Dalla democrazia rappresentativa alla democrazia oligarchica

Le profonde modificazioni subite dal capitalismo in questi ultimi anni stanno manifestando i propri effetti su tutta la sfera dei rapporti economici, politici e sociali. Sono sotto gli occhi di tutti le drammatiche conseguenze della mondializzazione del capitale.

Sembrano passati anni luce da quando dopo il crollo dell'ex impero sovietico e l'inizio della new economy la borghesia non faceva passare un solo giorno senza strombazzare ai quattro venti la fine della storia e l'inizio di una nuova era in cui le crisi economiche sarebbero diventate soltanto un pallido ricordo del passato. Ovviamente l'illusione è durata il tempo necessario alle insanabili contraddizioni del capitale di manifestare i propri drammatici effetti sociali.

Presentata come la panacea di tutti i mali della moderna società capitalistica, la mondializzazione ha determinato una fortissima spinta alla concentrazione e centralizzazione della ricchezza che non ha uguali nella storia del capitalismo, con la conseguenza che i ricchi stanno diventando sempre più ricchi mentre miliardi di esseri umani vengono scaraventati nella miseria più nera. La mondializzazione non si è tradotta solo in un'accentuata polarizzazione della ricchezza, ma grazie all'accentuarsi dei fenomeni di crisi, la tendenza alla guerra da parte del capitale è diventata una costante nelle dinamiche capitalistiche di questi ultimi venti anni.

In questo nuovo contesto di mondializzazione dell'economia alcuni capisaldi del mondo della sovrastruttura politica su cui si è retta la società borghese negli ultimi secoli sono entrati in crisi profondissima. Lo stato nazionale può essere ancora inteso come lo strumento utilizzato dalla borghesia per esercitare il proprio dominio di classe, oppure le dinamiche del capitale spingono verso nuove forme che superano la dimensione nazionale? La stessa democrazia rappresentativa può essere ancora considerata come ai tempi di Lenin il miglior involucro utilizzato dalla borghesia per la conservazione del dominio di classe, oppure la mondializzazione ha aperto nuove scenari in cui la borghesia non ha più bisogno della democrazia rappresentativa per imporre le sue scelte all'intera società?

Per l'ideologia borghese la nuova fase del capitalismo avendo aperto la strada alla creazione di un unico mercato mondiale renderebbe superfluo l'esistenza di un organismo come lo stato nazionale; verrebbe quindi meno la natura di classe dello stato avendo i nuovi organismi internazionali una valenza esclusivamente tecnica ed interclassista. E proprio grazie alla creazione di un unico mercato mondiale esisterebbero le premesse per costruire un unico grande sistema democratico planetario. Paladini di questo processo sarebbero gli Stati Uniti d'America che esportando il proprio modello economico in ogni angolo del pianeta sarebbero la garanzia per l'allargamento della democrazia rappresentativa nel mondo.

La realtà è alquanto diversa da quella descritta dalla borghesia; mai come in questa fase per esercitare il proprio dominio di classe la borghesia ha affinato ed allargato gli strumenti di tale dominio, in primo luogo quello dello stato. La democrazia rappresentativa è diventata invece il miglior paravento per giustificare le continue guerre che quotidianamente insanguinano il pianeta, perdendo nella sostanza quella necessità storica che ha avuto fino a qualche decennio addietro.

Il marxismo e lo stato

Una delle prime critiche del giovane Marx al sistema hegeliano è stata quella relativa alla natura dello stato. Mentre per Hegel e per l'intero idealismo tedesco lo stato rappresentava la manifestazione dello spirito assoluto, per Marx lo stato aveva delle origini molto più terrene, essendo il frutto dell'agire degli uomini. Per Marx lo stato, inteso come esercizio di un potere politico coercitivo, non è sempre esistito nella storia degli uomini, ma appare soltanto nel momento in cui la società si divide in diverse classi sociali. Nelle formazioni sociali arcaiche nelle quali le classi sociali non si erano ancora formate e l'intera società era organizzata in forme di comunismo primitivo, non esisteva alcuna forma di potere politico. L'amministrazione del gruppo sociale veniva affidata alle persone più anziane non per il fatto che queste si trovavano in alto nelle gerarchie sociali, ma semplicemente perché erano dotate dell'esperienza necessaria per dare il giusto indirizzo all'organizzazione del gruppo. Lo sviluppo delle aristocrazie gentilizie e il loro affermarsi nell'ambito delle società arcaiche ha determinato la suddivisione della società in diverse classi sociali con la conseguenza che la classe dominante per imporre il proprio potere all'intera società ha avuto la necessità storica di avere uno strumento politico particolare, lo stato appunto.

Lo stato quindi ha una propria storia che inizia con la divisione della società in classi e, aggiunge Marx, terminerà soltanto quando la società non sarà più divisa in classi. Lo stato non solo s'afferma con la divisione della società in classi, ma si caratterizza come strumento in mano alla classe dominante, necessario per l'esercizio del suo dominio sull'intera società. Ogni classe dominante nel corso della storia ha esercitato il proprio dominio attraverso il proprio stato. Ora, se andiamo ad analizzare le diverse forme statuali che si sono succedute nella storia possiamo osservare che queste mutano in rapporto alle diverse classi al potere. In altri termini lo stato romano è diverso rispetto a quello espresso dalla civiltà feudale, così come quest'ultimo differisce rispetto al moderno stato della borghesia. Tutti però sono uniti dal fatto che sono l'espressione della classe dominante. Anche lo stato della borghesia non sfugge a questa caratteristica in quanto anch'esso è uno strumento indispensabile per l'esercizio del suo dominio di classe. L'affermarsi della borghesia come classe dominante determina la creazione di un proprio stato con caratteristiche e dimensioni molto diverse rispetto allo stato feudale.

Nel corso dei secoli XVIII e XIX la borghesia conquista il potere politico e lo esercita attraverso la creazione degli stati nazionali. Il fatto che lo stato borghese abbia avuto fin dall'origine una dimensione nazionale non è il frutto di un caso, ma è l'espressione di una necessità della borghesia che nasce e s'afferma come classe nazionale. Infatti, solo nel momento in cui i diversi mercati regionali e comunali vengono unificati in un unico mercato nazionale, la borghesia pone all'ordine del giorno la necessità della conquista del potere politico e quindi l'abbattimento dei diversi stati feudali e la creazione del proprio stato. Gli stati nazionali hanno guidato la storia del capitalismo nel corso degli ultimi secoli, permettendo alla borghesia di svilupparsi, di gestire le crisi economiche, di fare due guerre mondiali e soprattutto di esercitare il proprio dominio di classe schiacciando qualsiasi opposizione esercitata dal proletariato.

Mondializzazione e stato nazionale

Negli ultimi trent'anni la crisi strutturale del capitale ha accentuato le spinte verso la creazione di un unico mercato mondiale. La caduta del saggio medio del profitto ha imposto alla borghesia di ricercare quote di plusvalore negli angoli più disparati del pianeta. Da un lato i fenomeni della crisi hanno spinto la borghesia a sviluppare tutte quelle attività finanziarie e speculative come contro-tendenza alla caduta dei profitti industriali, dall'altro, grazie soprattutto alle nuove tecnologie ha potuto spostare diverse attività produttive in aree in cui il costo della forza lavoro è decisamente più basso rispetto a quello presente nelle aree più sviluppate. Se per la borghesia il termine mondializzazione ha il significato di creazione di un unico mercato mondiale, nel quale le opportunità per le diverse imprese sono uguali per tutte, nella realtà la mondializzazione ha determinato nei fatti la creazione di un unico mercato finanziario e grazie alla delocalizzazione della produzione una svalutazione selvaggia del valore della forza lavoro. Senza riprendere l'analisi degli aspetti economici dei fenomeni di mondializzazione del capitale, già ampiamente dibattuti sulla stampa di partito e su questa stessa rivista, è necessario analizzare quali impatti hanno sullo stato nazionale i fenomeni di mondializzazione e soprattutto se vengono meno le sue caratteristiche di strumento di classe così come sostengono gli ideologi borghesi.

Ora è evidente che le modificazioni nel mondo della struttura economica debbano avere delle ripercussioni sul mondo della sovrastruttura, in primo luogo quindi anche sullo stato. Bastano alcuni esempi per chiarire il concetto. Consideriamo una delle prerogative dello stato nazionale, ossia la capacità di manovrare la massa monetaria attraverso il tasso di sconto. Fino agli anni settanta l'unico soggetto in grado di dettare la politica economica di un paese era il governo nazionale e la banca centrale, espressione diretta o indiretta dell'autorità governativa. Attraverso le decisioni circa la variazione del tasso di sconto, la politica fiscale, interventi sul debito pubblico, lo stato era in grado di orientare la politica economica del paese. Qualsiasi tentativo speculativo da parte di singoli gruppi privati poteva essere facilmente respinto dallo stato in quanto la massa monetaria posseduta dalla banca centrale era di gran lunga superiore a quella detenuta da qualsiasi privato. Verso la fine degli anni ottanta si è avviato un processo di concentrazione e centralizzazione della ricchezza che ha portato diversi gruppi finanziari privati a disporre di una massa monetaria più grande di quella delle stesse banche centrali. In virtù di ciò agli attacchi speculativi da parte di alcuni gruppi finanziari privati le banche centrali non hanno potuto far altro che accettare supinamente la svalutazione della propria moneta senza avere la forza di intervenire sul mercato per poter magari vendere le proprie riserve valutarie. Nel 1993 la Banca d'Italia e quella d'Inghilterra di fronte all'attacco speculativo proveniente dal gruppo finanziario di Soros non hanno potuto far altro che svalutare la lira e la sterlina in quanto le loro riserve valutarie erano insufficienti rispetto alla massa monetaria di cui poteva disporre il solo Soros.

Le dinamiche del capitale stanno incidendo profondamente sulle dimensioni territoriali dello stato borghese. L'affermarsi di aree economiche di dimensioni continentali ha profondamente modificato le aspettative e le esigenze della borghesia. Se per tutto un arco storico il mercato di riferimento per le diverse borghesie è stato quello nazionale, negli ultimi decenni per le dimensioni raggiunte dalle imprese capitalistiche il mercato non può avere che dimensioni quantomeno continentali. La nascita dell'euro è solo la punta più avanzata di un fenomeno mondiale che vede lentamente ma inesorabilmente il trasferimento delle leve del potere verso organismi di dimensioni sopranazionali. Con l'euro gli stati nazionali aderenti alla moneta unica hanno deciso di cedere in mano alla banca centrale europea gli strumenti di controllo della politica economica del continente. È la banca centrale europea a dettare la politica economica dei paesi aderenti all'Unione europea.

In questi ultimi decenni abbiamo quindi assistito ad una doppia sconfitta per lo stato nazionale: da un lato è diventato troppo piccolo rispetto ad alcuni gruppi economici e finanziari privati, dall'altro con una decisione sofferta e contraddittoria una parte della borghesia spinge affinché alcune leve del potere siano trasferite ad organismi internazionali. I due fenomeni non sono tra di loro slegati, ma rappresentano due facce di una realtà che spinge la borghesia a dotarsi di nuovi strumenti per esercitare il proprio dominio di classe. Le modalità di esercitare il potere vengono modificate dalla borghesia in rapporto sia al livello dello scontro di classe sia in rapporto al particolare momento storico.

Ora mentre per tutta una fase storica lo stato ha svolto quasi esclusivamente la funzione di reprimere il proletariato, tanto che la dottrina borghese ha definito questo tipo di stato "stato poliziotto", dagli anni trenta del secolo scorso in conseguenze della grande crisi, lo stato ha modifica profondamente le sue funzioni ed interviene direttamente nei meccanismi produttivi. Lo stato borghese non è qualcosa di statico ma modifica le sue funzioni in rapporto alle esigenze della classe che lo esprime. Essere strumento della borghesia non significa solo reprimere il proletariato e le sue eventuali spinte eversive, ma sostenere in tutti i modi i processi d'accumulazione del capitale. Laddove il capitale ha avuto la necessità dell'intervento dello stato nell'economia questo non ha fatto mancare il suo sostegno. La politica economica keynesiana ha permesso al capitalismo di rilanciare l'economia mondiale per decenni, tanto che tutte le infrastrutture degli stati a capitalismo avanzato sono state realizzate solo ed esclusivamente grazie ai fondi pubblici.

La crisi degli ultimi decenni ha chiuso defini-tivamente con quel tipo d'intervento dello stato nell'economia. La concentrazione del capitale, la nascita di gruppi finanziari che dispongono di ingenti masse di capitali hanno modificato profondamente le funzioni e le dimensioni dello stato borghese. Lo stato moderno non è più chiamato a sostenere la borghesia negli stessi termini di trenta anni fa, perché le necessità della borghesia sono profondamente mutate. Se in passato lo stato aveva la funzione di sostenere l'economia gestendo direttamente alcuni settori poco remunerativi, le esigenze dei grandi gruppi finanziari richiedono che lo stato faccia un passo indietro e svenda i beni accumulati in oltre cinquanta anni d'intervento pubblico nell'economia. La svendita del patrimonio pubblico a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni non è un fenomeno solo italiano ma riguarda tutti i paesi a capitalismo avanzato. La crisi ha imposto che lo stato abbandonasse la sua funzione keynesiana e sostenesse gli interessi della borghesia attraverso una politica diametralmente opposta. Si è così passati dall'intervento dello stato nell'economia alla completa privatizzazione di tutta l'industria pubblica. Fenomeni questi che possono apparire contraddittori ma che in realtà rappresentano la conferma che lo stato, in quanto strumento politico della borghesia, agisce solo ed esclusivamente in funzione degli interessi della classe dominante.

L'affermarsi di organismi internazionali che sostituiscono in alcune funzioni lo stato nazionale è un processo ancora in atto che non può essere considerato ancora concluso. Sono molto contraddittorie le istanze che spingono verso la creazione di organismi statali internazionali e quelle che vorrebbero che lo stato nazionale mantenesse ancora tutte le proprie prerogative. La borghesia non è una classe monolitica che si muove univocamente in una direzione, ma le sue diverse fazioni si scontrano ferocemente per tutelare i rispettivi interessi. Senza cadere in schematismi che spesso rischiano di stravolgere la realtà, è possibile individuare come in questo contesto la grande borghesia, quella legata soprattutto alle attività finanziarie, spinge affinché il passaggio verso uno stato sopranazionale sia più rapido di quanto non lo sia stato finora, mentre dall'altra parte la media e piccola borghesia s'oppone a questo processo in quanto tutto ciò potrebbe accelerare la fine di ogni sostegno statale diretto alle attività produttive.

La mondializzazione del capitale però se modifica le dimensioni dello stato borghese non modifica la sua natura di classe; lo stato sovranazionale sarebbe sempre uno strumento di dominio della borghesia. Il superamento della dimensione nazionale da parte dello stato borghese non deve essere letto come un fenomeno che attenuerà la tendenza allo scontro inter-imperialistico, al contrario la riorganizzazione statuale della borghesia, determinata dalle crescenti difficoltà incontrate nei processi d'accumulazione, accentuerà sempre di più lo scontro tra i nuovi organismi internazionali per spartirsi il plusvalore prodotto dal proletariato mondiale.

Nella sua nuova dimensione internazionale lo stato borghese manifesterebbe ancor di più la sua faccia oppressiva nei confronti del proletariato liberandosi sempre più del suo involucro democratico.

La fine della democrazia rappresentativa

Sviluppatasi in seno alle rivoluzioni borghesi del settecento, la democrazia rappresentativa si è espansa ed affinata tanto che nel corso del secolo scorso è diventata la forma politica dominante, permettendo alla borghesia di imporre il suo dominio di classe e nello stesso tempo dando l'impressione al proletariato attraverso la competizione elettorale di farne parte e poter per questa via migliorare la proprie condizioni di vita. Ora da più parti, soprattutto nella sinistra borghese e tra i neo riformisti, è suonato il campanello d'allarme per la deriva autoritaria di cui sono vittime gli stati a più antica tradizione democratica, ossia gli Stati Uniti d'America. Una crisi della democrazia rappresentativa che minaccia di travolgere i pilastri su cui si è retta la civiltà - ma meglio sarebbe dire: l'inciviltà - del capitale negli ultimi due secoli, con conseguenze economiche e sociali allarmanti.

Per tutta una fase storica, che ormai sembra arrivata al capolinea, la borghesia ha utilizzato il sistema della democrazia rappresentativa per imporre il proprio dominio di classe. Soprattutto nella fase ascendente di questo ciclo d'accumulazione, quando il ritmo di crescita economica era tanto sostenuto da permettere al proletariato livelli di vita e di reddito mai prima raggiunti, la democrazia rappresentativa è stata la forma ideologica e politica scelta dalla borghesia per gestire il permanente conflitto tra capitale e lavoro. Non che l'attività repressiva dello stato sia mai venuta meno quando le condizioni dello scontro di classe lo hanno richiesto, ma proprio grazie al generale miglioramento delle condizioni economiche la borghesia ha scelto questa forma di governo statale per garantire il proprio dominio di classe.

La democrazia rappresentativa è stata tanto efficace nello svolgere il proprio compito istituzionale che giustamente Lenin l'aveva definita come il miglior involucro per la conservazione del capitalismo. Attraverso questo sistema, il capitale è riuscito a coinvolgere il proletariato nei meccanismi dello stato borghese, tanto che i vari partiti socialisti che si sono formati alla fine dell'ottocento, grazie anche all'affermarsi del suffragio universale, hanno pensato che fosse possibile utilizzare gli strumenti della lotta politica borghese per difendere gli interessi del proletariato. Un sistema molto raffinato nel suo contenuto di dominio ideologico, capace di dare l'illusione di poter accedere attraverso le elezioni alle leve del potere senza nessun trauma rivoluzionario.

Il riformismo del secolo scorso si è sviluppato proprio nel solco della tradizione democratico-borghese. Affascinato dall'idea dei continui miglioramenti delle condizioni di vita del proletariato determinati dallo sviluppo capitalistico e dalla possibilità di scegliere attraverso la scheda elettorale i propri rappresentanti politici, il riformismo aveva attratto milioni di proletari con l'idea che il cambiamento in senso socialista della società fosse possibile progressivamente e pacificamente senza ricorrere alla rivoluzione. L'illusione riformista è miseramente naufragata sotto l'incalzare della crisi economica del capitale che non solo non ha permesso al proletariato di migliorare le proprio condizioni di vita, ma negli ultimi decenni ha visto la classe lavoratrice mondiale subire pesantemente gli attacchi della borghesia. Un peggioramento delle condizioni di lavoro, con tagli al salario ed incrementi dei ritmi produttivi che hanno fatto regredire il proletariato delle aree a capitalismo avanzato di almeno trent'anni.

I meccanismi della crisi economica hanno radicalmente modificato la società capitalistica. La mondializzazione, i processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale, la crescente proletarizzazione di ampi settori di piccola e media borghesia, l'affermarsi su scala mondiale di un'oligarchia economico-finanziaria capace d'influenzare miliardi d'individui con la propria ideologia, sono tutti fenomeni che hanno profondamente modificato gli schemi sui quali si era retta la società capitalistica fino a qualche decennio fa. La democrazia rappresentativa in questo nuovo contesto è diventata non più funzionale agli interessi della classe dominante. Se in passato, per tutte le ragioni sopra elencate, la democrazia rappresentativa è stata il miglior involucro per la conservazione del capitale, in questo nuovo quadro tale forma di dominio appare sempre più fardello ingombrante. Sono gli Stati Uniti il paese dove meglio si evidenzia il fenomeno; e non poteva essere altrimenti visto che proprio in questo paese i processi di concentrazione e centralizzazione del capitale, l'affermazione di un'oligarchia economico-finanziaria che senza alcuna forma di mediazione impone agli altri con la tracotanza del più forte le proprie scelte, si sono manifestati con un certo anticipo rispetto agli altri. Proprio il paese che è diventato il paladino della democrazia è quello che più di altri ha "tradito" in questi ultimi anni i principi dello stato democratico borghese.

Alle ultime elezioni presidenziali ha votato solo il 36% degli aventi diritto, ma quello che più conta è che la nomina a presidente degli Stati Uniti di Bush è avvenuta solo grazie ad un provvedimento del governatore dello stato della Florida, che sospendendo il conteggio dei voti, ha decretato la sua vittoria sul rivale democratico. Per dovere di cronaca e nello stesso tempo per far capire come funzione la democrazia borghese dall'altra parte dell'Atlantico, il governatore della Florida è il fratello del presidente degli Stati Uniti. Peraltro v è il forte sospetto che anche nella conta dei vota vi siano stati dei brogli. Il voto, infatti, non è espresso mediante una scheda elettorale ma attraverso lo schermo di un computer. Ogni elettore con la propria mano tocca uno schermo nella parte dove è indicato il proprio candidato preferito, questo semplice gesto viene memorizzato da un computer ed alla fine delle operazioni, senza alcuna traccia di documento cartaceo, vince la competizione elettorale il candidato che ha ottenuto il maggior numero di preferenze.

Fin qui nulla di strano, visto che la volontà del cittadino anziché con la scheda si esprime direttamente con il computer. Ma è proprio di questi giorni la notizia che il programma conta-voti utilizzato nelle ultime tornate elettorali negli Stati Uniti è insicuro e facilmente manovrabile sia dagli hacker che da funzionari propensi a favorire un candidato rispetto ad un altro. Visto che la Diebold, la società che fornisce i programmi conta voti, è tra i maggiori finanziatori della candidatura di Bush alle ultime presidenziali, si può comprendere come i dubbi sulla legittimità delle presidenziali del 2000 siano qualche cosa di più che semplici sospetti.

Il moderno capitalismo ha visto l'affermarsi sulla scena di gruppi economici che hanno necessità di imporre all'intera società i propri interessi, senza che questi siano filtrati dalla mediazione della politica per cui sta emergendo con sempre più forza la tendenza a non affidare la gestione del potere ai politici di professione in rappresentanza della classe dominante, ma sono gli stessi borghesi che direttamente ne assumono la direzione.

Negli Stati Uniti tale fenomeno ha assunto dimensioni tali da determinare l'affermarsi di forme di dominio diverse e spesso anche in contrasto con la democrazia rappresentativa. Ma gli Usa non costituiscono un caso isolato rappresentando solo la punta dell'iceberg di un fenomeno planetario. Per esempio, per molti versi, anche la situazione italiana non si differenzia molto da quella statunitense, visto che l'uomo più ricco d'Europa, Berlusconi, è anche a capo del governo e quindi può prendere tutte le decisioni politiche che meglio rappresentano gli interessi del suo gruppo e di quello ad esso collegato.

Conclusioni

Come nel passato, quando una società genera forme di polarizzazione della ricchezza tanto accentuate, con l'affermarsi di gruppi di potere che riescono a determinare l'andamento della vita politica senza l'appoggio delle altre forze sociali, si mettono in moto meccanismi di dominio in cui gli interessi dei pochi oligarchi schiacciano quelli della stragrande maggioranza della società. Pensare che la deriva autoritaria e l'affermarsi di una "democrazia oligarchica" sia un fenomeno transitorio significa stravolgere i reali rapporti tra il mondo della struttura economica e quella della sovrastruttura ideologico-politica. La fine della democrazia rappresentativa e l'affermarsi di stati di dimensioni internazionali sono fenomeni dettati dai profondi mutamenti in atto nell'ambito del capitalismo in questi ultimi decenni.

Pensare, come fa il neo-riformismo, che dalla crisi della moderna società si possa uscire recuperando i valori della democrazia rappresentativa significa ancora una volta stravolgere i dati della realtà in quanto ci si dimentica che la crisi della democrazia borghese e del suo stato non sono stati determinati dalla libera scelta di un qualche uomo di potere, ma è stata imposta dai mutamenti strutturali avvenuti nell'ambito della società capitalistica. Con la crisi dello stato nazionale e della democrazia rappresentativa si è definitivamente chiusa una fase storica, al proletariato il compito di trovare la forza politica per opporsi e sconfiggere la tirannide del capitale ed instaurare il proprio stato. Il proletariato nella sua lotta contro il capitale non deve aspirare a conquistare lo stato borghese, magari attraverso le elezioni, ma suo compito storico è quello di abbattere lo stato della borghesia per costruirne uno completamente diverso. Uno stato che è espressione degli interessi del proletariato e che abbia in sé la caratteristica di estinguersi di pari passo con l'eliminazione delle classi sociali. Ma uno stato che abbia in sé questa natura supera anche il concetto di democrazia, ossia dell'esercizio del potere da parte della maggioranza su una minoranza. Con l'abolizione delle classi sociali e l'organizzazione dell'intera società in funzione degli interessi della collettività, cessa storicamente l'esigenza di avere uno stato anche nella sua versione democratica.

Lorenzo Procopio

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.