Conclusioni

Sarà utile, a questo punto, dare una prima risposta, in base ai dati che abbiamo ora disponibili, alle seguenti domande:

  1. Qual è il ruolo dello Stato nella privatizzazione?
  2. Qual è il ruolo della Comunità Europea nella "elargizione" di fondi e nella privatizzazione?
  3. Qual è il ruolo economico delle privatizzazioni per il capitalismo orientale in questa fase storica?
  4. Le privatizzazioni oggi, producono una fase di "capitalismo diffuso", "nuovo sviluppo", "ricchezza diffusa in tutte le classi"?
  5. Le privatizzazioni produrranno nuove concentrazioni di ricchezza in poche mani, di cui una fondamentale è ancora quella statale?

Procediamo punto per punto.

  1. Lo Stato - sloveno o croato che sia - ha il ruolo di "gestore" del processo di privatizzazione.
    Fornisce personale politico al processo, costruisce le istituzioni atte ad impegnarsi per il processo, ne stanzia i fondi necessari quando ci sono, mentre quando mancano istituisce delle agevolazioni (fiscali, creditizie...) al fine di "ridurre al minimo", per quanto possibile, il trauma dei passaggi e delle ridefinizioni proprietarie. Con ciò, non è negata l'osmosi tra capitale privato e pubblico, rappresentato in molti casi dalle stesse persone fisiche. È invece riconfermata la ricomposizione delle decisioni politiche di intervento sull'economia, resa possibile dalla necessità - comune al settore privato e pubblico - della valorizzazione del capitale.
  2. I fondi vanno elargiti dalla Comunità Europea (ma lo stesso discorso può valere per la Comunità Internazionale) al fine di costituire delle dipendenze economico/politiche, in modo avveduto, al fine di tutelare i propri investimenti laddove questi ci sono o ci saranno. Costruire strutture poi, può essere di primario interesse pure per gli occidentali, come nel caso dei collegamenti stradali, per unire i mercati in una fase in cui è richiesta la globalizzazione.
    La recessione, la caduta dei profitti, orienta favorevolmente gli occidentali verso l'est, dove il costo del lavoro è più basso, la manodopera ha una certa qualificazione. Ovviamente l'orientamento è in certi settori, dove le strutture dell'industria non sono allo sfascio e/o obsolete - come in molti dei territori orientali - e sia vivo l'interesse per l'industria occidentale oggetto di sovvenzioni governative o di processi di ristrutturazione per una migliore competizione sul mercato. Sono i casi del siderurgico, dell'automobilistico, del chimico, ma non dimentichiamo il commercio e il settore portuale.
  3. Le privatizzazioni sono necessarie a causa dell'acutezza della crisi del ciclo di accumulazione. La borghesia (le sue componenti imprenditoriali pubbliche e private, nonché politiche) ha bisogno di ridefinire ruoli e rapporti interni. Il "governo borghese" non è più in grado di mantenere tutto e tutti; gli "aiuti" vanno dati solo ai più forti, cioè a coloro che avranno dimostrato di potercela fare. In questo senso siano benvenuti gli investimenti stranieri che di fatto alleviano la bancarotta dei governi locali, anche se pongono parallelamente il problema di "chi comanda". Per quanto riguarda il proletariato, dovrà adattarsi completamente alla nuova realtà identificandosi con le esigenze economiche e politiche attuali.
  4. Mentre la privatizzazione viene quotidianamente indicata quale unica via verso lo sviluppo economico, l'imprenditoria privata e l'artigianato stentano a decollare. A Rijeka, delle 2500 aziende private registrate più di mille sono congelate, nel senso che sul loro conto presso l'Ufficio per la contabilità sociale non c'è alcun movimento di denaro, ovvero hanno sospeso ogni attività.
    Il punto della situazione ad agosto in Croazia è il seguente: grosso modo il 25% dei pacchetti azionari è stato rilevato dai dipendenti.
    Tra l'altro l'acquisizione delle azioni non è gratuita ma gli operai devono versare mensilmente una parte del loro magro salario per "ricomprarsi" le fabbriche. Di fatto questo contribuisce a ridurre gli standard di vita della classe lavoratrice. Questo, ammettendo che tutti tengano le azioni; altri per vivere meglio potrebbero venderle a chi può comprarsele cioè ai soliti capitalisti, procedendo nel senso di e facilitando una nuova concentrazione di capitale.
    Altri ancora potrebbero indebitarsi per continuare l'acquisto della fabbrica senza la quale si troverebbero sul lastrico in mezzo ad una strada. L'opera di spoliazione e immiserimento sarebbe totale e non produrrebbe certamente ricchezza: i giri di azioni cartacee da una mano all'altra per speculare su dei valori nominali o per diventare il "proprietario assoluto" di un'industria non sono certamente la stessa cosa che far produrre l'industria, inserirla in un mercato e accumulare capitale (in tutte le sue forme). Le azioni, come già la popolazione locale ha più volte osservato, non sfamano gli operai.
  5. Le entità che ne usciranno rafforzate, saranno: le varie istituzioni bancarie centrali o locali controllate dallo Stato o da grosse aziende e holding come la Zagrebacka Banka, la Privredna Banka, la Istarska Banka, la Rijecka Banka...la banca privata Promdei Banka di Ibrahim Dedic. Lo Stato con tutte le sue ramificazioni ne uscirà certamente da protagonista. Infatti, abbiamo visto qui sopra che mediamente solo il 25% dei pacchetti azionari è "in mano" ai lavoratori dipendenti.
    Il "Fondo" statale, per legge sarà tenuto ad assegnare il 30% delle proprie azioni agli invalidi di guerra. Ma se i privati non acquisteranno i pacchetti azionari o gli invalidi di guerra non acquisteranno in massa le azioni, il "rischio" sarà che il "Fondo" divenga in assoluto l'azionista di maggioranza. Già oggi mediamente lo è, sebbene con percentuali oscillanti da caso a caso. Praticamente laddove le azioni non riescono ad essere piazzate c'è lo Stato pronto a sobbarcarsene l'onere.
    In Croazia esiste un altro "Fondo", dello Stato, dal quale le piccole imprese possono godere di crediti molto favorevoli, specie se vengono presentati dei programmi legati all'agricoltura.
    Vengono presi in considerazione solo settori produttivi con ampie prospettive di sviluppo e tanto meglio se con possibilità di esportazione. I crediti sono vantaggiosi: nel giro di 5 anni, infatti, va restituito solo l'80% del credito per il quale non sono stati fissati dei limiti. Nonostante tutto l'interesse è tiepido perché ogni investimento per le piccole imprese rappresenta un rischio molto grande.