Uno spettro si aggira per il mondo: la fame

Tutte le classi dominanti che sono finora apparse sulla scena della storia hanno avuto i loro sacerdoti, i loro filosofi e i loro corifei. Anche la borghesia, in quanto classe dominante, non ha fatto eccezione a questa regola e oltre ai preti, inizialmente detestati e ai filosofi, ha arruolato, nelle sue folte schiere di lacchè, anche gli economisti con il compito di fare della menzogna sistematica una verità scien­tifica.

Per esempio, pur essendo il nostro pianeta una realtà incontrovertibilmente finita, essi, utiliz­zando i più sofisticati modelli macroeconomici, sostengono che questa finitezza non è incompa­tibile con la riproduzione allargata del capitale nonostante questa non ammetta per definizioni limiti di sorta.

Poco meno di un anno fa, quando è esplosa la crisi dei mutui subprime, sentenziarono che, essendo i fondamentali dell'economia reale molto solidi, la crisi sarebbe stata riassorbita entro sei mesi, al massimo un anno. È passato un anno ma l'elenco delle banche e degli istituti finanziari in difficoltà continua ad allungarsi giorno per giorno e per salvarne alcuni dal fallimento, sia negli Usa sia in Gran Bretagna è dovuto intervenire lo Stato. Le borse, poi, trabal­lano come un vascello nel pieno di una tempesta, mentre i prezzi del petrolio e delle derrate alimentari sono letteralmente schizzati alle stelle.

La ripresa dell'inflazione

A causa del forte incremento dei prezzi delle derrate alimentari, dall'Egitto al Marocco, dal­l'Africa all'America Latina, milioni di individui, non essendo in grado di procurarsi neppure più il pane, hanno dato luogo in questi ultimi mesi a violenti sommosse con tanto di assalto ai forni mentre nell'Occidente industrializzato fasce di popolazione sempre più ampie varcano la so­glia che segna il confine tra il baratro della povertà e la sopravvivenza dignitosa.

La maggioranza degli economisti borghesi però, anziché appuntare la propria attenzione critica su quel che accade nell'epicentro della crisi, Wall Street, pur di mascherare la cruda realtà che conferma senza ombra di dubbio che il capitalismo sta vivendo una crisi strutturale fra le più drammatiche di tutta la sua storia, preferisce volgere lo sguardo altrove alla ricerca di qual­che capro espiatorio su cui far ricadere la responsabilità di questa vera e propria trage­dia. Così, Paul Krugman, uno dei più famosi economisti statunitensi alla domanda: "Come si è arrivati a tanto”? Risponde:

Troviamo risposta a questo interrogativo nel convergere di trend a lungo termine, calamità naturali e pessime poli­tiche. iniziando a esaminare i fattori non imputabili a nessuno [il grassetto è nostro], dobbiamo prima di ogni altra cosa tener conto dell'avanzare della massa dei cinesi che con­sumano carne, ovvero del crescente numero di individui delle economie emergenti che per la prima volta sono abbastanza ricchi da potersi nutrire come gli occidentali. (1)

A questo punto Krugman dovrebbe confortare la sua ipotesi con i dati relativi all' avanzata dei consumi di carne dei cinesi, invece no. I romani direbbero: ipse dixit!

Stabilito che i cinesi mangiano bistecche a pran­zo e cena, egli continua:

Poiché per produrre una bistecca che fornisce 100 calorie occorre una quantità di mangimi animali pari a 700 calorie, questo semplice cambiamento nel regi­me alimentare umano comporta un aumento della domanda complessiva dei cereali. Secon­do: il prezzo del petrolio. Le moderne tecniche agricole richiedono un notevole dispendio energetico: si utilizzano molte Btu per produrre i fertilizzanti, far funzionare i trattori, e, non ultimo, trasportare ai consumatori i prodotti agricoli. Con il petrolio che rimane costante­mente sopra ai 100 dollari al barile, i costi energetici sono diventati una delle cause princi­pali dell'aumento delle spese agricole. L'alto costo del petrolio - a proposito - ha molto a che vedere con la crescita della Cina e di altre economie emergenti... Terzo, nelle principali aree di produzione dei cereali si è registrato un susseguirsi di calamità naturali. In particolare l'Australia, di norma il secondo paese al mondo per le esportazioni di grano sta vivendo una siccità spaventosa. (2)

In sintesi: i cinesi mangiano più carne, ma per produrre più carne sono necessari più fertiliz­zanti e più trattori ovvero più petrolio, e poiché il prezzo del petrolio è costantemente sopra i 100 dollari al barile tutto costa di più. Se alla bistecca dei cinesi aggiungiamo poi la siccità ecco dimostrato che la povertà è colpa di nessu­no anche se - bisogna pur riconoscerlo!- dalle parti di Wall Street qualche errorino è stato commesso. Infatti:

... Pur avendo premesso che questi fattori alla radice della crisi alimentare non sono imputabili a nessuno, non è proprio così: l'ascesa della Cina e di altre economie emergenti è sì la causa primaria dell'aumento del prezzo del petrolio, ma l'invasione dell'Iraq - che secondo chi la volle avrebbe dovuto al contrario portare a un abbassamento notevole del costo del petrolio - ha oltretutto ridotto signi­ficativamente le scorte di greggio, molto più di quanto non sarebbe avvenuto altrimenti.

Il fatto è che chi volle la guerra in Iraq sapeva benissimo che il prezzo del petrolio, a causa dell'invasione, avrebbe subito una forte impennata e fortissimamente la volle per questo e per evitare che si aprisse un mercato degli idrocarburi denominato in euro e perciò meno esposto agli alti e bassi dell'economia e della finanza statunitensi.

Oltre alle cause non imputabili a nessuno e al piccolo errorino dell'invasione, Krugman indivi­dua poi nelle politiche mirate a promuovere la crescita della produzione di etanolo e degli altri biocarburanti un'altra delle concause che hanno determinato l'incremento dei prezzi, ma al fatto che i prezzi siano schizzati alle stelle subito dopo l'esplosione della bolla dei subprime, Krugman non riserva neppure un cenno.

La crisi alimentare e la specula­zione finanziaria

II prezzo del petrolio, che a settembre del 2007 oscillava attorno ai 70 dollari al barile, oscilla ora attorno ai 140. La stessa cosa è accaduta per il prezzo del grano e delle derrate alimentari e per quasi tutte le materie prime strategiche. Inoltre, gli incrementi più consistenti si sono verificati a partire dal gennaio 2008 quando cioè l'enorme liquidità immessa sui mercati dalla Federal Reserve e dalle altre banche centrali, è entrata in piena circolazione. Il petrolio, che agli inizi di quest'anno costava mediamente 100 dollari al barile, ora costa mediamente 140 dollari al barile: una crescita del 40 per cento in soli sei mesi. Il prezzo del riso, nello stesso periodo di tempo, è cresciuto del 100 per cento, quello del grano del 50 per cento e così quello di quasi tutte le derrate alimentari e le materie prima strategiche.

In realtà, per effetto delle sue ridotte disponibi­lità (la spore capacity, cioè la capacità non sfruttata ancora disponibile, negli ultimi anni è rimasta costante fra 1 e 2 milioni di barili al giorno) e della crescita della domanda imputabile alla Cina (in ogni caso pari al 9 per cento della domanda mondiale contro il 25 per cento di quella Usa) una certa tendenza al rialzo del prezzo del petrolio sarebbe anche giustificata e per gli esperti del settore il rialzo non dovrebbe superare il 35 per cento all'anno e non il 100 per cento in un solo anno o del 13 per cento in solo 48 ore come è accaduto al New York Mercantile Exchange (Nymex) fra giovedì 5 e venerdì 6 giugno scorsi. Peraltro, in questo stesso lasso di tempo, la domanda reale mondiale è rimasta sostanzialmente stabile sui livelli del 2007: 85 milioni di barili al giorno.

Il nesso fra la crisi dei subprime e la ripresa dell'inflazione anche dal solo punto di vista temporale è molto stretto. Ma strettissimo è an­che il nesso fra questa ondata di rincari, che mettono in forse la sopravvivenza fisica di tanta parte della popolazione mondiale, la crisi dei mutui dello scorso agosto e quella del terzo ciclo di accumulazione del capitale che si trascina sin dai primi anni '70 del secolo scorso.

Da una bolla speculativa all'altra

Se fra la crisi del ciclo di accumulazione, di quella dei subprime e del rincaro dei prezzi non esistessero nessi strettissimi, e i fondamentali

dell'economia fossero stati solidi, all'immissio­ne di liquidità effettuata dalle banche centrali avrebbe dovuto corrispondere una ripresa degli investimenti produttivi in senso stretto che avreb­be potuto sì generare inflazione, ma non di queste dimensioni e soprattutto così persistente e generalizzata. Invece, con una puntualità davve­ro impressionante, il capitale finanziario messo a disposizione dalle banche centrali (la Fed ha portato i tassi di interesse interbancari a valori, al netto dall'inflazione, negativi) si è riversato sui mercati finanziari legati al petrolio, alle materie prime strategiche e alle derrate alimentari deter­minando una domanda aggiuntiva fittizia che ha impresso alle spinte rialziste la devastante accelerazione che sappiamo.

“In tre mesi -- ci informa Richir Sharma, capo del dipartimento dei mercati emergenti della Morgan Stanley -- i flussi di capitali che si sono riversati sugli hedge fund che speculano sul petrolio hanno superato tutto il 2007, già un anno record. (3)"

E Federico Rampini nello stesso articolo osserva:

Qui la domanda e l'offerta della materia prima reale, il petrolio, non c'entrano più. Se non come un pretesto: uno scenario di fondo che viene utilizzato per orchestrare sopra una nuova ondata di scommesse finanziarie. Al Nyimex ormai i contratti di futures sul petrolio movimen­tano un miliardo di barili al giorno, tutti virtuali; mentre la produzione del greggio vero è di 85 milioni di barili al giorno. La quantità di carta finanziaria che viene stampata (capitale fittizio ndr) è immensamente superiore ai consu­mi mondiali di idrocarburi. (4)

L'immissione di liquidità sui mercati non si è dunque riversata nel mondo della produzione di merci in senso stretto, ma ha fornito carburante per una nuova bolla speculativa segno evidente del permanere, nell'ambito della produzione delle merci, di una oggettiva difficoltà a realiz­zare saggi del profitto sufficienti a compensare adeguatamente la massa dei capitali investiti. L'appropriazione parassitaria di plusvalore mediante la produzione di capitale fittizio co­manda ormai l'intero orocesso di accumulazio­ne del capitale tanto che l'obbiettivo fondamen­tale della politica monetaria dello Stato è dive­nuto la salvaguardia degli interessi del grande capitale finanziario.

Grazie all'immissione da parte delle banche centrali di abbondante liquidità sui mercati, le grandi banche e tutti gli istituti finanziari coin­volti nel crack dei subprime stanno ripianando le loro perdite e ricostituendo i loro margini di profitto anche se la conseguenza di ciò è la nascita di una nuova bolla speculativa e la morte per fame di qualche centinaio di milioni di esseri umani, soprattutto nei paesi della perife­ria capitalistica.

In paesi in cui la spesa alimentare incide sul totale del reddito pro capite dai 3/4 in su, il raddoppio in sei mesi del prezzo del riso o del pane significa, infatti, morte certa. Ma anche nei paesi delle metropoli dove questa incidenza, a seconda delle classi e delle fasce sociali, varia dal 5 al 50 per cento, incrementi di queste dimensioni stanno determinando l'impoverimen­to di parte crescente della popolazione. In un anno, ci informa Le Monde diplomatique:

...in Gran Bretagna il paniere alimentare è rincarato del 15 per cento; e nello stesso arco di tempo, negli Usa il prezzo delle uova del 30 per cento, quello del latte e dei pomodori del 15 per cento, mentre per il riso, la pasta e il pane l'aumento è in media del 12 per cento. (5)

Eldorado, addio!

Dopo il crollo del muro di Berlino e la sconfitta del socialismo reale un'ondata di benessere e di libertà avrebbe dovuto inondare il mondo grazie alla famosa mano invisibile del mercato che, finalmente libera da lacci e lacciuoli, avreb­be trasformato anche l'ultimo villaggio del pia­neta in una piccola Manatthan. Siamo, invece, al punto che anche nei dintorni di Manatthan c'è chi muore di fame. Né si intravedono prospetti­ve di miglioramento. Insomma: l'Eldorado che era dietro l'angolo, come tutti i sogni, è svanito alle prime luci dell'alba e al suo posto si aggira lo spettro della fame. Ne discutono gli economi­sti, gli uomini politici di ogni parte e colore; a ogni campagna elettorale le promesse di farvi fronte fluiscono come un fiume in piena, ma alla resa dei conti tutte le proposte mirano a non alterare lo status quo.

In Francia, Sarkozy si affida alla solita mano invisibile e all'apertura di più ipermercati per "una maggiore concorrenza". In Italia, Berlusconi e Tremonti promettono un buono alimentare pari a un euro e trenta centesimi al giorno. La Bce, invece, raccomanda di non concedere au­menti salariali e alza i tassi di interesse nel timore che l'inflazione possa trovare nella spira­le prezzi/salari ulteriore carburante, e cosi fa­cendo sancisce che a pagare il conto della crisi siano tutti coloro che vivono di salari, pensioni e stipendi.

Non è per solo per cinismo che il direttore del Centro francese di ricerche per lo studio e l'os­servazione delle condizioni di vita, Robert de Rochefort, intimi al malcapitato consumatore di:

"imparare a ottimizzare il proprio budget - cosa che peraltro sa già fare abbastanza bene. Ma senza lamentarsi, accettando che il potere d'ac­quisto diventi a poco a poco una nozione più qualitativa - la capacità di arbitrare fra diverse spese. In breve, il potere di selezionare fra diversi acquisti".

E ancor più netto è un suo collega sociologo che aggiunge:

Così come si possono pagare le proprie comunicazioni tele­foniche "à la carte", ci si può regolare per l'alloggio, scegliendo di cambiare casa per ridurre l'onere dell'affitto. (6)

Di fatto entrambi ammettono che l'attuale stato delle cose non ha alternative. Nel capitalismo moderno la premi­nenza della sfera finanziaria e la speculazione, sono divenuti fattori sistemici della conservazio­ne del sistema. Per questa ragione limitarle o solo contenerle, potrebbero causare perfino il collasso del sistema; pertanto un tozzo di pane e i ponti per casa devono essere più che sufficienti. Intanto Bush pensa a invadere l'Iran per... portarvi la democrazia e far diminuire il prezzo del petrolio.

Giorgio Paolucci

(1) Paul Krugman - il grano è impazzito e il mondo ha fame - la Repubblica del 9 aprile 2008

(2) P. Krgman - art. cit.

(3) F. Rampini - Il casinò del greggio virtuale - la Repubblica del 9 giugno 2008

(4) Ibid.

5 Serge Halimi - Rabbia popolare - Le monde diplomatique - giugno 2008

(6) Ibid.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.