La previsione delle previsioni

È a partire dal 1955 che Bordiga "osò" lanciare la "previsione delle previsioni per una terza guerra mondiale e un nuovo corso rivoluzionario" entro il 1975 (le citazioni sono sempre tratte dalla stampa dei programmisti).

Senza dubbio, per un marxista, la fase di una profonda crisi sociale e politica - oltre che economica - fa parte fondamentale della sua visione storica del futuro; egli l'aspetta, e nei limiti delle possibilità soggettive ne prepara gli sbocchi rivoluzionari, affilando le armi (della critica e dell'organizzazione di classe) e non lucidandosi le pantofole.

Sarebbe però del tutto antiscientifico il pretendere di fissare date e luoghi sulla base, oltretutto, di schematismi aleatori e condizionati da una serie primaria di "se", che sposta ancor più sul piano idealistico il "discorso" e trasforma in un giuoco di sillogismi le analisi del materialismo dialettico.

Qui non si tratta di "ironizzare" sul fallimento di un pronostico. L'obiezione principale va rivolta innanzitutto al fatalismo delle circostanze concatenantesi; ai rapporti meccanicistici; al processo lineare e prestabilito che astrae dalla prassi reale, condizionata e condizionante, facendola schiava di una logica deterministica dagli spiccati caratteri fideistici. In essa i "se" si allineano in ordine progressivo: "se" sorgeranno violenti moti di classe; "se" si verificherà la "restaurazione integrale della teoria" e la riorganizzazione del partito mondiale; "se" i movimenti dell'esercito nemico saranno quelli che ci aspettiamo, eccetera (ma vi ricordate il "vero" Bordiga del 1922, che metteva in guardia i compagni dal considerare "il partito come 'soggetto' invariabile e incomparabile delle astruserie filosofiche", invece che come "a sua volta un elemento oggettivo della situazione"? Situazioni non manipolabili a piacere e dove l'arte militare ben poco può fare di fronte a eserciti la cui "formazione a spese di strati indifferenti e delle stesse schiere nemiche si attua - e può attuarsi tanto da una parte come dall'altra - mentre si svolgono le ostilità").

Tutte quelle condizioni, che sono in realtà e a loro volta anche dei risultati di una attività politica, si devono pertanto integrare dialetticamente tra di loro e con le spinte provenienti dalle contraddizioni del processo economico esterno. Non c'è e non vi sarà mai una continuità di cause ed effetti, ma una discontinuità di azioni e reazioni reciproche nel rapporto dinamico tra forze (la classe) e forme (il partito), così come avviene tra la base economica (in crisi) e le varie sovrastrutture da essa influenzate e reagenti. La scientificità del metodo marxista si disperderebbe in costruzioni metafisiche, senza alcuna aderenza concreta ai problemi e ai fatti del reale, se non fosse in grado di darsi un equivalente politico, uno strumento di trasformazione rivoluzionaria del mondo.

In effeti, le "condizioni di snodamento rivoluzionario" - a parte qualche automatismo di troppo - diventano la fase stessa dello sviluppo rivoluzionario, purch‚ questo non lo si veda come un fatto riservato alla Storia la quale si infischierebbe della attività - o del "dimenarsi", secondo Bordiga (5) - degli uomini divisi in classi contrapposte. Il problema è perciò quello di prepararsi, sì, ma non per assistere da spettatori o lettori, bensì da militanti rivoluzionari in grado di rendere cosciente, inquadrare politicamente e organizzativamente, dirigere il movimento facendo della teoria una guida per l'azione e non per la compilazione di schedine all'Enalotto della Storia.

Quale valore e quale fecondità potrebbe mai avere per un marxista una formulazione di questo tipo: "date quelle condizioni", gli eventi si svolgeranno in un quadro prefissato (Programma - 1990)? Siamo in presenza di una forzatura idealistica del materialismo, non più dialettico nè storico, e comportante per il proletariato il rischio non solo di "perdere l'autobus" ma anche tutto il prezioso bagaglio che si porta appresso.

Il termometro delle condizioni

Alla fatidica data (1975) intravvista come momento storico risolutivo, il pensiero bordighiano vi arriva passando attraverso tre fasi preparatorie che così venivano elencate, designando per ciascuna una "unità di misura non inferiore al quinquennio":

  1. una prima fase di vittoria dottrinale;
  2. una seconda fase di vittoria del partito marxista mondiale;
  3. una terza fase con la riproposizione della questione del potere di classe (Programma, n. 2 - 1958).

In queste tre tappe il termometro è la rottura di equilibrio a carico, prima e soprattutto - vogliano gli idioti scusarci - degli Usa e non dell'Urss. La lingua batteva, evidentemente, là dove il dente doleva. E qui ritorniamo al discorso delle "condizioni" per constatare come il contenuto politico-tattico dei messaggi compresi nella super-visione di Bordiga non abbia niente di fecondo, intestardendosi opportunisticamente sulla arbitraria differenzazione Usa-Urss che in seguito, e proprio la famosa Storia, avrebbe mandato a rotoli.

Quali furono le reazioni di Bordiga e dei suoi seguaci alle critiche e alle puntualizzazioni che gli venivano rivolte? Secondo l'abituale costume, Bordiga finse di ignorare ogni confutazione come se nulla esistesse al di fuori delle proprie esternazioni diffuse attraverso i "monolitici" testi del suo circolo-partito. Le rare risposte, a base di insulti e derisioni, furono sempre indirette e allusive, con un unico scopo: deformare ulteriormente tutta la questione e le posizioni altrui.

Un tipico esempio (da Programma, n. 21 - 1957):

Una simile prospettiva [la rivoluzione internazionale futura avrà il suo epicentro tra Berlino e il Reno, quindi attrarrà il Nord dell'Italia e il Nord-Est della Francia - ndr] non è accessibile ai minorati che non vogliono concedere un'ora di relativa sopravvivenza a nessuno dei capitalismi per loro tutti eguali e da giustiziare in fila, anche se invece di missili atomici si impugnano siringhe a retrocarica.

Trentatre anni dopo, commentando il fallito pronostico bordighiano, gli epigoni fanno finta di paragonare il nostro "indifferentismo, tipico di alcuni gruppi di falsa sinistra", allo sgomento che colpisce e fa "arretrare l'establishment borghese, oggi che l'unificazione delle due Germanie batte alle porte" (Programma - 1990). E noi saremmo colpevoli di...

non valutare il peso relativo sullo scacchiere mondiale, agli effetti della conservazione dello status quo, dei diversi capitalismi: di quello Usa, per esempio, piuttosto che di quello Urss; e sarebbe quindi grave eresia auspicare - dal punto di vista delle conseguenze oggettive che ne deriverebbero - il crollo precipitoso dell'uno prima che dell'altro.

Programma - 1990

Come si vede, i bordighisti possono anche cambiare pelo, ma non perdono il vizio.

Affermazioni che ci riportano ancora a un'altro esemplare prodotto del pensiero politico bordighiano, tutt'oggi vantato ed esibito dagli epigoni:

l'aver postulato quale soluzione più favorevole alla ripresa del moto di classe la vittoria bellica degli eserciti dell'Asse capitalistico Berlino-Tokio-Roma soprattutto sugli Usa.

Del tutto astratte e intellettualistiche, queste esercitazioni salottiere di auspici e queste manifestazioni di tifo politico-sportivo conducono a un nullismo, teorico e pratico, che sfiora l'opportunismo più pericoloso. Si tenga conto, inoltre, della mistificazione adottata, prima col tentativo di trascinare in questa palude la tradizione della Sinistra italiana, e poi di presentare quelle assurdità come il risultato di "visioni dialettiche dei rapporti reali e del gioco effettivo dei fattori storici"...

Successivamente, il bordighismo entrerà in una crisi quasi terminale proprio sulla mancata realizzazione di quelle prestabilite condizioni, alle quali venivano attribuite convergenze meccaniche di determinazioni, spinte e controspinte. (Famosi i "diagrammi della prassi" di Bordiga.) E la stessa costituzione del partito formale, che Bordiga aveva sempre rimandato dal 1944 in poi al futuro evolversi della lotta di classe e del processo rivoluzionario generale, subirà successivamente tutta una serie di contraccolpi disgreganti.

Al di là delle roboanti dichiarazioni programmatiche (ma anche al loro interno) si è andata evidenziando, nei fatti, la ripulsa sia della necessaria organizzazione rivoluzionaria che di un corretto lavoro politico nella classe. Si è visto chiaramente e in più occasioni quali fossero - nel "partito compatto e potente" a scala mondiale - le "sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo". (Programma - 1977)

Determinismo aritmetico e comportamenti pratici

Il non facile processo di ricomposizione della classe (da classe in s‚ a classe per s‚) e il mutamento dei rapporti di forza nella società in favore del proletariato, al pari di tutte le altre "conseguenze soggettive", hanno alla loro base un condizionamento oggettivo, una spinta indispensabile che è quella economica. Ma quelle istanze, quelle "condizioni sine qua non" delle fasi bordighiane si esaurirebbero in semplici aspirazioni ed enunciazioni formali se incapaci di inserirsi nella concreta vita sociale, nella tangibile lotta politica. È la necessaria azione di ritorno delle sovrastrutture, ideologiche e politiche, in un accumulo di potenzialità antagonistiche e rivoluzionarie, che muove la storia attraverso gli accadimenti reali.

Occorre il concentrarsi della coscienza e della volontà d'azione della classe, ed è in ciò che diventa fondamentale la questione della natura, presenza e funzione del partito e del suo rapporto con la classe. Non esiste pertanto una formula sempre valida, la quale mediante somme aritmetiche unisca la determinazione al determinato e viceversa. Non esiste il puro, semplice e lineare "determinismo economico", se non in ultimo esame. In tal senso, il materialismo storico e dialettico è lo strumento e il metodo della analisi critica e della prospettiva rivoluzionaria.

Sta di fatto che, scomparso Bordiga, e proprio quando si proclamava "chiuso nelle grandi linee il ciclo di integrale restaurazione", si scatenò la girandola delle sbandate attorno al "problema arduo dei comportamenti e delle implicazioni tattiche". L'attivismo ufficiale dei programmisti diventò a dir poco febbrile dopo il 1975, accompagnandosi alla dichiarazione di "partecipazione attiva alle lotte e alle forme di vita associativa della classe". (Programma, n. 20 - 1977)

Partendo da un "orientamento teorico programmatico" in apparenza perfetto nella sua sbandierata organicità, integralità e invarianza, come mai il "partito formale" non riusciva a formulare precise direttive politiche, tattiche e organizzative? Evidentemente, nella sua applicazione pratica, quell'orientamento era per lo meno inadeguato o insufficiente. Tant'è che da esso sono state tratte in seguito le indicazioni e le linee più contraddittorie.

Legittimo il domandarsi: erano sbagliati i tipi di attività di volta in volta sperimentati, oppure gli errori andavano ricercati a monte, nelle linee più generali della analisi teorica e del metodo con il quale era stata condotta?

È un punto fermo - per la tradizione della Sinistra italiana e per noi - che fra le direttive programmatiche del partito di classe e le regole tattiche dell'impostazione politica vi sia uno stretto legame che il partito stesso sperimenta con l'azione e non con le semplici enunciazioni verbali. Vale a dire - e qui ci rifacciamo direttamente alle Tesi di Roma del 1922 - che il partito "nella sua coscienza ed esperienza critica delimita le possibilità tattiche corrispondenti all'azione da svolgere nelle varie fasi". E la 24 Tesi, redatta da Bordiga stesso e fatta propria dalla Sinistra italiana, così conclude:

L'esame della situazione sarà un controllo per la esattezza della impostazione programmatica del partito; il giorno che esso ne imponesse una revisione sostanziale, il problema si presenterebbe molto più grave di quelli che si possono risolvere con una semplice conversione tattica, e la inevitabile rettifica di visione programmatica non potrebbe non avere serie conseguenze sulla organizzazione e la forza del partito. Questo dunque deve sforzarsi di prevedere lo sviluppo delle situazioni per esplicare in esse quel grado di influenza che gli è possibile; ma l'attendere le situazioni per subirne in modo eclettico e discontinuo le indicazioni e le suggestioni è metodo caratteristico dell'opportunismo socialdemocratico. Se i partiti comunisti dovessero essere costretti ad adattarsi a questo, sottoscriverebbero la rovina della costruzione ideologica e militante del comunismo.

Assodato che fra teoria e pratica debba esservi una stretta connessione, il marxismo insegna a non sopravvalutare o sottovalutare l'uno o l'altro dei due aspetti interdipendenti del ritorno operato dal pensiero cosciente e dalla volontà attiva umana sulla base della determinazione (la struttura economica materiale). Questo significa che è sbagliato sia attendere passivamente che le contraddizioni esplodano, dopo di che tutto si risolverebbe, e sia agitarsi perché solo così possano esplodere.

Se la teoria, il programma di classe, non riesce a inserire nella sua più generale visione le singole situazioni obiettive, trasformandole in momenti ed elementi oggettivi della soluzione rivoluzionaria decisiva, ebbene in tal caso il partito non esisterebbe in concreto perch‚ quella teoria si sarebbe evidentemente sviluppata solo in modo astratto. Non sarebbe cio‚ riuscita a diventare una realtà politica; a inserirsi nei problemi della classe e nei processi degli accadimenti storici. E la teoria è valida se è operante come elaborazione critica, organizzazione e attività, riuscendo a legarsi alle situazioni anche contingenti, alla storia degli interessi umani e non alle visioni dei puri assoluti ideali.

(1) Gli epigoni bordighisti, rimescolando carte e tempi, si fanno forti di certe accuse rivolte a Bordiga - quale rappresentante della Sinistra italiana nel 1925-26 - dal controrivoluzionario Stalin, assimilandole a quelle che dal 1952 in poi lo stesso Bordiga finì con l'attirarsi nell'area internazionalista. Ed è certamente vero che nel primo periodo si lanciavano a Bordiga accuse di fatalismo, di dottrinarismo intellettuale, intransigente e passivo, di sinistrismo estremo, ecc. (così i nazional-comunisti di Togliatti tacciavano Bordiga e la Sinistra italiana fino a tutto il 1926).
Ma fra le posizioni - che noi stessi abbiamo sostenuto ieri e difendiamo anche oggi - dell'allora capo della Sinistra e del P.C.d'Italia, e le sucessive involuzioni del suo pensiero dopo un ventennio di voluto isolamento, c'è un abisso tale che nessuna presunta "invarianza" potrà mai colmare.

(2) Tutte le citazioni sono tratte da scritti originali di Bordiga. Precisamente: Appunti per le Tesi sulla questione di organizzazione (Programma, n. 22 - 1964); Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della Sinistra Comunista (Programma, n. 15 - 1965).

(3) L'affermazione, secondo cui "la conquista del potere di classe, e la dittatura, sono funzioni del partito", si prestava ad una schematizzazione di pura logica formale. Ovvero: il partito rappresenta il programma per il comunismo; la dittatura del proletariato è tale solo se si muove sul programma del comunismo; quindi la dittatura del proletariato è la dittatura del partito.
Questa formulazione contiene in s‚ la negazione del corretto rapporto dialettico fra la definizione della dittatura dei consigli, in quanto espressione dell'operare delle masse proletarie nell'esercizio del potere ai fini della propria emancipazione, e la direzione politica del partito comunista, che nella rete centralizzatrice dei consigli si esercita. Non è data dittatura del proletariato che non abbia alla sua direzione il partito comunista; ma non è data dittatura del proletariato se esercitata dal partito al di sopra degli organi di massa che ad esso non abbiano affidato la direzione politica. Su questa base viene a mancare ogni garanzia totale, ma restano aperte le possibilità di lotta politica del partito, alla quale esso deve sapersi attrezzare.
In altri termini: sta al partito (internazionale) operare affinch‚ la politica dello Stato dei consigli operai segua il suo giusto cammino. Compito del partito sarà allora la lotta politica per la direzione comunista dei consigli. Ma non c'è avanzata rivoluzionaria e comunista, se alla direzione politica del partito si sostituisce il suo imperio sui consigli, esercitato con una forza che - a questo punto - potrebbe provenire solo da altre classi. È la grande lezione dialettica e politica che possiamo trarre dalla tragica esperienza russa, così mal digerita - in tutti i sensi - dal bordighismo deteriore.

(4) Nel 1926, il problema che si poneva era quello "di cosa avvenga della dittatura proletaria in un paese, se non segue la rivoluzione negli altri paesi". Sempre nella lettera a Korsch, Bordiga rispondeva: "Sembrerebbe che voi escludeste la possibilità di una politica del P.C. russo che non equivalga alla restaurazione del capitalismo. Questo equivarrebbe a dare una giustificazione a Stalin o a sostenere la politica inammissibile di 'dimettersi dal potere'".

(5) L'ira verbale di Bordiga si scatenava, nel periodo della scissione, contro le "bambocciali idee" di una chiarificazione attraverso "la breve ora del congressino o del discorsetto". E per chi osava infrangere l'imperativo tassativo al silenzio e alla cieca ubbidienza, era pronta l'accusa di "superattivisti, maniaci dell'opera e dell'intervento umano sulla storia". E la storia, sentenziava Bordiga nel 1952...

la fanno gli uomini, soltanto che sanno assai poco perchè la fanno e come la fanno. Ma in genere tutti i 'patiti' dell'azione umana, e i dileggiatori di un preteso automatismo fatalista, da una parte sono quelli che accarezzano - nel proprio foro interiore - l'idea di avere nel corpicciuolo quel tale Uomo predestinato, dall'altra sono proprio quelli che nulla hanno capito e nulla possono; nemmeno intendere che la storia non guadagna o perde un decimo di secondo, sia che essi dormano come ghiri, sia che realizzino il sogno generoso dfi dimenarsi come ossessi.

Un secolo prima, il fondatore del materialismo storico e dialettico, Carlo Marx, scriveva:

La storia non fa nulla, non possiede alcuna enorme ricchezza, non combatte battaglie. È invece l'uomo, l'uomo reale, vivo, che fa tutto, che possiede, che combatte. Non è la 'Storia' quasi la si potesse personificare, che si serve degli uomini per portare a compimento i suoi disegni, ma essa stessa non è che l'attività degli uomini che mettono in atto i loro propositi.

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"È certo che Bordiga rappresenta tra noi, per le doti eccezionali del suo ingegno, il compagno che meglio formula le opinioni della sinistra, ma egli capeggerà questa corrente alla sola condizione che metta a profitto delle opinioni che ha tante volte espresso il suo ingegno, la sua volontà, il suo spirito di sacrificio. Se domani egli dovesse comunque cambiare parere, il problema della sinistra rimarrà integro e diventerà più difficile per il proletariato italiano la elaborazione delle sue esperienze rivoluzionarie, ma Bordiga sarà travolto e il proletetariato farà lo stesso le sue battaglie." (Dall'intervento di Ottorino Perrone al Terzo Congresso del P.C.d'Italia - Lione, gennaio 1926

A più riprese - e in seno al partito italiano e alla presenza dello stesso compagno Bordiga come pure in seno all'Internazionale e all'opposizione di sinistra - noi abbiamo affermato l'inesistenza del 'bordighismo' come di tutti gli altri 'ismi' che hanno dato delle vere e proprie esibizioni da quando in seno al movimento comunista si è istituita la Borsa della confusione e dell'inganno politico.
La sola volta che è apparso il termine 'bordighista' è stato sulla copertina dell'edizione francese della nostra piattaforma e più volte noi ci siamo bene spiegati a questo proposito. Abbiamo pur detto che questo appellativo era un errore anche se nelle intenzioni dei compagni era stato impiegato soltanto per specificare le tradizioni della corrente politica che pubblica la piattaforma, fra tanti gruppi di opposizione che il partito francese offriva.
Per la polemica superficiale non si è mai veramente quello che si è, vale a dire una corrente politica: vi si accusa a torto o a ragione d'essere dei 'bordighisti' che tentano di darsi un pò' di lustro in grazie del prestigio di cui gode il compagno Bordiga.
Coscienti del ruolo enorme che potrebbe svolgere il compagno Bordiga nel nostro lavoro, e delle difficoltà che noi al presente attraversiamo a causa delle condizioni imposte dal nemico al compagno Bordiga che resta sulla trincea più pericolosa della lotta, noi non possiamo che ripetere - ancora una volta! - ciò che abbiamo detto al Terzo Congresso del Partito italiano, alla presenza del compagno Bordiga stesso. E Bordiga approvò in pieno la nostra asserzione.
Il bordighismo, la riduzione del nostro movimento alla persona di Bordiga, è la più stupida deformazione delle opinioni dello stesso compagno Bordiga che, sulla scorta di Marx, ha distrutto ogni rilevanza dell'individuo in quanto tale e ha provato teoricamente che solo la collettività e gli organismi sociali devono e possono dare significato all'individuo stesso.

Ottorino Perrone - Vercesi - in "Bilan" n. 2, dicembre 1933