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Home ›Marxismo e terrorismo, ieri e oggi
Il Partito deve evitare di farsi e di spargere l’illusione che in una situazione di ristagno della combattività del proletariato sia possibile provocare il risveglio delle masse verso le lotte col semplice effetto dell’esempio dato da un gruppo di audaci che si lanci nel combattimento e tenti dei colpi di mano contro gli istituti borghesi.
Dalle Tesi di Roma del P.C.d’Italia
I principi materialistici e il metodo dialettico di analisi che ci contraddistinguono in quanto marxisti, ci liberano da criteri o preoccupazioni di ordine morale nella condanna del "fenomeno" terrorismo.
A determinare la giusta posizione marxista non è la difesa di una idealistica "pace sociale" tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori, contro "intemperanze ed eccessi di una violenza incivile".
Per la scienza del comunismo, i rapporti fra le classi - fino a quando esisterà la società divisa in classi - si fondano sulla forza, e il diritto non è che l’espressione del predominio di una classe sulle altre.
E neppure i marxisti si accomunano a quanti respingono il terrorismo perché "dannoso alla democrazia e alla convivenza civile" o al libero e pluralistico confronto fra le idee.
Nello scontro sociale e politico con la classe borghese, di cui il proletariato è lo storico antagonista e becchino, ai marxisti non interessano le reazioni dei singoli ma l’organizzazione con prospettiva rivoluzionaria della classe sfruttata. Il colpo di mano del singolo o del gruppo contro questo o quel funzionario in cui si individua la rappresentanza della stessa società borghese o addirittura il "cuore" dello Stato, sono il risultato di una disperazione piccolo-borghese che generalmente fa seguito a precedenti e fallimentari esperienze di movimenti massimalistici, caratterizzati dalla inconsistenza di un programma politico che nessuna delle mezze classi può storicamente form ulare e sostenere.
Il contesto storico in cui si sviluppa il terrorismo è quello della crisi economica e sociale del capitalismo in fase di decadenza, che spinge componenti delle classi medie e piccolo-borghesi assieme a frange degli strati sociali minori verso forme di "contestazione" anche violenta e di rivolta contro i "prodotti" e mai contro le "cause" economiche della crisi. Una base sociale piccolo borghese con prevalenza di intellettuali direttamente minacciati dal fenomeno della crescente sottoproletarizzazione e disoccupazione, a cui si affiancano elementi della più vasta emarginazione sociale, con mescolanze di delinquenza e criminalità comune, bande mafiose e gangster, spie e provocatori. "La rivoluzione - scrivevano le BR - deve accumulare i suoi elementi pescando nel torbido", ed aprendo così le porte ad infiltrazioni non solo della malavita ma anche di agenti provocatori e di servizi segreti.
"La fantasia di poter sovvertire l’intera società mediante una piccola congiura" (come scriveva Engels) è propria di chi non ha e non può avere un riferimento diretto con reali rapporti economici di classe; a questa mancanza si sostituisce "la pura volontà come ruota motrice della rivoluzione" (Marx) al centro di una visione velleitaristica ed avventuristica.
Si coltivano e si sviluppano quindi espressioni ideologiche di stampo borghese, alla ricerca continua di "nuovi soggetti rivoluzionari" sostitutivi di una classe operaia in passiva subordinazione, e capaci di interpretare quella frustrazione che cova nelle mezze classi e che è anch’essa in definitiva una espressione indiretta della crisi della società, ma in senso e con contenuti conservatori e reazionari, mai rivoluzionari.
Siamo ancora una volta in presenza di...
tendenze che esprimono solo la tradizionale instabilità di idee degli strati intermedi e indefiniti della intellettualità, e che si sforzano di sostituire al legame con determinate classi una azione tanto più chiassosa quanto più fortemente si fanno sentire gli eventi.
Lenin
I presupposti della insurrezione rivoluzionaria, spiega Lenin, si fondano sulla classe d’avanguardia, sul suo slancio rivoluzionario e devono saper cogliere "quel punto critico" rappresentato dal momento in cui "l’attività delle schiere più avanzate del popolo è massima".
Riferendosi alle circostanze della situazione russa nel 1901, Lenin indica, quale compito prioritario, lo sviluppo politico e organizzativo del proletariato. In mancanza di una prospettiva di questo tipo, la "scorciatoia" del terrorismo non può che essere proposta e diventare “un mezzo di attacco singolo autonomo e indipendente da ogni esercito”, in quanto non è ancora presente...
un’organizzazione rivoluzionaria centrale, capace di unire tutte le forze e dirigere il movimento.
Il terrorismo diventa perciò...
un metodo di lotta intempestivo, inopportuno, che disorganizza non le forze governative ma quelle rivoluzionarie.
“La sottomissione alla spontaneità” - continua Lenin - è la radice del terrorismo individuale e isolato, che si prosterna davanti allo...
sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità.
Per questo Lenin ha sempre rivendicato la condanna di quel terrorismo...
in quanto tattica consistente nell’organizzare metodicamente omicidi politici senza collegarsi con la lotta rivoluzionaria delle masse.
Contro la "stortura" del terrorismo, Lenin ci ha insegnato che non esistono "forme astratte o ricette dottrinali" fissate una volta per tutte, che si possano "escogitare a tavolino", fra bande combattenti, per poi "insegnarle" alle masse Il terrorismo individuale, proprio per la sua base ideologica spontaneistica e volontaristica, deve essere respinto non solo perché votato alla sconfitta in mancanza di uno sviluppo della lotta di classe verso forme pre-insurrezionali, ma soprattutto perché rifiuta e nega, oltre la direzione centralizzata e organizzativa del partito, il partito stesso con la sua dottrina, il suo programma, la sua strategia.
La situazione storica concreta è ciò che il marxista deve sempre aver presente; la "idoneità" per il m ovimento di classe di una forma di lotta deve essere stabilita dal suo carattere di massa. La violenza individualistica allontana il proletariato dalla ricerca e analisi delle fondamentali cause economiche della crisi e dalla sua unica e possibile soluzione rivoluzionaria. Tutta la complessità dei rapporti storici fra le classi e della presa di coscienza politica del proletariato viene ridotta a un gioco di stimoli e provocazioni "esemplari", tali da rimettere la rivoluzione in marcia (sempre secondo il pensiero delle BR) creando ovunque contropoteri alternativi. È così che il terrorismo si unirebbe al lavoro tra le masse: duelli eroici di "individui inafferrabili" con le autorità, per offrire una serie di "gesti esemplari" destinati a trascinare le masse, sostituendo di fatto il programma politico attorno al quale organizzare l’azione della classe. Al lavoro politico di denuncia, propaganda e guida effettiva dei movimenti di massa viene contrapposto il consolidamento ipotetico del "potere proletario e della lotta armata". Ovvero - citiamo dalle vecchie BR - l’illusione della "costruzione delle articolazioni dello Stato proletario nelle fabbriche e nei quartieri; uno Stato armato che si prepara alla guerra" all’interno dello Stato borghese dominante... Dopo di che basterà "colpire" il nemico e il "gioco" rivoluzionario sarebbe fatto.
Elevato a principio permanente assoluto, il terrorismo diventa per questi signori l’unico mezzo per condurre la lotta di classe, che a sua volta si riconoscerebbe e identificherebbe esclusivamente in esso. Il tutto basato sul disprezzo verso la dottrina marxista e la tradizione comunista del movimento operaio. E per questi intellettuali in crisi di identità non esiste un programma né un principio teorico né un metodo d’analisi: esiste solo l’azione, l’"idea forza" della lotta armata ad ogni costo. Indifferenti alle reali condizioni politiche in cui si trova il proletariato, per loro il movimento, a base di omicidi politici e bombe, è tutto e il resto, se mai, verrà dopo.
Evidente e innegabile diventa in definitiva il contributo che il terrorismo fornisce al disorientamento ideologico e politico fra la classe operaia, rafforzando l’influenza socialdemocratica e allontanando quel punto di riferimento capace di ridare coscienza e volontà rivoluzionaria al proletariato, per farlo finalmente protagonista attivo della propria lotta di emancipazione, invece che passivo strumento di manovre per il potere borghese.
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