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Home ›L’accordo sulle trentacinque ore è una truffa
Senza la mobilitazione di lotta del proletariato, la borghesia può solo peggiorare le condizioni dei lavoratori
La farsa e la beffa abbiamo titolato il volantino distribuito a Roma alla manifestazione del 25 Ottobre di Rifondazione come allegato/aggiornamento di BC10.
Il cosiddetto accordo sulle trentacinque ore è davvero una farsa e una beffa. Si vuol far credere che le 35 ore diverranno una realtà e - peggio - se ne parla come se si fosse alle soglie, grazie a quella diminuzione d’orario, della vera rinascenza umana: più tempo libero dal lavoro sociale che l’individuo impiega per la liberazione del proprio essere, della propria fantasia, delle proprie personali inclinazioni e capacità. E meno disoccupati.
E chi avrebbe portato all’Uomo una tale grazia? Il divo Bertinotti all’ombra di un olimpico Ulivo.
Fuori dai fumi ideologici e dai consolatori parnasi, la realtà che milioni di proletari vivono è diversa.
Lotte lunghe ed eroiche della classe occorsero per passare alle 8 ore di lavoro giornaliero per sei giorni alla settimana. Da quelle lotte dei lavoratori di tutto il mondo nacque la celebrazione del 1° Maggio e a quelle si ispirano molte canzoni del tradizionale repertorio operaio. Ogni piccolo avanzamento strappato al capitale, ancorché inefficiente alla emancipazione del lavoro dalle catene del salario, ha segnato comunque una battaglia vinta dal proletariato nella guerra incessante fra proletariato e borghesia e che dovrà concludersi con la vittoria rivoluzionaria.
Oggi che la legge italiana riconosce come limite legale massimo le 48 ore e i contratti che regolamentano il rapporto fra capitalisti e lavoratori indicano in 40 ore il limite ordinario (a paga ordinaria), quel limite è quasi generalmente superato, con il ricorso massiccio agli straordinari. Al capitalista (all’impresa, come dicono oggi per mistificare i concetti) costa meno pagare anche il doppio dieci o dodici ore straordinarie a settimana di 4 operai, piuttosto che assumere un solo lavoratore in più.
D’altra parte, quando il lavoro vivo è ridotto a pura appendice delle macchine - nelle quali si concentrano l’utensile e la sua operatività, il mezzo per fare e il saper fare - non è la forza di lavoro in più che serve, quanto la applicazione di quella disponibile a un prolungato uso delle macchine. E la forza di lavoro subisce e si presta.
Sono da enumerare le aziende che hanno licenziato alla grande negli anni scorsi e fanno fare straordinari a iosa ai pochi rimasti? Fiat, Alfa, Rizzoli, Montedison,...., per citare le maggiori e migliaia fra le medio piccole imprese.
Il salario ha perso più del 12 per cento del suo potere di acquisto negli ultimi dieci anni e una sostanziosa integrazione attraverso gli straordinari fa comodo a chi ha ancora il “privilegio” di un salario regolare e ancor più a chi “in regola” non è. La classe avvilita e disarmata, in altre parole atomizzata da processi ed eventi che altrove abbiamo esaminato e andiamo esaminando, ha accettato questa situazione, in cui milioni di disoccupati stazionano fuori dei luoghi di lavoro, mentre lì dentro si fanno milioni di ore di straordinario.
E intanto i sindacati (tutti) si accordano con le Ferrovie per determinare i livelli ufficiali (oggettivi?) di esubero: 13 mila entro il 2001, ma entro i medesimi 4 anni che ci separano da quella data “potrebbero uscire grazie alle ristrutturazioni e alle innovazioni tecnologiche altri quindicimila ferrovieri, portando così la cifra totale degli esuberi a quella cifra di 28.500 unità fatta dalle Ferrovie al governo nei mesi scorsi e mai ammessa ufficialmente” (La Repubblica del 5/11).
Non è certo la mobilitazione di classe sul tema cruciale dell’orario di lavoro e del salario che ha quindi convinto Prodi ad accettare l’idea di una diminuzione reale dell’orario. Né è serio credere alla favola che le manovrette parlamentari di RC abbiano potuto portare a un risultato anche solo paragonabile a quelli in altri tempi costati sacrifici a milioni di lavoratori e il sangue di decine.
D’altra parte il contenuto vero dell’accordo è chiaro: le trentacinque ore si applicheranno là e quando farà comodo alle imprese, all’andamento del loro mercato e all’organizzazione del lavoro vivo che avranno saputo o voluto dare all’operatività delle loro macchine e dei loro sistemi.
Ma chi dovrà accordarsi per il varo del famoso rivoluzionario decreto, in base all’accordo fra RC e il governo? La commissione trilaterale fatta dei padroni - che già stanno facendo fuoco e fiamme contro l’ipotesi delle 35 ore - il governo - che ha anch’esso espresso la inattuabilità della riduzione - e i sindacati, che già prima dell’accordo davano del pazzo a Bertinotti.
Che questa commissione arrivi a varare un decreto che porta il limite legale a 35 ore è per lo meno ... improbabile. A meno di arrivare da qui al 2001 ad una soluzione che - previe rassicurazioni e robusti incentivi alle piccole e medie imprese per la loro ulteriore ristrutturazione tecnologica - veda le 35 ore settimanali calcolate come media su base annua. Ciò significherebbe lasciare invariato l’attuale limite legale alle 48 ore (per altro oggi superato ampiamente - non lo si dimentichi) all’interno del quale variare gli orari settimanali in base all’andamento dei mercati aziendali. Nel mese in cui la richiesta tira e occorre produrre di più si lavorano 43, 44 o 52 ore la settimana, e nel mese di “stanca” del mercato si lavora 20 ore; basta che la media annua faccia 35.
È una delle soluzioni suggerite dalla esperienza in corso della Volkswagen dopo i due accordi. Altre, simili, sono possibili,ma tutte all’insegna dell’interesse aziendale, ovvero del capitale e dunque contro il lavoro.
Le ipotesi reali aperte sono due: o non se ne fa niente perché se la cosa può essere sopportata e addirittura utile alle grandi aziende è inaccettabile dalle medio-piccole; o si arriva a una soluzione che, comunque vedrà peggiorare e non di poco, le condizioni di vendita della forza lavoro, ovvero la precarietà, l’incertezza, il basso salario, in un mare di disoccupazione che non sarà minimamente ridotta da quel decreto - qualunque cosa faccia finta di pensare Bertinotti (abbiamo troppa stima della sua intelligenza per pensare che lo creda davvero).
Se a tutto ciò si accompagnerà il perdurare della passività proletaria, la società borghese avrà fatto un passo avanti verso la barbarie che tanto più cresce quanto più cresce l’urgenza del comunismo.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 1997
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