Posizioni contrastanti sul partito

Il 1952 viene considerato dalla maggior parte dei discepoli bordighisti quale anno di nascita del "vero, puro e organico" partito continuatore della Sinistra italiana. I precedenti, e "terribili otto anni", che videro la fondazione, lo sviluppo organizzativo e l'azione politica del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia Comunista e Prometeo) furono liquidati da Bordiga con il riconoscimento postumo (cioè dopo la scissione del 1952) di un periodo nel quale il partito "si formò in Italia durante la Resistenza scavando un abisso tra s‚ e il fronte sconcio della Liberazione nazionale, e seppe tenere in piedi il caposaldo della continuità della teoria e del metodo di azione dei comunisti". Più prudenti, nell'imbarazzato tentativo di sostenere una continuità che a loro non apparteneva, i programmisti accennavano ancora (1972) al partito di "ieri" quale "nucleo del P.C.Internazionale di oggi". "Prematura" fu giudicata, comunque e sempre, la costituzione del Partito nel 1943, sia da parte di Bordiga che di quanti successivamente gli si affiancarono. E di questo rilievo critico si sono appropriati tutti coloro i quali sono rimasti per decenni adagiati in uno stato di "immaturità" soggettiva, con personali disquisizioni attorno alle "adeguate articolazioni tattiche" e ad altri "problemi formali", immersi nella statica contemplazione del partito "storico".

Bordiga fu dunque estraneo a quel compito di ricomposizione politica e organizzativa della Sinistra italiana, verso la cui risoluzione si dedicarono i sopravvissuti compagni del '21. Nel dopoguerra - secondo Bordiga - "non poteva esserci posto per una forza rivoluzionaria a sinistra del Pci"; meglio un organismo, la Frazione, di studio e di riflessione critica. Questo il suo convincimento, almeno fino al '52, quando nelle Tesi caratteristiche assumerà - nello spazio di pochi mesi - una posizione contrastante con quella precedente.

Partito storico e partito formale

Le dispute sorte nella cerchia bordighista, durante i primi anni Sessanta, sulla artificiosa "questione dottrinale" della differenza (citiamo i loro pensieri) tra partito storico e partito formale, tra "organizzazione della riflessione teorica (l'organica attività) " distinta dalla "agitazione organizzativa" politicamente intesa, si giustificavano e quindi si risolvevano con l'annuncio (1965) della raggiunta soluzione: la proclamazione del partito internazionale. Ovvero, il partito idealmente perfetto, al tempo stesso partito storico (programma invariante) e partito formale, cioè contingente.

Come più volte da noi affermato, la specificità "partito storico-partito formale" può essere accettata solo sulla base di una precisazione riguardante le possibilità reali di intervento in funzione delle condizioni oggettive. In tal senso, il partito formale non può essere considerato se non come la conseguenza di una prima situazione (partito storico). Entrambi, quindi, come fasi, come aspetti di uno stesso processo di costruzione del partito rivoluzionario - strumento politico della lotta di classe - lungo i periodi di calma e di ripresa di una lotta che comunque non cessa mai di esistere. Momenti che il partito deve comprendere teoricamente e dominare tatticamente.

Elevare al rango di dogma incontestabile la separazione tra il presente controrivoluzionario e il futuro rivoluzionario, tra la condizione di partito storico e quella di partito formale, e introdurla nella vita dell'organizzazione, significa in fin dei conti che più il partito si allontanava dalle condizioni materiali e sociali della classe in termini di prassi e di disposizione psicologica, più il partito formale prendeva delle dimensioni metafisiche. Più il partito storico sentiva i limiti inevitabili che erano i suoi, bloccato come era nella situazione sfavorevole, con un proletariato che faceva fatica a rialzare la testa, più si delineava la concezione esacerbata di un partito formale potente, monolitico, onnisciente avendo previsto e risolto tutto, tronfio della propria 'invarianza'. Al punto di considerarlo non più solamente come strumento politico della lotta di classe, ma come prefigurazione del socialismo, vale a dire come monade politica che racchiude e sorpassa qualsiasi contraddizione; espressione organizzativa dell'infallibilità e che non può che essere l'unico soggetto della dittatura del proletariato; che non può tollerare nel suo seno alcuna forma di discussione e ancor meno di vita democratica, anche diretta.

Da Le bordiguisme et la gauche italienne, edizione Bipr

La formula equivoca "partito storico-partito formale" è servita a suo tempo ai programmisti stessi per giustificare il loro nullismo politico nel periodo precedente; venne poi rinnegata nei fatti senza essere riveduta in teoria (dalla creazione del partito formale, solo nel '52, al successivo super attivismo para-sindacale). Un altro punto di arrivo fu la degenerazione di alcuni gruppi passati sul terreno dell'idealismo, quali "Invariance", e di altri gruppettini dispersi nella attesa dell'avvento di mal digerite "gemeinwesen".

Programma e prassi, principi e movimento storico

Le argomentazioni teoriche, o meglio le forzature idealistiche sul tema in discussione, non avevano un minimo fondamento materialistico. Le astrazioni e le divagazioni retoriche andavano a scapito sia di una precisa metodologia e sia di una sostanziale aderenza all'insieme dei principi. A scapito, in definitiva, del partito così come è sempre stato considerato dai comunisti rivoluzionari, secondo il suo significato più preciso e complessivo: una organizzazione concreta di uomini, l'avanguardia della classe, sulla base costitutiva di un programma elaborato coi principi e col metodo marxista.

Il partito rappresenta questo programma; la caratterizzazione politica del partito si evidenzia attraverso la difesa e la diffusione del programma (e la sua verifica), e impegnando se stesso e la classe verso la sua realizzazione pratica. È questa la famosa prassi rivoluzionaria, senza la quale anche la teoria marxista, come il mondo delle idee, girerebbe eternamente nel vuoto delle illusioni.

Quella teoria e quei principi, ai quali costantemente si richiama il partito e dai quali trae la propria forza e ragion d'essere, fanno capo a un movimento storico reale, e non viceversa. Questi principi costituiscono nel loro insieme, come diceva Engels, "l'espressione teorica del proletariato nella sua lotta contro la borghesia, e il compendio teorico delle condizioni della sua liberazione".

Anche successivamente, il perfetto partito mondiale uscito dalla fervida fantasia degli epigoni bordighisti si tenne ben lontano dal tentare di risolvere - lo scrivevamo su Battaglia Comunista n. 16/17 del 1982 - "il problema teorico fondamentale della definizione delle linee di partito sulla base dell'esame e delle previsioni di evoluzione delle situazioni". Idealisticamente, quindi, i programmisti si dichiaravano partito senza sapere ancora bene cosa il partito dovesse fare. Per di più affermando la non esistenza di una stretta connessione tra le direttive programmatiche e le regole tattiche.

E pur dando per risolta, e su scala mondiale, la questione della costruzione del partito e del suo "centro organico" personalmente forgiato da Bordiga, in seguito giungevano alla ammissione che tale questione era stata addirittura male impostata (per ben tre decenni!) e portata avanti attraverso "una attività decentrata e localistica soltanto formalmente coperta da una centralizzazione di facciata". (Programma Comunista, n. 20 - 1982)

Tutto questo quando, e noi in quel periodo lo avevamo chiaramente riaffermato nel nostro V Congresso...

il processo di costruzione del partito internazionale non può essere inteso scavalcando brutalmente il problema di fondo, il problema dialettico che esiste fra esperienze politiche nazionali e necessaria sintesi sovranazionale. Non si può liquidare questo problema affermando come base sufficiente all'operare del partito internazionale un generico 'orientamento teorico programmatico' che costituisce la esperienza internazionale del proletariato, a cui ci si ispira per la definizione delle nostre stesse linee di azione di partito, in Italia. Il processo di centralizzazione non consiste nella erezione di un vertice nazionale a vertice internazionale da cui emanare 'basi' nazionali in altri paesi, per altre situazioni. Qui non è un problema di volontà, capacità direttive o che altro. Semplicemente è sbagliata l'impostazione del problema, talch‚ esso non sarà mai risolvibile. Il partito internazionale è il prodotto della sintesi sovranazionale delle esperienze di classe e delle battaglie politiche delle diverse sezioni nazionali di classe.

Battaglia comunista, n. 16/17 - 1982

La incompatibilità di Bordiga con le posizioni e l'attività del P.C.Internazionalista si fondava - lo ripetiamo - nella propria valutazione (dopo quella ottimistica dei primi anni del dopo-guerra) di una situazione generale di degenerazione teorica e di depressione politica. Ciò era indubbiamente vero, ma a suo dire non rendeva ammissibile alcuna prospettiva di una ripresa della lotta di classe se non a lunghissima scadenza. Quando, cioè, sarebbe stato di nuovo possibile ripercorrere gli schemi prestabiliti secondo la tradizione classica del passato movimento proletario. In una situazione controrivoluzionaria - queste erano le sue deterministiche conclusioni - è antistorico e anti-marxista ogni tentativo di organizzarsi in partito di classe poich‚ la classe stessa non esiste...

Inoltre, e sempre seguendo il pensiero bordighiano, in tempi di massima reazione non esisteva alcuna possibilità di reagire se non opportunisticamente. E nella messianica attesa dell'ora X, Bordiga deduceva dai suoi calcoli meccanicistici la necessità, per lui logicamente conseguente, di un restringimento di ogni attività e presenza politica, limitandole alla "propaganda orale e scritta della vera e sana dottrina". Dalla quale, come vedremo e grazie al mitico fascino esercitato dal vecchio capo storico della Sinistra italiana, sarebbero derivate non poche astrattezze metafisiche, per lo più rivolte a contrastare i pretesi "scopritori battaglisti di nuovi veri".

Il determinismo contemplativo

Nell'attesa di un ritorno a condizioni storiche ottimali, il circolo di Bordiga e dei suoi discepoli preferiva rinchiudersi in un "lavoro" di contemplazioni del passato e di statiche attese del futuro, respingendo nella concreta realtà dei propri comportamenti qualunque tipo di attività politica, sempre intesa e condannata come un "puttaneggiamento ispirato da pruriti personalistici". Alcuni fra gli "interessantissimi, potenti e scintillanti" saggi di Bordiga si attirarono anche qualche apprezzamento da parte di esponenti della intellighentia borghese e piccolo-borghese, quando, attorno agli anni Settanta, si manifestò una certa attenzione verso l'estrema sinistra del Pci e una riscoperta delle vicende storiche di Bordiga. Da un F.Livorsi a un W.Tobagi, che giudicavano invece i "seguaci della prima ora", come O.Damen, differenti perch‚ "nullistici nella teoria come nella pratica", o - ripetendo il ritornello degli stessi bordighisti - "con una posizione più transigente verso il politicantismo elettoralistico"...

La verità è che il bordighismo, nel senso più deteriore assegnabile ai vari "ismi" e grazie alla esaltazione con cui molti adepti appoggiarono opportunisticamente le sue spesso paradossali esternazioni, ha finito col portare più confusione che chiarezza nella attività teorica e nella esperienza politica della Sinistra comunista dagli anni Cinquanta in poi. Il pensiero del Bordiga post-crollo della Terza Internazionale si è infatti successivamente sviluppato col metodo di un esasperato determinismo meccanicistico, spesso non materialisticamente dialettico, e col riferimento a una esclusiva interpretazione personale fondata sulla acritica costruzione di una superiore infallibilità, insofferente a ogni confronto e discussione.

Dal pensiero e dagli atteggiamenti assunti da Bordiga si differenzierà e sopravviverà storicamente la Sinistra italiana, a partire dal 1926 e fino ai nostri giorni. Al personaggio Bordiga (e ai suoi epigoni) non rimaneva, a questo punto, che la preoccupazione di giustificare teoricamente quella che sarebbe diventata da allora una delle sue caratteristiche principali: l'inattività politica (con successive esplosioni - fra i seguaci - di un super-attivismo irresponsabile); la rinuncia e la estraneità nei termini concreti della organizzazione del partito di classe e della milizia rivoluzionaria.

Premesso, come abbiamo visto, che dal 1926 al 1946 per Bordiga non è esistita alcuna continuità del marxismo rivoluzionario, n‚ teorica n‚ materiale, tale continuità sarebbe improvvisamente riapparsa - tramite la sua persona - con una grave serie di errori di valutazione politica e di prospettiva storica. Tra questi: deviazione al posto di controrivoluzione; distinzione dei capitalismi in guerra secondo una graduatoria di responsabilità diverse, e con la "scoperta" di belligeranti progressivi e belligeranti regressivi. E sulla esperienza russa: molte incertezze e dichiarate cautele. Nel complesso, quindi, posizioni ideologiche e tattiche che nella applicazione del marxismo (questione ben diversa dalla sua rilettura) sfioravano qua e là conclusioni revisioniste e intermediste, "situantesi cioè tra il nostro partito e lo stalinismo" (O.Damen).

Il "determinismo dialettico" professato dall'ultimo Bordiga al posto del materialismo storico e dialettico, ha portato a gravi errori di prospettiva e di tattica. Fino a osteggiare, nella sostanza, sempre e comunque la possibilità di una attività dell'avanguardia rivoluzionaria del proletariato, se non attraverso la rappresentanza astratta del dogma, il corpo dottrinario. Una attività ritenuta superflua se esplicata oltre i limiti di esclusive e ostentate esercitazioni di restauro dottrinario. E in queste superiori visioni teoretiche non è mai la classe operaia, fatta anche di sangue e muscoli, che fa la storia (secondo l'ultimo Bordiga, la classe si limita, e solo grazie alla presenza di un particolare tipo di partito, a "registrare" fatti e risultati), ma sarebbe invece lo stesso capitalismo, le sue forze agenti in senso di sviluppo produttivo contraddittorio o addirittura in senso controrivoluzionario, come nel caso dello stalinismo. Sullo sfondo è dominante una inerzia politica, a far da "solido ponte" fra la controrivoluzione attuale e la futura rivoluzione. Il pensiero bordighista fa pertanto sua la massima filosofica cinese, che predica: "siediti sulla riva del fiume e vedrai passare il cadavere del tuo nemico".

Queste posizioni fatalistiche erano mosse da un quietistico opportunismo, fondato su schemi tendenti a fissare linearmente il processo del movimento rivoluzionario, secondo tappe obbligate di sviluppo che le masse operaie dovevano raggiungere quasi automaticamente e senza alcun tormento di acquisizione. Riguardo al partito, esso esisteva solo in quanto si dimostrava capace di ricostruire il programma e descrivere il socialismo. Per il resto, aspettava che i fatti gli dessero ragione: la milizia rivoluzionaria era tabula rasa, anzi, diventava pericoloso "attivismo".

Era facile rispondere con quello che Plekhanov scriveva nel 1898:

Ancora una volta: la coscienza della inevitabilità assoluta di un dato fenomeno non può che aumentare l'energia dell'uomo che simpatizza con esso e che si considera una delle forze che provocano questo fenomeno. Se quest'uomo incrociasse le braccia rassegnandosi alla sua inevitabilità, dimostrerebbe con ciò di conoscere male l'aritmetica. Infatti supponiamo che il fenomeno A debba inevitabilmente prodursi, se esisterà una determinata somma di condizioni S. Voi mi avrete dimostrato che una parte di questa somma esiste già e che l'altra parte si realizzerà in un determinato momento T. Convintomi di ciò io, - uomo che simpatizzo con il fenomeno A - esclamo: Molto bene! e mi metto a dormire fino al giorno felice in cui si realizzerà l'avvenimento da voi predetto. Che cosa ne risulterà? Ecco che cosa. Secondo i vostri calcoli, la somma S, necessaria perchè avvenga il fenomeno A, comprendeva anche la mia attività, che noi chiameremo a. Però, siccome io mi ero messo a dormire, la somma delle condizioni favorevoli all'avvento di tale fenomeno nel momento T non sarà più S ma S-a, il che cambierà la situazione...

Il film della futura rivoluzione

La tanto promessa e attesa "Grande Confessione" del tradimento operato da Mosca, e con la quale si sarebbe dovuto concludere l'evoluzione dell'opportunismo stalinista, ha finito con l'ibernare il bordighismo trasformandolo in spettatore passivo - per propria scelta - di una tragedia dallo sperato lieto fine. Era al contrario facile prevedere, ma questo non fu il caso di Bordiga, che senza la attiva presenza di un partito comunista rivoluzionario degno di questo nome e radicato non nel pensiero di pochi eletti ma nella realtà della classe operaia, alla fine a riprendere forza sarebbe stata unicamente la reazione borghese e il capitale. E infatti questo oggi è accaduto.

A parte tutto il gradualismo presente in una concezione che affida la sconfitta dell'opportunismo all'opportunismo stesso e non all'opera del partito rivoluzionario e alla sua diretta influenza nella classe, un'altra constatazione si impone. Nel rifiuto di partecipazione alle lotte economiche e politiche del proletariato (posizione per anni sostenuta dai bordighisti per non contaminare i loro principi) era evidente la totale mancanza di fiducia nei veri principi e metodi del marxismo, espressi nelle norme tattiche e nei fini strategici del partito. Una forma mentale, questa, di opportunismo rinunciatario e imbelle, che altro non sa vedere nel concreto agire che il pericolo di cadere in manifestazioni di semplice operaismo, riformismo, eccetera. Il timore, in breve, di non saper tenere un comportamento da rivoluzionari in ogni occasione e manifestazione delle lotte operaie, anche le più elementari.

Nell'attesa della radiosa aurora il bordighismo deteriore del secondo dopoguerra ha "schifato" sia le situazioni obiettive che il travaglio del movimento operaio, condannato a espiare le colpe delle sue contaminazioni social-opportunistiche e democraticistiche. Il proprio aristocratico distacco da ogni concreto problema veniva controbilanciato dal compito impegnativo di una super-ginnastica del prediletto muscolo cervello, teso a osservare "il film della vittoria rivoluzionaria che scorre dinanzi ai nostri occhi nella incomparabile moviola marxista" (Programma Comunista, n. 9 - 1961). E nel filmato, ancora oggi in visione privata, ogni evento, ogni fotogramma viene salutato dagli epigoni come "la premessa materiale indispensabile a che si determinino le condizioni oggettive per spezzare la morsa che impedisce lo sviluppo della umanità lavoratrice" (Il Partito, n. 198 - 1992). Quest'ultimo gruppo di ortodossi intransigenti respingerebbe, sì, la teoria del "genio" ricostruttore della dottrina, ma soltanto perch‚ rinfaccia agli altri concorrenti "la traditrice riverenza di pubblicare le sue opere post-mortem con tanto di nome e cognome"...

La formazione del partito e delle sue linee politiche e indicazioni tattiche, era, dunque, condizionata dalla messianica ostentazione di una fede esasperatamente deterministica. Dominante era l'attesa, tanto oggettiva che soggettiva, dei provvidenziali eventi della Storia. Ci si inchinava estasiati davanti al "sofferto e immane lavoro di ricerca delle coordinate essenziali"; il culto dell'innominata mente, depositaria dell'unica e giusta interpretazione, esauriva in s‚ ogni possibilità di contribuire alla elaborazione e continuità della critica marxista. Si negava l'individuo ma si esaltava la sua opera personale, vietando la partecipazione di ogni altro singolo membro del partito; una imposizione che equivaleva alla negazione della realtà e delle finalità collettive della classe.

Ma non si ricostruisce il partito n‚ ci si abilita alla direzione del movimento comunista soltanto compilando tabelle e diagrammi, serie statistiche e grafici, ignorando che l'attività politica, la preparazione e lo sviluppo stesso della rivoluzione rientrano tra i compiti del partito e non si possono liquidare - per quieto vivere - come semplici cadute nell'empirismo e nel contingentismo. Queste deviazioni, semmai, non si combattono limitandosi a contemplare il "metodico e impersonale lavoro" di una certa..."sonda umana"; n‚ a registrare e vistare le "agoniche convulsioni della base economica capitalistica", autorizzando così gli editori di turno a fregiarsi del titolo onorifico di potenziale partito comunista internazionale.

Altri, infine, e sempre del filone epigonista, si sono immersi in un delirio di assoluti idealistici e di necessità fatalistiche, sognando il "vero partito mondiale, compatto e potente"; un partito che "riapparirà" e potrà esistere solo nelle condizioni di "una saldatura totale tra movimento economico e movimento politico, organizzazione e internazionalismo, principi e tattica, centralismo e antidemocratismo, comunismo e impersonalismo (Dal "Filo del Tempo" - Roma 1978).