Il governo Prodi affronta il problema della occupazione

In una recente dichiarazione il Presidente Prodi ha annunciato con enfasi che, ultimata la fase più dura dei sacrifici per risanare i conti dell’economia italiana, ma non ancora completamente chiusa, il Governo ha in programma di mettere mano alla questione occupazione. Viste come sono andate le cose fino adesso la promessa sembra suonare come una minaccia. Se il Governo dovesse affrontare la questione nei medesimi termini con i quali si è posto mano ai conti pubblici, e nulla fa ritenere che le cose vadano diversamente, la minaccia non può che diventare realtà per quei tre milioni di disoccupati che attendono di avere un posto di lavoro.

Da quando il Governo di centro sinistra è arrivato al potere, certamente per entrare nei parametri dell’unità monetaria europea, ma anche, se non soprattutto per ridare un minimo di fiato al capitale imprenditoriale, sulla classe lavoratrice italiana si è abbattuta una valanga di penalizzazioni che non hanno riscontro negli ultimi decenni. Mai come in questo periodo la forza lavoro italiana ha dovuto subire il peso di un duplice attacco da parte del capitale. L’attacco si è sviluppato su tutti i fronti. Su quello normativo, dove tutte le leggi messe in cantiere e approvate dai Sindacati come da Rifondazione, hanno raggiunto l’obiettivo di porre in essere contratti e modalità di lavoro sempre più penalizzanti. Si è andati dai contratti a termine al part time, dai contratti d’area al lavoro in affitto ingabbiando la forza lavoro in una sorta di camicia di forza senza possibilità d’uscita se non quella della disoccupazione. Sul terreno fiscale le cose non sono andate meglio. Le finanziarie si sono succedute a ritmi serrati senza che ci fosse la benché minima scappatoia per i lavoratori dipendenti a reddito fisso. Migliaia di miliardi sono usciti dalle buste paga dei lavoratori per passare nelle casse dello Stato rese esauste dai continui crediti agevolati al capitale imprenditoriale. La terza manovra ha colpito il mondo del lavoro sia sul salario diretto che su quello indiretto. Ridotta ai minimi termini la scala mobile, ampliatasi la divaricazione a forbice tra l’incremento della produttività e i salari, il reale potere d’acquisto dei lavoratori si è enormemente ridotto quasi azzerando i risparmi e contraendo i consumi. Ancora peggio le cose stanno andando sul versante del salario indiretto. Sempre grazie al Governo Prodi lo smantellamento dello Stato sociale sta diventando una tragica realtà. Pensioni, sanità e scuola sono gli obiettivi che il moderno capitalismo deve smantellare per sopravvivere alle proprie insanabili contraddizioni. Meno soldi in busta paga, meno consumi per le famiglie operaie, più spese per l’assistenza e la previdenza. Se queste sono le premesse, legittima è la preoccupazione quando si sente Prodi dire che, sanato quello che doveva essere sanato, ora tocca all’occupazione. Il terrore è che i futuri posti di lavoro, ammesso che l’andamento generale dell’economia e le ferree leggi della competitività del mercato internazionale lo consentano, abbiano tutte le caratteristiche negative delle misure precedentemente prese per sanare l’economia e i conti pubblici.

In una fase storica in cui il capitale ha margini del saggio del profitto sempre più bassi, dove le crisi economiche si inseguono senza soluzione di continuità e i tassi di crescita sono in drastica diminuzione, l’investimento ad alto contenuto tecnologico e la disoccupazione diventano necessariamente le due facce del medesimo fenomeno. Di questa situazione, nuova per intensità e durata, è pienamente cosciente la borghesia la quale tenta di correre ai ripari non tanto per assicurare uno standard di vita decente ai lavoratori, anche se nei limiti dello sfruttamento capitalistico, quanto per contenere quella mina vagante rappresentata da milioni di disoccupati che in qualsiasi momento potrebbe mettere a rischio la pace sociale così tenacemente tessuta con la collaborazione delle forze politiche di sinistra e con l’ormai proverbiale senso di responsabilità dei sindacati. Ecco perché per la borghesia contenere il fenomeno della disoccupazione creando qualche centinaio di miglia di posti di lavoro sta diventando un imperativo assillante, ma a due condizioni. La prima è che l’economia si incammini su percorsi di redditività del capitale che consentano incrementi del Pil del 3-4% per un periodo di espansione di almeno cinque sei anni. Cosa questa non impossibile ma certamente difficile per una economia strutturalmente debole e oberata da un debito pubblico che è ancora sopra il 120% del Pil. Il che, tra l’altro, significa che la stagione dei sacrifici e delle finanziarie non è assolutamente terminata e che i versanti dell’attacco al proletariato saranno molteplici e vari, a seconda delle necessità contingenti e strategiche del mondo imprenditoriale. La seconda riguarda il nuovo rapporto tra capitale e forza lavoro che la borghesia sta costruendo. Benché la realtà del capitalismo moderno abbia mostrato come lo sviluppo economico, contrariamente a quanto succedeva sino a pochi anni fa, non crea proporzionalmente occupazione se non in casi e in settori particolari, per la borghesia gli schemi rimangono gli stessi. Per Confindustria e Sindacati l’unico mezzo per creare nuovi posti di lavoro passa attraverso lo sviluppo economico delle aree depresse nei termini imposti dall’attuale fase del capitalismo e dei suoi problemi di valorizzazione. Sviluppo significa investimenti remunerativi. La remuneratività impone sgravi fiscali per il capitale ad investimento e bassi salari, più bassi degli attuali del 30-40% e anche di più. Allora e solo allora si potranno aprire occasioni di occupazione nelle zone meno favorite come nel Meridione in parziale contro tendenza alla perdita di posti di lavoro delle aree a capitalismo avanzato. Ma non basta. I nuovi posti di lavoro, saltuari, precari, a salari di fame dovranno essere caratterizzati dalla massima mobilità e flessibilità. Nel nuovo modo di comporre le necessità del capitale con la forza lavoro non c’è più spazio per i contratti collettivi pluriennali, di vincoli normativi che leghino il mondo del lavoro a quello del capitale. In futuro, che per molti versi è già cominciato, la forza lavoro dovrà essere spogliata di tutto. Non dovrà avere più nessuna garanzia da parte del capitale. L’unica sua prerogativa sarà quella di essere sfruttata come e quando il capitale lo deciderà senza che nessun ostacolo normativo o giuridico si interponga se non quelli che sanciscano una simile situazione di sottomissione. Non sarà soltanto l’estensione del lavoro in affitto, ovvero del lavoro “usa e getta” ma la flessibilità riguarderà la temporaneità del posto di lavoro, le mansioni, l’orario lavorativo e il salario. Sarà “occupazione” solo a condizione che tutte queste categorie relative alla forza lavoro siano delle variabili dipendenti al servizio del capitale, senza condizioni di sorta. Ecco perché la promessa di Prodi di prendere in considerazione il problema occupazione suona sinistra come una minaccia.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.