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Il terrorismo è diventato uno strumento in più fra quelli che le forze borghesi impiegano nella lotta fra loro e fra le loro organizzazioni statali, per poi rivolgerlo contro il proletariato.
Utilizzando il terrorismo direttamente come proprio strumento politico interno, la borghesia, al contempo, lo usa come simbolo di violenza contro cui sollevare la unanime condanna.
La parte prende poi il posto del tutto e la condanna si estende ad "ogni forma di violenza", nel campo della quale non sono naturalmente enumerati gli innumerevoli episodi che macchiano di sangue operaio le mani del capitale. A cominciare dalle migliaia di omicidi sul lavoro.
Sono questi i primi elementi che i comunisti degni di questo nome devono oggi tener presenti nell’affrontare il tema "terrorismo".
L’estrazione sociale degli esecutori materiali degli atti di terrorismo, la loro provenienza politica o "ideologica", contano poco nella situazione in cui lo Stato borghese si è ulteriormente affinato e rafforzato nei suoi strumenti di controllo e repressione, rispetto ai momenti in cui orchestrava "incendi del Reichstang" e "incendi del Diana", o in cui la polizia zarista infiltrava provocatori nei gruppi terroristici da essa perfettamente conosciuti, coniugando la loro spontaneità eversiva con la sua intelligente regia controrivoluzionaria.
Oggi lo Stato, ma ancor più i centri di interesse imperialistici internazionali e multinazionali, con le loro organizzatissime reti di spionaggio, infiltrazione e provocazione, non lasciano alcun spazio all’autonomo sviluppo del "terrorismo dal basso". soprattutto quando questo raggiunge gli evidentemente alti livelli di efficienza dimostrati negli episodi di terrorismo degli ultimi decenni.
Qualunque gruppo di persone pensi di "passare alle azioni armate" deve sapere che più presto che tardi si troverà o infiltrato e controllato e guidato - oppure direttamente in galera. Chiunque pensi che dietro gli ammazzamenti a sensazione ci siano semplicemente dei gruppi di avventurieri o di folli, indipendenti da qualsiasi rapporto o contatto con ricchi e organizzati centri di potere delle varie forze capitalistiche, nazionali e internazionali, sappia che si lascia utilizzare nella sua sciocca ingenuità verso quei medesimi fini per i quali l’atto terroristico è stato deciso o, conosciuto in anticipo, è stato consentito.
Non vogliamo dire con questo che i soggetti, quando vengono arrestati per terrorismo confesso, siano agenti coscienti di questa o quella forza nazionale o internazionale. Ciò equivarrebbe a dire che i molti stupidi azzoppamenti e assassinii, incendi e sabotaggi sono decisi a tavolino da qualcuno "che sta in alto" o da un mitico "grande vecchio". Ma questo sarebbe semplicemente assurdo. Intendiamo invece dire che il "microterrorismo" ha i margini di autonomia e libertà adeguati a che esso funga da terreno di preparazione dei quadri e delle condizioni per gli eventi del "maxiterrorismo", attraverso le mille tecniche del ricatto, della provocazione indiretta o della semplice "collaborazione".
Il terrorismo "rosso", variante impazzita di un radicalismo idealistico, tanto aggressivo quanto politicamente infantile, ha certamente avuto una origine spontanea, autonoma, favorita, attorno agli inizi degli anni settanta, dal crollo verticale di tutti quei miti rivoluzionar-riformisti di cui la sinistra extraparlamentare si era sino allora nutrita. Il terreno concreto su cui esprimersi glielo ha fornito la crisi del sistema economico, la corruttela politico-amministrativa a tutti i livelli, lo sfascio sociomorale che ha investito tutti i settori del vivere comune e il diffusissimo malessere nel mondo del lavoro. Ma le vittime presunte di tutto questo non sono state le forze democratiche, se non in qualche singolo caso, o le istituzioni, uscite più che mai vittoriose da questo scontro, o i vari governi di turno. La vera vittima è stata lo stesso terrorismo. Lo Stato non è rimasto a guardare sorpreso, per poi ricorrere ai ripari mediante una cieca reazione. Ha fecondato il terreno sul quale il terrorismo potesse sopravvivere, ha controllato la sua crescita strumentalizzandone le iniziative sino al punto di usarlo come occulto strumento di condizionamento psicologico delle masse, per poi stroncarlo (ma sarà vero?) definitivamente nel momento più opportuno.
La crisi del capitalismo e la decadenza della società borghese provvedono ad alimentare le disgregate personalità che continueranno ad alimentare la fornace del microterrorismo. Che di disgregate personalità si tratti è dimostrato, al di là delle allucinate ed allucinanti ridde di memoriali e contromemoriali prodotti, anche dal crollo definitivo ed incontrovertibile dei paradossi teorici che del terrorismo volevano essere giustificazione. Cominciando dal presupposto che la rivoluzione possa essere il prodotto della azione di un gruppo, o addirittura di un individuo, che pretende, nella paranoia della disperazione, di sostituirsi quale supplente alla coscienza e alla forza della classe.
La tesi della esemplarità, care alle BR dei primi tempi, ha fatto una ben misera fine se quelle masse operaie alle quali si voleva additare l’esempio della lotta armata allo Stato (o meglio, a qualche suo funzionario) e ai suoi strumenti di repressione, sono oggi, purtroppo e ancora, pecorescamente condotte a invocare le sante istituzioni, quando non addirittura la... Divina Provvidenza.
Quello che i marxisti avevano previsto si è puntualmente verificato in una fase della lotta di classe dove all’attacco - da decenni ornai - è la borghesia che scarica pressoché indisturbata sulle masse lavoratrici i guasti della sua economia. Ed è in una fase in cui oltre settant’anni di controrivoluzione hanno distrutto nelle masse operaie ogni riferimento alla rivoluzione socialista, all’abbattimento dello Stato borghese e al superamento del capitalismo, è proprio in questa fase che l’assurda logica del terrorismo e della violenza individuale e individualistica ha consentito agli organi di controllo e di comando del capitale - partiti della "sinistra" borghese e sindacati compresi - di stringere ancor più le masse attorno alle istituzioni dello Stato borghese che si diceva di voler colpire.
La tesi "dell’indebolimento dello Stato in attesa e preparazione dell’attacco delle masse" è del pari brutalmente smentita, per chi ancora ci credeva. Non solo lo Stato non si è indebolito, ma si è rafforzato proprio del consenso e della solidarietà di quelle masse che si pretendeva avrebbero attaccato al seguito delle "esemplari azioni" delle BR.
Cosa è rimasto? Nulla che non sia la disperazione individualistica di chi al terrorismo si è dato, di chi - in definitiva e sostanzialmente - se ne frega bellamente della classe operaia, dei suoi drammi nella trappola democraticista, della rivoluzione e del comunismo. Sottoproletari e piccoli borghesi, della peggior specie, che a parole e a fatti si sono dimostrati nemici della classe operaia e dei suoi reali interessi storici.
Ma attenzione. Nessuno scambi questa nostra condanna del terrorismo individualista e stupido per solidarietà o allineamento alla borghesia e ai suoi servi ipocriti.
Primo dovere dei comunisti è respingere il ricatto che la borghesia avanza: chi non sceglie e appoggia la democrazia, sceglierebbe e appoggerebbe il terrorismo. Ebbene, no. L’alternativa posta è tutta all’interno della borghesia e del suo regime, e non ha nulla a che vedere con l’interesse della classe operaia. Il proletariato sconfiggerà il terrorismo, l’individualismo che lo sottintende, sconfiggendo e distruggendo il capitalismo e le sue dominanti istituzioni, con l’esercizio della sua violenza di classe contro la violenza di classe fin qui esercitata - democraticamente o dittatorialmente - dalla stessa borghesia. La violenza, diretta o indiretta, è in realtà il tratto distintivo dell’attuale ordine economico e sociale, giunto agli estremi gradi di decadenza e di imbarbarimento.
Si vuol far rinnegare al proletariato la violenza di classe, negando l’esistenza delle classi nella società capitalista (siamo tutti "cittadini", sfruttatori e sfruttati!) ed è questo lo scopo concorde di tutte le centrali che direttamente o indirettamente del terrorismo si servono, È questo lo scopo della borghesia e dei suoi strumenti politici, compresi i partiti della cosiddetta "sinistra". Ma gli internazionalisti reclamano alla classe operaia il diritto storico e il dovere di esercitare la propria forza di classe (la quale non si identifica nel gesto terroristico individuale) a difesa e affermazione del programma comunista per la costruzione di una società "a misura d’uomo" che mai il capitalismo potrà garantire.
Lungo il processo rivoluzionario che vedrà - per forza di cose - lo scontro fra la classe assoggettata e sfruttata e la classe egemone e sfruttatrice, il compito principale dei comunisti è quello di contribuire affinché la classe stessa si scuota dal letargo ideologico e politico nel quale gli attacchi del capitale l’hanno precipitata. Il dominio del capitale sul proletariato si esercita sul terreno politico, ed è su questo terreno che va eliminato perché la classe stessa possa "lanciarsi alla conquista del cielo" (Marx). Non si risolve il problema teorizzando, fuori di ogni scienza di classe (come già fecero gli ideologi dell’Autonomia Operaia), l’emergere di nuovi strati sociali e ceti rivoluzionari staccati, o presunti tali, dal processo produttivo del capitalismo. Non si esorcizza il diavolo della controrivoluzione con l’acqua santa della volontà. Si farebbe dell’idealismo cattolico, non del marxismo rivoluzionario.
Gli accadimenti del passato e quelli recenti ci danno indicazioni precise. Occorre innanzitutto: - riappropriarsi del comunismo contro ogni mistificazione idealista, contro i sogni di un contropotere vecchio come il riformismo, contro l’intruppamento del proletariato verso l’unica soluzione della crisi capitalista, cioè la guerra; - creare le condizioni politiche ed organizzative sulle quali dovrà poggiare la ripresa delle lotte operaie di fronte al peggioramento delle condizioni di vita e alla disoccupazione dilagante.
Senza il programma per il comunismo, senza il partito di classe non c’è possibilità di una reale e durevole opposizione allo sfruttamento capitalista. Senza l’organizzazione politica di classe gli attacchi del capitale si intensificheranno fino a realizzare il suo unico e finale progetto: spremere la classe operaia per poi condurla al macello della Terza Guerra Mondiale, ormai in avanzato stato di preparazione.
Contro la violenza individuale e il terrorismo di gruppo Per la lotta rivoluzionaria di classe Il nostro atteggiamento di fronte a quella catena di episodi di violenza che dal 1969 in poi si è trasformata in una vera e propria "strategia della tensione", è stato fin dagli inizi chiaro e inequivocabile, sulla base delle posizioni classiche della sinistra comunista e del marxismo, oltre che ben distinto dalle ufficiali campagne democraticistiche impegnate a contrapporre ai fantomatici "piani eversivi" la difesa dell’Ordine, delle Istituzioni e dello Stato. La difesa, cioè, di quella società borghese entro la quale, più che mai compatte e solidali contro la classe proletaria, si muovono le forze del capitale e della classe borghese che vive sullo sfruttamento della forza-lavoro.
La si guardi come si vuole, si attribuiscano le responsabilità a questi o a quei gruppi di potere, salta sempre fuori un dato di fatto: il disegno conservatore del capitale che, mediante l’articolata e complessa opera delle sue frazioni, mira a bloccare e distrarre il proletariato dalle lotte per la propria difesa di classe.
Così, nel corso di questi decenni, non abbiamo risparmiato la nostra critica a quella sinistra "estrema", clandestina o quasi, che ha fatto il gioco della destra e che ha fatto rinserrare le forze politiche attorno allo Stato in crisi.
E abbiamo messo in luce il fine sottile ed occulto di tutte queste losche manovre che si servono di gruppi clandestini terroristici, già classificati da Marx come covi di infiltrati e provocatori al soldo dello Stato borghese. Manovre rivolte a screditare le forze rivoluzionarie di classe che rifiutano, in quanto tali, il terrorismo come arma di lotta, perché sterile, e gli contrappongono la lotta e la propaganda politica all’interno della classe operaia per la maturazione della coscienza di classe.
Contemporaneamente abbiamo denunciato che anche quando il "disegno eversivo" viene definito "di destra", in esso la borghesia e le sue frazioni politiche vi comprendono tutte quelle forze che mirano comunque a indebolire l’attuale regime istituzionale: sia, cioè, con l’attacco terroristico, e sia con la campagna definita sempre come "estremista e provocatoria", per l’accentuazione dello scontro sociale. È come dire che le Brigate Rosse o le Brigate Nere svolgerebbero un ruolo parallelo e contemporaneo a quello di quanti "osano" criticare il sindacato e il suo collaborazionismo di classe! Come dire, cioè, che le Brigate Rosse o le Brigate Nere equivarrebbero alle avanguardie proletarie che rivendicano salario e occupazione, rifiutano i sacrifici imposti dal sistema borghese - sempre più in crisi - per rilanciare la lotta di classe nella prospettiva della liberazione dal lavoro salariato e della costruzione di una società a misura d’uomo e non più del profitto.
Questa, dunque, ieri come oggi, la nostra posizione.
La stupidità di certa violenza che vorrebbe esprimere un presunto contropotere proletario, concorre in definitiva a dar esca al furore democraticista e borghese. Sono forme di terrorismo (le "azioni esemplari" che si illudono di "mirare al cuore dello Stato" colpendo questo o quel funzionario amministrativo o politico), che se trovano le proprie motivazioni nell’avanzato stato di disgregazione sociale e nella attuale debolezza del movimento rivoluzionario, non possono trovare in questo un difensore o un estimatore, tanto più oggi a quasi un secolo di distanza dalle battaglie di Lenin e del movimento comunista contro il terrorismo e la pretesa didattica delle azioni esemplari.
Come scriveva Lenin nel 1901:
Quando manca una organizzazione rivoluzionaria centrale, il terrorismo non può essere altro che un mezzo di lotta intempestivo e inopportuno, in quanto distoglie i combattenti più attivi dal loro vero compito, più importante per tutto il mo movimento, e disorganizza non le forze governative ma quelle rivoluzionarie.
Lenin
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