Indicazioni tattiche

La tattica di intervento dei nostri militanti fra i lavoratori, nelle agitazioni e nelle assemblee, può essere formulata soltanto nelle sue linee generali le quali, ovviamente, si dovranno articolare alle situazioni specifiche di ciascuna agitazione e assemblea, tenendo conto dei temi particolari e dei problemi che si presentano di volta in volta. Sta anche alla preparazione e capacità del singolo militante il combattere e smontare - nel corso delle assemblee e durante lo svolgimento delle lotte - le tesi degli avversari, mostrando la concreta possibilità di agire diversamente con obiettivi e metodi di lotta non subordinati alle necessità dell'azienda e agli interessi del capitale.

A fronte degli obiettivi appartenenti all'arsenale strategico dei sindacati occorre far crescere l'opposizione dei lavoratori e, contemporaneamente, portare all'attenzione dei proletari le nostre indicazioni. Ogni mobilitazione, ogni lotta deve escludere qualsiasi logica che direttamente o indirettamente tuteli gli interessi dell'azienda e della classe che vive e prospera sfruttando la nostra forza-lavoro. Dobbiamo sostenere e lottare per i nostri esclusivi interessi che sono chiaramente contrapposti a quelli del capitale: non vi si sono spazi per nuove strategie aziendali all'interno e nel rispetto del mercato o per la difesa di una competitività che si ritorce contro le nostre condizioni di lavoro e di vita.

I nostri obiettivi immediati devono essere innanzitutto:

  • difesa e mantenimento di ogni posto di lavoro, poiché il licenziamento significa fame e miseria nella società capitalista;
  • lotta contro la precarietà e contro ogni sua minaccia di estensione a sempre più vasti settori;
  • difesa del salario da ogni attacco diretto e indiretto;
  • costituzione di comitati di lotta eletti nelle assemblee, per organizzare e coordinare l'estensione delle mobilitazioni ad altre aziende e settori di lavoro.

Come orientarsi negli interventi in fabbrica

La nostra critica al sindacato non fa certamente alcuna distinzione fra la pratica di un sindacalismo riformista, degenerato e istituzionalizzato, e un sindacalismo di sinistra (o sedicente di base) da recuperare e/o rivitalizzare.

L'obiettivo della reale difesa degli interessi di classe esclude per noi definitivamente ogni visione sindacalista, ogni interpretazione semplicemente contrattualistica dei rapporti fra capitale e lavoro. Questa visione e questa interpretazione, e la logica comportamentale che ne deriva sul piano tattico e strategico, portano a una deformazione e quindi al definitivo tradimento della lotta di classe, deviata verso un fine di conservazione del modo di produzione capitalistico attraverso il prevalere degli interessi borghesi.

Ciò avviene a partire dai più elementari momenti di tale lotta, quelli semplicemente economicistici. È tuttavia proprio in tali momenti e sullo specifico terreno in cui essi sorgono e si sviluppano, che si evidenzia il diverso e contrapposto intervento dei comunisti rivoluzionari, da un Iato, e dei sindacalisti, dall'altro Iato, a qualunque specie quest'ultimi appartengano. Quindi anche rispetto agli organismi sorti in concorrenza coi sindacati ufficiali, ma sottoposti alla influenza dei tanti relitti politici provenienti dalle esperienze dei gruppuscoli, figliati a loro volta dai vecchi partiti “operai” (Pci e Psi).

Quando si concretizzerà una ripresa spontanea delle lotte operaie (e nell'attesa noi ci sforziamo di essere comunque sempre presenti, ove possibile, nella quotidianità dei contrasti che si sviluppano fra il lavoro e il capitale), il nostro compito sarà quello di caratterizzare il movimento su una linea di classe e di organizzarlo oltre i limiti aziendali e settoriali. Al contrario dai vari raggruppamenti sindacali, noi non ci presentiamo né ci presenteremo chiedendo deleghe come un’organizzazione che fa i reali interessi di classe o rivendicando una migliore professionalità sindacale.

Ai nostri compagni presenti in fabbrica spetta il difficile compito di riuscire a muoversi ed operare non con l'aspirazione a trasformarsi in militanti sindacalisti, ma in militanti comunisti i quali non si estraniano, bensì si impegnano anch'essi nella resistenza e opposizione operaia allo sfruttamento capitalista. In militanti comunisti, dunque, che hanno come obiettivo immediato quello di elevare - con le loro denunce, la loro opposizione critica e le loro indicazioni - le rivendicazioni e le lotte provenienti dalla base operaia verso una contrapposizione non più soltanto e limitatamente economica ma sociale e politica.

La nostra azione comporta sempre il distacco da ogni possibile accostamento e coinvolgimento con le posizioni e la prassi di un qualunque sindacalismo, tanto tradizionale che apparentemente di base. Ne deriva l'importanza, e certamente anche la difficoltà, del nostro intervento concreto in fabbrica, a diretto contatto coi lavoratori e soprattutto con le influenze e le manovre delle onnipresenti e ancora "ideologicamente" potenti organizzazioni sindacali. Un intervento che, per contrastare sia nella critica che nelle indicazioni agitatorie l'operato dei sindacati, si deve necessariamente accompagnare anche ad una conoscenza particolareggiata delle condizioni e organizzazioni del lavoro, disposizioni normative, contenuti salariali e caratteristiche dei vari contratti di categoria e di azienda, eccetera.

Nella pratica quotidiana bisogna:

  • Studiare le condizioni di lavoro presenti nella fabbrica.
  • Studiare le varie fasi del processo produttivo, l'organizzazione del lavoro, il regime di orario, i tempi e i ritmi di lavoro per individuare e denunciare le metodologie di sfruttamento. Conoscere il quadro normativo.
  • Studiare gli accordi aziendali, i contratti, la legislazione vigente per approfondirne la critica da un punto di vista di classe.

L'intervento sul posto di lavoro deve essere inoltre accompagnato, ove possibile, da una azione di supporto esterna; le informazioni su quanto avviene in fabbrica devono circolare tra tutti i lavoratori ed arrivare ai compagni del gruppo territoriale per elaborare collettivamente la strategia e le diverse forme di intervento. Le assemblee operaie, se e quando convocate, devono rappresentare un ulteriore livello di coordinamento e di dibattito.

Questa preparazione diventa perciò indispensabile ai compagni impegnati nell'intervento in fabbrica, ma non per cadere a nostra volta nella trappola contrattualistica di un sindacalismo più radicale, bensì per individuare e denunciare tempestivamente le contraddizioni in cui si dibattono i sindacati stessi; per contrastarli efficacemente nei loro tentativi di ingabbiare i lavoratori nelle varie compatibilità e negli apparenti passi rivendicativi in avanti che il capitalismo e tutte le forze al suo servizio impongono al proletariato.

Cosa fare nella pratica

Il primo punto è la constatazione ovvia che ancora non ci sono oggi - in linea generale - lotte operaie di rilievo; tutti gli episodi di micro-conflittualità, che sempre esistono nel mondo del lavoro, sono saldamente circoscritti e rigidamente gestiti e controllati dal sindacato. Nelle rare occasioni in cui scoppiano conflitti rilevanti, é perché gli attacchi padronali sono frontali, colpendo posti di lavoro e bloccando o addirittura riducendo i salari. Ma anche in questi casi (come per i tranvieri a Milano nel dicembre 2003 o i metalmeccanici a Melfi), nonostante si sia trattato a volte di episodi di notevole rilievo, il sindacato è riuscito a non perdere quel controllo - o a riconquistarlo in tempi brevi - che giustifica la sua presenza istituzionale nella società borghese.

Si assiste allora al trionfo conclusivo del cosiddetto "realismo rivendicativo": qualche euro in più o qualche licenziamento in meno in cambio di tutta una serie di pesanti concessioni in termini di flessibilizzazione dell'orario e taglio del salario, senza peraltro alcuna garanzia reale sulla salvaguardia dei livelli occupazionali futuri né tanto meno sul potere d'acquisto - sempre più ridotto - delle buste paga. Quando poi si tratta di vertenze contrattuali o normative, tutta la trattativa e la firma degli accordi avviene di fatto fuori dalla fabbrica ed è immediatamente vincolante per tutti i lavoratori.

I sempre più esigui margini di contrattazione tra capitale e lavoro sono utilizzati da padroni e sindacato per trasformare la prestazione lavorativa in una componente interamente variabile nella sua quantità e nel suo prezzo, per flessibilizzare e precarizzare il rapporto di lavoro e applicare sistemi sempre più raffinati di sfruttamento. Questo significa:

  1. che i padroni sono disposti a concedere degli esigui aumenti retributivi ma solo nei tempi e nei modi che loro hanno stabilito in accordo con i sindacati (premi di risultato, nuove forme di cottimo individuale, flessibilità di orari ecc.);
  2. che per i padroni i salari devono sempre più differenziarsi e stratificarsi sia in rapporto al tipo di contratto di assunzione (contratti d'ingresso, apprendistato, ecc.) sia in rapporto alla prestazione lavorativa (polivalenza delle mansioni, incentivi ecc.); rientra in questo obiettivo il tentativo padronale - sostenuto da gran parte del sindacato - di una attenuazione del contratto nazionale, a favore della contrattazione di secondo livello, di “distretto” o aziendale, per adeguare sempre di più l'erogazione della forza-lavoro e il suo costo, cioè lo sfruttamento, alle mutevoli necessità aziendali; tanto più che, si sa, la contrattazione di secondo livello copre solo una parte della forza-lavoro.
  3. che la precarizzazione deve assumere forme sempre più spinte, sia nelle forme del lavoro dipendente (contratti a termine, lavoro interinale, ricorso a cooperative esterne, ecc.), sia in quelle del lavoro falsamente autonomo (ex co.co.co., ora collaboratori a progetto); vi si aggiunga la cosiddetta “annualizzazione” o “periodizzazione” dell'orario di lavoro, per cui tendenzialmente anche i contratti a tempo indeterminato si avvicinano, in quanto a erogazione di lavoro, alla condizione dei precari: per un mese si lavora anche 48 o più ore alla settimana, un altro mese si fanno 30 ore; il padrone, in tal modo, sfrutta la forza-lavoro al massimo, non fa ricorso allo straordinario e aumenta il suo profitto;
  4. che la contrattazione, peraltro mai stata libera, deve essere ulteriormente condizionata e controllata da leggi e regolamenti, e che i temi oggetto di trattativa devono essere decisi e contrattati unicamente tra il sindacato, le associazioni padronali e i vari governi.

Secondo punto: i sindacati ufficiali hanno di fatto perso gran parte della loro credibilità; da moltissimi lavoratori sono visti come degli apparati burocratici asserviti al padrone; ciononostante al momento di intavolare una trattativa riescono a ottenere il consenso, quasi sempre passivo, di molta parte dei lavoratori. Questo accade perché i sindacati possono contare su una struttura organizzativa molto forte e capillare, che si traduce in una grande capacità di comunicazione e mobilitazione; inoltre, sono ufficialmente riconosciuti dalle istituzioni borghesi e quindi sono gli unici abilitati alla trattativa e questo monopolio è riconosciuto tuttora anche dall'insieme dei lavoratori, che al momento non vede altre vie d'uscita.

Soprattutto, nei periodi di massima aggressione da parte della borghesia e di minima capacità di difesa da parte operaia, la mediazione sindacale - anche se al ribasso - appare a molti l'unica strada concreta da contrapporre all'egoismo padronale seguendo la politica del meno peggio.

In questa situazione ha ancora spazio chi, definendosi sinistra sindacale (quando non addirittura nascondendosi fra le sue ombre), critica su un piano formale i vertici sindacali con lo scopo di contenere e stemperare la rabbia operaia e, nello stesso tempo, di tentare una riconquista del consenso proponendo un modello di contrattazione più radicale nella forma ma sempre all'interno delle regole e dei vincoli imposti dal capitale. Regole e vincoli che devono invece essere superati nel dispiegarsi stesso della lotta (sul territorio e nel tempo): come per quella normativa anti-sciopero, che ha reso lo sciopero stesso una buffonata e soltanto una perdita di salario/stipendio.

Va anche tenuto presente che, nella attuale situazione e in un certo qual modo, la sinistra sindacale funziona come valvola di sfogo della cosiddetta sinistra radicale presente in parlamento. Nonostante i profondi cambiamenti che hanno investito quelli che furono i partiti operai, il ruolo - interpretato dal sindacato - di cinghia di trasmissione delle parole d'ordine dei partiti della cosiddetta "sinistra" dentro la classe non è affatto decaduto, anzi, per certi aspetti è anche aumentato, parallelamente al progressivo venir meno del radicamento sociale di quei partiti. Non a caso, le più grandi manifestazioni e buona parte dei movimenti degli ultimi anni non sarebbero stati pensabili (almeno non in quelle dimensioni) senza l'innervamento della CGIL (e in particolare, della FIOM) nel movimenti stessi.

Terzo punto: chi detta oggi i ritmi e determina il livello di scontro della lotta di classe è la borghesia, mentre la classe operaia è incapace di abbozzare una seppur timida difesa. In queste condizioni è facile per chi interviene in fabbrica, in condizioni di grande difficoltà, essere tentato di utilizzare lo strumento della elezione nelle RSU per cercare di rompere il proprio isolamento.

Noi abbiamo più volte precisato condizioni e rischi di questa eventualità: il rischio reale è quello di rimanere invischiati nella palude delle regole, dei vincoli e dei compromessi della contrattazione in una logica parasindacalistica. La candidatura può essere invece utilizzata per un periodo limitato nel tempo quando vi sono reali possibilità di agire con maggiore efficacia in situazioni di malcontento diffusi e in aperta opposizione al sindacato. Il ruolo del delegato comunista non è quello di trattare con il padrone ma quello di denunciare le condizioni di sfruttamento e smascherare il ruolo del sindacato. Ruolo non facile ma inevitabile per un militante comunista.

I capisaldi del nostro intervento

Al momento non dobbiamo farci illusioni: la nostra presenza all'interno di una lotta aziendale non può ovviamente cambiare il corso degli eventi per ovvie ragioni di rapporti di forza interni alla fabbrica e, più in generale, di debolezza della classe operaia, di subordinazione dei lavoratori al sindacato, del clima di pesante ricatto occupazionale che condiziona di fatto anche le situazioni di conflitto più acceso. La nostra azione rappresenterebbe comunque l'occasione per verificare sul campo la nostra tattica di intervento basata su questi capisaldi:

  1. denuncia dei piani padronali ponendo dei precisi sbarramenti sotto ai quali non bisogna scendere assolutamente: nessun peggioramento del regime di orario, dell'aumento dei ritmi e carichi di lavoro; salvaguardia dei livelli occupazionali; nessuna concessione alla precarizzazione: anche là dove il lavoro è prevalentemente precario, si deve puntare alla sua trasformazione in posto di lavoro “fisso”; nessuna concessione sul salario;
  2. denuncia delle manovre sindacali, delle relazioni partecipative, delle RSU quando accettano, per esempio, allineate e subalterne al sindacato di trattare anno dopo anno dei piani di ristrutturazione che portano solo crescenti sacrifici per tutti i lavoratori;
  3. rifiuto del mercanteggiamento sulle pause e sui tempi di lavoro, sulle forme della Cassa integrazione, sui livelli occupazionali ecc. in concorrenza alle varie sigle sindacali, perché ciò ci metterebbe sul loro stesso piano di accettazione della logica delle compatibilità e faremmo il gioco di padroni e sindacato;
  4. impegno nel quotidiano lavoro di organizzazione, sensibilizzazione e selezione dei lavoratori più consapevoli per opporsi nell'immediato agli accordi, ma soprattutto per impostare un lavoro politico a lungo termine che prepari il terreno per le lotte future;
  5. allargamento e coordinamento dei contatti sul piano territoriale per costituire una rete di avanguardie in grado di intervenire simultaneamente e in modo continuativo in diversi posti di lavoro e nel territorio. Fermo restando il principio che la loro azione deve essere coordinata dal partito, e i lavoratori che vi aderiscono si riconoscano, almeno negli elementi fondamentali, nella linea programmatica del partito.

(1) Lavoro su chiamata, reperibilità, flessibilità dei ritmi, dei tempi di lavoro e del salario, rappresentano per le imprese (ma anche per i sindacati, ormai completamente asserviti alla logica del capitale) un disegno strategico globale che impone una totale dipendenza del lavoro alla centralità dell'impresa la quale diventa il punto di riferimento non solo su tutti gli aspetti del lavoro ma anche del cosiddetto tempo libero. Un dominio totale che rende i lavoratori asserviti agli interessi del capitale su tutti gli aspetti, dal salario, alla condizione di lavoro, al tempo di vita.