Il rafforzamento dell’euro esaspera il contrasto imperialistico

Sempre pù aspra la lotta per accaparrarsi la rendita finanziaria

Mercoledì 25 aprile l’euro segna un nuovo record storico nei confronti del dollaro sfiorando quota 1,37. La crescita dell’euro nei confronti del dollaro pur essendo divenuto un fatto usuale, negli ultimi cinque anni la divisa europea è salita di oltre il 35% rispetto al biglietto verde, evidenzia una volta di più quanto siano in evoluzione le dinamiche inter-imperialistiche, convalidando il quadro complessivo del trend finanziario-produttivo che vede da una parte il declino Usa e dall’altra il rafforzamento del Vecchio Continente e delle nuove potenze emergenti.

L’indebolimento americano non significa un corso capitalistico ormai scontato, un alternanza indolore dei protagonisti, proprio la perdita di terreno sul piano economico spinge l’amministrazione della super potenza a tirare fuori gli artigli e ad essere aggressiva come non mai, circostanza che rende drammaticamente più probabile la prospettiva futura di un conflitto interimperialistico.

L’avanzata dell’euro e l’arretramento del dollaro sono segnali dei mutamenti in atto del capitalismo mondiale. In primo luogo la parabola declinante del ciclo economico, pur non escludendo momentanee riprese e crescita dei profitti sempre più concentrati in poche mani, vede rafforzarsi il primato della sfera finanziaria su quella produttiva, in quanto da questa ultima diventa sempre più difficile e rischioso trarne una adeguata remunerazione.

Si conferma, in pratica, quanto scientificamente affermato da Marx a riguardo della contraddittorietà di questo sistema produttivo, là dove si evidenzia come il capitale ad un certo grado del suo sviluppo faccia sempre più fatica a soddisfare il processo di auto-valorizzazione, difficoltà che si estrinseca nella legge della caduta del saggio del profitto, vero cancro inestirpabile del capitalismo. Le crisi, quindi, partono dalle centrali più avanzate per rovesciare tutto il loro carico di povertà e sfruttamento soprattutto nella periferia capitalistica.

L’egemonia del dollaro a scala internazionale ha significato per gli Stati Uniti poter indirizzare l’economia, ad un certo punto, a deciso privilegio del capitale finanziario e della speculazione rispetto all’attività industriale, quindi lo sviluppo della competitività si è spostato dalla produzione reale di beni e servizi alla ideazione di nuovi e sempre più sofisticati strumenti finanziari in grado di intercettare valori prodotti da altri, cioè di sottrarre gratis plusvalore estorto alla classe operaia internazionale. Tale meccanismo di appropria-zione parassitaria da parte del capitale statunitense è stato possibile attuarlo anche e soprattutto perché già in precedenza il dollaro si era imposto come moneta mondiale nelle transazioni commerciali. Successivamente il suo primato è stato difeso con la forza, come la guerra in Iraq dimostra, per avere l’esclusiva nella denominazione dei prezzi delle principali materie prime, il petrolio in primo luogo, da cui ricavarne l’enorme rendita, e per potere, in qualche modo, tenere a galla una barca che rischia di affondare.

L’indebitamento complessivo Usa, tra deficit commerciale, privato e statale, ha raggiunto l’astronomica cifra di 3 mila miliardi di dollari, e viene pagato stampando denaro e titoli di stato. Gli Stati Uniti importano gran parte del loro fabbisogno di merci andando di conseguenza a inondare il mercato di dollari. Il gioco truffaldino, possibile solo a chi ha sempre avuto il privilegio di avere il monopolio della moneta, ormai comincia a inquietare gli altri commensali capitalisti preoccupati alla fine di prenderlo in quel posto. Ecco l’interessamento per l’euro, più rassicurante in quanto rappresenta un’area con i fondamentali economici molto più saldi.

Naturalmente un meccanismo di rapina del genere non poteva non produrre reazioni da parte dei vecchi e nuovi concorrenti, a cominciare dall’imperia-lismo europeo, potenzialmente il più potente e agguerrito avversario degli Usa. Anch’esso sollecitato dalla discesa del ciclo capitalistico ad imporsi sul piano finanziario, o almeno a cercare di intascare una parte non più marginale di tale rendita.

Da qui si spiega la costituzione dell’euro prima di ogni altra cosa, e la sua strenua difesa da parte della Banca Centrale Europea (BCE), vale a dire del capitale finanziario dei paesi membri e tedesco in particolare. I rigidi parametri di Maastricht: rapporto tra deficit e pil entro il 3% e rapporto debito e pil che tendenzialmente dovrà attestarsi entro il 60%, il Patto di stabilità e di crescita, il drastico contenimento della spesa pubblica, sono i vincoli restrittivi su cui si è costituita l’Unione Economica e Monetaria (UEM), la stabilità della moneta unica è un dogma al quale ogni altra azione di politica economica deve essere subordinata.

Anzi, questo principio è rafforzato dalla sempre maggiore richiesta di euro da parte dei principali paesi esportatori, un esempio è la Cina, le cui casse sono piene di riserve valutarie in dollari, preoccupati dallo stato complessivo della economia statunitense e dalla possibile caduta libera della sua moneta. Diversificare le riserve valutarie e le divise per i pagamenti delle materie prime, compreso il petrolio, è oramai l’imperativo di tutti e l’incubo di Washington impegnata a contrastare con tutti i mezzi il processo ormai in atto.

In ogni caso a pagare come sempre il conto della crisi e dello scontro tra i predoni imperialisti è il proletariato. L’euro forte non soltanto non ha giovato a salari e stipendi dei lavoratori ma ha accresciuto le disuguaglianze sociali, esso è servito alla valorizzazione del capitale e svalorizzazione della forza lavoro, ha arricchito ancora di più speculatori e redditieri, mentre la precarizzazione del lavoro e i tagli al Welfare sono andati avanti. Le borghesie imperialiste hanno un comune denominatore, possono spartirsi la torta alla sola condizione che i loro proletariati continuino a subire passivamente questo stato di cose.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.