parigi, anche se il progetto di Macron è sin troppo evidente ed è quello di eliminare la concorrenza europea e italiana nella gestione di una parte della rendita petrolifera libica, di ritornare a giocare un ruolo neo coloniale nell'Africa centrale, di contenere la penetrazione cinese e di rafforzare la sua presenza militare ed economica nel Sahel. A questo è servito l'invito a Parigi di Serraj e Haftar, poi gli eventi diranno se la via negoziale all'imperialismo francese paghi o meno. Di certo è che, nel bel mezzo dello strombazzamento del presunto superamento della crisi, con la diplomazia o con la forza delle armi lo scontro inter-imperialistico continua lasciandosi dietro una tragica scia di morte e di miseria per intere popolazioni ai quattro angoli del mondo ma, soprattutto, nell'area del Mediterraneo, terra maledetta non da un dio cattivo, ma dalla voracità di un imperialismo reso sempre più famelico, nonostante alcuni timidi segni di presunta ripresa, dal perdurare di tutti gli elementi economici e finanziari che hanno messo in crisi il sistema di produzione capitalistico a livello mondiale. Crisi e fibrillazione imperialistica sono i sinonimi di un mondo in decadenza che ricorre alla sistematica violenza delle menzogne o delle armi per sopravvivere alla proprie insanabili contraddizioni.

FD
Giovedì, July 27, 2017