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Cina
Migliaia di lavoratori di due fabbriche della regione settentrionale dello Shaanxi continuano le loro azioni di protesta contro la perdita di posti di lavoro e il peggioramento delle condizioni di vita, a seguito del passaggio di proprietà degli impianti a favore di aziende di Hong Kong e Shenzen.
Nonostante la pioggia battente, i lavoratori della Xianyang No.7 Cotton Factory continuano l'occupazione della fabbrica, cominciata il 21 settembre. La protesta in alcuni momenti ha visto la partecipazione di circa 10 mila persone. Una quarantina di dirigenti sono rimasti bloccati all'interno degli edifici, e le autorità hanno schierato migliaia di poliziotti nelle vicinanze. I lavoratori, riuniti in assemblea permanente, si oppongono ai contratti di lavoro imposti dai nuovi proprietari e dirigenti - il China Resources Group, con sede ad Hong Kong. I nuovi padroni intendono sottoporre 5 mila lavoratori ad un periodo di prova, lungo da 3 a 6 mesi, durante il quale sarebbero pagati poco più del sussidio governativo di sopravvivenza, circa 5 dollari al mese, ben al di sotto dei loro attuali stipendi. I lavoratori rifiutano anche ogni taglio occupazionale, e i miseri indennizzi offerti dall'azienda per i circa mille lavoratori che intende licenziare subito.
Nessun sindacato è presente nell'azienda e i lavoratori stanno conducendo da soli lo sciopero e l'occupazione, in maniera autonoma. Non è stato eletto alcun rappresentante, per evitare che diventasse sicuro bersaglio delle rappresaglie delle autorità governative e dell'azienda.
Nel frattempo a Xian, la capitale della provincia, dal 14 settembre i lavoratori della Jingmi Metals Co stanno bloccando una delle arterie stradali principali della zona. I dimostranti si oppongono allo smantellamento della loro fabbrica, da cui i nuovi proprietari stanno traendo sia macchinari che capitali. L'azienda infatti è stata recentemente acquisita dal Tianha Group, con sede a Shenzen. I dimostranti, tra cui numerose donne anziane e lavoratori tra i 40 e 50 anni, chiedono la ripresa della produzione e il ripristino dei contributi per l'assistenza sanitaria, in modo che le persone più anziane possano ricevere le necessarie cure.
India
Il 20 settembre a Chennai, nel Tamilnadu, gli operai di oltre 500 aziende del riso, tra cui uomini, donne e molti bambini, hanno dimostrato contro le condizioni di lavoro inumane all'interno delle fabbriche. La maggior parte dei lavoratori proviene dalla tribù Irula. Circa 10 mila di loro sono lavoratori obbligati. I dimostranti chiedevano all'amministrazione regionale di prendere immediatamente iniziative per porre fine alla forma di lavoro feudale che persiste da generazioni. In particolare: regolarizzazione delle ore di lavoro, salari a norma di legge, strutture educative per i figli, assistenza per i genitori.
Gli operai impiegati nella lavorazione del riso ricevono paghe misere, lavorano in condizioni estremamente antigieniche senza neanche le strutture fondamentali. Alcuni lavorano più di 18 ore al giorno. L'intera lavorazione prevede la raccolta dalle risaie, la messa a bagno, la bollitura, l'asciugatura. Ogni volta l'intero processo richiede 4 pesanti giorni di lavoro, e gli operai ricevono a malapena 30-40 centesimi di dollaro per l'intero periodo. Uno dei lavoratori ha raccontato alla stampa che sua moglie morì proprio sul lavoro, obbligata a lavorare 3 giorni di seguito subito dopo il parto del terzo figlio. E, al colmo della disumanità, all'operaio è stato anche impedito di seguire i riti funebri, se non dopo aver concluso la sua giornata di lavoro.
Namibia
Il governo della Namibia ha espulso circa 400 lavoratori, provenienti dal Bangladesh e impiegati in una industria tessile, dopo le proteste di questi contro le loro intollerabili condizioni di vita e le misere paghe. I lavoratori erano impiegati vicino a Windhoek, in una fabbrica della Ramatex, una grossa multinazionale malese. La fabbrica conta 8 mila operai, di cui circa un quarto provengono dall'Asia, in special modo dalle Filippine. La Ramatex produce innanzitutto abbigliamento sportivo, per conto di aziende come Nike, Puma, Otto Versand, Wal-Mart e Sears. Tramite le sue sussidiarie, produce anche prodotti per i marchi della moda Dior e Ralph Lauren.
I lavoratori erano arrivati in Namibia dal Bangladesh il mese scorso. Prima della partenza a loro erano stati promessi alloggio, vitto e un salario mensile pari a 120 dollari. Ma quando sono arrivati nella fabbrica, sono stati costretti a vivere in condizioni pessime, condividendo un solo bagno, con pompe dell'acqua all'aperto per lavarsi. Inoltre, dal loro salario,45 dollari venivano detratti per il cibo.
L'11 settembre la polizia ha informato i lavoratori che i loro permessi di soggiorno erano stati ritirati, per l'aggressione denunciata da due manager della loro agenzia di collocamento, avvenuta durante una visita nelle abitazioni dei lavoratori, per vedere le loro condizioni. Quaranta dei lavoratori sono stati deportati il giorno stesso, tutti gli altri due giorni dopo. I lavoratori affermano di aver pagato all'agenzia di collocamento, in Bangladesh,3500 dollari a testa. Per ottenere il denaro, la maggior parte di loro ha dovuto vendere tutto: casa, terreno e animali, e prendere anche denaro a prestito.
Intanto il governo della Namibia chiude più di un occhio sulle evidenti violazioni delle norme sul lavoro da parte della Ramatex. Alcuni sindacalisti che hanno svolto delle indagini nella fabbrica, hanno parlato di mancato rispetto dei più elementari diritti umani, mentre l'azienda continua ad operare indisturbata, al di sopra di ogni legge.
Spagna
Il 14 settembre, durante la giornata di sciopero nazionale dei portuali,7 operai e 3 giornalisti sono stati feriti a Cadice, negli scontri con la polizia. Anche due poliziotti sono rimasti contusi, colpiti con palle di acciaio. Proteste ci sono state anche nei porti di Siviglia, Ferrol e Bilbao. In quest'ultimo caso, alle azioni di protesta dei portuali, che hanno eretto barricate e bloccato strade e ferrovie, la polizia ha risposto caricando a freddo i dimostranti.19 operi sono stati feriti. Uno, colpito da una pallottola di gomma, rischia di perdere un occhio. I dimostranti si opponevano alla privatizzazione della SETI, società a capitale statale che gestisce le infrastrutture portuali spagnole. Per i portuali (1200 a Bilbao,10700 in tutta la nazione), la morte del settore navale di stato significherebbe disoccupazione certa, visto che non ci sono altri porti dove andare a lavorare.
Le proteste, che ancora continuano in tutta la Spagna, hanno visto coinvolte fino a 45 mila persone. Dagli anni '80, sotto i governi di ogni colore e sotto il peso della concorrenza asiatica, la forza lavoro impiegata nei porti ha subito drastici tagli, pari a circa 30 mila licenziamenti. La privatizzazione porterebbe il settore al completo collasso: le società coinvolte, già pesantemente indebitate, devono anche restituire ingenti aiuti statali considerati illegali da Bruxelles.
micBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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