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Home ›La maschera e il volto della democrazia borghese
La “sinistra borghese”, nelle sue acrobatiche sfaccettature politiche ed a fronte dei paranoici comportamenti del premier in carica o delle iniziative legislative dei suoi ministri, si indigna per le umiliazioni subite dalla “dialettica parlamentare” e per i pericoli di uno sconquasso istituzionale e costituzionale.
A rischio quel patto democratico nazionale col quale la borghesia ha sperimentato i vantaggi e il proletariato i danni. Ora ci si appella ad un'etica comportamentale che meglio mascheri le... necessarie misure (contro il proletariato, s'intende) per contenere una crisi economica sempre più drammatica e irreparabile in un contesto di scontri commerciali e militari.
Siamo a quella guerra di tutti contro tutti che la “sinistra” borghese - temendo possa portare a ben altro scontro, quello di classe contro classe - vorrebbe mistificare ideologicamente dietro quel fin qui sbandierato solidarismo progressista della Costituzione repubblicana, la quale per più di mezzo secolo ha messo in ginocchio, politicamente ed economicamente, le masse proletarie.
Nel frattempo si liberano dagli ultimi lacci e laccioli quegli “spiriti animali” del capitalismo, che in ogni settore del paese (lavoro, scuola, sanità, sicurezza (?), eccetera) scorrazzano a briglia sciolta.
La gestione del pubblico e del privato si riduce ad una contesa, salottiera, fra il pensiero tramortito dei progressisti e quello scricchiolante di una reazione sempre pronta ad alzare la testa. Il tutto fa da astratta cornice al concretizzarsi di concentrazioni nazionali e sovranazionali dei poteri economici, fra scorribande e tracolli della speculazione finanziaria e schermaglie tra corporazioni e caste pronte a saccheggiare quel che resta in piedi di una economia drogata, mentre si falciano salari e pensioni in uno scenario di sfacciati balletti di rendite monetarie e patrimoniali.
Cresce il dominio del capitale e quello politico-amministrativo dell'esecutivo di governo; il “controllo parlamentare”, in presenza di maggioranze artificialmente gonfiate per assicurare la stabilizzazione e la durata degli esecutivi, si riduce a chiacchiere su un mitico garantismo che nessuno potrebbe applicare se non limitando la “funzionalità” del potere e l'efficienza degli... affari, là dove il capitale chiede invece la massima centralizzazione, tempestività ed efficienza.
I timori di un governo presidenziale e lo spettro del cesarismo marciano di pari passo con l'argomentazione - in fondo da tutti condivisa - che poiché la sovranità è del popolo, onnipotente debba essere la delegazione governativa espressa dai voti.
Tutti gli altri organi (magistratura compresa) devono stare al gioco, anche se ciò fa a pezzi quel “tessuto costituzionale di ripartizione ed equilibrio dei poteri, che - anche se la formula di Montesquieu è in parte superata - ha costituito una conquista ed un presidio di libertà”. Cosi (Ruini, Relazione alla Costituente) si predicava nel 1946, nel tentativo di battere un colpo alla botte democratica e uno al cerchio garantista della nuova carta “antifascista”.
Ma la democrazia borghese, al servizio della conservazione del capitalismo e della società borghese, ha finito con lo svelarsi (come già dicevano, a metà Ottocento, Tocqueville e John Stuart Mill) “tirannide della maggioranza, morbida ed avvolgente”, capace di imporsi legalmente, offrendo al popolo “piccoli piaceri volgari, infiacchendo e piegando le volontà”.
Una tirannide “democratica”, che poteva “ostacolare, comprimere, inervare, estinguere, inducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della quale il governo è il pastore”.
Le mansuete pecorelle, pronte per essere tosate, avrebbero quindi accettato “un potere unico, tutelare e onnipotente, eletto però dai cittadini”. (Tocqueville, La democrazia in America).
Oggi qualcuno ritorna ad aggrapparsi al liberalismo come teoria che - limitando i poteri - tutelerebbe le libertà individuali, comprese quelle economiche. (Nell'Inghilterra del Seicento furono i calvinisti i padri del liberalismo in nome della libertà religiosa, di scienza e di culto, ispirandosi nientemeno che all'Antico Testamento!).
Si tornano a citare A. Smith, F. von Hayek (per il quale la difesa delle libertà era impensabile senza l'economia di mercato...) e M. Friedman. Il fiore all'occhiello del liberalismo sarebbe il welfare state, oggi in macerie, inventato dai liberali di sinistra come Keynes e Beveridge (riforme sociali, moderate, sì, ma... audaci!).
Ma la struttura dei rapporti di produzione e distribuzione, dominanti nell'attuale società, caratterizza il contenuto del potere politico di chi lo detiene. Il modo di produzione della vita materiale condiziona ogni processo sociale e politico.
Così la democrazia borghese trova il suo principale sostegno nella sopravvivenza del capitale e dello sfruttamento della classe operaia.
Qualunque sia la carta costituzionale sbandierata, la relazione che si stabilisce tra la democrazia in generale e il capitalismo è obbligata:
In regime capitalistico -- scriveva Lenin -- si danno per solito, non come casi isolati ma come fenomeni tipici, condizioni tali che le classi oppresse non possono “esercitare” i propri diritti democratici.
Come la realtà ben dimostra.
dcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
13 ottobre 2008
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