Introduzione

Una panoramica sulle vicende ex-jugoslave è complessa per una serie di fattori:

  • per il black-out informativo attuato nella zona interessata e nel nostro paese;
  • per la tendenza a mercificare ogni notizia per raccogliere audience, dando così spazio solo ai massacri (veri o presunti tali!) agli esodi, ai proclami dei potenti;
  • per la difficoltà oggettiva a reperire informazioni, ad avere contatti validi ed obiettivi dall'altra parte del confine, oltre ai classici problemi di superamento delle differenze linguistiche.

Siamo in un'epoca nuova. La presente situazione, caratterizzata a livello continentale e fuori all'insegna del dissolvimento dei vecchi equilibri, al "cambio di un'epoca" ed alla dinamicità più accelerata, produce una serie di nuove possibilità e opportunità di conoscenza e di contatti con realtà fino a poco tempo fa sconosciute estatiche. Nell'affrontare praticamente questa nuova dinamicità della situazione si dischiudono nuove vie alla conoscenza, aggiornando e verificando continuamente il metodo marxista, unico metodo realmente scientifico ed obiettivo, apportando quindi nuove acquisizioni ed arricchendo - di fatto - la teoria.

Le notizie e i dati contenuti nel presente lavoro sono stati tratti da giornali italiani (il "Piccolo di Trieste"), sloveni ("Delo", "Slovenec", "Mladina"), croati (la "Voce del Popolo", la "SlobodnaDalmacija"), da trasmissioni televisive d'oltreconfine in lingua italiana (Tv Capodistria) e slovena (Tv Ljubljana), nonché da contatti diretti con elementi facenti parte di organizzazioni politiche o sindacali slovene (Partito Sloveno dei Lavoratori). I contenuti del lavoro, "fotografano" la situazione dall'inizio 1990 alla prima decade di ottobre 1992.

I motivi del dissolvimento della Federazione Jugoslava

La crisi nell'ex-Jugoslavia, manifestatasi in modo visibile e tragico col dissolvimento della Federazione, è conseguente ad una crisi di economia, di politica, di regime complessivo.

Il dato determinante su cui s'inserisce la "conseguenza visibile" di cui sopra, è la crisi del 3° ciclo d'accumulazione del capitale, di cui abbiamo argomentato sulle pagine di "Battaglia Comunista" e "Prometeo", anche per quanto riguarda l'ex blocco orientale, in maniera più che sufficiente.

Il dato economico, quindi, ha reso possibile l'evidenziarsi di alcune tendenze:

  • Slovenia e Croazia con il più funzionale ed avanzato apparato produttivo e contatti commerciali con l'imperialismo tedesco ed italiano, hanno pensato di far da sole senza più dover pagare tributi al centralismo statale (la Slovenia è sempre stata la più sviluppata delle repubbliche in grado di fornire con l'8% della popolazione il 20% della ricchezza della Federazione).
  • Slovenia e Croazia non potevano più "permettersi" di passare una quota dei loro profitti per lo "sviluppo" di Macedonia, Montenegro, Kosovo.
  • Hanno capito che sarebbero potute entrare in Europa, grazie alla relativa efficienza dell'apparato produttivo e ai consolidati rapporti commerciali e politici con questa, potendo accedere ai crediti della stessa prima e della "comunità internazionale" poi.

Negli anni del "socialismo autogestionario" si è sviluppata in Jugoslavia una borghesia, prodotto dei rapporti di produzione capitalistici, composta dai dirigenti delle varie "aziende autogestite" statali, legata ai capitali interni (statali) ed esteri investiti nelle loro aziende ed essa stessa proprietaria di capitali, accumulati tramite affari leciti ed illeciti, investiti per lo più all'estero. Negli stessi anni s'è sviluppata pure una piccola borghesia rappresentata dai padroni delle piccole aziende e fabbrichette, anch'essa proprietaria di notevoli capitali. Di converso all'estero è sempre esistita una comunità di emigrati politici (ex collaborazionisti e simili) che non ha mai rinunciato all'idea di rientrare in patria ed investirvi i propri capitali. A questa comunità si sono aggiunti tecnici e dirigenti emigrati per ragioni economiche che hanno fatto fortuna all'estero. Questi sono gli attori della crisi jugoslava. I contrasti fra le varie componenti della borghesia nascono dalla crisi del sistema capitalistico nel suo insieme e dal metodo di distribuzione delle ricchezze e delle risorse dello Stato federale tra le varie repubbliche. Quando i contrasti si sono avviati, le varie Leghe dei Comunisti sono ricorse all'arma del nazionalismo per compattare il proletariato dietro di sé e bloccare ogni sua iniziativa autonoma, diventata uno spettro aleggiante proprio a causa del peggioramento dei livelli di vita.

Il primo punto su cui la borghesia nelle sue frazioni nazionali e fazioni interne ha agito concordemente è stato l'abbattimento del sistema autogestionario, perché così richiedeva la nuova fase dell'economia. Da questo accordo nasce il governo Markovic che ha il benestare degli organismi finanziari mondiali (Banca Mondiale, FMI) ed il cui primario obbiettivo è quello di garantire il rispetto delle scadenze per la restituzione dell'enorme debito estero, oltre 20 miliardi di dollari. L'accordo dura assai poco a causa del procedere spedito della crisi d'accumulazione che di fatto impedisce la riuscita delle varie politiche di "risanamento" e di conseguenza si rafforzano le tendenze più scioviniste all'interno delle singole repubbliche che avrebbero poi portato allo scontro armato.

Dall'indipendenza ad oggi

Lo sfascio economico a cui era giunto lo stato jugoslavo nel suo insieme non aveva tardato a proporre nella sfera politica le sue rappresentazioni.

Già da tempo, infatti, all'interno della Lega dei Comunisti si portava avanti un discorso di indipendenza e "sovranità nazionale". In Slovenia era la stessa Lega locale di Kucana a parlare e lavorare per questo obiettivo. Quello cui si puntava era l'avvicinamento alla "civiltà occidentale" nei livelli di vita e soprattutto nei fondi finanziari.

Fondamentali erano pure da considerarsi, in questo contesto, i contatti ormai consolidati nel tempo con l'Austria, la Germania e l'Italia, che oramai soffiavano apertamente sul fuoco della separazione, seppure dapprima contraddittoriamente, poi via via in modo più convincente. È da ritenere che le prime perplessità in Italia sull'operazione di separazione dalla Federazione, riflesso della lotta fra le tendenze filo-Serbe e filo-Sloveno/Croate in seno al governo, siano poi state per così dire superate nel tempo con la constatazione del dato di fatto e dell'impossibilità di tornare indietro.

All'interno della Slovenia intanto veniva fatto passare un discorso dai connotati chiaramente nazionalisti, seppure velati ogni tanto da puntate filo-operaie ad opera principalmente dei Sindacati legati alla Lega. Praticamente il concetto borghesissimo che veniva propagandato presso le masse era: visto che la Slovenia era in grado (grazie alla sua economia "supersviluppata" all'interno della Federazione) di fare da sola, sarebbe stato utile e giusto per "tutte le classi" liberarsi dall'oppressione di Belgrado, in questo modo, dicevanole forze sindacali e politiche, ne guadagneranno anche gli operai.

Ma come è stato possibile far passare questo discorso presso gli operai?

  1. Perché oggettivamente l'analisi s'inseriva in una situazione di economia basata sul profitto e quindi capitalista.
  2. Perché di conseguenza questa aveva una rappresentazione politica che finiva nell'interclassismo e nel concetto di nazione.
  3. Mancava una frontale contrapposizione di classe come risultato di un forte movimento di classe operaia unito ad un'azione politica cosciente. I proletari mancavano (e mancano) di cultura politica e possibilità d'analisi su cos'è il capitalismo e quindi sulle ragioni del loro sfruttamento, il che la dice lunga sull'essere stato socialista di quel regime.

Di fatto in Slovenia e Croazia, la borghesia si riarmava col contributo della diaspora internazionale e di segmenti di borghesia internazionale, che passavano oltre alle armi moderne, i soldi e l'aiuto logistico. A proposito dell'aiuto della borghesia internazionale, un ruolo importantissimo l'ha avuto l'Austria che all'interno del proprio governo ha visto degli scontri durissimi sull'argomento della fornitura di armi alla Croazia prima e alla Bosnia-Hercegovina poi. Nel governo austriaco la parte del leone in favore della fornitura d'armi l'ha fatta il Partito Liberale. Dagli Usa poi, arrivano soldi ed armi da parte della comunità slavo-musulmana ai bosniaci della stessa religione.

In America è Muzafer Radoncic che organizza questi "aiuti" attraverso il Muslim Slavic Center di New York. Parallelamente la borghesia delegava ai suoi organi sindacali la "risoluzione" della questione operaia interna. Gli apparati sindacali e poi quelli politici non avrebbero deluso le aspettative, divenute realtà con la costituzione di organismi sindacali "liberi". Lo scopo è quello di frammentare, disorganizzare le lotte operaie presenti e soprattutto future, vista l'enormità dei provvedimenti che lo Stato dovrà far passare a scapito degli elementari interessi operai. Il contributo dato dai Sindacati italiani all'opera, con una serie di incontri, seminari, rapporti organizzativi preferenziali, sigilla definitivamente il carattere apertamente antioperaio del tutto. Le lezioni date ai "nuovi Sindacati liberi" di Slovenia e Croazia sono nella direzione del frapporre più ostacoli oggettivi e soggettivi possibili eventuale rilancio di lotte e solidarietà operaie. La CGIL ha già varcato il confine Sloveno ed è prossima l'apertura della sede di Koper.

Ma nonostante tutto la classe operaia slovena trovò la forza alla vigilia della proclamazione dell'indipendenza di manifestare (erano 10000 operai) davanti al Parlamento lubianese "contro la politica delle armi" per una "politica sociale".

Dall'altra parte, cioè dalla parte Serba, la nomenklatura preparava la guerra già da una decina d'anni. Sono circa 10 anni che si stanno costruendo rifugi antiatomici, un armamento moderno ecc. Inoltre ogni ufficio, ogni scuola, ogni posto di lavoro aveva la sua organizzazione per la guerra: in questo senso è stata emanata una legge sul servizio militare con la formazione di una Commissione di Difesa Popolare di cui facevano parte il direttore dell'impresa, il segretario del Partito, del Sindacato.

Grazie a questa organizzazione capillare che mira a stroncare qualsiasi dissenso ed alternativa alla logica della borghesia, allo scoppio delle ostilità era quantomeno improbabile una resistenza da parte del proletariato o una immediata presa di posizione contro lo scontro che si andava delineando. Nonostante tutto, comunque, all'inizio del conflitto (molto limitato e giocato soprattutto sull'emotività) in tutta la Jugoslavia si sono formati dei "comitati per la pace". La volontà della gente è stata certamente estranea alla logica guerrafondaia, se a Rijeka in 3 giorni si sono raccolte 15000 firme contro la guerra, nonostante il fatto che i mass-media, da qualsiasi fronte parlassero erano a favore della guerra e dileggiavano chi non lo fosse.

Ma non solo a livello interno si rinfocolavano odi e soluzioni guerriere. Sul terreno dello scontro borghese interno si inserivano vari elementi del capitalismo internazionale:

  • la produzione di armamenti e quindi l'interesse a creare nuovi focolai di guerra;
  • il mercato della droga: i soldati feriti al fronte non hanno avuto nessun problema ad averla, anzi è stata loro offerta ed è certo che massacri ed efferatezze siano avvenuti sotto l'influenza della droga;
  • il mercato nero degli organi.

Sono tutti fenomeni inerenti il processo d'accumulazione del capitale, che oggi divengono preponderanti in quanto la fase di crisi dell'accumulazione medesima mette in evidenza i lati "alternativi" al sostegno della stessa. Sostegno dei profitti tramite l'espandersi di attività considerate "amorali" o quant’altro, ma pur sempre necessarie.

Vi è poi la comparsa del neofascismo internazionale come braccio armato delle fazioni più reazionarie della borghesia interessate alla spartizione del bottino ex-jugoslavo, nonché di mercenari pagati per uccidere e casi di criminali fatti uscire dalle prigioni cui il governo Federale (in questo caso) ha dato le armi. Eclatante è a questo proposito il caso del penitenziario dell'Isola Nuda dove tutti i criminali sono stati liberati e arruolati nelle "milizie irregolari".

A proposito dell'interesse della borghesia internazionale nelle vicende jugoslave è da respingere la posizione politica di certe formazioni che vedono le ragioni della guerra in atto unicamente come il portato di un complotto del capitale occidentale per smembrare il paese. Sembrerebbe negata l'esistenza di una borghesia in loco con una propria linea politica derivante da ben precisi interessi economici e privilegi di classe, e quindi incapace di portare avanti un conflitto perché "non sviluppata" o "inesistente". È invece ovvio che le forze del capitale internazionale non avrebbero potuto metter becco nella situazione jugoslava se non vi fosse stato un tessuto di economia borghese con tutte le contraddizioni che ne derivano fino al punto della resa dei conti per la spartizione dei...beni. È altrettanto evidente che se da una parte la borghesia s'è mossa con tanta determinazione a difendere il proprio "suolo nazionale" era perché aveva qualcosa da difendere, mentre dall'altra parte, la maggioranza della popolazione non ha mosso un dito per difendere...il niente che aveva, mettendo così in evidenza l'esistenza di classi sociali con interessi diversi e contrapposti. D'altro canto basta guardare lo stile di vita che portano avanti i neo alti papaveri di Slovenia e Croazia, i politici vecchi e nuovi, i manager e i nuovi liberi imprenditori, con ville e yacht sulle coste istriane e quarnerine, in un paese dove la maggioranza della popolazione vive nella miseria!

Proprio per colpire le ragioni di una frattura di classe, per annullare il ricompattarsi degli operai, è stata operata la distruzione di Vukovar. In questa città vivevano 20 nazionalità diverse, quasi tutti i matrimoni erano misti, la classe operaia era la maggioranza della popolazione lavoratrice, classe operaia che lavorava in 3 imprese produttive. Questi operai di Vukovar erano gli stessi operai che 3 anni prima erano andati davanti al Parlamento invitando tutti gli altri operai allo sciopero generale, perciò si doveva effettuare la distruzione sistematica della città, separare la popolazione che era unita da sempre e da sempre s'era difesa unitamente, in base alla nazionalità. Quello che il mercato capitalista statalizzato aveva unito ora bisognava dividerlo con dei decreti politici e col supporto dei campi di concentramento. Inoltre, durante le elezioni qui avevano vinto i riformisti ex-comunisti. Quando sono iniziati gli attacchi delle "bande", c'è stato un colpo di stato del governo croato che ha sostituito tutta la classe politica eletta.

Ora, come sappiamo, la guerra ha come epicentro la Bosnia. Le notizie che vengono da quella regione, parlano oltre che di distruzioni, anche di fughe di renitenti alla leva. Diverse migliaia sono stati catturati dalle autorità croate mentre stavano fuggendo dalle zone di guerra; i treni provenienti dalla Bosnia erano pieni di divise militari occultate negli scompartimenti dei treni! 4000 renitenti alla leva bosniaci sono stati rispediti in zona di guerra dai croati dal 20 al 30 luglio di quest'anno!

Anche in Croazia non ci sono solo i guerrafondai. Anche se gli "obiettori di coscienza" dichiarati sono solo un centinaio, i giovani croati che non hanno risposto in nessun modo alla chiamata alle armi sono un terzo del totale! E solo dalla Slovenia sono scappati 5000 giovani disertori sparsi ora un po' in tutta l'Europa.

Dunque dove vanno le repubbliche "indipendenti"? Partiamo da alcune considerazioni. Oggi in questi paesi da sempre a basso tasso d'accumulazione, la denazionalizzazione non trova acquirenti privati locali, ma eventualmente solo nel grande capitale internazionale (occidentale e giapponese in primis) o in quello della diaspora, la borghesia privata slava non è in grado di comprarsi le aziende statali, praticamente l'unico acquirente "affidabile" torna ad essere lo Stato. Come dicevamo all'inizio, siamo nella fase ultimale del 3o ciclo d'accumulazione del capitale e la disgregazione violenta della Jugoslavia sta a dimostrare l'acutezza della crisi e contemporaneamente prefigura altri scenari di scontro di fine ciclo. In questo contesto per le varie fazioni della borghesia ex-jugoslava si tratta di

  • assicurarsi la propria sopravvivenza sociale in quanto classe dominante e
  • uscire al meglio dalle faide interne per il processo spartitorio del bottino costituito da territori e ricchezze prodotte dal proletariato
  • presentarsi nel modo più affidabile possibile al capitale internazionale.

La ridefinizione dei rapporti interborghesi, in questi paesi, passa attraverso una fase di ristrutturazioni nell'economia, nuove concentrazioni di capitali anche internazionali e lotte nel potere politico fra le fazioni più importanti. Vincerà chi saprà dare al sistema imperialista internazionale e alle sue istituzioni, in primo luogo il FMI, maggiori garanzie sui prestiti che saranno investiti direttamente in questi "nuovi" paesi balcanici. In proposito si fanno insistenti le domande di Slovenia e Croazia per l'adesione al FMI, diversi incontri con esponenti del medesimo si sono tenute negli ultimi tempi. Per il momento nulla di fatto, ma i voleri del Fondo sono ovviamente di avere a che fare con una realtà che in qualche modo sia solvibile o, per lo meno, a cui si possano in futuro imporre delle linee di politica economica e politica. Due sono i modelli per l'adesione della Croazia e della Slovenia al Fondo: quale nuovo paese membro o quale uno degli Stati successori dell'ex Jugoslavia. Il primo caso è alquanto lontano, mentre il secondo sarebbe molto più rapido e favorevole ma attualmente ci sono dei problemi concreti da risolvere.

Quindi, la strada da percorrere per le varie fazioni della borghesia non si presenterà né facile né lineare perché lo scontro sarà duplice:

  1. con la ex-borghesia statale - in parte già riciclata - che non intende perdere né il suo ruolo né i suoi privilegi;
  2. col proletariato che rappresenta una "variabile" da controllare costantemente.

L'attacco portato avanti dalla borghesia è pesante, produce la atomizzazione sociale nella classe operaia e in tutti gli strati della collettività, soprattutto laddove si procede a smantellare i residui di "welfare-state" e i "privilegi" degli operai e di fette consistenti di piccola borghesia (insegnanti, quadri).

Più in particolare, in Slovenia, lo scontro è fra i vecchi dirigenti d'azienda e la borghesia emigrata: i primi sfruttando le leggi varate ancora dal governo federale si stanno appropriando delle aziende che avevano precedentemente portato alla bancarotta. In molti casi le aziende diventano di loro proprietà a prezzi ridicoli. Secondo le promesse del governo le azioni delle aziende privatizzate sarebbero state distribuite gratuitamente fra tutta la popolazione, mentre con l'approvazione del progetto Sachs (ex-consigliere del governo polacco) si prevede la distribuzione gratuita solo di una piccola parte delle azioni delle aziende minori, mentre per quelle maggiori ci sarebbe la nazionalizzazione per poi avviare la cessione a grossi gruppi stranieri.

Contemporaneamente, a conferma del carattere violentemente classista della società slovena, la potente lobby contadina ha ottenuto dazi protettivi sui prodotti agro alimentari importati e che il 40% di azioni delle aziende di trasformazione dei prodotti agricoli venga ceduto gratuitamente ai produttori agricoli che le riforniscono. In più, per difendere la produzione nazionale, il governo Sloveno ha vietato l'importazione di pesche dal 5 al 20 agosto. Infatti, i frutteti sloveni hanno prodotto quest'estate una messe estremamente abbondante di pesche. I produttori sono stati obbligati a piazzare questa frutta a prezzi molto bassi sul mercato. Il surplus di pesche ha anche un'altra motivazione che riguarda direttamente la crisi dell'apparato produttivo: la difficoltà in cui versa l'industria dei succhi di frutta, in primo luogo la "Fructal" di Ajdovscina.