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Dalla rivista giovanile internazionalista “Amici di Spartaco” #26
Il fascismo, quello storico, non è nato per la volontà malvagia di un gruppo politico o addirittura per l'avidità o la follia di un unico personaggio, Mussolini.
Il fascismo nasce in Italia con il sostegno dei padroni, dei borghesi, dei proprietari terrieri. Nasce per contrastare la reazione proletaria alla miseria e allo sfruttamento: all’inizio degli anni Venti i lavoratori stavano dando vita ad un crescente movimento di classe con proteste e occupazioni delle fabbriche. In un clima così caldo ai padroni serviva uno Stato fortemente repressivo.
La persecuzione dei comunisti, la chiusura delle Case del Popolo, la repressione dei movimenti proletari, il mantenimento di un livello disumano di sfruttamento, questi furono i risultati ottenuti dal fascismo.
Ma andiamo con ordine. Se il ventennio fascista è a tutti ben noto nelle sue linee essenziali e nelle tragiche conclusioni a cui condusse il proletariato italiano, le sue origini continuano a restare poco chiare. Il regista, il trascinatore, ma nei primi anni anche la semplice comparsa indecisa sul ruolo da interpretare, fu naturalmente Benito Mussolini. Delle tante definizioni sul primo Mussolini, che da emigrante in Svizzera (arrestato nel 1903 come agitatore socialista) torna in Italia e conquista in pochi anni la leadership dell'ala rivoluzionaria del PSI e poi la direzione dell'Avanti, una delle più calzanti l'ha scritta Pietro Nenni:
Plebeo era, e pareva che volesse restare, ma senza amore per le plebi. Negli operai ai quali parlava vedeva non dei fratelli, ma una forza, un mezzo, del quale poteva servirsi per rovesciare il mondo.
E il giudizio, ci pare, potrebbe estendersi a tutto il fascismo e alle sue velleità di rappresentare in un'unica vocazione il minestrone di partiti e ideali che serpeggiavano nel Paese, in una sorta di inestricabile guazzabuglio composto da Marx, Nietzsche, Sorel e D'Annunzio, tanto per citare i più abituali riferimenti politici e culturali dell'epoca.
Solitamente si fanno risalire le cause dell'affermazione del fascismo alla grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale. Ma ci sono anche studiosi che ne datano l'origine al 1915, alla radiose giornate di maggio in cui alcune minoranze chiassose e violente inneggiarono all'entrata in guerra dell'Italia.
Sia come sia, esso divenne un fatto politicamente rilevante e assunse le caratteristiche grazie alla quali si affermò e che ne costituirono le peculiarità solo con la fine del 1920, parallelamente al concludersi della prima fase della crisi postbellica (biennio rosso). Sino a quel momento era stato un fenomeno politico e sociale trascurabile, difficilmente definibile e in ogni caso sostanzialmente riconducibili più al vecchio filone del sovversivismo irregolare che non agli orientamenti prevalenti nella borghesia che aveva fatto la guerra.
È nella seconda metà dell'anno 1920, infatti, dopo un periodo in cui il fascismo, travagliato da contraddizioni interne e dall'incarceramento (seppur temporaneo) di Mussolini, quando sembrava aver perso il suo slancio ed essere destinato a svanire nelle pieghe della Storia, che il movimento trova nuova linfa. È con il precipitare della situazione politica italiana e con l'arrivo degli scioperi e della ventata rivoluzionaria che spirava dalla Russia che il fascismo si propone come forza repressiva paramilitare in funzione antiproletaria e anti-comunista. È da questo momento che il fascismo diventa poco a poco quello che sarà per tutto il Ventennio: un movimento a difesa degli interessi delle borghesie nazionali, da queste foraggiato e sostenuto, che brama il potere ed è disposto a tutto per mantenerlo: dalla forza dei manganelli alla violenza di piazza, al compromesso politico. Del resto l'impalcatura ideologica del movimento fascista era così duttile che ognuno poteva trovarci quel che voleva: un elemento, questo, che si rivelerà estremamente utile nel conservare il regime per i due ulteriori decenni.
Il momento in cui il fascismo getta la presunta maschera rivoluzionaria e per la prima volta mostra a tutti l'anima repressiva e muscolare di protezione degli interessi borghesi e nazionali a discapito del proletariato, fu durante il riflusso degli scioperi e del movimento rivoluzionario del 1919-20. Alla sconfitta politica degli scioperi agrari nella Pianura Padana, dello sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e dell'occupazione delle fabbriche, i quali, in assenza di un partito politico di classe che nascerà solo l'anno successivo, erano arrivati a far mettere la rivoluzione ai voti del sindacato CGL che, naturalmente, la bocciò, in molte città italiane il fascismo passa da una “timida” presenza alla violenza aperta. Squadre composte da studenti e da Arditi intervengono per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A istigarli è Mussolini stesso, che dichiara di preferire di combattere i socialisti con la pistola piuttosto che con il voto. Il 21 novembre1920, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partono pistolettate e bombe a mano che provocano la morte di nove persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista viene ucciso in pieno Consiglio comunale.
Le spedizioni punitive estendono il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vengono assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari ovviamente agevolano le "operazioni" della squadre fasciste contro il "sovversivismo rosso".
Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente...
disse Giolitti, minimizzando il problema.
Sul finire del 1920 l'influenza dei sindacalisti, degli ex socialisti e dei futuristi all'interno del movimento fascista diminuisce ulteriormente a vantaggio degli elementi borghesi. Ma il radicalismo degli anni passati non viene completamente abbandonato.
Nonostante il movimento si leghi sempre con maggior forza al grande padronato industriale e ai proprietari terrieri della bassa padana che lo finanziano generosamente, Mussolini non rinuncia alle sue origini. Nel 19- 20 continua a dichiararsi risolutamente repubblicano, condanna l'occupazione delle fabbriche ma anche l'intransigenza dei padroni, esalta l'importanza storica dei Consigli di fabbrica e dichiara che il suo movimento non sarà mai il "cane da guardia del capitalismo".
Ma sono solo gli ultimi rantoli, le ultime patetiche e vuote menzogne per non ammettere chiaramente la realtà delle cose. Dovremo attendere l'anno successivo per vedere svanire anche questi ultimi lontani echi rivoluzionari, con l'ingresso del fascismo nel Blocco Nazionale giolittiano in vista delle elezioni del maggio 1921 ed il suo completo inquadramento nel disegno borghese di repressione di ogni espressione di lotta di classe proletaria.
Il fascismo è stato dunque un prodotto del capitalismo, uno strumento dei padroni, ed è così anche per l’odierno neofascismo, e dunque Casapound.
Quest'ultimo, come fu per il movimento mussoliniano, è un soggetto politico tutto interno all’ideologia borghese, infatti non osa mettere in discussione il capitalismo, anzi, lo difende a spada tratta. Usa come copertura ideologica una sorta di riformismo radicale di destra che nasconde una impostazione fortemente razzista, nazionalista e ovviamente anti-comunista. È una realtà che va conosciuta a fondo per poi essere combattuta politicamente.
Questo è il nostro antifascismo: la continua lotta politica anticapitalista. Lotteremo politicamente contro queste formazioni come facciamo contro tutti i partiti istituzionali e le organizzazioni borghesi di ogni genere: contrapponendo a tutto questo mare di falsificazioni ideologiche la nostra visione comunista, la militanza attiva, l’alternativa rivoluzionaria.
Gloria, OstiaAmici di Spartaco
Rivista giovanile internazionalista
Amici di Spartaco #26
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