Lo Stato (borghese) e il mercato - Quando Marchionne... insegna

Marchionne ha dichiarato nei giorni scorsi:

Non possiamo demandare al funzionamento dei mercati la creazione di una società equa perché non hanno coscienza, non hanno morale, non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. L’efficienza non è e non può essere l’unico elemento che regola la vita. C’è un limite oltre il quale il profitto diventa avidità e chi opera nel libero mercato ha il dovere di fare i conti con la propria coscienza. Gli eventi e la storia hanno dimostrato che ci reggevamo su un sistema di governance del tutto inadeguato. Soprattutto, hanno evidenziato la necessità di ripensare il ruolo del capitalismo stesso, e di stabilire qual è il corretto contesto dei mercati. Sono una struttura che disciplina le economie, non la società, se li lasciamo agire come meccanismo operativo della società, tratteranno anche la vita umana come una merce. E questo non può essere accettabile.

Taluni ingenui, cui simili dichiarazioni appaiono a dir poco ipocrite ma soprattutto - aggiungiamo noi - del tutto incomprensibili, così reagiscono e si indignano:

Dice Marchionne, non Che Quevara. E allora viene naturale domandarsi se sia il primo di aprile. No, siamo ad agosto. Forse ha preso un colpo di sole? No, sta col suo maglioncino d’ordinanza versione estiva. Si è dimesso da superpagato amministratore delegato di Fca per abbracciare la dottrina francescana? No, parla proprio nelle vesti di amministratore di Fca. Allora non rimane che una sola risposta possibile. Marchionne fa quello che gli riesce meglio: prendere per il c... (1).

Niente affatto, ci permettiamo di commentare: Marchionne non 'prende per il culo', nè si è beccato alcuna insolazione.

Marchionne, molto più prosaicamente (per non dire semplicemente e onestamente, pur dal suo punto di vista di classe...), svela coscientemente la reale natura del sistema che egli serve, il sistema del capitale e del profitto, il quale non ha affatto e mai ha avuto - come qualche ingenuo crede - alcun 'feticismo' del mercato o del liberismo e sa molto bene che la regolazione statale del mercato (e dunque l'intervento dello Stato borghese nell'economia sotto qualsiasi forma: keynesiana, monetarista, ... staliniana o 'bolivariana' che sia) lungi dal poter essere - in una società divisa in classi - garanzia di equità e giustizia sociali, è assai necessaria al capitale - in certe fasi del suo ciclo economico - proprio per fare più profitto. Marchionne non fa esplicito riferimento all'intervento statale, ma lo lascia sottintendere: fa poco “fine” appellarsi allo Stato, quando decenni di propaganda “neoliberista” l'hanno paragonato a un'epidemia di peste. In realtà, lo Stato ha sempre affiancato, supportato e difeso il capitale, benché in misura e con modalità anche molto diverse, fin dal sorgere del capitalismo stesso (Marx docet), sino a diventare, qualora necessario, quel "capitalista collettivo" che estrae plusvalore dal lavoro salariato giungendo persino a definirlo... "profitto socialista" (Stalin).

Scriveva Engels:

Lo Stato poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tenere sottomessa e per sfruttare la classe operaia (2).

E ancora:

Lo Stato moderno è l’organizzazione che la società capitalista si dà per mantenere il modo di produzione capitalistico di fronte agli attacchi sia dagli operai che dei singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Quanto più si appropria le forze produttive, tanto più diventa capitalista collettivo, tanto maggiore è il numero di cittadini che esso sfrutta (3).

L’esperienza dei capitalismi di Stato – da quello staliniano a quello cinese, cubano, venezuelano, ecc. – dimostra appieno, nei fatti, tale ruolo.

Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall’esterno (…). Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con sé stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente ad eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’ordine; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato (4).

Anche quando ha preso provvedimenti contro un’impresa o un settore industriale, anche quando ha adottato misure invise ai capitalisti, misure che riducevano il profitto immediato anche quando si è schierato a favore dei lavoratori in un conflitto sindacale, per lo più lo Stato fin ora ha avuto di mira il mantenimento o il rafforzamento della società capitalista nel suo complesso. Per esempio, lo Stato inasprisce i tributi sui profitti distribuiti: apparentemente, questa misura colpisce i “tagliatori di cedole”, in realtà lo Stato mira a favorire il reinvestimento del profitto e a sollecitare l’espansione della produzione capitalista; lo Stato si schiera contro i datori di lavoro e a favore degli operai che chiedono aumenti salariali o la riduzione degli orari di lavoro: non si tratta dell’appoggio dei poteri pubblici alle lotte anticapitalistiche degli operai ma del proposito di scongiurare un’eventuale depressione oppure di aumentare la produttività del lavoro (la sociologia e la psicologia del lavoro hanno dimostrato che l’eccessivo affaticamento fa diminuire la produttività della forza-lavoro)... in questi casi lo Stato aiuta i lavoratori, come categoria necessaria al sistema capitalistico, cioè come prestatori d’opera subordinata all’imprenditore capitalista (5).

Non fu certo il "libero mercato" a decretare le enclosures acts e ad imporre cosi il lavoro salariato forzato a migliaia e migliaia di persone private di ogni risorsa di sopravvivenza, di ogni mezzo di produzione, anche fosse artigianale o agricolo. Non fu il libero mercato ad imporre le privatizzazioni, o al contrario, in altre fasi, a dar vita alle imprese di Stato per mettere a carico della collettività la realizzazione delle costose infrastrutture (elettrificazione, rete ferroviaria e autostradale, comunicazioni, bonifiche, ecc.) di cui i privati imprenditori necessitavano ma per le quali non avevano convenienza ad investire; o a decretare il Jobs act (ed equivalenti in altri paesi), gli sgravi fiscali, gli incentivi e i salvataggi di centinaia di imprese e banche.

Perché il signor Marchionne - al pari di tutti gli amministratori al servizio e per conto del capitale - sa assai bene (cosa che tanti sedicenti quanto falsi comunisti ignorano) che lo Stato borghese NON è, e non può essere affatto, una entità "neutrale", al di sopra delle parti (cioè delle classi che si fronteggiano nella società e che interessi comuni non hanno affatto: salario e profitto sono infatti inversamente proporzionali), bensì strumento di dominio di classe a salvaguardia e garanzia del capitalismo e dei suoi interessi, da invocare all'occorrenza per la propria sopravvivenza.

Il profitto non è … frutto di avidità, ma dell’appropriazione da parte del datore di lavoro di lavoro sociale (e del prodotto di quel lavoro) il quale non viene interamente remunerato al lavoratore secondo il valore di quanto esso produce. Il profitto è l’unica e irrinunciabile necessità del capitale, non un capriccio che sfida una morale, ma la morale stessa del capitalismo: quella di accrescere progressivamente e continuamente il capitale investito, sfruttando lavoro umano altrui. Se ciò non dovesse avvenire, esso verrebbe estromesso dal mercato. Quanto all’essere merce, è nel dna del capitalismo rendere necessariamente tale qualsiasi cosa sia in grado di produrre profitto, a partire dal lavoratore.

Molti falsi comunisti e ingenui d'ogni ordine e grado - sembra paradossale ma è così - dovrebbero imparare dalla chiarezza lapidaria del nemico di classe ciò che sembrano ignorare o aver 'dimenticato'.

Lo Stato - scrive Lenin - è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati (6).

Lo Stato non esiste dunque dall’eternità. Vi sono state società che ne hanno fatto a meno e che non avevano alcuna idea di Stato e di potere statale. In un determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente legato alla divisione della società in classi, proprio a causa di questa divisione, lo Stato è diventato necessità (7).

Colui che non ha ancora compreso la natura e la funzione dello Stato in una società divisa in classi, non ha alcun diritto di definirsi comunista (8).

PF

(1) ancorafischia.altervista.org

(2) Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

(3) Engels, Antiduhring

(4) Engels, L’origine …

(5) Tamburrano, in "Bilancio del marxismo", ed. Cappelli, 1965.

(6) Lenin, Stato e Rivoluzione

(7) Engels, L’origine …

(8) Per approfondimenti consigliamo la lettura di "Lo Stato nell’epoca del capitalismo monopolistico" e “Le nazionalizzazioni arma del capitalismo”, entrambi presenti sul nostro sito.

Sabato, October 15, 2016