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Home ›La visita di Gheddafi a Roma
Cavalieri e Profeti: le vostre catene non sono infrangibili!
"Una svolta epocale per i rapporti fra i nostri paesi!": la borghesia non si stancherà mai di dire le solite frasi di circostanza, quando si parla di affari. Ma cosa sta succedendo? Lo si spiega, al solito, vedendo le cose per come sono concretamente.
Alla storiella che una lunga guerra trascinatasi per anni, come quella di Troia, sia dovuta a una "giovinetta presa prigioniera" come può crederci ancora qualcuno? È evidente che allora si trattava di controllare le rotte commerciali dello stretto del Bosforo. Come è evidente che oggi, non c'è stata una ricostruzione storica congiunta sui fatti accaduti durante l'occupazione italiana in Libia, bensì un più fruttuoso ed interessante scambio di favori economici e politici.
Gheddafi si presenta con un volto serioso, e con la voce profonda di un profeta, non a caso ama farsi chiamare Càid, ossia guida spirituale! Questo è il personaggio che serve per incantare i proletari libici. Dietro a questo profeta però c'è l'architetto di decine di colpi di stati e disordini politici in Africa, il ponte dell'imperialismo russo nel Mediterraneo, uno dei più potenti e ricchi uomini d'affari del mondo, un dittatore sanguinario che schiaccia sotto i suoi piedi i proletari libici da quarant'anni.
Berlusconi si presenta sorridente e gagliardo, con lo charme di un bulletto da balera e le battute da “grande” cabarettista. Crede di essere, anch'esso, unto dal signore e ama farsi chiamare il Cavaliere... Questo è il personaggio che serve per incantare i proletari italiani. Dietro a questo comico, si nasconde uno degli uomini più potenti del mondo, l'amministratore e maggiore azionista dell'Italia, un uomo che si prepara a dettare indisturbato.
Si sta scoprendo che hanno anche una passione in comune, quella delle donne: mentre il primo ama farsi accompagnare da 50 guerriere amazzoni, e vuole fare accordi commerciali solo con delegati donne, il secondo, forse meno signorile, le preferisce quasi minorenni. C'è da dire che Omero ne avrebbe trovate di cose da scrivere! Ma facciamo lo sforzo di mettere da parte le stramberie di questi due personaggi.
La borghesia italiana, in tempi di crisi, e di ridefinizione dei blocchi imperialistici, ci tiene a difendere le sue dame. Si candida ad essere tra le prime potenze imperialistiche nel Mediterraneo da tempo e non nasconde le proprie ambizioni. Non è un caso che sia intervenuta militarmente in Libano, con il consenso assoluto di tutti i partiti borghesi, quando l'Italia è il primo partner commerciale di questo paese. Ma per tornare alla Libia, ora, ci tiene a firmare il necessario e a chiedere anche scusa, orgogliosa, pur di mantenere il suo ruolo nel paese africano che si sta dando un gran daffare sul piano internazionale. La Libia ha ultimamente rinnovato la propria simpatia per i vecchi amici russi, riaprendo la base militare sovietica, e trovando accordi politici con i cinesi in diversi conflitti africani, ai danni delle borghesie europee, e questo non può passare inosservato. L'Italia ha concentrato i suoi investimenti nella Jiamahiria, soprattutto nel settore delle risorse energetiche, in linea col piano strategico di diversificare le risorse dopo il comportamento aggressivo della Russia di questi ultimi inverni, per cui accoglie il vecchio dittatore libico come una rockstar, e si tappa le orecchie quando viene provocata dispettosamente.
Ma d'altro canto non si tratta solo di risorse energetiche. La Libia sta attraversando negli ultimi anni una rapida trasformazione, in cui accanto al tradizionale capitalismo di c'è più spazio ai capitali esteri. La fine dell'embargo ha sicuramente accelerato questo processo, ma se la classe burocratico-borghese libica, stretta attorno a Gheddafi, ha accettato di rimborsare, umiliandosi, i morti dell'attentato di Lockerbie, c'è un motivo ben più forte. La borghesia libica, appoggiata anche da alcuni figli di Gheddafi, infatti, da tempo sogna una Libia più ricca (ricca di profitti...), sul modello di Dubai, e trova incomprensibile il fatto che le risorse energetiche del paese siano state spese, anche dopo la caduta dell'URSS, per tenere alto l'onore jiamahiriano antioccidentale e il ruolo politico della Libia in Africa, anche a scapito degli affari. Come mai, del resto, un paese a due passi dall'Europa, ricco di risorse energetiche, e di tante potenziali attrattive turistiche, è rimasto così?
In qualche modo, l'Italia, con questo accordo, si prepara ad essere il paese protagonista della transizione tanto attesa. Ma la questione che ci interessa è: quanto questa transizione colpirà il proletariato? Al momento, pur privati di ogni diritto alla lotta economico-politica, una buona parte di lavoratori in Libia godono di condizioni salariali relativamente accettabili, e i buoni di stato di fatto garantiscono accesso a tutti i beni di prima necessità. Inoltre, orari di lavoro negli enti statali molto bassi permettono la permanenza di una forma di economia famigliare-tribale molto importante. Questa, del resto, finora è stata la formula magica del longevo regime di Gheddafi. Infatti il Càid sa come gestire il proprio paese e ci tiene ad allontanare le condizioni per un risveglio della lotta di classe.
Eppure, negli ultimi 10 anni, il fenomeno dell'immigrazione ha coinvolto anche la Libia, tanto che 1/3 della popolazione è immigrata di prima generazione, per lo più proveniente dalle periferie metropolitane egiziane, ma vi sono anche molti emigrati provenienti dagli scenari di guerra che impestano il Sudan e il Sahel. Questi lavoratori stanno dando impulso allo sviluppo economico della Libia e alla cosiddetta transizione. Sono lavoratori supersfruttati, non solo dalle microaziende famigliari accennate prima, ma anche direttamente dallo Stato. Tanto che fra gli ambienti dell'aristocrazia burocratica libica, sono stati ultimamente rispolverati termini del tutto inammissibili per la propaganda jiamahiriana come "a'abid", che in italiano si traduce meglio con "schiavo". Insomma, Gheddafi punta a portare avanti la transizione senza sacrificare troppo i propri proletari, che - nei suoi piani - manterrebbero le proprie abitudini economiche e sociali, scaricando invece il peso maggiore dello sfruttamento sugli immigrati che, presumibilmente, finiranno nelle aziende degli investitori italiani. Non è la prima volta che Gheddafi evita possibili disordini sociali fra la popolazione libica. Non a caso, ancora oggi, per evitare licenziamenti o ridimensionamenti del personale, non c'è stata alcuna forma di digitalizzazione della burocrazia ed i computer sono del tutto inesistenti negli uffici dello stato!
Alla domanda, "come può la Libia fermare il flusso di immigrati verso l'Italia?" Gheddafi risponde al suo solito, riassumendo i tratti essenziali dell'ideologia jiamahiriana, precedente al 2000, le cui caratteristiche principali sono: la diffidenza per le nuove tecnologie e per la scienza, il panafricanismo, e l'orgoglio anticoloniale. Infatti, dirà: "Io non capisco come fate a non comprendere gli africani che vengono in Italia. Nel passato, avete occupato le nostre terre, ci avete sfruttati e maltrattati. Ve ne siete andati, ma continuate a dirigere le sorti dell'Africa anche da lontano, mantenendo miseria e povertà. Sapete che questa è stata la condizione per il vostro sviluppo. Questo è il primo motivo per cui vengono. Il secondo è che avete inventato i cellulari: oggi basta un sms, o un colpo di telefono per comunicare da un capo all'altro del mondo. I primi africani che sono venuti si sono trovati bene e hanno chiamato amici e parenti, e così anche loro. Ora vi trovate con milioni di africani che invadono l'Europa. Si stanno riprendendo ciò che è loro. Io cosa ci posso fare?". Già il discorso avrebbe fatto strappare una risatina persino ai più coerenti personaggi dalla serietà funeraria come Napolitano. Ma, a completare il quadro, non poteva mancare un Berlusconi che, senza auricolare, annuisce in segno di intesa e rispetto.
Al di là della retorica, c'è una verità: non si possono fermare direttamente i fenomeni migratori, e la storia lo dimostra. Si può invece, come lascerà intendere successivamente Gheddafi, fermare indirettamente questo processo: uno sviluppo economico libico potrebbe tamponare l'immigrazione. E se i proletari africani continueranno a fuggire verso l'Europa, perchè troveranno inaccettabili le condizioni lavorative imposte dalla Libia? Gheddafi li rinchiuderà nei propri campi di concentramento nel deserto, come insegna l'amico Joseph Stalin. Campi di concentramento che fra l'altro sono voluti e finanziati dall'Italia, che preferisce esportare, insieme alle industrie, i propri CPT o CIE, tanto la sostanza è la stessa. Insomma i profitti saranno esclusivi, i problemi allontanati: come ci si può lamentare? Davanti ad una occasione tanto ghiotta, la borghesia italiana non poteva tirarsi indietro, ed è pronta a negare ed accettare tutto ed il contrario di tutto, pur di trovare un'intesa.
Ma il punto della questione non l'abbiamo ancora affrontato. Quanto potrà la borghesia italiana investire in Libia, quando è nel pieno di una crisi economica devastante? Tanto quanto saranno sfruttabili i lavoratori e facilmente remunerativi i profitti lì. Insomma, tanto più la Libia agevolerà lo spostamento di capitali, e bastonerà i lavoratori, tanto più la borghesia italiana sarà invogliata ad approfittare. Dunque una nuova era di amicizia e prosperità fra le borghesie italiane e libiche non cambierà la sostanza delle cose ai proletari: lo sfruttamento continuerà, la fame e la miseria con la crisi aumenteranno, e l'ipocrisia borghese non si esaurirà mai! L'unica intesa interessante è l'intesa proletaria! Dunque, lottiamo per una organizzazione internazionale in grado di coordinare i proletari per la lotta contro il nemico comune capitalista, e il comunismo!
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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