Quello di Guido Carandini è proprio... “Un altro Marx”

Negli ultimi 15 anni le pubblicazioni in Italia su Marx sono diventate delle vere e proprie rarità. La borghesia internazionale dopo averlo attaccato con ogni mezzo, accusandolo di essere l'artefice teorico di quel mostro storico che è stata l'Unione Sovietica, ha calato sulla sua figura un assordante velo di silenzio. Rappresenta un'eccezione la recente pubblicazione del libro di Guido Carandini dal titolo “Un altro Marx. Lo scienziato liberato dall'utopia”, edito dalla Laterza.

Le finalità del libro sono evidenti già nello stesso titolo, ossia analizzare la doppia personalità di Marx. Da un lato lo scienziato sociale, impegnato negli studi di economia politica e nell'analisi del capitale, dall'altro l'utopista che passa il proprio tempo a pronosticare l'imminenza della rivoluzione comunista ad opera del proletariato. Per Carandini Marx è attuale anche nel nuovo millennio che si è aperto da poco, ma per utilizzare gli strumenti teorici che ci ha lasciato bisogna depurare le sue idee dall'utopismo insito nella previsione dell'avvento del comunismo. Cerchiamo di seguirlo lungo tutto il libro, anticipando da subito che Carandini anche laddove tenta di “salvare” la personalità scientifica di Marx distorce il suo pensiero fino a renderlo funzionale agli interessi della conservazione capitalistica.

Il libro ha inizio con un espediente retorico: un'intervista a Marx a oltre 120 anni dalla sua morte. Per indurlo atrarne un bilancio post mortem delle sue teorie e previsioni. Il bilancio, in realtà dello stesso Carandini che traccia in queste pagine il suo percorso teorico che lo ha portato, nella sua lunga militanza nelle file del partito comunista italiano, prima ad abbracciare fideisticamente le teorie staliniste e poi ad interrogarsi sulla validità o meno del marxismo. Nell'intervista quella che appare come una dichiarazione di fallimento delle teorie di Marx, del suo lato utopistico, dovrebbe essere in realtà la dichiarazioni di fallimento dello stalinismo e di tutta quella schiera di personaggi che come Carandini ha sempre sostenuto che in Russia era stato realizzato il comunismo.

Nell'immaginario colloquio Carandini attribuisce a Marx l'idea che l'imminenza della rivoluzione proletaria è stata fin dall'origine in contraddizione con l'ipotesi che il comunismo si sarebbe realizzato solo in seguito all'universale sviluppo del capitale. Il lato utopistico di Marx sarebbe determinato quindi dalla previsione dell'avvento del comunismo prima del completo sviluppo della formazione sociale capitalistica. Isolare in Marx la personalità di scienziato sociale da quella del rivoluzionario non è un tentativo nè nuovo nè originale; già Lenin rilevava in Stato e Rivoluzione, come la classe dominante, depurando le loro teorie da tutti quegli aspetti in netto contrasto con i suoi interessi, riduceva i rivoluzionari del passatoin icone inoffensive.

Dopo aver individuato la presunta doppia personalità di Mar, Carandini si pone l'obiettivo di trovare l'origine teorica del lato utopistico nella elaborazione di Marx. Testualmente scrive a pagina 5:

Come giustifica il suo lato utopistico e rivoluzionario? Lei sa bene che io discendo da una stirpe di rabbini e dunque, anche se non avrei mai ammesso in vita, ora posso non negare la possibilità che il profetismo ebraico abbia avuto una parte nella mia formazione intellettuale e ideale.

E ancora qualche riga più in basso:

Ma c'è stato qualche altro pensiero che l'ha influenzata? Per esempio nella critica delle libertà borghesi che consideravo ambigue e insufficienti, posso essere stato influenzato da un ramo dell'illuminismo settecentesco e in particolare da Rousseau con la sua utopia di una democrazia diretta e plebiscitaria.

In queste poche righe Carandini individua nel pensiero religioso ebraico e in Rousseau l'origine in Marx del suo lato utopistico. La critica che muove Carandini a Marx di aver avuto una visione utopistica del corso della storia e aver sbagliato completamente la previsione dell'avvento del comunismo, non costituisce una novità assoluta, infatti, molti intellettuali borghesi hanno attribuito al marxismo una visione finalistica della storia. Ma è l'aver indicato nell'ebraismo e in Rousseau l'origine di tale visione utopistica che non ha precedenti. Secondo Carandini, in Marx la rivoluzione proletaria, la necessità di abbattere il capitalismo, non sono un prodotto storico delle contraddizioni del capitale, ma sono una diretta conseguenza di una visione religiosa della vita, in particolare di quella ebraica. La rivoluzione comunista rappresenta una purificazione dal peccato capitalista che serve ad elevare l'umanità verso il regno di dio. La rivoluzione comunista non è quindi teorizzata per il fatto che all'interno del sistema capitalistico esiste una classe sfruttata, il proletariato, che permanentemente lotta contro la borghesia per difendere i propri interessi, ma è il retaggio della discendenza ebraica del suo teorico. La lotta di classe tra borghesia e proletariato, la spinta degli operai verso l'emancipazione dalla schiavitù del lavoro salariato non sarebbe quindi determinata dalle loro condizioni materiali di esistenza, ma ancora una volta sarebbe il frutto di una visione religiosa e teleologica della vita.

Accusare Marx di aver fallito la previsione circa l'imminenza della rivoluzione comunista, e tacciarlo di utopismo significa mistificarlo totalmente. Marx non ha mai sostenuto l'ineluttabilità del comunismo, tanto è vero che nei suoi scritti è sempre presente la consapevolezza che la crisi della società borghese pone storicamente due possibili alternative: socialismo o barbarie. La realizzazione della società socialista non è un prodotto meccanico della storia, ma essa si può effettivamente concretizzare alla sola condizione che il proletariato riesca attraverso la propria rivoluzione ad abbattere il sistema di produzione capitalistico e realizzare il comunismo, ma se i proletari non sono in grado di fare la rivoluzione l'attuale formazione sociale potrà continuare a riprodursi fino all'imbarbarimento degli stessi rapporti di produzione e di tutta la formazione sociale borghese.

La storia, a differenza di quanto credono gli intellettuali borghesi, non è il frutto di qualche disegno divino verso il quale gli uomini tendono, ma essa è determinata dall'agire degli uomini. Gli uomini non considerati nella loro isolata individualità ma in quanto individui sociali; è in quanto tali che gli uomini agiscono in relazione alle condizioni materiali esistenti. Il comunismo è il fine verso cui devono tendere i proletari se vogliono risolvere defini-tivamente i propri problemi di classe sfruttata e la sua realizzazione è sempre ed in ogni modo subordinata all'agire e alla volontà della classe proletaria.

Non si può accusare Marx di aver avuto una visione utopistica della storia se il proletariato non è stato finora in grado di fare la rivoluzione comunista, e poi far discendere tale utopismo dall'ebraismo. Fare questo significa voler trasformare il marxismo, da metodo d'indagine della realtà e strumento teorico delle battaglie del proletariato, in una delle tante religioni che hanno fallito la loro missione salvifica.

Per Carandini, però se Marx ha fallito nella sua visione utopistica ha vinto la propria sfida come scienziato della realtà del capitale. In tutto il suo libro, il nostro autore non si stanca mai di tessere le lodi alla personalità scientifica di Marx, ma in questa esaltazione sferra in realtà un subdolo attacco a due pilastri della costruzione teorica della critica dell'economia politica, ossia alla teoria del valore-lavoro e alla relativa trasformazione del valori di scambio in prezzi di produzione.

Cerchiamo di seguire passo passo il ragionamento di Carandini per dimostrare che la teoria del valore-lavoro non può essere utilizzata per la comprensione del processo di formazione dei prezzi con cui si scambiano le merci. Dopo aver spiegato che la teoria del valore-lavoro non è stata elaborata direttamente da Marx ma da precedenti economisti, in particolare Smith e Ricardo, il nostro autore testualmente scrive a pagina 107:

Dunque la legge del valore-lavoro assolutamente non afferma, come qualcuno può pensare, che il valore di scambio di ogni singola merce sia misurato direttamente dal tempo di lavoro particolare effettivamente impiegato dal singolo produttore o dai produttori di una sfera produttiva. Quel valore è invece determinato da due fattori:
# dal tempo di lavoro che è necessario impiegare nelle condizioni tecniche normali di un dato settore produttivo;
# dal tempo di lavoro che si rileva necessario per soddisfare la domanda che quella merce incontra nel mercato.

E ancora qualche riga più in basso nella stessa pagina prosegue:

il valore di scambio non è mai dato a priori ma si realizza solo a posteriori, cioè in seguito delle effettive transazioni in cui offerta e domanda si eguagliano. In effetti, è soltanto attraverso la totalità degli scambi e il continuo aggiustamento operato dal mercato, che si verifica l'equilibrio fra l'offerta effettiva di tempo di lavoro da parte dei venditori di merci e la domanda effettiva di tempo da parte dei compratori.

In questa lunga citazione, scopriamo che il valore di scambio di una merce non è determinata solo dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla, ma dipende anche dall'eventualità che questa stessa merce trovi sul mercato un consumatore. La confusione teorica in cui cade Carandini è enorme, quanto pone sullo stesso piano due livelli da tenere nettamente separati, quello del valore di scambio e quello dei prezzi.

Nel capitolo iniziale del primo libro del capitale Marx spiega minuziosamente il duplice valore di una merce, ossia il valore d'uso e il valore di scambio. Mentre il primo esprime l'attitudine della merce a soddisfare un bisogno degli individui, il valore di scambio, che è una caratteristica peculiare delle merci prodotte dalla moderna società capitalistica, esprime il modo con il quale una merce si scambia con un'altra merce e in che rapporto avviene tale scambio. Perché un chilo di patate si scambia con due chili di pane? Da cosa è determinato tale rapporto di scambio? Il valore di scambio delle patate in rapporto al pane e di 1 a 2, ma cosa determina tale rapporto? Per la teoria del valore-lavoro il valore di scambio delle patate così come quello del pane è determinato dal lavoro socialmente necessario a produrli. Nel nostro esempio, per produrre un chilo di patate occorre un tempo di lavoro che è doppio rispetto a quello necessario a produrre il pane, pertanto il valore di scambio delle patate è doppio rispetto a quello del pane.

Marx sottolinea in ogni suo passo come nella determinazione del tempo di lavoro non devono essere presi in considerazione i processi lavorativi individuali delle singole fabbriche, ma occorre considerare il tempo che mediamente nella società, in rapporto all'evoluzione tecnologica raggiunta in quel dato momento storico, occorre per produrre la merce considerata. Tale quantità di tempo è definita da Marx come lavoro socialmente necessario.

Tutta l'analisi che Marx conduce nelle pagine del Capitale si avvale di questo metodo che è quello dell'astrazione determinata. Nel caso del valore di scambio Marx per scoprire l'arcano dietro cui si nasconde il rapporto con cui si scambiano le merce, isola il fenomeno dello scambio da tutte le perturbazioni che si possono verificare nella realtà e attraverso questa astrazione arriva a definire come dietro i valori di scambio delle merci ci sia solo il lavoro socialmente necessario a produrle. Il valore di scambio rappresenta il primo livello dell'astrazione determinata per arrivare a comprendere i rapporti di scambio tra le diverse merci presenti sul mercato.

Grazie al metodo dell'astrazione determinata, Marx non solo non si discosta mai dai processi reali, evitando di cadere nella trappola della speculazione idealistica, ma è in grado di penetrare fino in fondo i fenomeni economici che intende studiare. Carandini nel momento in cui introduce nello studio del valore di scambio l'elemento della domanda e dell'offerta tradisce il presupposto marxiano dell'astrazione determinata e cade inevitabilmente vittima delle apparenze del movimento dei prezzi. Infatti a pagina 108 scrive:

Il tempo di lavoro speso per la merce rimasta invenduta è andato sprecato e non crea valore. Ma se, al contrario, la domanda supera l'offerta, allora la quantità di merce prodotta cresce di valore come se il tempo di lavoro superiore a quello effettivo fosse stato impiegato in quanto socialmente necessario per soddisfare i bisogni.

In queste righe si evidenzia in modo clamoroso tutta la confusione in cui cade vittima l'illustre economista. Quando la domanda è superiore all'offerta di una merce a crescere non sarebbe il valore di scambio della stessa ma il suo prezzo; infatti il primo è fissato nella fase della produzione dal tempo di lavoro necessario a produrre la merce, mentre il prezzo, pur essendo determinato in prima istanza dal lavoro in esso contenuto, riflette le fluttuazioni di mercato e si determina solo nella realizzazione dello scambio.

Nel cercare di “aggiornare” la teoria del valore-lavoro Carandini opera una vera mistificazione, laddove pone sullo stesso piano valori e prezzi delle merci, mentre la comprensione della realtà capitalistica impone di tenere nettamente separati i due concetti. Se il valore di scambio di una merce dipende anche dall'equilibrio tra la curva di domanda e quella dell'offerta presente sul mercato si ha un ritorno alla scuola economica mercantilistica. Per Carandini infatti il valore di scambio delle merci si forma sia nella fase delle produzione, attraverso il lavoro socialmente necessario a produrle, sia nella fase della circolazione in quanto tale valore può accrescersi o diminuire in rapporto al punto d'equilibrio tra le due curve di mercato. A pagina 110, Carandini è ancora più esplicito quando scrive:

Poiché l'equilibrio tra offerta e domanda, tra lavoro erogato e lavoro socialmente necessario, non è mai dato a priori ma si realizza solo a posteriori a seguito delle continue transazioni del mercato, allora la legge del valore, attraverso innumerevoli atti di scambio, attua continuamente nella totalità delle compravendite un aggiustamento che ristabilisce nel mercato l'equilibrio fra la domanda effettiva di tempo di lavoro da parte dei compratori e l'offerta di tempo di lavoro da parte dei venditori, e questo per ogni tipo di merci.

Nella fase della circolazione si determina a lungo andare l'equilibrio tra il lavoro impiegato nella fase della produzione delle merci e il lavoro che effettivamente è stato richiesto dall'insieme della società. Solo quest'ultimo può essere definito per Carandini come lavoro socialmente necessario, mentre il lavoro speso nella produzione delle merci invendute rappresenta uno spreco di forza-lavoro. Nella pagina successiva Carandini prosegue nella sua opera di mistificazione del pensiero di Marx e scrive:

Dunque per Marx non è durante il processo produttivo e neppure nel corso degli scambi, ma soltanto a scambi avvenuti e nel complessivo scambio sociale che si impone la coincidenza tra lavoro e valore e perciò il tempo di lavoro può essere assunto come misura del valore. Questo è l'arcano della teoria del valore-lavoro.

Nel primo libro del Capitale Marx ha un unico obiettivo: quello di analizzare il funzionamento della società capitalistica nei suoi singoli elementi costitutivi. Nell'analisi della teoria del valore-lavoro Marx cerca di spiegare come il valore di scambio di una merce sia determinato dal lavoro socialmente necessario a produrla, ma per fare questo isola, attraverso il metodo dell'astrazione determinata, il fenomeno dello scambio a due sole merci per cogliere fino in fondo tutti i suoi aspetti. Non si preoccupa minimamente di analizzare l'insieme degli scambi che avvengono nella società per osservare come in questo movimento i valori di scambio delle merci si discostano dai prezzi di mercato, tale fenomeno sarà ampiamente analizzato nel terzo libro del Capitale nella parte dedicata alla trasformazione dei valori in prezzi.

Marx a differenza di quanto sostiene Carandini non ha mai affermato che il tempo di lavoro socialmente necessario coincide con il valore delle merci solo nella complessità degli scambi, ma ha scritto che secondo la teoria del valore-lavoro il valore di scambio di una singola merce è fissato dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla. Voler far coincidere il tempo di lavoro necessario con il valore solo nella totalità degli scambi significa ancora una volta porre sullo stesso piano i valori di scambio delle merci con i prezzi di mercato, ma fare ciò - lo ribadiamo - significa porre sullo stesso piano concetti fondamentalmente diversi.

Dopo aver stravolto la teoria del valore-lavoro, Carandini attacca frontalmente Marx accusandolo di aver tradito i suoi stessi presupposti scientifici quando ha tentato di trasformare i singoli valori di scambio delle merci in prezzi di produzione. A pagina 113, si legge:

Eppure questo procedimento illegittimo in via di principio perché contrario alla sua stessa teoria, è stato usato da Marx per tentare di trasformare i valori di scambio in prezzi di produzione, dando i valori per noti singolarmente e a priori. Così facendo egli ha preteso di trasformare la cieca legge che agisce internamente nel sistema capitalistico, in una legge alla luce del sole che agisce dall'esterno sul mercato, e quindi di poter trasformare i valori di scambio ideali in prezzi reali di singole merci.

In quest'ultima citazione Carandini butta definitivamente la maschera e scopre definitivamente le proprie carte. I valori di scambio delle singole merci non possono essere conosciuti a priori ma solo dopo la conclusione degli scambi e per Carandini ne discende che dai valori di scambio non è possibile far derivare i prezzi di produzione delle merci; pertanto nel deformare la teoria del valore-lavoro di Marx fa proprie le teorie dell'economista italiano Sraffa. Questi negli anni 1960 ha pubblicato il libro “Produzioni di merci a mezzo di merci” edito da Einaudi con il quale intendeva criticare le teorie economiche marginaliste che negavano la possibilità di realizzare profitti in un sistema economico in equilibrio.

Sraffa nel dimostrare la possibilità che il profitto possa essere realizzato anche in un sistema in equilibrio ha costruito un sistema di equazioni con il quale è possibile conoscere i prezzi delle merci attraverso altre merci, senza quindi ricorrere alla teoria del valore-lavoro. Ora, mentre Sraffa ha costruito il proprio sistema di equazioni con l'intento di criticare le teorie marginaliste, i suoi seguaci hanno utilizzato il suo sistema per attaccare la teoria del valore-lavoro ed invalidare il processo di trasformazione dei valori di scambio in prezzi descritti da Marx nel terzo libro del capitale. (1)

Nel tentativo di invalidare la teoria del valore-lavoro Carandini arriva addirittura a costruire dei falsi. A pagina 119 il nostro autore scrive:

Dunque, con una similitudine molto efficace, Marx paragona il valore alla gravità e anche, implicitamente, il prezzo al peso.

E nella pagina successiva continua:

... l'analogia tra la gravità e il valore di scambio non funziona se viene spinta oltre il limite imposto dalla differenza fra eventi naturali e quelli sociali. Proprio non aver tenuto conto di quel limite ha spinto Marx sulla strada impercorribile della trasformazione dei valori in prezzi.

L'accusa che Carandini muove a Marx in queste righe è quella di aver posto sullo stesso piano lo studio degli eventi naturali con lo studio degli eventi sociali. Nel primo libro del Capitale Marx utilizza l'esempio della gravità e del peso per descrivere la forma di valore equivalente che può assumere una merce. Citiamo testualmente Marx (4):

Come il corpo ferro come misura di peso nei confronti del pan di zucchero rappresenta solo gravità, così nella nostra espressione di valore, il corpo abito rappresenta, nei confronti della tela, soltanto valore.

Carandini si ferma qui e dimentica di continuare a leggere il passo successivo dove Marx scrive:

Ma l'analogia finisce qui. Nell'espressione di peso del pan di zucchero il ferro rappresenta una proprietà naturale comune ad entrambi i corpi, la loro gravità, mentre l'abito nell'espressione di valore della tela rappresenta una proprietà sovrannaturale di entrambe le cose: il loro valore, qualcosa di puramente sociale.

Come possiamo osservare Marx non cade in questo errore metodologico, non cede di un millimetro sul terreno della distinzione tra eventi naturali e fatti sociali che dipendono solo ed esclusivamente dall'agire degli uomini. Sono stati i suoi falsi interpreti a voler applicare il metodo del materialismo storico anche allo studio degli eventi naturali, ma tale applicazione non trova in Marx alcun supporto teorico.

Carandini nel tagliare clamorosamente la citazione di Marx tocca il fondo nello stravolgere il suo pensiero. Tale dimenticanza non è dettata dall'ignoranza del testo, Carandini è un profondo conoscitore del Capitale. Ma ciò non fa altro che gettare oscure ombre sul nostro economista, che pur di criticare Marx e autoassolversi per il suo passato stalinista è pronto a giocare fino in fondo la carta della falsificazione confermandosi in ciò appunto un vetero... stalinista.

Lorenzo Procopio

(1) Senza riprendere la nostra critica a Sraffaai suoi seguaci, rimandando i lettori all'articolo “Prezzi di produzione e saggio del profitto” apparso sul numero 5 di Prometeo IV serie.

(2) Marx Il Capitale ed. Editori Riuniti pagina 89.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.