Albania: la truffa delle finanziarie specchio della crisi del capitale

Come un castello di sabbia, il sogno dell’arricchimento facile, basato tutto sulla speculazione finanziaria, è crollato in un batter d’occhio. Quasi tutta la popolazione dell’Albania, che negli anni passati aveva affidato i propri risparmi alle famigerate società finanziarie, ha visto sfumare il frutto di anni di lavoro, ritrovandosi in mano il classico pugno di mosche. Inferociti dalla truffa, centinaia di migliaia di albanesi sono scesi in piazza in molte città del paese, chiedendo la restituzione immediata dei soldi investiti. Per alcuni giorni Tirana e le altre più importanti città dell’Albania hanno vissuto momenti di altissima tensione culminati, almeno fino al momento in cui scriviamo, con il sequestro a Lushnja del vice premier e ministro degli Esteri Tritan Shehu, rimasto per alcune ore ostaggio della folla inferocita. Solo grazie ad una rapida azione degli agenti dei corpi speciali il ministro degli esteri ha potuto lasciare gli spogliatoi dello stadio dove era stato rinchiuso e salvare di fatto la pelle.

Dopo gli anni della feroce dittatura di Enver Hoxha, spacciata dalla propaganda del passato regime come la più compiuta realizzazione del socialismo, il capitalismo albanese, anche grazie alle direttive del Fondo Monetario Internazionale, agli inizi degli anni novanta riscopre una spiccata vocazione liberista. Recisi gli ultimi legami ideologici con il “socialismo” in salsa cinese, la borghesia albanese priva dei finanziamenti internazionali non ha avuto scelta ed ha smantellato quel poco di stato sociale che si era riusciti a costruire durante questo secondo dopoguerra. Le conseguenze economiche e sociali di tale politica sono state veramente drammatiche. Con il crollo del vecchio regime totalitario sono aumentate vertiginosamente le differenze sociali; a fronte dei nuovi ricchi sono milioni gli albanesi che vivono in condizioni di assoluta povertà. Per migliaia di albanesi l’unica via per sfuggire alla fame è stata quella della fuga verso i paesi vicini (Grecia e soprattutto Italia). Negli ultimi cinque anni, su una popolazione di poco superiore ai tre milioni, ben seicentomila albanesi hanno lasciato il proprio paese nella speranza di trovare un posto migliore per vivere. Le illusioni degli albanesi in fuga si sono scontrati con una realtà ancora più crudele di quella lasciata in patria; spesso gli albanesi emigrati finiscono nei bassifondi delle città italiani vittime del racket dello spaccio di droga e della prostituzione.

Dopo il crollo del regime di Enver Hoxha, l’economia albanese è passata in breve tempo da un sistema fortemente centralizzato, nel quale le leve macroeconomiche erano tutte in mano all’apparato partito-stato, ad uno in cui sono dominanti gli aspetti più parassitari dell’economia capitalistica. Il cosiddetto casino-capitalism, fatto esclusivamente dei giochi di borsa e della speculazione selvaggia sulle monete, pur non costituendo un fatto esclusivo dell’economia albanese (con la globalizzazione dell’economia tali fenomeni sono preponderanti in tutte le aree del pianeta) ha assunto in Albania delle forme esasperate a causa della debolezza dell’economia reale.

A dispetto di una caduta verticale della produzione industriale ed agricola iniziata nel 1989 e di una disoccupazione che supera abbondantemente il 50% della popolazione attiva, la ricchezza materiale della popolazione albanese è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Alcuni dati testimoniano fedelmente il fenomeno: oltre la metà delle famiglie albanesi ha ristrutturato la propria abitazione; il 70% ha comprato beni durevoli per la casa e una famiglia su quattro ha comprato un’auto. Il fenomeno, solo in apparenza in contrasto con le leggi del capitale, si spiega abbastanza facilmente se consideriamo la crescita dell’economia “illegale” e il boom dell’economia finanziaria.

Durante la guerra nella ex Yugoslavia, per via dell’embargo internazionale, l’Albania è diventata il crocevia di tutti i traffici clandestini provenienti e verso la Yugoslavia, traendo enormi vantaggi in termini economici. Si calcola che un 25% del reddito nazionale tragga origine dalle rimesse e un altro 25% dalle attività illegali (soprattutto traffici di droga e armi). Gli aiuti internazionali, in passato massicci, costituiscono attualmente solo 10% del Pil albanese.

È stata la straordinaria crescita delle attività finanziarie a proiettare l’Albania nel grande circuito della globalizzazione del capitale, nel quale la circolazione monetaria prevale su quella reale delle merci. Protagoniste di questo fenomeno sono state alcune finanziarie che promettendo interessi straordinari hanno raccolto tutto il risparmio dell’Albania. La nascita delle finanziarie a piramide, responsabili dell’attuale crisi, s’inserisce in un quadro politico di euforia speculativa che ha contagiato la borghesia albanese. Precursore della finanziarizzazione albanese è stato Hajdin Sedija, che nel 1991, con i socialisti al potere (eredi diretti del Partito del Lavoro di Enver Hoxha), fonda la prima società finanziaria a piramide. Questi, grazie alle coperture governative che s’impegnano a coprire eventuali buchi nel bilancio della società, garantisce ai propri cliente un interesse mensile del 100%. Cambiano gli uomini al governo, nel frattempo viene eletto presidente il democratico Sali Belisha, e spuntano nuove società finanziarie dedite alla raccolta del risparmio. La più importante è sicuramente la Vefa Holding, fondata da Vefa Alimucaj, ex sottufficiale dell’esercito di Hoxha, presentato dal nuovo governo come l’uomo che può lanciare l’Albania verso uno sviluppo duraturo.

Nel giro di pochi anni il mercato finanziario albanese viene praticamente monopolizzato da cinque società a piramide. Tali società, grazie agli elevati tassi d’interessi promessi, riescono nel breve periodo a convogliare nelle proprie casse tutto il risparmio albanese. In questi anni si è in preda ad un vera e propria febbre speculativa, che spinge la borghesia albanese a dimenticare ad abbandonare definitivamente l’obsoleto apparato produttivo. Finché questo flusso di capitali freschi si mantiene costante le società riescono a far fronte agli interessi passivi, ma nel momento in cui tale flusso s’inceppa iniziano i fallimenti. Le prime finanziarie-piramide a dichiarare la propria insolvibilità sono state la Xhaferri e la Populli; le altre non solo fallite solo per il congelamento dei fondi fatto dal governo albanese.

La crisi delle finanziarie ha bruciato nel giro di pochi giorni il risparmio albanese, gettando al lastrico centinaia di migliaia di risparmiatori. I soldi andati persi in questi giorni ammontano a oltre 2 miliardi di dollari, una cifra immensa per un paese come l’Albania, quasi pari al suo prodotto interno lordo.

Di fronte alla crisi il governo albanese è praticamente con le spalle al muro; la promessa del presidente Belisha di voler restituire i soldi depositati presso le finanziarie a partire dal cinque febbraio è soltanto un modo per prendere tempo ed evitare il precipitare della situazione. Ma anche un eventuale rimborso dei risparmi, fortemente sconsigliato dal Fondo monetario Internazionale, darebbe la stura ad un processo inflazionistico catastrofico per l’economia albanese. Infatti, la massa monetaria si riverserebbe sul mercato senza trovare un’adeguata massa di merci da acquistare.

Nel suo piccolo la crisi albanese mette in risalto problemi più generali dell’intero sistema capitalistico: dimostra in maniera chiara che la finanziarizzazione dell’economia, favorita dalla globalizzazione del capitalismo, pone il capitale stesso in una contraddizione sempre più stridente. La crescita abnorme dei prodotti finanziari si scontra ogni giorno di più con una massa di merci relativamente sempre più piccola, mettendo in pericolo la stessa tenuta dell’intero sistema finanziario internazionale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.