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Home ›Coordinamento dei lavoratori autorganizzati e tattica d’intervento
È importante una valutazione approfondita dei contenuti e delle modalità del nostro intervento, non solo sul piano strettamente politico ma anche per le conseguenze riconducibili ad eventuali contraccolpi psicologici sui militanti. Conseguenze che, se negative, rischierebbero di bruciare molte delle nostre limitate risorse umane. Questo è un pericolo che la nostra organizzazione non può permettersi. Occorre pertanto fissare alcuni punti nella valutazione di nostri interventi all'interno di eventuali coordinamenti, e quindi evitare che si brucino energie utilizzabili in altre direzioni.
Definiamo come un coordinamento di lavoratori autorganizzati quel raggruppamento di lavoratori nel quale i settori più sensibili e combattivi della classe lavoratrice, appartenenti a diverse realtà produttive, si pongono l’obiettivo di unificare le proprie lotte e istanze per opporsi agli attacchi padronali e cercando di rompere le gabbie sindacali. Questi lavoratori, nella loro stragrande maggioranza, non sono l’espressione diretta di un partito né tanto meno fanno propria una particolare visione politica, ma l’iniziativa parte autonomamente all’interno della classe e trova nelle sue condizioni di vita e di lavoro le ragioni del suo manifestarsi. Sono le condizioni materiali del proletariato a determinare l’emergere di queste forme radicali della lotta di classe. L’auto-organizzazione operaia è tale se sono settori significativi della classe ad esprimersi sul terreno della lotta, non accettando la logica delle deleghe sindacali e contrastando gli attacchi padronali.
Nel corso del permanente scontro di classe tra borghesia e proletariato si possono quindi verificare episodi che vedono alcuni settori di classe, sicuramente quelli più combattivi e più avanzati, mobilitarsi sul terreno della difesa dei propri interessi, rompendo la pace sociale e l’argine delle compatibilità erette dai sindacati a difesa degli interessi del capitale. Queste forme di lotte proletarie spontanee hanno da sempre caratterizzato la storia del movimento operaio fin dal suo nascere, non rappresentano una novità dell’ultima ora; anzi proprio in questi ultimi decenni, segnati drammaticamente dalla controrivoluzione stalinista e dal totale dominio dell’ideologia borghese, episodi di questa portata sono stati alquanto rari. Le lotte degli autoferrotranvieri milanesi sono state l’ultimo e più eclatante episodio che ha visto alcuni settori del proletariato auto-organizzarsi violando le leggi che regolamentano gli scioperi nei servizi pubblici e di fatto scavalcando i classici schemi della delega sindacale.
In una situazione in cui settori di classe operaia dovessero coordinarsi per lottare e difendere i loro interessi, quale deve essere l’azione del partito? Ovviamente laddove sono presenti all’interno di una stessa unità produttiva militanti del partito questi devono lavorare per costruire gruppi di fabbrica, attraverso i quali il partito stesso interviene nella classe. È attraverso l’azione dei gruppi di fabbrica che il partito cerca di spostare la lotta del proletariato da un terreno quasi esclusivamente economico ad un terreno politico, facendo emergere che la risoluzione dei problemi della classe passa in definitiva attraverso l’abbattimento del modo di produzione capitalistico. Questo non significa assolutamente sottovalutare o snobbare le lotte operaie che non si collocano su un terreno di rivendicazioni politiche ma rimangono solo su un terreno economico-sindacale.
I gruppi di fabbrica o più semplicemente i singoli militanti, laddove la ridottissima presenza di militanti non permette ancora di costruire un gruppo, hanno il compito di inserirsi attivamente in qualsiasi movimento reale della classe per diffondere le posizioni programmatiche, strategiche e tattiche del partito, per spostare sul proprio terreno quanti più proletari possibile. Sostenere la lotta, seppur radicale e che rompe con la logica del sindacato, non deve esaurire l’azione del partito: questa si deve concretizzare nella massima diffusione del programma comunista tra la classe per rompere con le compatibilità del capitale e ponendo in primo piano l’obiettivo del superamento di questo sistema sociale.
Altra cosa rispetto ai proletari autorganizzati sono quei coordinamenti che nascono sulla spinta di un’azione comune di gruppi già caratterizzati sul piano politico. Soprattutto nella prima metà degli anni Settanta del secolo scorso, sulla scia del riflusso delle lotte operaie e a chiusura del ciclo politico apertosi in quel decennio, abbiamo assistito in Italia e in altri paesi europei alla nascita di una miriade di coordinamenti tra diversi gruppi politici. Si costituivano cioè dei coordinamenti di discussione tra diversi gruppi politici con l’obiettivo di raggiungere un comune obiettivo. L’attività del coordinamento era quindi già delineata dalla presenza di organizzazioni già fortemente caratterizzate sul terreno politico, e la presenza spontanea di settori di classe operaia era pressoché nulla. I famosi intergruppi non sono nati dall’autonoma iniziativa del proletariato, ma sono il risultato dell’iniziativa di raggruppamenti politici che attraverso il coordinamento pensavano di allargare la propria sfera d’influenza all’interno dei gruppi concorrenti.
Mentre nei coordinamenti dei lavoratori auto-organizzati è la classe il soggetto attivo di queste forme di lotta, l’esperienza degli intergruppi vede la classe praticamente assente e l’attività è alimentata dal dimenarsi del ceto politico. Questa differenza ovviamente si riflette sui compiti del partito e sulla tattica d’intervento che devono utilizzare i militanti comunisti. Se nei coordinamenti degli operai autorganizzati il partito, attraverso la sua azione, cerca di spostare sul proprio terreno politico quanto più operai possibile, diffondendo il programma rivoluzionario e la prospettiva del comunismo, negli intergruppi la partecipazione del partito non può avere gli stessi scopi visto che i pochi operai presenti sono già politicizzati e difficilmente si riesce a spostarli dalle loro posizioni. Sono per lo più portatori di una posizione politica già acquisita e non l’espressione di lotte in corso.
La partecipazione dei militanti all’interno degli intergruppi ha come unico scopo quello di denunciare le posizioni politiche degli altri gruppi politici con la prospettiva, alquanto remota vista l’esperienza del passato, di recuperare sul proprio terreno politico non le altre organizzazioni ma solo ed esclusivamente loro singoli militanti. Se non si ha chiara questa differenza sostanziale tra intergruppi e coordinamenti di operai auto-organizzati il rischio che corrono i militanti del partito è quello di confondere il tipo d’intervento, con la conseguenza che l’azione del partito risulti assolutamente sbagliata in relazione alla situazione reale. Se si pensa di diffondere il programma rivoluzionario all’interno della classe intervenendo nell’attività degli intergruppi si prende un grosso abbaglio, visto che in questi organismi il proletariato è sostanzialmente assente.
In presenza di embrionali tentativi della costituzione di coordinamenti che - condizionati da una situazione generale che vede la classe lavoratrice nei fatti assente - non sono l'espressione spontanea della classe ma si limitano alla diffusione della critica al sindacato e al sindacalismo nelle sue diverse componenti, va preso atto che essi non possono avere nelle proprie finalità immediate l’obiettivo di orientare le eventuali lotte degli operai delle rispettive fabbriche. Purtroppo non stiamo vivendo una fase in cui la classe si mobilita e il nostro compito è quello di cercare di orientare le lotte operaie nella direzione politica dell’anticapitalismo. L'azione dei nostri militanti, qualora essi siano presenti, deve essere mirata alla massima diffusione delle posizioni del partito. Compito dei militanti è quello di influenzare il più possibile l’attività del “coordinamento” e far passare le posizioni politiche del partito nei documenti prodotti.
Nei documenti preparati da nostri militanti su delega degli altri membri del coordinamento è ovvio che l’elaborazione della bozza sia fatta utilizzando le posizioni del partito. In ogni circostanza è prioritario che i nostri militanti denuncino come il peggioramento delle condizioni dei lavoratori sia determinato dall’operare della crisi economica del capitale su scala internazionale, rilanciando la critica politica al sistema capitalistico e ponendo l’obiettivo della costruzione del partito di classe.
Nella successiva discussione queste posizioni dovranno essere difese dalle possibili critiche e solo in seguito accettare tatticamente le eventuali proposte di modifica al documento. Ovviamente se il contenuto delle modifiche non è assolutamente condivisibile è necessario prendere atto di ciò e rompere politicamente. L’attività politica dei militanti rivoluzionari ha lo scopo di diffondere le posizioni del partito; lasciamo ad altri il compito di elaborare documenti il cui contenuto è pensato solo per attenuare le differenze politiche tra le diverse anime del coordinamento. I rivoluzionari devono lavorare per ricostruire il partito internazionale del proletariato e diffondere tra la classe il programma comunista.
L'intervento: il ruolo dei comunisti nelle lotte operaie e sui luoghi di lavoro
A cura della sezione “Guido Torricelli” di Parma di Battaglia Comunista - P.C. Internazionalista
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