Nel solco della rivoluzione d'Ottobre

La condotta dei marxisti di fronte alla guerra imperialista

Nel cinquantenario della Rivoluzione d'Ottobre, la Russia e i paesi «comunisti», legati al blocco sovietico, rievocano l'avvenimento non esaminando, né lo potrebbero, la realtà della loro politica e della relativa giustificazione teorica al lume delle idee e della prassi economico-politica che portarono cinquant'anni fa alla Rivoluzione d'Ottobre.

La storia che ne è seguita ha dimostrato senza possibilità di equivoci e di contestazioni, che quando le stesse forze che hanno operato per il trionfo della rivoluzione si distaccano da questa premessa storica per imboccare la strada del compromesso col nemico che si voleva abbattere, della politica delle concessioni prima, e quindi della ricostruzione idi quella economia che si riteneva distrutta; è nella logica storica il loro inevitabile allineamento sul fronte dell'imperialismo e della guerra.

Si è così abdicato alle forme e ai contenuti del socialismo per dare vita alla più grossolana sua mistificazione continuando a chiamare socialista il suo opposto, la forma estrema del suo sviluppo che già Marx e Lenin individuavano nella esperienza del Capitalismo di Stato.

Il proletariato russo defenestrato dall'esercizio della sua dittatura è stato piegato ancora una volta alla legge dello sfruttamento capitalistico.

La dottrina rivoluzionaria di Marx e di Lenin ridotta ad una miserevole paccottiglia di formulette e di slogan buoni solo a procurare voti al partito.

La lotta di classe, l'inevitabilità della guerra imperialista e della rivoluzione proletaria sono state sostituite con la collaborazione, la coesistenza pacifica e la via democratica e parlamentare al socialismo.

E come se ciò non bastasse a registrare il bilancio fallimentare dell'epoca post-rivoluzionaria bisogna assistere all'estrema perversione di coloro che osano commemorare il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre dopo averla rinnegata nella sua essenza di classe e dopo averla strangolata ideologicamente e politicamente.

Per i marxisti rivoluzionari è questa un'esperienza del passato che deve essere energicamente e totalmente rifiutata e con la quale è aperto un conto di classe che va saldato nei tempi e nei modi che il presente corso del capitalismo pone come insostituibile prospettiva del nostro tempo: guerra imperialista o rivoluzione proletaria.

È ancora un compito del partito rivoluzionario riaffermare in termini inequivocabili e con un esame spietato i compiti storici del proletariato nel momento cruciale della sua esistenza di classe antagonista di fronte a tutto lo schieramento del capitalismo imperialista.

I problemi del mondo ruotano tutti intorno alla lotta in atto tra i maggiori vertici del potere imperialista per la conquista di una supremazia mondiale.

Ciò indica che la conoscenza e la delimitazione delle forze egemoni e subalterne dello schieramento imperialista, proiettate verso una politica di guerra, sono indispensabili alla definizione di una strategia antimperialista realizzabile soltanto dal proletariato come la sola forza storica della rivoluzione.

E quali esse siano è ormai noto a tutti anche se non in tutti è chiara la coscienza della loro reale natura e dei fini a cui vogliono pervenire; America, Russia e Cina e le rispettive zone d'influenza sono oggi all'ordine del giorno nella lotta di predominio che esse producono avvalendosi di tutto e di tutti, dagli insorgenti nazionalismi, alle esplosioni popolari d'indipendenza contro ogni forma di colonialismo; dal militarismo ai governi di più avanzata democrazia; dalla guerra localizzata alla guerriglia partigiana per rafforzare il loro potenziale economico-militare componente indispensabile ad ogni politica di potenza.

Patto atlantico e Patto di Varsavia e loro patti minori che si riallacciano in una fitta rete che imprigiona il mondo, non sono che gli organismi storico-giuridici di questo potere.

Nella fase imperialista il capitalismo ha come sua componente essenziale e permanente la guerra e la pace come un momento indispensabile della sua dialettica interna e della sua continuità e, per dirla con Lenin «è la stessa politica condotta con altri mezzi»; la guerra è la sua vera realtà mentre la pace ne è solo una finzione.

L'alternativa alla guerra, per dei marxisti, non è la pace ma la sua trasformazione in guerra civile che è quanto dire la sua trasformazione in rivoluzione socialista.

Che la storia di questi ultimi decenni abbia dimostrato la validità della teoria leninista delle «svolte brusche» caratteristica della fase imperialista del capitalismo lo prova lo svolgersi dinamico e irrazionale delle vicende umane e il mutare repentino delle condizioni obiettive e subiettive, dai rapporti economici alle relazioni tra le classi e allo sbandare a destra e a sinistra della opinione pubblica per la sua natura già così mutevole e contraddittoria.

L'arte dell'imprevisto è mio dei capisaldi nella tecnica della guerra preventiva e dallo scatto inatteso e demolitore ed è caduta in dispregio la formalità della stessa dichiarazione di guerra; questa può avere non solo un inizio imprevisto nelle così dette guerre localizzate ma può rappresentare il dato obiettivo ad un allargamento del conflitto a livello mondiale. Da un momento all'altro si potrà precipitare nella catastrofe della guerra mondiale; quando la crisi del mondo ha raggiunto il limite di rottura, l'episodio più banale potrà esserne la causa e le implicazioni che ne scaturiscono sono di estrema importanza per la sorte del proletariato.

Le vicende dei prossimi decenni diranno se il proletariato sarà materialmente e spiritualmente in condizione di impedire la guerra spezzando con una decisa e tempestiva azione di classe l'iniziativa dell'imperialismo (l'ipotesi, tuttavia, non è suffragata da precedenti) o se dovrà attendere d'inserire la propria iniziativa rivoluzionaria nel crollo di questo o quel settore della guerra, come nella Comune di Parigi e nella Rivoluzione Russa.

Quali saranno i caratteri dietro cui saranno mascherati la natura e i fini del conflitto? È il motivo strategico che caratterizzerà l'azione del partito rivoluzionario se si farà centro di affasciamento di tutte le forze ideologicamente sane e concretamente operanti dell'anti-imperialismo.

I modi di mistificare la guerra variano col variare del clima storico e degli strumenti ideologico-politici che le esigenze della strategia imperialista impongono per procedere al solito lavaggio dei cervelli dalla cui azione dipenderà il cieco assoggettamento alla guerra delle grandi masse senza le quali la sagacia dei politici, il calcolo degli economisti, l'avvedutezza degli strateghi sarebbero privati da ogni seria capacità di realizzazione.

Gli ideali di umanità contro la barbarie, di libertà e di democrazia contro la dittatura sono stati adoperati ogni volta come altrettanti strumenti di offesa e di difesa più efficaci, nell'economia generale del conflitto, delle armi vere e proprie tanto nella prima che nella seconda guerra mondiale.

Significativa la spregiudicatezza tattica nella condotta della guerra adottata dallo stalinismo. Eccone i dati essenziali. È dal 23 agosto 1939 la conclusione delle trattative per un patto di non aggressione tra la Russia sovietica e la Germania nazista, che viene firmato il giorno dopo, in aperta ostilità con le democrazie occidentali e in spregio agli accordi presi con l'accettazione del sistema della sicurezza collettiva che era il capolavoro diplomatico di Litvinov. Il patto dà il via alla seconda guerra mondiale. Il 2 settembre le divisioni naziste penetrano in Polonia; il 14 settembre 1939 l'esercito sovietico varca la frontiera polacca per partecipare alla suddivisione del bottino in base agli accordi del patto russo-nazista.

Va da sé che il punto forte della strategia di Stalin consisteva nella presenza attiva dei vari partiti aderenti al Cominform, con a capo il partito di Thorez, reso possibile dalla liquidazione delle forze politiche legate alla ideologia rivoluzionaria e alla suggestione tuttora viva dell'ottobre bolscevico.

Poi il decadere dei motivi che avevano reso possibile il patto Ribbentrop-Molotov rende ora possibile il fatto opposto, il tragico e comico nel contempo, non tanto come condotta di guerra, quanto per le giustificazioni teorico-politiche che l'hanno accompagnato, passo di danza che riporta la Russia sulla linea ideologico-politica e militare delle democrazie occidentali allorché Hitler il 23 giugno 1941 fa invadere il suo territorio.

E il passo di danza si completa con l'immediato dietrofront dei partiti del Cominform che dopo aver affiancato le bandiere e gli ideali della guerra rivoluzionaria a quella di Hitler contro il capitalismo occidentale e contro la plutocrazia anglo-sassone, ora si affiancano al capitalismo plutocratico in nome della difesa nazionale e della solidarietà democratica contro gli alleati di ieri che definiranno tirannide nazista che dovrà essere schiacciata se si vorranno salvare i valori della civiltà occidentale, borghese e cristiana.

A questa condotta della guerra staliniana sono evidenti i segni premonitori di ciò che sarà la strategia della terza guerra mondiale che vedrà protagonisti i paesi di democrazia progressiva che si avvarranno dell'insegnamento offerto dallo stalinismo nella seconda guerra mondiale.

Non è concepibile prendere posizione a fianco delle potenze capitaliste se il motore storico che spinge in questa direzione non è connaturato al sistema economico-politico del capitalismo. Il socialismo, quale che sia la base del suo sviluppo non solo è da considerarsi al di fuori di queste competizioni, ma contro di esse ricorrendo all'arma del disfattismo rivoluzionario.

Intanto è andato assottigliandosi il numero di coloro che respingevano come eresia economica la definizione di Capitalismo di Stato la forma assunta dall'esperienza economica instauratasi in Russia e presente in vario modo nella strutturazione economica e politica del capitalismo in generale; ma sono tuttavia ancora pochi coloro che accettano di considerare il capitalismo di Stato entro i limiti del capitalismo pur sulla base monopolistica e terminale della sua esistenza e si rifiutano di considerarlo tanto in sede di dottrina che in sede di prassi economico-politica, nello spazio del socialismo, neppure nella sua fase iniziale.

Il pericolo che incombe sul movimento operaio e mette in forse l'efficienza della lotta rivoluzionaria per il socialismo, è che riesca ancora una volta al capitalismo di avvalersi dello stesso motivo mistificatorio della prima e della seconda guerra mondiale adattato alle esigenze del momento storico in cui esploderà, nella sua pienezza, la terza guerra mondiale.

Sarà la guerra della democrazia socialista contro l'imperialismo americano oppure la guerra del socialismo «buono» dei tecnocrati russi contro il socialismo «cattivo» della tirannia maoista? Nell'un caso come nell'altro il motivo mistificatorio mirerà a legare le masse al carro di una nuova dominazione del capitalismo imperialista. Nella esperienza italiana è già individuabile il duplice binario su cui si articolerà la manovra mirante ad arroccare tempestivamente le masse operaie sulle posizioni del dominio capitalista; spetta ai sindacati cui è assegnato il ruolo di comprimario in quanto operatore economico a fianco degli industriali e dello Stato, la regolamentazione delle rivendicazioni di categoria, degli scioperi e dei salari secondo le superiori esigenze del piano, come spetta ai sindacati portare le masse operaie alla convinzione che la riuscita tecnica e produttiva del piano creerà le condizioni per un effettivo e generale miglioramento nella vita dei lavoratori. Tuttavia la burocrazia sindacale sa bene che senza l'apporto dei lavoratori nessuna programmazione è possibile e se ne avvale per farlo pesare sul tavolo delle trattative tra i gruppi di potere nel mercato delle vacche grasse.

L'altro binario è quello che porta alla guerra, alla terza guerra mondiale. È ovvio che quando il proletariato è irretito nelle maglie di una politica sindacale, quella della programmazione, per intenderci, che gli offre l'illusione del potere, quando in realtà tutto si riduce ad una greppia dorata per gli uomini dell'apparato e scarso mangime per i lavoratori, è ovvio, dicevamo, che questo proletariato divenga facile preda dei partiti della guerra.

Il Partito Comunista Internazionalista che ha fatto le ossa proprio nel cuore della seconda guerra mondiale e ha tratto da quella esperienza non solo un permanente motivo di monito, ma l'indicazione storica di un sicuro orientamento, trova nelle guerre localizzate, nella guerriglia partigiana e contadina dei paesi sottosviluppati, ma soprattutto nella linea tattico-strategica della Russia dei tecnocrati e della Cina maoista, abbondanti indizi per dare conferma al carattere ingannatorio delle ideologie di copertura a giustificazione delle cause e degli obiettivi della terza guerra mondiale.

Dal contenuto delle attuali lotte tra i centri di potere dell'imperialismo non è difficile mettere in evidenza la costante che le caratterizza, in una tale monotonia di motivi che si stenta a credere alla loro efficacia e al persistere di una opinione pubblica disposta tuttora a prenderli per buoni.

Ma noi che siamo, oggi, così soli a sostenere con tanta convinzione e determinazione una piattaforma di principi di rigida e assoluta discriminazione di classe e una operante linea strategica rivoluzionaria contrapposta a quella della guerra imperialista, siamo certi di essere sulla buona strada per ciò che riguarda la fedeltà all'interpretazione dialettica del marxismo che sarebbe falsa se non traducibile in un momento della storia. Esistono riferimenti validi, a cui attingere e soprattutto a cui uniformarsi? L'impegno storico del momento è di ritornare a Lenin, a quel Lenin emerso da una situazione storica non molto dissimile dalla presente, per i fattori che vi dominano, per gli obiettivi che la caratterizzano e per l'urto di classe che mette di fronte proletariato e capitalismo, rivoluzione e controrivoluzione. Lenin torna ad ammonirci:

«Ora, l'alternativa è la seguente: o noi siamo realmente, fermamente convinti che la guerra sta per creare in Europa una situazione rivoluzionaria e che tutta la congiuntura economica, sociale e politica dell'epoca imperialistica conduce alla rivoluzione proletaria, allora il nostro dovere indiscutibile è di esporre alle masse la necessità della rivoluzione, di chiamare le masse alla rivoluzione, di creare le organizzazioni indispensabili, di non temere di parlare nel modo più concreto, dei diversi metodi della violenza e della tecnica della violenza. La rivoluzione sarà assai forte per vincere? Si produrrà dopo la prima o dopo la seconda guerra imperialistica? Il nostro dovere indiscutibile è indipendente da queste domande. O noi non siamo convinti di avere una situazione rivoluzionaria e allora non vi è punto bisogno di parlare a vuoto di "guerra alla guerra". Allora noi siamo, di fatto, dei politici operai nazional-liberali del tipo Sudekum, Plekanov o Kautsky.» (Lenin, da «I marxisti rivoluzionari alla conferenza socialista internazionale 5-8 settembre 1915», da «Contre le Courant»)

Poste queste condizioni ecco i compiti che il partito rivoluzionario deve porsi per combattere frontalmente l'opportunismo e per aiutare le masse a liberarsene; la parola è sempre a Lenin:

«Non possiamo e nessuno può valutare in che misura una certa parte del proletariato segue e seguirà i socialsciovinisti e gli opportunisti. Non lo vedremo che nel caso della lotta; la questione non sarà definitivamente risolta che dalla rivoluzione socialista. Ma sappiamo convenevolmente che i «difensori della patria» nella guerra imperialista non rappresentano che una minoranza. Ed è nostro dovere, se vogliamo restare socialisti, discendere, andare in profondità verso le vere masse; là è il senso e tutto il contenuto della lotta contro l'opportunismo. Denunziamo gli opportunisti e i socialsciovinisti mostrando che in realtà essi tradiscono gli interessi delle masse, che essi difendono i privilegi contingenti d'una minoranza d'operai, ch'essi diffondono le idee e l'influenza della borghesia; noi insegniamo, con i fatti, alle masse a discernere i loro veri interessi politici, a combattere per il socialismo e per la rivoluzione attraverso le dolorose e lunghe peripezie delle guerre e delle tregue imperialiste.
Spiegare alle masse la necessità ineluttabile d'una scissione con l'opportunismo, educarle per la rivoluzione con una lotta accanita contro questo, approfittare dell'esperienza della guerra per denunciare tutte le bricconerie della politica nazional-liberale, e non per dissimularle, ecco la sola linea di condotta marxista nel movimento operaio mondiale.» (Da «Contre le Courant»)

Ce n'è abbastanza, ci pare, per consentire di inchiodare tutto il pattume socialdemocratico e stalinista sul piano della responsabilità politica che è quanto dire sul piano del tradimento. Non ci si venga a dire che la situazione di oggi è assai diversa da quella in cui operò e scrisse Lenin; che i termini dello sviluppo storico, delle trasformazioni profonde avvenute sotto il pungolo della rivoluzione tecnologica tuttora in atto nella produzione e nella vita degli uomini e della condizione operaia siano gli stessi dell'epoca di Lenin e della rivoluzione d'Ottobre e che quindi il mito di un capitalismo che si scava la fossa con le sue mani è ormai venuto meno nella coscienza delle stesse masse operaie. Non sono forse i sostenitori della teoria che vorrebbe dare ad intendere che le distanze sociali si sono enormemente accorciate col benessere economico ormai alla portata di tutti e che è questa l'epoca della coesistenza pacifica e dell'inserimento dello stesso proletariato alla cogestione del potere economico e della compartecipazione agli utili delle aziende da pari a pari con i capitalisti e perfino con lo Stato padrone?

La fase storica che ha avuto inizio con la rivoluzione d'Ottobre è sempre aperta; attende solo di essere portata a compimento.

Intanto questo cinquantennio di esperienze servirà a rafforzare nei rivoluzionari marxisti la certezza tanto di ciò che è valido e vivo ma anche di ciò che non deve essere ripetuto di questa grande rivoluzione socialista.

«... La dittatura del proletariato non deve in nessun caso ridursi a dittatura di partito, anche se si trattasse del partito del proletariato, intelligenza e guida dello Stato operaio.
Lo stato e il Partito al potere, in quanto organi di tale dittatura, portano in germe la tendenza al compromesso col vecchio mondo, tendenza che si sostanzia e si potenzia, come l'esperienza russa ha insegnato, nella temporanea incapacità della rivoluzione in un dato paese di irradiarsi, saldandosi col moto insurrezionale di altri paesi.
In una fase dunque di politica temporeggiatrice imposta dalla gradualità dello sviluppo rivoluzionario, gli interessi della rivoluzione si garantiscono con la presenza operante del proletariato - soprattutto delle sue forze più coscienti - negli organi essenziali della dittatura, con le cariche elettive, col diritto di rimozione dalle cariche, col libero esercizio del sindacato operaio a tutela dei propri interessi di classe nei confronti dello Stato e di tutte le stratificazioni economiche non ancora socialiste: in una parola col più ampio esercizio della democrazia operaia. Se in questa fase della dittatura di classe è anacronistica la libera esistenza dei partiti, dovrà però essere libera l'opera di critica e di opposizione nell'ambito del partito della dittatura. L'esercizio della più vasta democrazia nei rapporti fra il proletariato e il partito, fra proletariato e Stato operaio, presuppone un altissimo grado di maturità politica raggiunta dal proletariato e l'esistenza di condizioni obiettivamente sufficienti per tale esercizio in ogni settore economico e sociale dello Stato operaio.
È implicito che è compito del partito che esercita la dittatura elevare tali stratificazioni arretrate fino al livello degli interessi rivoluzionari di classe, attraverso i mezzi e i metodi consentiti dalla stessa democrazia operaia, quali il libero dibattito, la libera espressione nelle assemblee ,ecc...» (Dallo «Schema di programma del P. C. Internazionalista elaborato dal C.C. nel settembre 1944»)

Onorato Damen

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.