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Home ›Lotte operaie nel mondo
Francia
Approfittando del periodo estivo e delle ferie di un gran numero di lavoratori, il parlamento francese ha approvato alla fine la controversa riforma delle pensioni proposta dal governo Raffarin. Alla riforma si erano opposti con gran forza i lavoratori francesi, ed in prima linea si erano battuti i dipendenti pubblici. Ma né il milione e mezzo di dimostranti che il 10 giugno hanno invaso Parigi, né gli otto scioperi generali che hanno bloccato il paese sono riusciti a impedire la riforma. Secondo le nuove norme, ai dipendenti statali non basteranno più 37,5 anni di contributi per godere di una piena pensione, ma ce ne vorranno 40, come avviene già nel settore privato. E già sono previsti gli inasprimenti che nei prossimi anni colpiranno tutti i lavoratori, pubblici o statali che siano, fino a richiedere 42 anni di contributi prima di poter accedere alla pensione.
Colombia
Un altro delegato sindacale è stato ucciso nei giorni scorsi, ad opera di paramilitari non meglio identificati, mentre vicino all'ospedale di Baranquilla aspettava l'autobus per tornare a casa. Probabilmente la sua morte è legata all'attività di denuncia svolta nell'ultimo periodo, riguardante episodi di corruzione e sottrazione di finanziamenti pubblici destinati all'ospedale, dove gran parte del personale paramedico non riceve lo stipendio da 8 mesi e i licenziamenti arbitrari sono all'ordine del giorno. Con quest'ultimo omicidio, sale a 42 il numero dei sindacalisti e attivisti morti ammazzati dall'inizio dell'anno nel paese.
Nigeria
Sono stati almeno dieci i manifestanti uccisi dai proiettili della polizia nel corso delle manifestazioni spontanee svoltesi in luglio contro l'aumento dei prezzi del carburante. Migliaia di persone hanno invaso le strade di Lagos, la capitale del paese, che conta circa 13 milioni di abitanti, incendiando copertoni di autovetture, bloccando i trasporti pubblici e gettando la città nel caos.
Due settimane prima il governo, nel tentativo di ridurre le spese pubbliche, aveva deciso l'abolizione dei sussidi per i carburanti, provocando un aumento immediato dei prezzi di benzina e gasolio pari al 54%. La misura è risultata particolarmente impopolare in quanto, oltre ai possessori di vetture private, ha colpito anche i pendolari e gli utenti dei trasporti pubblici, dato che il costo dei biglietti è aumentato in accordo agli aumenti del carburante. L'episodio ha messo in luce gli stridenti contrasti di un paese della periferia capitalistica, la Nigeria, che in realtà non è mai riuscito ad affrancarsi dal suo status di colonia: pur essendo ad oggi l'ottavo produttore di greggio al mondo, risulta privo di raffinerie ed è paradossalmente costretto ad importare la maggior parte del combustibile consumato.
La situazione è tornata alla normalità solo dopo 9 giorni, con l'annuncio della sospensione dei provvedimenti governativi e la conseguente discesa dei prezzi della benzina e dei carburanti in generale. La cessazione dei tumulti in Nigeria ha anche provocato una discesa dei prezzi del greggio sui mercati internazionali.
Brasile
Il gruppo automobilistico tedesco Wolkswagen ha annunciato l'intenzione di tagliare almeno 4 mila posti di lavoro in Brasile, riducendo drasticamente la manodopera negli stabilimenti di Tubate e Anchieta. Solo uno sciopero compatto e ad oltranza ha impedito alla Wolkswaggen di passare dalle parole ai fatti, salvando per ora gli operai dal licenziamento. I tagli annunciati corrisponderebbero a circa il 16% dei 25 mila dipendenti brasiliani del gruppo e sarebbero un ulteriore e duro colpo all'economia brasiliana.
Deludendo le illusioni suscitate dall'elezione dell'ex operaio e sindacalista Lula, la situazione del Brasile continua infatti ad essere assolutamente preoccupante. Su una popolazione di circa 250 milioni di persone, si contano almeno 40 milioni di poveri e un tasso di disoccupazione che arriva al 23% nelle zone più industrializzate come San Paolo. Il debito estero tocca ormai i 300 miliardi di dollari e i tassi di interesse superano il 25%, a segnalare il rischio di un imminente tracollo del sistema finanziario e produttivo. Di fronte ad una crisi di tale entità e certo non contingente ma strutturale, affondando le sue radici nelle contraddizioni profonde dello stesso sistema capitalistico, non esistono ricette facili che un governo anziché un altro possa applicare per modificare la realtà delle cose. Al di là dei provvedimenti di facciata, l'azione di Lula infatti non si differenzia da quella richiesta dagli industriali, prevedendo riduzioni di tasse per le imprese e aumenti per i dipendenti, tagli alla spesa pubblica in ogni campo, primo tra tutti quello delle pensioni. La stessa CUT. Il principale sindacato operaio fondato da Lula una ventina d'anni fa, mantiene un ruolo di opposizione alle riforme e ha annunciato per l'autunno un'ondata di dimostrazioni e scioperi.
Ma, nonostante i tentativi di arginare la crisi mettendo sotto torchio il proletariato, molti gruppi industriali stanno seguendo l'esempio della Volkswagen, che intende ridurre l'esposizione in un paese dal futuro incerto come il Brasile, dove tra l'altro sta perdendo quote di mercato (passando dal 27% al 21% in un anno) a favore dei gruppi concorrenti. Non diminuiranno invece gli investimenti in mercati più promettenti come il Messico, che beneficia della vicinanza con gli Stati Uniti, e la Cina, dove il gruppo investirà altri 6 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per ampliare la capacità produttiva dei propri impianti nella zona di Shanghai.
Cina
Sono stati condannati ai lavori forzati i due operai metalmeccanici che l'anno scorso avevano organizzato le proteste contro i licenziamenti senza liquidazione attuati dalla Ferro Alloy di Liaoyang. Nulla si sa riguardo alle condizioni di detenzione dei due operai, ma le loro condizioni di salute si starebbero aggravando di giorno in giorno, tanto che uno di loro sarebbe ormai costretto in sedia a rotelle e quasi cieco. Nel frattempo le proteste dei lavoratori della zona continuano, dettate da una disoccupazione che raggiunge il 60% e dalle sempre nuove e improvvise chiusure di fabbriche statali, che gettano i lavoratori per strada da un giorno all'altro e nella maggior parte dei casi non si preoccupano neanche di pagare gli indennizzi e i sussidi dovuti.
Lidl
La famosa catena di distribuzione Lidl, che opera nel settore dell'hard discount, non sembra preoccuparsi molto delle condizioni dei propri lavoratori e del rispetto delle regole di sicurezza. Pur di assicurarsi margini di profitto adeguati, ogni mezzo anzi sembra essere lecito, senza risparmiare nessuno dei 2700 dipendenti distribuiti nelle 300 filiali italiane: dalle cassiere, che devono sbrigare almeno 240 clienti ogni 4 ore (in media un cliente al minuto), rimanendo in piedi per lavorare più in fretta, ai commessi che devono rinunciare ai guanti antinfortunistici e schiacciare i cartoni a mano anziché con le apposite presse in modo da accelerare ulteriormente i ritmi. È quanto emerso nella sentenza del tribunale di Savona, che ha condannato per attività antisindacale l'azienda, che annovera 4500 filiali e 45mila dipendenti in organico in tutta Europa. Tra le infinite vessazioni a cui sono sottoposti i lavoratori, il contratto part-time che dovrebbe regolare le condizioni di lavoro di molti di loro finisce per essere sistematicamente violato: l'orario fisso non è quasi mai rispettato e i turni vengono tranquillamente cambiati il giorno prima, o addirittura in giornata, a seconda delle necessità del momento. La giornata lavorativa arriva in alcuni casi alle 14 ore, e a tutti viene imposto, completamente al di là delle mansioni contrattuali, di pulire i gabinetti e spazzare i piazzali antistanti i negozi.
micBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 2003
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