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Condanna a morte scontata emessa dallo stato mafioso e terrorista turco spalleggiato dagli Usa, veri campioni di democrazia
Come da copione il processo farsa contro Abdullah Ocalan si è concluso con la condanna a morte. Lo stato turco ha così consumato la sua vendetta contro il terrorista numero uno, colui che era additato come il più pericoloso sovversivo dell'ordine vigente. Non è bastato che il capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) si allontanasse nel tempo dal progetto originario di creare uno stato indipendente del Kurdistan, che nel 1993 e nel 1998 dichiarasse il cessate il fuoco unilaterale chiedendo al governo il riconoscimento pubblico dell'esistenza di una questione curda. Per la Turchia il problema non esiste. Gli oltre 30 mila morti, in gran parte curdi, della guerra tra esercito e ribelli, alcuni milioni di profughi e i 3.428 villaggi distrutti, sarebbero solamente la risposta alla violenza di poche teste calde. I fatti dimostrano esattamente il contrario, la Turchia ha sempre discriminato e pesantemente represso le minoranze, in particolare quella armena e curda.
L'intrigo che ha preceduto l'arresto di Ocalan da un certo punto di vista è l'ennesima sconfitta, sebbene di proporzioni più modeste, dell'Europa nei confronti degli Stati Uniti. Sgombriamo subito il campo dai falsi moralismi: della popolazione curda, così come di altre nella stessa situazione, ai contendenti borghesi non importa assolutamente niente. I motivi che spingono in un senso o nell'altro i predoni imperialisti sono di natura economica e strategica. Le sofferenze e le miserie delle popolazioni solo il pretesto per imporre la propria supremazia. L'Italia e gli altri paesi europei non hanno saputo ne voluto gestire il caso Ocalan. Con imbarazzo si sono disfatti della scomoda presenza e lasciato che finisse facilmente nella rete dello stato turco, con la complicità dei servizi segreti americani e israeliani.
Un diverso atteggiamento europeo nei confronti della Turchia, quindi indirettamente verso gli Stati uniti, che avesse urtato con i disegni di Washington nella vicina area petrolifera non sarebbe stata cosa di poco conto. Quindi agli europei non è rimasto altro che abbozzare, ingoiare il rospo e aspettare tempi più favorevoli. Comunque la partita non è chiusa, la controversia sull'ammissione della Turchia all'Unione europea potrebbe riaprire i giochi.
L'arresto del leader del Pkk è il regalo che gli Usa hanno fatto alla Turchia quale fedele vassallo. Quest'ultima pur non potendo vantare pregi di natura democratica ha molto più concretamente la caratteristica di trovarsi strategicamente in un'area geografica che la colloca come testa di ponte tra Europa e Asia, di essere all'interno del bacino del mediterraneo e di ospitare importanti basi militari americane.
Il paese è gestito da un saldo intreccio di forze che vede insieme governanti, militari, polizia, uomini d'affari e mafia. È risaputo da tutti, lo conferma la copiosa documentazione di organismi internazionali, che gran parte del traffico di droga, prodotta in Afghanistan-Pakistan-Iran, con destinazione Europa e America, passa per la Turchia. Gli enormi proventi ricavati sono serviti per finanziare la guerra in Kurdistan e l'acquisto di armi sofisticate. Da qui si spiega anche come un paese che non è certamente uno dei più avanzati del mondo possa mantenere un esercito numeroso e potente. La regola di comando per la corrottissima borghesia statale e privata è il terrorismo di stato, applicato contro qualsiasi forma di opposizione.
Di fronte a tanta tolleranza e democrazia i padrini statunitensi hanno dato tutto il loro sostegno. Loro, i paladini dei diritti umani, da una parte hanno scatenato conflitti contro l'Irak e la Serbia dietro la scusa di salvaguardare l'integrità delle minoranze, dall'altra invece appoggiano un regime che per brutalità nei confronti della minoranza curda e della propria popolazione non ha nulla da invidiare a nessuno. L'imperialismo americano usa pesi e misure differenti a seconda delle circostanze, al fine di preservare i propri interessi che coincidono in questi ultimi casi con il controllo dell'area del petrolio, che va dal Medio oriente al Caucaso sino al Mar Caspio, e delle vie di passaggio degli oleodotti. Strategia che mira in primo luogo a tagliare fuori i concorrenti europei.
Avere in pugno l'oro nero significa non solamente monopolizzare la principale materia prima, ma anche sostenere la forza del dollaro rispetto alle altre valute e soprattutto utilizzare sui mercati della speculazione finanziaria una formidabile leva per spostare, indipendentemente dalla competizione internazionale tecnologico-produttiva tra le economie reali, enormi quote di rendita parassitaria a proprio vantaggio. Tutto questo ottenuto con la sola forza delle armi e della potenza militare, terreno sul quale attualmente nessuno può contrastare lo strapotere Usa.
Per quanto riguarda invece i gruppi della guerriglia curda, essi confermano per l'ennesima volta la natura esclusivamente borghese e antiproletaria dei cosiddetti movimenti di liberazione nazionale. Le loro rivendicazioni non esprimono altro che il tentativo di sganciarsi dal centro per inserirsi in proprio nelle pieghe del mercato internazionale sotto la protezione di un fronte dell'imperialismo. Lungi da loro il favorire un qualche processo di sviluppo economico, peraltro difficilmente realizzabile oggi, tali movimenti affidano al loro potente padrone di turno lo sfruttamento delle materie prime o la posizione strategica del loro territorio in cambio di una rendita. Trasformandosi così in micro borghesie parassitarie della peggiore specie, perpetrando ancora più duramente di prima lo sfruttamento capitalistico sul proletariato.
Proprio l'esperienza curda è esemplare. La guerra del Golfo è stata orchestrata dagli americani per installarsi direttamente e stabilmente in Medioriente come guardiani del petrolio. In questo caso ad essi serviva sottrarre a Saddam il greggio dell'Iraq del nord, a tale scopo hanno inventato la no flay zone, appoggiato e pacificato i gruppi nazionalisti curdi perennemente in conflitto tra di loro, autorizzato la spartizione del territorio tra il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) di Massud Barzani e l'Unione patriottica del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani. A questo punto del vecchio progetto di riunificazione in uno stato indipendente di tutti i curdi sparsi nei vari paesi limitrofi è stata fatta carta straccia.
L'evolvere della situazione, che vedeva il Pkk sempre più emarginato e respinto dalle altre forze curde, ha costretto Ocalan ad abbassare il tiro, a cercare un compromesso con il governo e a proporre una regione autonoma all'interno della federazione turca. Meglio poco che niente. La stessa storia del Pkk segue la parabola tipica dei nazionalismi. Nato nel 1978 su basi staliniste e appoggiato dall'Urss, intraprende la lotta armata nel 1984. Com'è nella natura di tutte le forze borghesi per raggiungere i propri scopi non ha esitato a macchiarsi di gravi crimini contro la popolazione civile turca. Con la dissoluzione dell'Unione sovietica comincia il progressivo declino, rafforzato dagli scarsi risultati raggiunti e dai metodi terroristici adottati. In conclusione Ocalan è la vittima sacrificale dello scontro interborghese vinto dai suoi avversari. Ma ciò che ha noi preme sottolineare è che lui e quelli come lui sono responsabili di avere mandato al macello tanti proletari ingannati dall'ideologia nazionalista. I lavoratori curdi insieme ai lavoratori di tutti i paesi devono recuperare i principi dell'internazionalismo proletario e lottare contro il loro vero nemico: il capitale. Altrimenti saranno sempre vittime delle sirene nazionaliste alimentate dalla borghesia in tutte le sue differenti versioni.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 1999
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