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Miliardi di essere umani muoiono di fame, ma l'unica cosa che conta è il profitto
Lo scorso mese di settembre si è tenuta a Praga l'annuale riunione congiunta della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Confermando la tradizione, i lavori delle due organizzazioni internazionali sono serviti per fare il punto sullo stato di salute dell'economia mondiale; ministri finanziari, banchieri e rappresentanti del Fondo Monetario e della Banca mondiale hanno sottolineato come il capitalismo stia vivendo una fase di significativa crescita e anche il vecchio continente, dopo un decennio di tassi di crescita prossimi allo zero, abbia ormai imboccato la strada della ripresa economica. L'ottimismo dimostrato nell'occasione dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale è stato tale che nel corso dei lavori sono stati delineati scenari di crescita economica che ricordano quelli dell'immediato dopoguerra. Tanto per fare un esempio, per l'Italia è stato previsto che il suo prodotto interno lordo cresca nei prossimi anni mediamente del 3%, riducendo in tal modo sia il rapporto tra debito pubblico e PIL che il numero dei disoccupati. Una ripresa che dovrebbe consentire all'Italia, e all'Europa in generale, di risolvere il principale problema sociale, ossia quello della disoccupazione di massa.
Per i corifei della borghesia internazionale la globalizzazione dell'economia ha permesso al capitalismo di riprendere la marcia dello sviluppo economico e migliorare le condizioni sociali dell'umanità.
Dietro l'ottimismo di facciata del Fondo Monetario, i rappresentanti dei vari paesi si sono dimostrati preoccupati per l'aumento del prezzo del petrolio e della svalutazione dell'euro rispetto al dollaro e alla moneta giapponese. Proprio l'aumento del prezzo del greggio, secondo il giudizio degli economisti del Fondo, potrebbe determinare una contrazione della crescita economica, diminuendo considerevolmente gli effetti positivi dell'attuale congiuntura. Secondo le ultime stime, se il prezzo del petrolio si colloca oltre i trenta dollari al barile, produce effetti negativi non solo sull'economia dell'Europa ma anche su quella statunitense e giapponese. Queste motivazioni hanno spinto il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale a prendere posizione nell'invitare i paesi produttori ad aumentare la quantità di petrolio estratta quotidianamente. Solo dichiarazioni di principio che hanno completamente dimenticato di analizzare i reali motivi che hanno spinto all'insù il prezzo del petrolio. Ovviamente non si è considerata l'importanza assunta negli ultimi decenni dal greggio nella formazione della rendita finanziaria e di come gli Stati Uniti, proprio per il fatto che il petrolio viene pagato in dollari, traggano un enorme vantaggio dall'aumento del prezzo del petrolio stesso.
Ma il grande malato dell'economia mondiale è la nuova moneta europea. Dalla nascita, avvenuta il primo gennaio 1999, l'euro si è svalutato rispetto alla moneta statunitense e allo yen di circa il 30%, registrando nei giorni del vertice di Praga continui record negativi. A preoccuparsi della svalutazione della moneta europea sono i giapponesi e soprattutto gli Stati Uniti, i quali subiscono pesanti deficit commerciali a causa della rivalutazione del dollaro.
La crisi dell'euro rappresenta un vero pericolo per gli interessi strategici del capitalismo statunitense; un euro eccessivamente svalutato, non solo rende più competitive le merci europee sul mercato americano, ma incide negativamente sui consumi europei di prodotti americani. Ed i primi effetti sono ormai evidenti: il colosso americano dell'Intel, quello che produce i microprocessori, ha annunciato che le esportazioni nel vecchio continente negli ultimi mesi sono calati in maniera considerevole. In seguito all'annuncio, il titolo ha perso in borsa in una sola seduta il 22% del proprio valore, bruciando qualcosa come 200 mila miliardi di lire di ricchezza finanziaria, la più grande perdita finanziaria di un titolo in una sola seduta. La svalutazione dell'euro se da un lato squilibra i rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Europa, a vantaggio di quest'ultima, rappresenta un fattore d'instabilità che potrebbe innescare nell'immediato futuro crisi finanziarie sistemiche.
Sul piano finanziario la svalutazione dell'euro sta evidenziando i reali rapporti interimperialistici tra le tre aree che si stanno contendendo il dominio sul pianeta. Nella fase attuale gli Stati Uniti rappresentano il paese che più d'ogni altro è in grado di esercitare la propria egemonia sul piano finanziario. Grazie all'egemonia del dollaro, gli Usa sono in grado di trarre un enorme vantaggio nella spartizione della rendita finanziaria mondiale, spostando nel proprio paese una massa enorme di plusvalore estorto al proletariato mondiale. La svalutazione dell'euro, oltre ai motivi commerciali sopra citati, s'origina in quel flusso continuo di capitali che dall'Europa si spostano negli Stati Uniti; è stato calcolato che l'ammontare annuo di tale massa è di 400 mila miliardi di lire. L'euro si svaluta perché i capitali europei si spostano sui mercati americani per essere investiti nella borsa di New York o per acquistare i titoli di quella voragine che è il debito pubblico americano.
La stabilizzazione dell'euro costituisce in questa fase una priorità per tutti e per questo motivo che le banche centrali più importanti hanno intrapreso un'azione comune per frenarne la svalutazione. Gli effetti di tale azione si sono esauriti nel volgere di qualche giorno; infatti, dopo una breve ripresa dell'euro rispetto al dollaro, la discesa della moneta europea è continuata inarrestabile. La sterilità dell'azione delle banche centrali è un fatto scontato se consideriamo che la massa di capitali che riescono a mettere in campo rappresentano una goccia in un oceano, poche centinaia di miliardi di dollari rispetto agli oltre tre milioni di dollari che quotidianamente si spostano sui mercati finanziari di tutto il mondo. La tanto osannata globalizzazione dell'economia può essere sintetizzata nell'esplosione delle attività parassitarie. La polarizzazione della ricchezza che si è registrata negli ultimi anni in ogni angolo del pianeta è la naturale conseguenza dell'agire del capitale finanziario, che pur non producendo una sola goccia di plusvalore, pretende di valorizzarsi come qualsiasi capitale investito nella produzione. Ora, se riflettiamo su quest'aspetto possiamo osservare come il capitale finanziario non solo si appropria di quote di plusvalore, ma polarizza la società in due gruppi, quello dei possessori di capitale finanziario che s'arricchiscono sempre di più e quello che costituisce la stragrande maggioranza delle persone che rimangono escluse dal circuito e nella sostanza subiscono passivamente il processo di spoliazione.
Anche a Praga, così come Seattle, la contestazione del riformismo internazionale ha ostacolato lo svolgimento dei lavori e proprio a causa della protesta il vertice si è concluso con un giorno d'anticipo. La protesta dei manifestanti non è andata oltre una sterile critica romantica alla realtà del capitalismo. È stata contestata l'azione delle due organizzazioni internazionali, senza però mettere in discussione il modo di produzione capitalistico, l'unico vero responsabile della miseria crescente in tutto il pianeta. Senza una critica che pone sul banco degli imputati il capitalismo si rimane inevitabilmente sul terreno della conservazione e quindi complici inconsapevoli della barbarie della società borghese.
L'ingenuità riformista, il pensare che il capitalismo possa essere migliorato senza abbatterlo si scontra con le dichiarazioni del governatore della banca d'Italia Fazio che intervistato da un giornalista su cosa possono fare il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per alleviare le sofferenze di miliardi di esseri umani che soffrono la fame, ha risposto che sono questioni che le due organizzazioni non tengono in considerazioni in quanto il loro obbiettivo è quello della stabilità del capitalismo. Come dire a noi interessano solo i profitti, ma il riformismo fa finta di criticare questa logica ma nei fatti ne è complice.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2000
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