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Da Revolutionary Perspectives n. 15
Timor Est è ormai persa per l’Indonesia e vuole, entro qualche anno, diventare uno stato separato. Per la classe dominante indonesiana, la perdita di quella che avevano denominato "ventisettesima provincia" ha dato il via ad una dura crisi e ha indebolito la posizione dell’esercito. Inoltre ha anche creato lo spettro di altre aree dell’Indonesia - come Irian Jaya e Aceh - pronte ad imboccare la via dell’indipendenza e della rottura della repubblica così come esiste oggi. Per la classe dominante indonesiana la velocità degli eventi è stata sbalorditivamente rapida. L’idea di un’autonomia di Timor Est all’interno della repubblica indonesiana era stata solamente paventata in gennaio, e già i mesi seguenti la videro trasformata nella prospettiva di un referendum sull’indipendenza, il quale nonostante i ripetuti rinvii, si svolse alla fine di agosto. Ora, solamente un mese dopo (N.d.T. ormai qualcosa in più) le forze delle Nazioni Unite tengono sotto controllo il territorio e l’esercito indonesiano si è ritirato vergognosamente.
Questi eventi accadono dopo 24 lunghi anni di repressione barbarica, che ha seguito l’annessione del territorio nel 1976 da parte dell’Indonesia. Durante questi anni, Stati Uniti, Inghilterra, Australia e altri paesi di quello che allora era l’imperialismo occidentale, hanno supportato, armato e allenato l’esercito indonesiano e sono stati a guardare, senza la minima preoccupazione, mentre i soldati da loro addestrati usavano le armi da loro fornite per massacrare almeno 200 mila est-timoresi. Fin dall’invasione del 1975, un terzo della popolazione di Timor Est è stata uccisa dalle forze armate indonesiane senza che la classe dominante occidentale abbia mai proferito parola riguardo ciò. In ogni caso dopo il referendum, da quando l’esercito ha continuato i suoi massacri, ma, dobbiamo sottolinearlo, su scala molto ridotta (i morti recenti vengono, infatti, contati solamente con le centinaia), ascoltiamo urla di indignazione e vediamo torrenti di lacrime versati per i diritti umani dei cittadini di Timor.
Le capovolte degli USA
Settori della borghesia indonesiana sono stati semplicemente incapaci di afferrare quella che è realmente stata un’inversione nella posizione degli USA e questo è ciò che sta alla base dell’ipocrisia occidentale alla quale essi sono soggetti. Essi, come Saddam Hussein, hanno rifiutato di credere che il loro vecchio alleato potesse voltare loro le spalle. Ci può essere il piccolo dubbio che i militari hanno pensato che usando le proprie milizie essi potessero creare disordini a Timor Est e provocare la ripresa della guerra con i resti della guerriglia "FALINTIL" (il braccio armato del movimento di indipendenza FRETELIN). Questo, nelle loro speranze, avrebbe permesso di portare una nuova offensiva mentre il risultato del referendum sarebbe stato presto dimenticato e il supporto occidentale ripristinato. In tutto ciò essi hanno gravemente ignorato e non calcolato i chiari segnali mandati dall’imperialismo statunitense dalla caduta del generale Suharto nel maggio del 1998.
Da quando la presente crisi ebbe inizio in agosto, gli USA hanno mandato i propri ordini al regime di Jakarta tramite i loro più anziani rappresentanti e hanno diramato aperte minacce se questi ordini non fossero stati realizzati. Agli inizi di settembre il capo delle forze USA nel pacifico, ammiraglio Blair, è stato mandato a Jakarta e senza mezzi termini ha chiesto all’esercito la cessazione dei massacri a Timor e l’accettazione di una forza delle Nazioni Unite. Egli ha minacciato di rompere le relazioni militari tra Stati Uniti e Indonesia se le sue istruzioni non fossero state rispettate. Le relazioni militari furono rotte qualche giorno dopo e fu solo l’intervento del presidente Clinton in persona, al summit dell’Apec in Nuova Zelanda verso la metà di settembre, a convincere il governo di Jakarta ad accettare il contingente dell’ONU. Dopo l’arrivo della forza della Nazioni Unite, i tentativi dell’esercito di utilizzare le milizie per minacciare quest’ultima, e per trattenere i 200 mila profughi a Timor Ovest, provocò una nuova visita di un'alta personalità statunitense, questa volta Cohen, segretario della difesa. Questi ordinò al governo di Jakarta il controllo delle milizie e la liberazione dei profughi (con la garanzia che fossero liberi di ritornare). Il fallimento nell’osservare queste condizioni avrebbe significato, egli annunciò, la cessazione dei prestiti del Fondo Monetario Internazionale e una nuova minaccia per la moneta.
È chiaro che, appena un mese dopo il referendum, Timor Est aveva irreversibilmente imboccato un sentiero che l’avrebbe portata verso l’autonomia. Dietro tutti questi sviluppi, la mano dell’imperialismo Usa è chiaramente visibile. È altrettanto chiaro, come la confusione a Jakarta testimonia, che stiamo vedendo un’inversione della politica da parte degli Stati Uniti. Perché è accaduto questo?
I bisogni dell’imperialismo statunitense sono cambiati
Il cambiare delle rivendicazioni dell’imperialismo USA nel mondo può essere capito solo nel contesto del cambiamento delle circostanze storiche nelle quali esso stesso si trova. La differenza principale tra il periodo postbellico e la decade presente è l’assenza della sfida con il rivale per eccellenza, il blocco imperialista russo. Nel presente periodo i gruppi imperialisti rivali degli Stati Uniti attraversano il proprio processo di formazione, ma sono ancora incapaci di porsi come autentici concorrenti. Con il collasso dell’Unione Sovietica nel 1990, il nemico che gli USA avevano fronteggiato fin dalla fine della seconda guerra mondiale scomparve, e li lasciò come la potenza imperialista dominante nel mondo. Da questa posizione, gli Stati Uniti hanno proceduto a plasmare il mondo in accordo con i propri interessi e ad imporre la "Pax Americana" su un’area dopo l’altra. Timor Est è l’ultimo elemento di un lungo elenco.
Nel periodo seguente alla guerra, la preoccupazione predominante per gli USA era opporsi al blocco russo ed ai suoi alleati, nell’ottica dell’"anti-comunismo". In questo periodo poco si sentiva parlare di "democrazia" e di "diritti umani" perché l’argomento era semplicemente imbarazzante. Ogni dittatore che si opponeva all Unione Sovietica riceveva il supporto degli USA nel caso la "democrazia borghese" avesse prodotto un regime vicino all’imperialismo russo. Nell’America del Sud, in Africa, nel Medio Oriente e nell’Asia sudorientale, molte dittature militari vennero instaurate grazie agli Stati Uniti. Queste includevano Pinochet in Cile, The Shah in Iran e Suharto in Indonesia. Il sangue versato che accompagnava l’installazione di questi regimi era enorme, anche per gli standard del ventesimo secolo. Durante il colpo di stato che portò Suharto al potere in Indonesia nel 1965, un milione di persone fu ucciso, la maggioranza proletari.
Oggi, comunque, senza la minaccia del blocco sovietico, gli USA curano i propri interessi meglio promuovendo cosiddetti regimi "democratici" che rispettano i "diritti umani". In realtà, ciò significa che è compito della frazione "democratica" della borghesia locale che rispetta i diritti del capitale americano sfruttare il proletariato locale e depredare la materia prime del paese senza intralci. Comunque, questa ideologia costituisce la maschera "democratica" dell’imperialismo statunitense e nasconde il vero contenuto della Pax Americana, imposta in America meridionale, Africa meridionale, Medio Oriente, Balcani, Sud Est asiatico ed ovunque ce ne sia stata l’occasione.
Gli eventi presenti a Timor Est sono un’aspra illustrazione di questo cambiamento e contrastano drammaticamente con quanto accaduto 25 anni fa. Allora furono gli Usa ad incoraggiare l’Indonesia ad invadere Timor Est e a chiudere un occhio sullo spaventoso massacro che ne seguì. Nei due giorni precedenti l’invasione, il presidente Usa, Ford, e il suo segretario di stato, Kissinger, visitarono Jakarta e diedero la loro benedizione al progetto. Per capire perché questo accadde è necessario rievocare brevemente la situazione storica del 1975.
Alcuni cenni storici
Timor Est esiste solo come una regione indipendente a causa della divisione dell’isola tra olandesi e portoghesi durante il periodo di sviluppo mercantile del capitalismo nel sedicesimo secolo. Considerato che gli USA garantirono che gli olandesi non avrebbero riottenuto le loro colonie indonesiane alla fine della seconda guerra mondiale, i portoghesi tentarono di stabilire il proprio controllo su Timor Est. Questo controllo durò fino al collasso della dittatura portoghese nel 1974. A questo punto, tutte le colonie africane del Portogallo sembravano in procinto di diventare alleate russe a causa del sostegno sovietico ai loro movimenti di liberazione. Gli Stati Uniti supportarono, come c’era da aspettarsi, le guerre del Portogallo per conservare le sue colonie nella NATO. Gli USA temevano che Timor Est potesse anch’essa diventare alleata russa se fosse divenuta indipendente. Nel 1975 gli Stati Uniti erano appena stati sconfitti in Vietnam e stavano affrontando una sfida navale russa sia nell’oceano Pacifico sia in quello Indiano. Nonostante Timor Est avesse apparentemente depositi di petrolio e gas non sfruttati, essa era una regione economicamente non importante, che produceva principalmente caffè e legno di sandalo e che quindi non rientrava negli interessi economici americani. Comunque, la regione era sita in posizione strategica, e controllare il territori avrebbe permesso di controllare lo stretto di Ombai Wetar. Questo forma uno delle quattro vie principali di collegamento per mare dall’oceano Indiano a quello Pacifico, ma per gli USA assumeva importanza a causa del passaggio dei loro sottomarini nucleari da quando altre rotte erano divenute impraticabili perché troppo poco profonde o, come nel caso dello stretto di Malacca, troppo popolato da navi.
Prima che diventasse un obiettivo statunitense, l’Indonesia non aveva mai, fin dalla fondazione della repubblica nel 1945, reclamato Timor Est. Infatti, mentre pressava per ottenere Irian Jaya (Papua occidentale) negli anni Sessanta, mancò di ogni interesse verso la colonia portoghese. Tutto ciò, ovviamente, non importava. L’Indonesia era alleato americano e dovette agire all’interno della corrente strategia dell’imperialismo USA. Pertanto Timor Est divenne una pedina dell’imperialismo e venne annessa all’Indonesia.
In tali eventi, l’Australia fu complice fedele degli americani e venne ricompensata per questo. L’Australia addestrò regolarmente le forze armate indonesiane affiancandosi all’allenamento fornito dagli Usa. L’Australia fu l’unico paese a riconoscere l’annessione di Timor Est nel 1976, fornendo così una qualche copertura diplomatica a quanto stava accadendo. La ricompensa per l’Australia per tutto ciò venne sotto forma di concessioni per cercare petrolio e gas a Timor Est e nei mari circostanti. Queste concessioni furono equamente divise tra Australia e Indonesia nell’infame "Trattato dello Spazio di Timor".
Gli interessi americani ora sono cambiati. La posizione strategica di Timor Est non è più così importante da quando gli Usa dominano l’intera area. Il conflitto continuo nel territorio, per il quale gli Stati Uniti sono direttamente responsabili, chiama nella questione la nuova ideologia della democrazia e dei diritti umani. Il problema è stato sollevato da sezioni della borghesia europea durante l’attacco USA in Kosovo. Ciò che ora è importante per gli Stati Uniti è imporre la pace sulla regione e aprirla al capitale internazionale per lo sfruttamento delle sue risorse. La possibilità per gli USA di muoversi attraverso una risoluzione della questione di Timor è giunta con la crisi economica indonesiana del 1998. Questa ha avuto come effetti uno sconvolgimento dell’élite dominante e ha dato agli Stati Uniti una forte presa sull’economia di quel paese.
La crisi economica indonesiana
La crisi economica dell’Asia nel 1997 colpì così duramente l’Indonesia che la sua economia era sull’orlo del collasso e vicina a non onorare i propri debiti. Altri stati della regione erano minacciati da questo, soprattutto Corea e Giappone che avanzavano rispettivamente 23 bn e 24 bn di dollari dall’Indonesia. Per prevenire il collasso dell’economia e la non adempienza dei debiti, il Fondo Monetario Internazionale organizzò un prestito di 43 bn di dollari nell’agosto del 1997. Questo prestito massiccio, al tempo il più grande concesso a un paese dell’Asia sudorientale (benché verrà presto superato da quello di 57 bn di dollari alla Corea), giunse con l’usuale "Programma di Aggiustamento Strutturale" del FMI.
Simili programmi, che sono ora applicati in 90 paesi indebitati in tutto il mondo, significano indebitamento perenne e disperate privazioni per i lavoratori ai quali si espropria il necessario per pagare l’interesse dei prestiti. Il prestito comunque, ha dato agli USA un mezzo irresistibile per sottomettere al proprio volere la borghesia indonesiana. Quando Suahrto fallì nel tener fede ai dettami del Programma di Aggiustamento Strutturale e tentò, nel gennaio 1998, di approvare un budget che violava queste condizioni, gli Stati Uniti protestarono e il FMI negò ulteriori tranche del prestito. Questo portò al collasso della moneta, la Rupiah, che perse tre quarti del suo valore in pochi giorni. Ne scaturirono un massiccio aumento della disoccupazione, rivolte e agitazione sociale. Questa agitazione fu, sfortunatamente, canalizzata nello scontro violento tra etnie portando a veri e propri progrom contro la comunità cinese locale. Nel maggio 1998 Suharto stesso venne rimosso, il vicepresidente Habibie fu portato al potere e i termini del prestito vennero rispettati. La debolezza di Habibie è semplicemente un riflesso delle divisioni interne alla borghesia indonesiana.
L’occupazione di Timor Est e la guerra sono un sicuro prosciugamento delle risorse indonesiane. Più soldi si sprecano a Timor Est, meno ce ne sono per ripagare il FMI e le altre banche internazionali. Da quando le originali ragioni strategiche per l’occupazione sono venute meno, come spiegato sopra, è estremamente probabile che ad Habibie venisse ordinato di tenere Timor Est sul suo ordine del giorno. Un rifiuto avrebbe portato a ulteriori blocchi del prestito e al collasso della Rupiah.
Una Timor Est indipendente?
Come spesso abbiamo detto, l’indipendenza nazionale per paesi periferici è completamente impossibile oggi e così anche ogni discorso sull’indipendenza di Timor è ridicolo. La formale indipendenza cambierà la dominazione del paese facendola passare dall’Indonesia agli USA. I prestiti per la ricostruzione, che sono già stati discussi, legheranno il paese al capitale internazionale, attraverso il FMI e le altre banche, con catene che esso non sarà mai in grado di spezzare. Questi prestiti senza dubbio verranno col Programma di Aggiustamento Strutturale, e con la richiesta che i diritti su petrolio e gas siano venduti all’asta ai baroni delle multinazionali petrolifere. I modelli di commercio saranno, certamente, alterati benché anche FRETILIN riconosca che l’Indonesia rimarrà un dei maggiori partner commerciali. Gli scambi con l’Australia probabilmente cresceranno e questa otterrà senza dubbio alcune delle concessioni per petrolio e gas precedentemente date dall’Indonesia in cambio di uomini da mettere a disposizione dell’Onu.
Lo status di "indipendente" per la regione significherà nient’altro che lo status di alleato americano e l’America non esiterà ad intervenire se i suoi interessi appariranno minacciati.
Prospettive per il proletariato
FRETILIN, il movimento di indipendenza che quasi certamente diventerà la forza politica dominante nel nuovo stato è un’organizzazione nazionalista borghese. Essa è fondamentalmente ostile agli interessi della classe operaia e non c’è modo che la transizione verso "l’indipendenza" crei benefici per il piccolo proletariato di Timor Est. Le spalle dei proletari timoresi saranno caricate con i costi per la ricostruzione del paese e la restituzione dei debiti al capitale internazionale. I lavoratori, inoltre, verranno anche isolati dai proletari indonesiani da entità statali separate.
La classe lavoratrice indonesiana conta circa 90 milioni di persone e ha dimostrato che è capace di rispondere in maniera istintiva ma confusa agli attacchi ai quali è stata soggetta nel 1998. Come da ogni altra parte nei paesi della periferia capitalista, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità e la disoccupazione provocano scioperi, dimostrazioni e scontri. La debolezza della classe dominante indonesiana descritta in precedenza, rende tali azioni più facili e apre la strada alla possibilità di una più vasta presa di coscienza. Comunque, come in tutti gli stati colpiti da crisi economica, la borghesia locale è abile a dirottare tali movimenti verso il nazionalismo, gli scontri razziali e/o religiosi. Tutto ciò è presente in Indonesia, e le lotte del 1998 hanno mostrato quanto facile sia per la classe dominante deviare movimenti istintivi dentro vicoli ciechi. Il saccheggio di negozi da parte delle masse affamate è stato indirizzato contro tutta l’etnia cinese per il fatto che i possessori di negozi di alimentari spesso erano cinesi evitando così che il saccheggio si trasformasse in un attacco alla proprietà borghese. Questo è terminato in un orgia di incendi, saccheggi e uccisioni, il tutto orchestrato dall’esercito. Il movimento islamico che sta ora alzando la testa costituisce un altro di questi diversivi.
Il proletariato indonesiano è potenzialmente una forza massiccia, ma al presente esso è dominato dalle idee del suo nemico di classe. È necessario dare alle sue lotte una direzione comunista e rifiutare le trappole poste dalla classe dominante. A lungo termine la rivoluzione comunista mondiale è l’unica che potrà dare benefici ai proletari dell’Indonesia e a tutto il proletariato mondiale, ma essa sarà possibile solo se i lavoratori indonesiani che ne comprendono la necessità sapranno dar vita a una forte minoranza comunista organizzata con il compito di legare le lezioni del passato alle lotte di domani, dando loro un obiettivo comunista. Questo è il solo modo per fare un passo avanti.
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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