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Home ›Contro la mercificazione... nel mondo delle merci
Dal documento del Polo dell’Autorganizzazione (il Manifesto, 21 giugno 1994), si legge che occorre “impedire la mercificazione dei servizi sociali”, intendendo, crediamo, l’opposizione alla loro eventuale privatizzazione; ma i servizi sociali (sanità, scuola, pensioni ecc.) non sono mai stati gratuiti, perché vengono precedentemente pagati con le trattenute sulla busta paga, rappresentando quindi una specie di salario differito.
Stessa cosa quando si parla di “uso privato del territorio da parte del capitale... e di aprire una vertenza nazionale per un uso sociale della città”: in questa società il territorio e la città sono sottoposti alle leggi di accumulazione del capitale (e in parte lo si dice, male) ossia, per semplificare, sono merci che devono concorrere alla formazione del profitto; le occupazioni di stabili, terreni ecc. sono eccezioni (sempre a rischio di essere spazzate via) che in nessun modo possono alterare o ostacolare la “normalità” della rendita fondiaria e della speculazione edilizia: qualora, ipoteticamente, le occupazioni divenissero una pratica di massa, allora vorrebbe dire che è giunta l’ora di porre la questione della conquista del potere.
E qui si coglie un’altra “perla” del sovversivismo (?) degli antagonisti; solo chi ha come obiettivo ultimo - di questo alla fine si tratta - il condizionamento delle leggi del mercato per una società che, pur obbedendo a quelle leggi, sia più “giusta” e più “equa”, può anche pensare che siano assolutamente necessarie la “difesa dei livelli democratici conquistati” e l’immissione “di dosi massicce di democrazia diretta nella società e nella gestione politica” [di cosa?]. Ora, o si conquista il potere (nel documento stesso si afferma che si pone la questione del potere, ma non si specifica se e chi lo deve conquistare, in che modo, per farne cosa e via dicendo), dunque si lavora per la rivoluzione e si è a buon diritto rivoluzionari - cosa che non dicono mai in maniera chiare, e di questo bisogna dar loro atto- oppure, e ritorniamo sempre lì, pensare di immettere dosi massicce di democrazia diretta o indiretta nel sistema sociale borghese senza prima romperne l’involucro sovrastrutturale, cioè lo stato, è lo stesso che vivere nel mondo delle fiabe: basta guardare l’esperienza ultracentenaria della lotta tra borghesia e proletariato, la quale ha abbondantemente mostrato il fallimento di simili fantasie.
Se poi ci si dice anche marxisti, allora sarebbe sufficiente andare a leggersi quelle pagine, ben chiare, in cui concetti quali democrazia, stato, autogestione, ecc. vengono spietatamente analizzati e giustamente rapportati alla loro base reale, cioè la dinamica della lotta di classe, che è quanto di meno democratico ci possa essere.
Forse, però, è chiedere troppo a chi ritiene il materialismo storico un’arma critico- pratica invecchiata e bisognosa di aggiornamenti tratti, in ultima analisi, dall’armamentario ideologico della borghesia, meglio se “di sinistra”. Non c’è una parola, una che una, che possa legittimamente collocarsi nell’ambito del marxismo: le frasi di questi “anticapitalisti” possono stare nel filone anarchico, social-riformista, democratico-liberale (tutti parenti stretti), ma certamente non in quelli del comunismo. I comunisti sanno che l’unica vera democrazia (se proprio vogliamo usare questo termine, appartenente alla fraseologia borghese) ci può essere solo con la scomparsa delle classi, e se questo sarà sì un processo progressivamente graduale, avrà però come condizione preliminare la soppressione violenta e traumatica della borghesia in quanto classe, alla quale, in maniera antidemocratica, sarà impedito di nuocere, privandola, tra le altre cose, della possibilità di servirsi di mezzi di comunicazione: altro che “pluralismo informativo”!
Quando gli “anticapitalisti” piangono perché “i centri di potere capitalistici” si sono “accaparrati i mezzi di informazione (favorendo in tal modo la destra...) dimostrano una volta di più di non aver mai compreso nemmeno il sillabario del marxismo, secondo il quale in una determinata società l’ideologia dominante è quella della classe dominante, la quale si serve anche del monopolio di fatto dei mezzi di comunicazione per plasmare la mentalità generale.
Una volta c’era la chiesa che si incaricava di avvelenare le menti degli oppressi, oggi, la borghesia ha integrato quello strumento (molto efficace, anche se a volte rozzo) con i mezzi di comunicazione sempre più perfezionati che mano a mano comparivano, di pari passo al suo sviluppo complessivo. E la concentrazione di giornali, radio, televisioni nelle mani dei grandi gruppi economici, non è nient’altro che un aspetto particolare della più generale tendenza alla concentrazione insita nella natura del capitale.
Non c’è stato nessun accaparramento dunque, perché i mass-media sono da sempre nelle mani della borghesia, la quale, essendo compatta solo se si tratta di bastonare il proletariato, si serve di essi anche per combattere le guerre intestine. È ovvio che il possesso di tre o quattro reti televisive può condizionare l’esito del circo elettorale e creare qualche problema a chi aveva puntato su altri cavalli, ma, nella sostanza, non vediamo nulla di diverso da quello che è stata la televisione di quarant’anni di repubblica cosiddetta prima e la radio di vent’anni di fascismo.
Se lo squallore e l’idiozia dei programmi sono aumentati è perché l’ideologia borghese è penetrata molto più a fondo - rincretinendole - nelle masse proletarie, di quanto non fosse qualche decennio addietro. Quindi, una cosa è sfruttare tutti gli spazi possibili (e cercare di non farseli togliere) per riunirsi e propagandare le analisi, le parole d’ordine, i contenuti del programma rivoluzionario, altro è spargere stupide lacrime sul restringimento degli spazi di libertà: è tipico della piccola borghesia democratica credere alle sue proprie mistificazioni; ben al contrario, i comunisti non si autocompatiscono in una indignazione impotente, essi, denunciando il monopolio permanente dei mezzi di informazione da parte del capitale, lottano contro di esso in tutte le sue manifestazioni, di “sinistra” e di destra.
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