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Home ›A proposito della Deutsche Bank, delle sue attività di criminalità finanziaria e della permanenza della crisi
Quasi ogni giorno sentiamo dire che la crisi è alle spalle ma la ripresa è lenta, troppo lenta. In effetti accanto a qualche accenno di ripresa pari allo zero virgola qualcosa, permangono, aggravati, tutti i fattori che la crisi l'hanno posta in essere e che impediscono il suo reale superamento. Partiamo da un fatto finanziario recente che riguarda la Deutsche Bank, ovvero la più importante banca tedesca, una delle più importanti al mondo. La D. BK. è stata recentemente accusata di comportamento scorretto (noi parleremmo di criminalità finanziaria) nei confronti dei suoi clienti e del mercato finanziario internazionale a causa della vendita di titoli “tossici”, contribuendo alla colossale crisi finanziaria della fine degli anni 2000, crisi che ancora permane e che ha messo sul lastrico decine di milioni di lavoratori, inasprendo la crisi produttiva che già si era espressa nei decenni precedenti. L'accusa prevede anche una ammenda di 14 miliardi di dollari che i responsabili della Banca tedesca sperano di ridurre a 5 miliardi, cifra ben più sopportabile per il colosso finanziario made in Germany. In pratica il Dipartimento di Giustizia statunitense, vuole punirla per le sue “sporche operazioni ” compiute durante gli anni della crisi finanziaria. Quali sarebbero le “sporche operazioni? Si tratterebbe dell'emissione di titoli altamente tossici legati ai cosiddetti mutui subprime, quelli che hanno letteralmente distrutto il sistema creditizio mondiale tra il 2007 e il 2009, aggravando la crisi dell'economia mondiale già sull'orlo della recessione. L'aggravante è che i dirigenti della Banca, come gli addetti finanziari periferici, hanno consigliato ai propri clienti l'acquisto dei suddetti titoli, rendendo criminalmente fraudolenti tutte le operazioni.
In pratica, questi strumento tossici, trasformati in mutui subprime, sono stati cartolarizzati, cioè resi ufficiali e “nascosti” all'interno di titoli a reddito fisso che funzionavano come le normali obbligazioni, con la caratteristica però che il debito sottostante era in quel caso rappresentato proprio dai mutui inesigibili. E' stato così che, occultando i mutui sottostanti, i titoli finanziari “normali” a essi correlati si sono trasformati in un virus che ha invaso i mercati finanziari mondiali. Ovviamente l'operazione di finanza criminale non ha riguardato solo la Deutsche Bank ma soprattutto le banche americane che sono state, e di gran lunga, la causa prima del dissesto. Il Dipartimento di Giustizia americano, infatti, aveva comminato alle più importanti Banche americane, multe altrettanto salate. La multa più alta, pari a 16,65 miliardi di dollari, è stata pagata nel 2014 dalla Bank of America. Nell'aprile del 2015 la Goldman Sachs ne ha sborsati 5. Per gli stessi motivi sono state multate la Citigroup, la JP Morgan, la Morgan Stanley per un ammontare complessivo di 23 miliardi di dollari. In prospettiva ci sono altre multe a “favore” di Barclays e Credit Suisse. Il pasticcio tedesco è esploso quando la Deutsche Bank ha perso il 50% del suo valore, circa 16 miliardi di euro nel solo 2015. A quel punto un centinaio di Hedge Fund hanno precipitosamente abbandonato la Banca tedesca collocando i propri assets presso altri Istituti di credito internazionali, mettendo in risalto la debolezza della Deutche Bank, aggravata dalla presenza di altri titoli tossici per un valore di 55 mila miliardi di euro, pari a 15 volte il Pil tedesco. Questo è quanto appare dalle ben informate cronache finanziarie borghesi, ma non basta a descrivere il reale stato dell'economia tedesca e internazionale sul versante della crisi che non lascia spazi ad una reale ripresa. Le stesse fonti giudicano alle spalle la crisi del 2008 ma si interrogano sulla lentezza o sulla mancanza di una tanto auspicata e, in tutti i modi, favorita connessione tra il mondo della finanza e quello dell'economia reale. Intanto va detto che la crisi partita “improvvisamente” nel 2008, per l'esattezza nell'agosto del 2007, è stata definita come una crisi finanziaria che ha soffocato l'economia reale, producendo i disastri sociali che ancora oggi il proletariato mondiale si ritrova sulle spalle sotto forma di licenziamenti, contrazione dei salari, diminuzione dello Stato sociale e intensificazione dello sfruttamento. Crisi finanziaria? Certo, che però ha avuto origine all'interno dei meccanismi economici produttivi in crisi di profitti che, a loro volta, hanno incentivato la fuga di capitali dalla economia reale verso la speculazione, dando vita a bolle finanziarie (sub prime) che, una volta scoppiate, sono ricadute sul terreno dell'economia reale da cui erano partite, devastando il quadro economico complessivo. A quel punto la “scienza” economica borghese si è sforzata, senza successo, di ricomporre il tutto e, in modo particolare, il rapporto tra capitale bancario e imprese, affinché l'altro rapporto, quello tra capitale e forza lavoro, potesse riprendere appieno a produrre i tanto desiderati profitti industriali, gli unici in grado di creare nuovo valore attraverso lo sfruttamento della forza lavoro.
Nonostante le misure adottate, come il basso costo del denaro, le migliaia di miliardi di Euro e di dollari stanziati dalla BCE e dalla Federal Bank a favore degli Istituti di credito (QE), ben poco si è mosso. Molte imprese soffrono dei debiti contratti in questi ultimi anni. Hanno poca fiducia nel futuro e diffidano dall'indebitarsi per finanziare rischiosi processi di ristrutturazione. Quando lo fanno cadono nel baratro di interessi alti, nonostante il basso costo del danaro. Le banche, anche quelle più grosse come quella tedesca, devono ancora smaltire i “fardelli tossici” che non sono riusciti a piazzare fraudolentemente a privati risparmiatori, ad altri Istituti di credito o a Fondi d'investimento. Il permanere della crisi rende difficile la campagna della raccolta di capitali, anche perché il risparmio delle famiglie latita da anni a l'esiguo aumento della propensione al risparmio non è assolutamente sufficiente. Il basso costo del denaro rende difficile la realizzazione di “adeguati” guadagni sui prestiti e sui mutui, il cui mercato rimane asfittico nonostante qualche piccolo accenno di ripresa. In più le Banche sono in pesante sofferenza per un ammontare significativo di crediti inesigibili presso le industrie in crisi - o addirittura fallite - o perché “elargiti” a privati che si sono dimostrati insolvibili, per cui il capitale bancario si guarda bene dall'erogare prestiti all'economia reale, se non con il contagocce e a tassi d'interesse così alti da scoraggiare, nella maggioranza dei casi, l'indebitamento delle imprese. Il risultato è che, nonostante la pioggia di miliardi caduta nei forzieri delle Banche, il tanto auspicato rinnovato rapporto tra capitale bancario ed economia reale è rimasto sul taccuino delle buone intenzioni, mentre l'unica realtà che si gonfia a dismisura è la solita speculazione. Nonostante i gravissimi rischi e la recente esperienza dei sub prime, il capitale pur di non andare alla produzione e pur di non rimanere “inoperoso” continua a rincorrere il miraggio di facili profitti sul terreno della speculazione, non importa se in Borsa, sul mercato dei Futures, dell'oro, delle Commodities o quello monetario. Il vero problema dell'intero sistema capitalistico è che i bassi saggi del profitto, dovuti ad un'alta composizione organica del capitale, invogliano i capitali a prendere la strada delle aree a basso costo della forza lavoro o di andare alla solita speculazione. Ma lo stesso problema della valorizzazione del capitale che colpisce le imprese contamina anche quello delle Banche che, con problemi di redditività del depositato, a loro volta, sono costrette alla rischiosa “scommessa” della speculazione. Interpreti primi i soliti Fondi di varia natura, Finanziarie di ogni tipo, Hedge Fund ad alto rischio e Istituti assicurativi. Insieme, e con la presenza anche di capitali industriali fuggiti dalla economia reale, sono riusciti a mettere in essere una massa di capitale speculativo grande quanto il prodotto mondiale lordo moltiplicato per tredici volte. Una nube tossica che aleggia fuori e sopra l'economia “del produrre”, in grado di distruggere un'altra volta i sistemi economici di qualsiasi mercato, in qualunque parte del mondo si trovi, se solo ritenesse economicamente vantaggioso continuare a investire speculativamente. E da qui il capitalismo in crisi non ne esce se non attraverso la conquista con la forza (guerre) di mercati delle materie prime, dei metalli preziosi, dei mercati finanziari, monetari e del controllo delle maggiori fonti energetiche. Non da ultimo la strada obbligata è quella di un ulteriore attacco ai salari reali, al maggiore sfruttamento della forza lavoro e alla diminuzione dell'ormai “insopportabile” peso di quello che resta dello Stato sociale.
Non sorprende, quindi, che anche la più grande Banca europea sia interprete e vittima della crisi globale dalla quale il capitalismo non riesce ad uscire.
FDBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11-12
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