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Home ›Al capezzale del capitale, invocando il fantasma di Keynes
Attorno allo svolgersi della crisi, dal settembre 2007, e delle sue drammatiche conseguenze (per il proletariato internazionale), gli ideologi della classe dominante annaspano, con una evidente depressione mentale, in un terremoto di squilibri economici e sociali strutturalmente esclusivi di questo irrazionale sistema. I più coraggiosi si spingono alla ricerca di qualche "rapporto equilibrato e stabile tra sistema produttivo e finanziario", magari a livello transnazionale.
Sembra assodato che l'esplosione del debito Usa, con creditori istituzionali sprofondati in un oceano di insolvenze di massa, sia stata la goccia - si fa per dire - che ha fatto traboccare il livello del fango accumulatosi nelle operazioni finanziarie attorno al mito del "denaro che produce denaro", dopo il restringersi dei profitti industriali. Centinaia di banche ed enti finanziari sono stati salvati, ricapitalizzati, dai "contribuenti federali" con miliardi di dollari per tamponare investimenti definiti dallo stesso Congresso americano come "irresponsabili". Questo dopo che Governo, Banche e vari organismi internazionali avevano lodato, e protetto, la "Nuova architettura finanziaria", fonte di facili profitti e centinaia di milioni di dollari a favore di repubblicani e conservatori.
Intanto il dollaro si indebolisce (rapporto di circa 1,50 contro l'euro): manovre sofisticate e pilotate, tali da elevare barriere commerciali attorno agli Usa e da frenare un rafforzamento internazionale dell'euro che da tempo minaccia il dollaro? Ma una svalutazione del dollaro, che renderebbe competitive le esportazioni americane e ridurrebbe il debito verso l'estero, non sarebbe vista di buon occhio dai paesi creditori degli Usa, in primis la Cina e non solo, che ha accumulato enormi surplus commerciali e colossali depositi di titoli denominati in dollari. Certamente il fuoco delle tensioni si sta sviluppando ovunque e nella sua cenere cova quella deflagrazione di conflitti armati che potrebbe rappresentare una momentanea soluzione al pericolo - mortale per il capitalismo - di un'altra esplosione: quella delle crescenti tensioni sociali con un proletariato, a quel punto, difficilmente controllabile.
Tornando alle interpretazioni borghesi della crisi, si punta ancora il dito sulla eccessiva crescita monetaria e finanziaria (il capitalismo dei mercati finanziari); qualcuno arriva a dare la colpa ai salari bassi o stagnanti (la globalizzazione salariale...) in confronto ad un rilevante aumento della produttività. È la scoperta dell'acqua calda: è palese che se si costringono i lavoratori a produrre di più col medesimo salario (e riducendo la mano d'opera impiegata), chi poi acquisterà le merci prodotte, vista la bassa capacità di spesa di miliardi di individui? Naturalmente - anche se questo è per i borghesi un particolare di poco conto - con centinaia di milioni di esseri umani costretti alla fame. Così si parla pure di una "eccedenza produttiva mondiale", con gli Usa in prima fila nell'alimentare la domanda di merci attraverso la crescita del debito privato: i debiti dei mutui scontati con nuovi prestiti e pagando gli interessi con carte di credito, pur di tenere alti i consumi, fino all'inevitabile scoppio della gigantesca bolla creatasi.
Tornando al divario tra produttività e salari, forsennatamente inseguito dal capitale affamato di profitti, ora la concorrenza sui mercati si sta facendo sempre più aggressiva, massacrando retribuzioni e condizioni di lavoro, eliminando posti di lavoro diventati "superflui" e tagliando servizi pubblici e assistenze sociali, sanitarie e pensionistiche. Costretti ad ammettere una situazione preoccupante, gli economisti e i governanti borghesi siedono perplessi davanti a oscure sfere di cristallo o - indossando i panni di una "politica alternativa per un governo di sinistra" - fantasticano sottovoce per un mitico controllo dei lavoratori sulla gestione delle aziende in crisi. I più arditi "antagonisti" si spingono a prospettare qualche verifica dei libri contabili, qualche controllo della produzione e della commercializzazione (!) nonché degli investimenti. Capitale privato o statale al quale riservare un "giusto profitto"..... Al centro del tutto, generiche proposte alternative sul piano industriale, soprattutto a salvaguardia dei settori strategici nazionali, reclamando magari investimenti di capitali in tecnologie ecologiche purché a "rendimento" nel lungo tempo e per salvaguardare un sano sviluppo.
Quasi commovente un timido ritorno a Keynes, l'uomo di Bretton Woods che sembrerebbe addirittura mettere a tacere i molti fondamentalisti del mercato (la "mano invisibile") fino a ieri in baldoria; un Keynes esaltato per le "raffinatezze e l'eleganza del pensiero e dello stile", capace della "intuizione della funzione anticiclica dell'investimento pubblico" a favore - udite, udite - della "inclusione di crescenti fasce sociali". Il tutto condito dalle imprecazioni alla "controrivoluzione della Thatcher e di Reagan", guardando, di nuovo, ad un ruolo attivo dello Stato, forte e interventista; dal Financial Times a qualche premio Nobel, come Krugman, e allo stesso Obama invocante "un occhio attento sul mercato". Cosa non si direbbe e farebbe pur di salvare il capitale!
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11-12
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