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Home ›La ripresa economica statunitense: c'è poco oro in quel che luccica
Ci deve essere un santo che guarda con occhi particolarmente benevoli l'altra parte dell'Atlantico, a giudicare dai dati sull'economia statunitense che vengono esibiti dai mass media e, in primo luogo, dal governo americano. Infatti, l'economia a stelle e strisce, nel terzo trimestre del 2014, sarebbe cresciuta del 5% su base annua, e la disoccupazione avrebbe continuato la sua discesa, come succederebbe da quasi sessanta mesi, raggiungendo il 5,8% della forza lavoro. Sono cifre che l'Europa invidia, perché hanno del miracoloso; ma si sa, dietro ogni fenomeno paranormale, o presunto tale, c'è sempre il trucco, quanto meno una spiegazione razionale. E il nuovo “miracolo” americano non fa eccezione.
Dove troverebbe tanto vigore l'economia di là dall'oceano, mentre quella dei paesi cosiddetti avanzati ha il fiatone e per aumenti dell'uno per cento si stappano bottiglie di champagne? Da un insieme di fattori, tra i quali rimangono dominanti quelli di sempre, cioè un uso spregiudicato del debito, della creazione di capitale fittizio, della speculazione finanziaria utilizzata anche e non da ultimo contro gli alleati europei.
È noto che gli Stati Uniti, per fra fronte alle difficoltà del ciclo di accumulazione – l'economia reale – da decenni hanno inaugurato, se così si può dire, la strada dello sviluppo abnorme del parassitismo finanziario: si tratta del tipico percorso di un capitale che, non riuscendo più a valorizzarsi adeguatamente nel processo produttivo (di plusvalore), si butta a rotta di collo nella speculazione, illudendosi e, forse, per meglio dire, illudendo, di poter rimandare a data da destinarsi la resa dei conti con la realtà. Prima o poi, però, il conto viene presentato e il meccanismo della finanza “creativa” (cioè truffaldina) si inceppa, rischiando di far “grippare” l'intero sistema capitalistico. Ma in assenza di una reazione delle prime e principali vittime (il proletariato) di questa specie di casinò planetario e col permanere delle difficoltà strutturali di cui il “casinò” è figlio, il meccanismo si rimette in moto come e più di prima, specialmente se il governo, qualunque governo, gli dà una spinta determinante. Dopo i subprime, dopo il fallimento della Lehman Brothers, l'amministrazione americana ha trasfuso miliardi di dollari a migliaia (non meno di 4000, ma altri dicono molti di più), che solo in parte – o in minima parte - sono andati a investimenti nell'economia reale: la massa è ritornata ad alimentare il circuito debitorio-speculativo. Le banche, gli istituti finanziari in genere, hanno rimesso in circolo tutto quel denaro per sostenere – tra le altre cose – un livello di consumi che diversamente non potrebbe essere sostenuto. Hanno comprato titoli pubblici dei “piigs” europei ad alto tasso di interesse, anche a seguito del declassamento dei paesi emittenti i titoli stessi decretato dagli istituti di rating americani (che caso...) (1). Se, e quando, un porzione di quella valanga di dollari è andata all'investimento produttivo, la componente speculativa ha continuato ad avere un risvolto importante. Si sta parlando, per esempio, dello shale oil-shale gas (petrolio e gas di scisto), ottenuto col metodo ultrainquinante nonché geologicamente pericoloso – può provocare piccoli terremoti – del fracking, della frantumazione delle rocce profonde contenenti idrocarburi. In questi ultimi anni, quando il prezzo del greggio è stato più del doppio di quello attuale, si è scatenata una vera e propria corsa allo shale oil, con investimenti enormi, effettuati molto spesso a debito (delle stesse dimensioni), garantito dal prezzo del petrolio allora in vigore (2). Sulla base di queste “garanzie” sono sbocciate le solite “garanzie sulle garanzie” (hedge) ossia, in sostanza, gas finanziario in quantità per gonfiare altre bolle speculative, il cui scoppio, se non si sgonfieranno prima, produrrà altre devastazioni economico-sociali (quelle ambientali, purtroppo, sono già in atto).
Malignità da comunisti, dirà qualcuno: rimane il fatto che la disoccupazione è diminuita, c'è un ritorno in patria delle industrie delocalizzate, i consumi aumentano - anche grazie al calo drastico del prezzo dei carburanti, sottolineano in tanti – e così il Pil. A parte il fatto che le fonti dei “controdati” sull'economia statunitense sono apertamente borghesi o appartengono al mondo del riformismo, sono le stesse fonti ufficiali, se adeguatamente analizzate, a dimostrare che quello che luccica non oro, ma ottone. Non è un mistero che i criteri per rilevare il tasso di disoccupazione si possono ritenere almeno in parte discutibili ovunque e specialmente negli USA, dove sette milioni di persone vengono escluse in partenza dal calcolo, perché in prigione o soggette a una qualche forma di restrizione della libertà personale; per non dire, poi, degli scoraggiati. Ma prendendo per buoni gli altri criteri, che tipo di occupazione è stata creata?
Altre volte abbiamo sottolineato come, in genere, si tratti di “bad jobs”, cioè impieghi caratterizzati dal part-time imposto, dai bassi salari, dalla precarietà: da condizioni complessive peggiori di quelle dei precedenti impieghi (per chi un impiego l'aveva e l'ha perso). Inoltre, la grande maggioranza di questa nuova occupazione è concentrata nel settore del terziario, per lo più consumatore di plusvalore primario, ma di un terziario “povero” (ristorazione, servizi alla persona ecc.), mentre anche il settore dell'istruzione e della sanità (dove gli stipendi sono un po' più alti o meno bassi) è investito da forti cambiamenti, cioè licenziamenti e via dicendo (3).
Il settore industriale, però, vede una ripresa di investimenti e di occupazione, dovuta anche, come si diceva, al reshoring, al rimpatrio di produzioni prima effettuate all'estero (dicono gli entusiasti della “ripresa”). Ora, il reshoring è una realtà, ma, in termini occupazionali, non potrà incrementare l'occupazione ai livelli degli anni Cinquanta, per diversi motivi: non da ultimo perché continua e continuerà il rinnovamento tecnologico degli impianti (e delle postazioni di lavoro in genere) attraverso la robotizzazione, che, per inciso, interessa anche parte del terziario, il che significa necessariamente espulsione o minore richiesta di forza lavoro. Se a questo si aggiunge che i salari, nei nuovi insediamenti industriali o dei nuovi assunti in quelli già esistenti, sono inferiori anche del cinquanta per cento circa rispetto a quelli dei lavoratori “anziani”, si può capire come sull'aumento reale del Pil, basato in larga parte sulla ripresa dei consumi (4), si possa avanzare più di un dubbio. Nonostante il massiccio aumento del plusvalore sia relativo che assoluto, cioè dello sfruttamento in tutte le sue varianti, l'accumulazione reale del capitale non riesce a decollare e continua a svolazzare basso, tant'è vero che le grandi “corporations” (per limitarci a queste) negli ultimi anni hanno sì realizzato grandi profitti, come massa, ma essi sono stati in gran parte distribuiti come dividendi agli azionisti, non reinvestiti, perché dal punto di vista capitalistico (l'unico che conta) non ne vale la pena (5). Se coi salari bassi, compresi quella di una cosiddetta classe media (6) che Obama solletica con un occhio alle prossime elezioni presidenziali (7), si può quindi comprare poco, si incentiva il debito dei potenziali consumatori proletari; se i tassi del profitto (reale) hanno poco “appeal”, si incoraggia la corsa sfrenata alle plusvalenze speculative; ma si può emettere anche moneta in abbondanza (quantitative easing) così da svalutare il dollaro e rendere più competitive le merci americane. Sono “giochetti” tipici di questa fase del capitalismo, finora riusciti abbastanza bene alla borghesia statunitense, per via della supremazia che può esercitare nel mondo grazie al ruolo ancora predominante (benché intaccato) del dollaro e, in senso lato, alla sua potenza imperialistica. Finché dura.
Appendice
Il 22 gennaio, anche la Banca Centrale europea (BCE) ha annunciato l'avvio di un grande intervento di Quantitative Easing (QE), al fine di rilanciare l'economia dell'Unione Europea, sull'esempio di quanto è stato fatto ripetutamente dalla FED, la banca centrale statunitense. In pratica, la BCE stamperà moneta per comprare titoli di debito pubblico (e privato) fino al settembre 2016, per una cifra massima di 1100 miliardi di euro. Tuttavia, l'istituto di Francoforte garantirà solo il venti per cento di tali acquisti, l'altro ottanta per cento dovrà essere a carico delle banche centrali dei singoli paesi, facendo così contenta (almeno in parte) la Germania, da sempre contraria a ogni misura che spalmi su tutti i membri dell'UE i debiti specifici degli stati. La mossa, nelle intenzioni, dovrebbe appunto sostenere l'economia europea, intanto perché l'euro si svaluta ulteriormente (8), rendendo in tal modo più competitive le merci dell'eurozona sul mercato internazionale. Inoltre, quella massa di denaro dovrebbe favorire gli investimenti e abbassare i tassi di interesse, con gran gioia di tutti (si dice). Draghi, però, ha messo le mani avanti, sottolineando che la Banca pone le premesse per la ripresa, ma che il compito per darle gambe e fiato spetta ai governi, i quali devono proseguire sul cammino delle riforme strutturali, non ultima quella del mercato del lavoro, Noi, che non siamo economisti “laureati”, ma che cerchiamo di utilizzare al meglio gli strumenti del marxismo, per altro confermati dall'esperienza diretta, proviamo a tradurre quell'avvertenza, se così vogliamo chiamarla, andando al di là di quello che il banchiere non può e/o non sa dire. Se non si creano le condizioni per una produzione-estorsione di plusvalore adeguata all'attuale composizione organica del capitale, si può stampare tutta la moneta che si vuole, ma l'effetto sarà quello di una droga su di un organismo debilitato: dopo l'euforia iniziale, quell'organismo si ritroverà con i problemi di prima, ma aggravati. Fuor di metafora, quel denaro solo molto parzialmente si incanalerà nella cosiddetta economia reale, la gran parte tornerà o rimarrà nel circuito della finanza, andando a gonfiare nuove bolle speculative. Interventi simili di ingegneria (o magia) finanziaria se ne sono visti parecchi sia nella storia del capitalismo che negli anni recenti (9), ma non hanno mai risolto i termini del problema, complicandoli. Da qui, l'appello alle riforme, il cui nucleo centrale è l'aumento dello sfruttamento della forza lavoro (ottenuto anche e non da ultimo con la svalorizzazione della forza lavoro stessa, cioè l'abbassamento del salario), il proseguimento nella predazione del salario indiretto e differito (lo stato sociale), la precarietà, la ricattabilità accresciuta, al fine di recuperare quanto si può dal lato del capitale variabile quello che, oggi, non è possibile o è più difficile recuperare dal lato del capitale costante. Se poi tutto questo restringe o non allarga abbastanza la capacità di consumo delle masse (il famoso mercato), beh, è una contraddizione tipica del capitalismo, che nessun governatore di banca centrale, nessun artificio finanziario, nessuna politica economica potrà mai risolvere.
CB(1) Istituti finanziari che valutano lo stato di salute economica, per così dire, di un paese.
(2) G. Marletto, Sbilanciamo l'Europa, n. 48, 9 gennaio 2015.
3Vedi le lotte del personale scolastico in Wisconsin, qualche tempo fa, su questo sito.
(4) Ma c'è chi parla anche di trucchi contabili smaccati per aumentare in maniera fraudolenta il Pil.
(5) Come osservava Marx, a proposito della speculazione finanziaria che esplode nelle epoche di bassi saggi del profitto, a quel punto dell'accumulazione al capitalista non interessa più il guadagnare (il processo economico di estorsione-realizzazione del plusvalore), ma il guadagno, cioè l'appropriazione in qualunque modo del plusvalore e delle plusvalenze speculative, a cui lo sfruttamento accentuato della forza lavoro dovrà dare sostanza.
(6) La definizione di “classe media” da parte della sociologia borghese è così indeterminata che è praticamente inservibile ai fini di una analisi della composizione di classe della società, se non usando mille cautele. Infatti, in quella sedicente classe si trovano, oltre alla piccola borghesia, anche consistenti spezzoni di proletariato occupato con stipendi “normali”.
(7) Durante il discorso sullo stato dell'Unione, Obama ha promesso riduzioni delle tasse alle famiglie con redditi bassi, sovvenzioni per l'istruzione ecc., mentre ha ventilato un aumento dell'imposizione fiscale sui guadagni da capitale, andando così timidamente controcorrente rispetto alla politica fiscale di questi ultimi decenni. C'è da dire che, a parte ogni altra considerazione, un conto sono le dichiarazioni, un'altra... la feroce opposizione alle stesse della maggioranza repubblicana al Congresso.
(8) Negli ultimi tempi si è svalutato del 16% rispetto al dollaro e del 7,8% rispetto alle monete dei “19 partner commerciali dell'Europa”: vedi M. Longo, Il sole24ore del 22 gennaio 2015.
(9) Di fatto, è quello che è accaduto negli USA, come s'è detto, dal 2008 a oggi.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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