Anarchismo e comunismo rivoluzionario

Le differenze storiche principali fra anarchici rivoluzionari e comunisti rivoluzionari sono essenzialmente due, ovvero:

- gli anarchici rivoluzionari sostengono che si possa e si debba passare dal capitalismo al comunismo senza nessuna fase intermedia, semplicemente distruggendo la macchina del potere borghese.

- i comunisti rivoluzionari sostengono invece che sia necessaria la fase intermedia della democrazia proletaria, che consiste nel potere esclusivo della classe lavoratrice, necessario per opporsi alla reazione borghese che inevitabilmente si organizza per proteggere i suoi privilegi e il suo potere economico, il quale non puo` certo essere cancellato dall'oggi al domani. E' chiaro poi che, quando le classi saranno realmente scomparse, e non solo abolite sulla carta, la democrazia proletaria non avra` piu` ragion d'essere e si trasformera` finalmente in una democrazia senza aggettivi.

Dal nostro punto di vista, la linea comunista rivoluzionaria e` stata piu` volte confermata, a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre in cui l'Armata Rossa non e` stata altro che la risposta proletaria all'Armata Bianca finanziata dal padronato e dai contingenti militari di una dozzina di nazioni mandati a schiacciare il proletariato al potere per ristabilire il dominio borghese. Stessa situazione nella Germania e nell'Ungheria rivoluzionaria del 1919, dove proprio la disorganizzazione del proletari ha permesso alle armate reazionarie di soffocare la rivoluzione e di operare in seguito sanguinosissime rappresaglie. Poi:

- gli anarchici rivoluzionari sostengono che i proletari possano e debbano fare la rivoluzione senza la guida di un partito e che quindi possano maturare spontaneamente la necessita` del comunismo.

- i comunisti rivoluzionari sostengono invece che, poiche` la cultura dominante e` inevitabilmente la cultura della classe dominante in quanto detentrice dei mezzi di produzione culturale (chiesa, scuola, universita`, libri, giornali, televisioni, ecc.) e che quindi, finche` vige il potere borghese, soltanto una minoranza potra` maturare una coscienza comunista rivoluzionaria, e` necessario che questa minoranza si organizzi affinche` riesca a essere sufficientemente forte da saper indicare al proletari la strada per la liberazione dallo sfruttamento.

Esemplare conferma di questo e` stata ancora la Rivoluzione d'Ottobre: i bolscevichi, infatti, unici portatori del programma comunista in Russia contro menscevichi e socialisti rivoluzionari, che non vollero uscire dalla guerra imperialista con la Germania, crebbero in maniera esponenziale all'interno dei Soviet di soldati, operai e contadini soltanto durante la Rivoluzione e non prima, cioe` raggiunsero la maggioranza assoluta all'interno del consigli aumentando senza sosta nel periodo che va dalla rivoluzione antizarista di febbraio all'Ottobre rosso.

Conferma amara poi di quanto sia necessario il Partito rivoluzionario e` stata l'occupazione armata delle fabbriche del triangolo Genova-Torino-Milano nel 1920 che, dopo un mese, si esauri` perche` gli operai, non avendo maturato autonomamente la coscienza dell'insurrezione rivoluzionaria per la conquista del potere politico e frenati in questo intento da sindacalisti e PSI (unici riferimenti del proletariato di allora), senza organizzazione e prospettiva, abbandonarono le armi, travolti negli anni seguenti dalla reazione fascista finanziata dal padroni. il Partito Comunista d'Italia, che in origine aveva una direzione rivoluzionaria, nacque infatti nel gennaio del 1921.

Riguardo poi allo stalinismo, noi riteniamo che ci sia una frattura netta fra la condotta rivoluzionaria di Lenin e quella apertamente controrivoluzionaria di Stalin, frattura segnata nella storia da eventi indiscutibili, ma falsificati o sepolti dalla storiografia borghese:

- Lenin: tutto il potere ai Soviet, organi della democrazia proletaria;

- Stalin: neutralizzazione della democrazia proletaria attraverso il passaggio forzato del potere dai Soviet alla dittatura del Partito-Stato

- Lenin: impossibile costruire il socialismo in un solo paese: resistere e favorire la rivoluzione in Occidente (1919: creazione dell'Internazionale)

- Stalin: costruzione del capitalismo di Stato (spacciato per "socialismo in un solo paese"): potere alla borghesia burocratica e militare, sfruttamento operaio, patriottismo, imperialismo ed eliminazione fisica di migliaia di bolscevichi.

Fra il 1934 e il 1939, 600 mila iscritti del Partito bolscevico furono fucilati, piu` di 500 mila fra quelli radiati e quelli inviati in Siberia. Tutti i membri del Comitato Centrale del Partito che diresse la rivoluzione (Trotzky, Bucharin, Kamenev, Zinoviev, ecc.) furono passati per le armi, accusati di... tradimento.

L'incompatibilita` fra marxismo, leninismo, bolscevismo da una parte e stalinismo dall'altra e` stata scritta con fiumi di sangue proletario e comunista, che ancora oggi grida verita`.

Forum: 

Compagno, anche se sono passati due anni da quando hai scritto questo articolo (ho scoperto questo forum solo adesso) volevo controbattere su questo punto:

gli anarchici rivoluzionari sostengono che i proletari possano e debbano fare la rivoluzione senza la guida di un partito e che quindi possano maturare spontaneamente la necessita` del comunismo.

Da quello che so io questa affermazione è sbagliata

Posto così è come dire che si vuole una rivoluzione disoganizata ma non è vero perché nell'ambiente anarchico (tranne nell'anarco-individualismo) le forme di organizazione ci sono, ovviamente non partiti ma in tutte le nazioni sono presenti le Federazioni e altre forme di organizazioni,esiste anche l'Internazionale delle Federazioni Anarchiche...

Esempi storici dell'organizazione anarchica sono l'esercito guerrigliero di Nestor Makhno in Ucraina,

la lotta antifranchista in Spagna in cui nei paesi liberati i combattenti anarchici del FAI-CNT e i compagni comunisti del POUM insieme organizarono l'autogestione dei servizi e gli espropri di terreni.

Saluti da un Compagno

Ciao compagno,

hai ragione, la mia è stata una semplificazione che non ha tenuto conto delle diverse "anime" presenti all'interno del movimento anarchico. Se non sbaglio Malatesta era addirittura per il Partito, anche se probabilmente intendeva una forma organizzativa ben diversa rispetto a quella marxista e leninista.

In generale possiamo dire che la tradizione comunista vede nel Partito la guida del proletariato, mentre l'anarchismo intende l'organizzazione come una struttura "leggera" e non (o poco) centralizzata, che renda più efficace l'azione collettiva.

Si tratta ovviamente di uno schema di massima.

Ritengo comunque che sia utile un confronto fra il comunismo antistalinista e l'anarchismo classista, perché confrontandomi con gli anarchici che conosco di persona ho spesso l'impressione che a dividerci siano più le scelte terminologiche che i contenuti.

Segnalo un nostro articolo sulla repressione della rivolta di Kronstadt: leftcom.org

ciao Ak R e benvenuto da queste parti !

fatte salve le considerazioni del Gek c'è da vedere - secondo me - anche se o come i comp anarchici sono x la Dittatura del Proletariato ( che purtroppo nn è alll'ordine del giorno, ok...) o come considerano la fase di trapasso dal capitalismo.

saluti,

Il termine "dittatura", dopo le esperienze storiche del nazifascismo e dello stalinismo, è senz'altro poco felice perché, nell'immaginario collettivo, richiama forme di governo che sono esattamente agli antipodi rispetto alla "dittatura del proletariato".

Una definizione paradossale ma più corretta - utilizzata spesso anche da Lenin - sarebbe quella di "dittatura democratica del proletariato", intendendo:

- dittatura nei confronti di quelle forze borghesi che si oppongono - con la violenza e con la loro potenza economica che non scompare dall'oggi al domani - al processo rivoluzionario

- democratica all'interno dei suoi organi rappresentativi - i Consigli - dove ogni individuo e forza politica della classe ha pari diritti e peso decisionale.

Il Partito rivoluzionario, nella libera arena dei Consigli, se è veramente tale dovrà conquistarsi la fiducia della classe e guidarla verso il superamento del capitalismo e l'edificazione della società comunista.

Benvenuto Ak R, parlando di Spagna sono note le discussioni sul contegno da tenere in guerra tra Cipriano Mera e Durruti, due grandi anarchici. Per dire quanto è sfrangiato l'universo anarchico da sempre. Molte volte l'anarchico rifiutando il comunismo in realtà rifiuta lo stalinismo, ben altra cosa. Sul tuo precedente intervento concordo pienamente

inanzi tutto ringrazio i Compagni per il benvenuto...

Compagno Gek sicuramente ti riferisci al Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario al quale partecipò anche Malatesta che (mi sembra strano pure a me) parteciparono pure alle elezioni ma si sciolsero poco dopo con la divisione tra la corrente anarchica e socialista nel quale all'epoca comprendeva pure i comunisti ... Comunque nei sui scritti Malatesta utilizza il termine "partito" ma riferendosi all'organizazione e non al partito parlamentarista al quale era contrario essendo per l'azione rivoluzionaria.

sono molto contento che qui si parli apertamente di Kronstadt invece di nasconderlo perché solo affrontando gli errori si possono combattere (su questo tema consiglio di leggere "la Rivoluzione sconosciuta" di Volin)...

Sulla dittatura del proletariato la differenza sostanziale sta che nell'anarchismo si è contrari a ogni forma di autorità e legge e in una dittatura anche se proletaria c'è sempre qualcuno che le leggi le scrive... insomma si vorrebbe arrivare subito alla società che si autogestisce senza che nessuno sia dittatore di nulla...

In effetti non credo che nessuno decida per gli altri ma tutti collaborino alla determinazione di una società che non obbedisca alle logiche di profitto.

Non dovendo inseguire ne coniugare interessi particolari i limiti deriverebbero in sostanza solo dalla impossibilità di accumulo del lavoro Da parte di chiunque.

La libertà che offre l'anarchia potrebbe alla lunga riproporre una condizione di diseguaglianza, diventa per cui discutibile questo tipo di offerta... (magari diciamo la stessa cosa)..

Saluti compagno.

il punto, forse, è proprio quì: adesso le leggi sono scritte nell'interesse della minoranza di classe borghese.

la rivoluzione è necessaria così come il suo potere dei Consigli proprio come mezzo attraverso cui si possano "scrivere leggi" nell'interesse immediato della maggioranza sfruttata e con l'obiettivo della soppressione delle classi stesse.

se subito dopo la Rivoluzione ( che io vedo più come un periodo di transizione, un qualcosa di dinamico , nn come un atto formale dove si ammainano le vecchie bandiere ecc ecc ) lasciamo la libertà ai nostri nemici di classe ( ancora forti, xchè provvisti di soldi e armi con tutto ciò che ne consegue ) di esistere come classe ,siamo sicuri che nn usino quel loro potere contro di noi ( contro il proletariato in genere, cioè)?? o cmq come possiamo spezzarne la scontata/verosimile resistenza??

ovviamente nn credo esista la ricetta magica x evitare che un processo rivoluzionario degeneri: un'altra differenza probabile tra noi ed i comp anarchici credo consista nel fatto che loro individuano nella forma-esperienza partito rivoluzionario/dittatura prolet l'elemento primo, in sè, della degenerazione di tale processo mentre noi la imputiamo ed argomentiamo con il corso della lotta di classe a livello internazionale ( e la sua sconfitta )

In termini molto generali, forse la differenza fra anarchismo e comunismo sta tutta nella tempistica del processo rivoluzionario, nel senso che anche secondo noi bisogna arrivare a una società che si autogestisce senza che nessuno sia dittatore di nulla, per usare le parole di AK Riot, ma come ci arrivi?

Nel corso del Novecento la borghesia ha abbondantemente dimostrato che per difendere il suo potere è sempre disposta a scatenare guerre e feroci repressioni, altro che mettersi intorno a un tavolo e stabilire tutti insieme: da domani niente più classi, socializzazione e autogestione. Anche nel migliore dei casi, ossia con tutti i proletari che diventano rivoluzionari, i padroni non sono gente che si piega al volere della maggioranza, per quanto si riempiano la bocca di "valori democratici", e quindi con loro che fai? Eserciti un potere coercitivo che gli impedisce di bloccare la rivoluzione.

Le leggi: il potere borghese ha bisogno di moltissime leggi, perché ha bisogno di moltissimi lacci e lacciuoli per incatenare gli oppressi alla loro condizione di sfruttati e di subalterni.

La società senza classi, invece, avrà bisogno di pochissime leggi, perché tutto verrà semplificato in virtù dell'unità d'intenti che dovrà muovere l'intera comunità umana. Ma, dal mio punto di vista, proporre una società senza leggi significa credere nel paradiso in terra, un mondo in cui non esisterà più il benché minimo dissidio e conflitto. Ma i conflitti, i contrasti fra i singoli individui esisteranno sempre (aggiungo: per fortuna!), la differenza rispetto alle società classiste è che non causeranno più lacerazioni in seno al corpo sociale, malessere generalizzato, catastrofi economiche e violenze sistematiche di esseri viventi su altri esseri viventi. Una bella differenza.

Potremmo dividerci in base alle nostre opinioni e non in base ad interessi materiali travestiti da ideologia, cultura, religione ..etc... perchè la società comunista garantirà a tutti quello che oggi è privilegio di pochi ma partendo da una diversa impostazione potrebbe da subito beneficiare l'umanità intera. Il capitalismo non solo è disumano ma è afflitto da disfunzioni tali da renderlo instabile e periodicamente sottoposto al rischio d'implosione. La rivoluzione serve a questo; a prendere il potere perchè non ce lo regaleranno. La dittatura del proletariato serve a questo, gestire il potere nel periodo di transizione usandolo anche per reprimere colpi di mano borghesi e impazienze proletarie. Alcuni dei nostri torneranno, novelli ebrei, ad adorare il "vitello d'oro", e forse non basterà parlare per capirsi. Non basterà certo fare un governo "nostro" che per decreto promulghi quelle belle leggi che renderanno il mondo perfetto.

se non sbaglio. la sezione inglese della tendenza comunista internazionalista collabora attivamente con gruppi anarchici

Capisco il senso delle parole di Vasco sul vitello d'oro e le condivido, ma non userei le parole "novelli ebrei" perché nel contesto in cui sono inserite hanno un valore negativo, e invece (dico un'assoluta banalità, che condividerà senz'altro anche Vasco) non c'è niente di male a essere ebrei, come con c'è niente di male ad appartenere a qualunque altro popolo.

Visto il diffuso e perdurante pregiudizio antiebraico, meglio specificarlo.

Chiusa parentesi, avanti con il confronto fra comunismo e anarchismo.

Era solo una metafora presa di peso dalla Bibbia, solo questo! Mosè torna dal suo incontro con l'altissimo e vede ..... la storia la conosciamo tutti, era solo per dire che gli sbandamente nel viaggio verso la Terra Promessa non mancheranno e saranno necessarie scelte forse dolorose

Infatti, siamo d'accordo.

Non e vero che la CWO (affiliato in Gran Bretagna della TCI) collabora attualmente con gruppi anarchici ma cerchiamo di trovare altri gruppi che condividono l'idea che la nostra lotta oggi non e solo per la riforma di un sistema marcito al cuore ma per alzare la bandiera di rivoluzione proletaria (in prospettiva - prima dobbiamo fare un grosso lavoro di agitazione e preapazione e a questo punto siamo allo zero). Purtroppo tanti dei gruppi anarchici qui preferiscono a seguire la linea dei trotskisti, stalinisti ecc per agitate solo contro il governo attuale (senza dire che questa linea voule dire un sostegno al partito laburista).

Ma le cose possono cambiare. Una mese fa gli anarchici del Federazione anrchico (il migliore dei gruppi anarchici) ci hanno richiesto per fare un discorso sull guerra in Spagna. L'abbiamo fatto e molti anarchici erano d'accordo con la nostra critica del fallimento di anarchismo in spagna (anche in termine anarchici!) e poi abbiamo tenuto una buon, serio cambio di opinione sulle lezioni della esperienza proletaria sia in Russia che in Spagna.

Mi sono preso "Anarchismo" di Noam Chomsky, per saperne di più... Auguri a tutti!

Buona Festa d'Inizio Inverno a tutti voi.

Compagni per approfondire su questo tema vi consiglio di leggere questo riassunto di un discorso tenuto dal grande anarchico Cafiero fdca.it

Sul sito ci sono molti altri documenti davvero interessanti... Riguardo l'organizione del potere dell'autorità-stato vi allego questo scritto di Bakunin

Non abbiamo l'intenzione né la minima velleità di imporre al nostro popolo oppure a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o inventato da noi stessi ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo, per la sua medesima essenza e per la sua posizione fuori del popolo o sopra di esso, deve necessariamente mirare a subordinarlo a una organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di una organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti, creerà esso stesso la propria vita.

M. Bakunin, Stato e anarchia

Per comunismo autoritario presumo intendi lo stalinismo che non è comunismo ma gestione ideologica e pratica del capitalismo. Il percorso tra l'insorgere e la realizzazione della società comunista sarà forse lungo e certo difficile. Sicuramente dovremo imporre ed imporci molto. Dovremo anche liberarci di mentalità e comportamente sviluppati nella nostra precedente esperienza vissuta ovviamente sotto regime capitalista. Dovremo liberarci di ogni sorta di macerie ideologiche e rimasugli di illusioni di vario genere. sarà difficile e tormentato percorso. E probabilmente pieno di violenza.

per deviazione autoritaria non intendo solo lo stalinismo(che sottolineo non lo considero nemmeno un ideologia ma una sorta di miscuglio abortito di autoritarismo,militarismo e nazionalismo contornato da una propaganda populista) ma intendo anche tutti gli altri casi storici come l'attuale Cina o la Corea del nord di cui ultimamente le televisioni di tutto il mondo mostrano le immagini dei funerali del dittatore che sicuramente non fanno che male all'immaginario collettivo sul comunismo.

Compagno vasco la violenza è una fase inevitabile nella lotta di classe...

ciao Ak 47 :)

lo scritto di Cafiero è condivisibile nella sostanza.

dal mio punto di vista ne esce (paradossalmente) ribadita la necessità che le avanguardie di classe si organizzino in partito proprio al fine di far prevalere i principi comunisti all'interno degli organismi di classe anche contro il permanere ed il verosimile riemergere dei "vecchi" modi di pensare nati e radicatisi nella società basata sulla merce ( non dimentichiamo che " le idee dominanti sono le idee della classe dominante" e quindi anche dopo una rivoluzione circoleranno ancora, e forse anche con una certa presa, le idee della classe spodestata ma nn vinta del tutto... e forse le sopraviveranno anche).

saluti,

r

poter dare a tutti secondo il propio bisogno, prescindere dalla capacità produttiva di ognuno, raggiungendo cosi l'emancipazione dai beni materiali: questa è la libertà! senza dubbio...

Impossibile senza un partito, subito e dopo, con una profonda riforma dell'istruzione tale da determinare un alto grado di consapevolezza e una presa di coscienza realmente materialista della realtà... e le tessere.

Saluto-

Si la violenza sarà inevitabile in quanto l'aggressività dello sfruttatore sarà contenuta ed infine vinta solo dalla reazione aggressiva dello sfruttato. Che il funerale del caro leader Kim Jong Il faccia male a noi è più che vero. In Corea abbiamo lo "stalinismo ereditario" modello monarchia con tanto di dinastia sul trono. E' un regime capitalista in economia ammantato da una coperta ideologica stalinista. Uno dei tanti frutti marci di Stalin come Mao ieri, Castro, Bersani, Camusso oggi.

Ciò che davvero dispiace è che si spendano fiumi di parole per dire ciò che divide comunismo ed anarchismo e mai invece ciò che è storia comune, ideali condivisi, lotte comuni, ecc.

Anarchi e comunisti sono entrambi contro il capitalismo, entrambi vogliono liberare l'umanità dal suo dominio, entrambi voglio costruire una società di liberi lavoratori.Marx ritenne possibile fondare la prima internazionale insieme agli anarchici. Forse non ne conosceva le posizioni? Oppure pensava, come penso io, che è necessario unire tutte le forze che si oppongono al capitalismo e risolvere nella praxis errori e contraddizioni?

La storia del movimento operaio è la storia delle sue innumerevoli, incontabili divisioni, fino all'atomizzazione. Perché? A me ricorda la storia ebraica. Giuseppe Flavio racconta che gli ebrei, 55 d.C, nella sola Gerusalemme erano divisi in 56 sette ciascuna contro tutte le altre: ma li si capiva perché, era teologia, immutabile, incorreggibile e ciascuna setta si riteneva depositaria della verità assoluta.

Da Lenin in poi, Lenin compreso, sembra che il movimento operaio sia affetto anch'esso da una malattia consimile. E non ci si accorge che la realtà è profondamente mutata per cui ogni idea, ogni convinzione va sottoposta a verifica rispetto ad essa. Scoraggia pensare che chi vuole cambiare il mondo e la storia non abbia poi la disponibilità a cambiare ciò che delle sue idee mostra di non funzionare, e si attacca a vecchie polemiche per mantenere quelle divisioni che lo lasciano nel sicuro delle proprie credenze, sempre più rigide, sempre più lontane da ciò che serve.

Forse per cambiare la storia sarebbe opportuno cambiare il modo di leggere la propria storia, accantonare i feticci e cercare le idee e le forme che rimettano in movimento un fronte anticapistico, senza lasciare alla protesta ed alla rivolta senza prospettive i milioni di proletari che stanno pagando un prezzo disumano alla crisi.

E' giusto mettere in luce sia ciò che ci divide, sia ciò che ci unisce, altrimenti si rischia di voler essere d'accordo a tutti i costi, anche quando le posizioni sono diverse.

Le parole spese per fare chiarezza non sono mai sprecate.

Detto ciò, è senz'altro vero che gli anticapitalisti provenienti dalla tradizione anarchica e da quella comunista possono trovare un terreno comune d'intervento, e questo terreno ha un nome ben preciso: lotta di classe.

Noi di Battaglia Comunista (spesso tacciati di essere "settari") siamo promotori di due coordinamenti - l'Assemblea Proletaria di Bologna e il Coordinamento Lavoratori Autorganizzati di Parma - che hanno l'obiettivo di mettere in collegamento tutti quei proletari che si riconoscono nella lotta di classe, nell'anticapitalismo e nell'autorganizzazione delle lotte.

E in questi coordinamenti ci sono sia comunisti che anarchici.

Caro Compagno Gek,

conosco, ed appprezzo, queste iniziative a cui BC dà un contributo pregevole. Credo siano esperienze da generalizzare perchè interpretano pienamente e correttamente il senso di una milizia di classe.

E' chiaro che lo praxis, la lotta di classe, è la risolvente di molte contraddizioni del movimento proletario, il terreno sul quale è possibile costruire unità tra tutti i proletari.

Ma quante altre organizzazioni hanno il coraggio di porre le esigenze unitarie della lotta di classe innanzi ai propri "credi", di sperimentare ciò che pensano sul terreno della ricomposizione della classe e dell'unità dei suoi militanti?

Vi sono differenze? Benissimo! Verifichiamole nel movimento concreto delle lotte proletarie, lavorando insieme, con spirito fraterno, cercando insieme la strada di una risorgenza dell'organizzazione proletaria. Tu hai ragione, è il solo modo per uscire da questa infinita diaspora dell'impotenza ed ha ragione BC a promuovere e partecipare a queste esperienze, abbattendo steccati che la storia sta facendo marcire e costruendo un terreno di libera e vera democrazia proletaria dove nessuno si senta in diritto di scomunicare nessuno.

Il partito che porta avanti le rivendicazioni della classe operaia su di un piano non istintivo ma scientifico, aiutando a superare lo scoglio del capitale e affermare l'emancipazione del proletariato dalla borghesia, viene in definitiva rifiutato perché conterebbe al suo interno i germi della prevaricazione. Pero' tali difetti sono imputabili non tanto ad un partito che ancora si deve misurare con eventi rivoluzionari futuri (BC), ma ad un presunto legame intrinseco delle teorie leniniste (a cui si attinge) a questi problemi. Ma ancora di piu', penso io, ad una visione di insieme che tende ad accomunare i partiti della sx ufficiale, i sindacati, le organizzazioni (si)no-profit, stato, insomma l'organico borghese, agli organi rappresentativi di classe op. Così una istanza di sfiducia con poco di reale, preventiva, dovuta in maggior parte allo stalinismo che non c'entra nulla con Marx e con Lenin.Infischiarsene delle differenze? Certo, entro i limiti, ad es. lavorare nelle organizzazioni sindacali passandolo per un terreno di ricomposizione della classe, ci riporta indietro inoculando realmente il batterio prevaricatore. Saluti.

Il partito metastorico

Gentile compagno GCom, mi domandavo, leggendoti, se il partito è un fine o un mezzo, perché se è un fine, siamo nella teologia del demiurgo, se è un mezzo la condizione perché lo sia veramente è che funzioni allo scopo. Francamente la mia ammirazione per Lenin, in quanto rivoluzionario, non si spinge fino a condividerne la sua filosofia zoppa: mi interessa il Lenin che fa la rivoluzione, quello si, e che per farla deve aprire il suo partito a tutti coloro che volevano e potevano collaborare e ad integrarli nelle funzioni dirigenti. Fra Lenin e questi compagni c'erano differenze? Pare di si.

Se hai la pazienza di leggere la composizione del Comitato Centrale Bolscevico immediatamente dopo la rivoluzione ti accorgerai che i membri provenienti dal bolscevismo erano in minoranza e che la maggioranza aveva aderito al bolscevismo nel corso stesso della rivoluzione, e così dicasi, anzi di più, per il governo di Lenin. Attirati dalla linea bolscevica, si potrebbe pensare: ma non è forse vero che Lenin stesso la cambiò nella sostanza con le tesi di Aprile, e poi ancora, e che si trovò in minoranza nel CC composto solo da bolscevichi e che minacciò di dimettersi e di "rivolgersi direttamente alla classe operaia"?

Che rimase delle "teorie" del leninismo formulate negli anni precedenti? Il mito del "partito" fu creato da Stalin per contrapporre i "vecchi bolscevichi" a Trotskji ed alla sinistra del partito. Fu la spregiudicatezza di Lenin nell'imparare dagli eventi e nel cambiare e gettare via il materiale inservibile il suo immenso merito storico.

Ora, se per te la ricerca di unità tra militanti proletari rivoluzionari equivale "ad accomunare i partiti della sx ufficiale, i sindacati, le organizzazioni (si)no-profit, stato, insomma l’organico borghese, agli organi rappresentativi di classe op.", cosa che nessuno ha nè pensato nè proposto, non ci resta che aspettare che un partito proletario (quale?) cresca su sé stesso, se cresce e se cresce in tempi compatibili con i compiti che dovrebbe svolgere. Non è mai successo.

intendo precisare che non aderisco al PCInt in nessuna maniera nè vi sono collegato indi i concetti che esprimo sono da addebitarsi alla mia esclusiva responsabilità. Dico ciò espressamente sollecitato da suddetto partito. Lenin ha sfruttato le difficoltà della borghesia zarista nate dalla guerra mondiale. Ha preso il potere per dare una base territoriale economica e militare a rivoluzioni che sperava sarebbero scoppiate a breve in Europa. Ciò non avvenne, si ebbero tentativi in Germania, Italia, Spagna e Ungheria, ma il dominio del capitale rimase saldo e il tentativo rifluì su se stesso. Se si hanno i soliti obbiettivi si è politicamente la solita cosa ma non è detto che i mezzi, i tempi, la tattica insomma siano i medesimi e questo crea attriti latenti nei momenti di calma ma esplosivi alla prova del fuoco. Mackno (non so se si scrive così, l'anarchico ucraino) aveva presumibilmente le stesse finalità di Lenin ma modalità e percorsi quasi antitetici (iniziando da quelli puramenti militari come se creare solo bande guerrigliere o strutturare reparti regolari bodello bianchi) lo scontro era inevitabile e le singole persone dovevano scegliere da che parte stare. Penso che Lenin avesse visto giusto, va comunque detto che la situazione genberale condannava il comunismo perchè ancora poco proletariato era sceso in lotta

Vasco

Non mi soffermo su questioni sulle quali il compagno Vasco ha evidente ragione (carattere internazionale della rivoluzione, vicenda Makno, ecc.).

Neppure io aderisco formalmente ad alcun partito, ma una delle ragioni per la quale ho simpatia per la Tendenza è il suo antisettarismo di fatto (che non implica affatto alcun cedimento sul piano dei principi).

Voglio solo rammentare la costituzione del formidabile blocco proletario che fu in grado di vincere una smisurata guerra civile: la sua base era la democrazia sovietica. Quel'era la sua composizione? E perché non esplose, non si disfece nella più terribile prova del fuoco che si possa pensare?

Nessun demiurgo.

Il partito e' un mezzo che si spera funzioni allo scopo. Condivivido la osservazioni su Lenin e devo sicuramente approfondire molto e molte cose, da neofita sono dispnibile a smentite anche severe, certo.

La riunione delle forze che possano poi produrre un momento rivoluzionario di evoluzione sociale, non qualunque, ma comunista di abbattimento del capitale, prop. Privata, sfruttamento, etc., di classe, ho ha una linea teorica preventiva ben consolidata, io penso al partito, oppure si confida nell'esistenza di principi insiti nell'uomo, nel suo DNA. Ma così non e', la metafisica e' fuori discussione ed una terza via non la vedo praticabile.

Le correnti e le tendenze c'erano, ci sono, ci saranno, per fortuna, diversamente sarebbe una setta impermeabile ed inutile con l'occhio che sbircia al profitto, come tutte le sette.

Saluti.

Caro compagno GCom,

la questione che mi pongo è questa. I partiti storici corrispondevano a ciò che era il proletariato dentro ciò che era l'architetura sociale di allora.

Ma da allora si sono avute profonde modificazioni dell'architettura sociale ed il proletariato moderno è strutturato diversamente. In primo luogo la condizione proletaria ha inglobato parti consistenteti dei vecchi ceti medi; vi è una enorme massa proletarizzata ma che non ha nè coscienza identitaria e neppure sedimento storico.

Ciò significa che i vecchi modelli di partito non rispondono più al lavoro da fare adesso. Allora quale può essere la forma-partito che risponde a ciò che è oggi il moderno proletariato? Credo sia necessario pensarci, discuterne e sperimentare.

Il lavoro malefico svolto dai sindacati e dalla sinistra borghese (disorganizzazione e demoralizzazzione) hanno creato un'aura di scetticismo. Inoltre il fallimento dell'URSS, comunque la si giudichi, ha portato incredulità del fatto che il moderno proletariato sia in grado di riorganizzare l'economia e garantire lo standard di vita attuale. Molti comprendono che fuoriuscire dalla crisi è possibile solo fuoriuscendo dal capitalismo ma temono il fallimento proprio a causa di ciò che è stata e di come è finita l'URSS. E diffidano di organizzazioni troppo piccole per pesare, per svolgere un effettivo ruolo di reclutamento e di organizzazione delle forze necessarie a fronteggiare il potere statale dei capitalisti.

Credo siano più o meno queste le questioni di fronte alle quali sono i rivoluzionari. Ciao.

Compagno anonimo una scelta di militanza e ideologica corrispondente, nel modo relativamente vincolante in cui ognuno si riconosce, non può essere dettata da stime statistiche o statistico-ideologiche, baloccando con la rimossa ma non spenta propensione del ns ego a idealizzare masse sterminate che aspettano un ns gesto, la rivoluzione non sta ne aspettando ne ha bisogno di noi singoli. Nulla ci impedisce di scegliere in maniera distaccata.

Svolgere un effettivo ruolo di reclutamento e' il vero problema visto e considerato che tutte le organizzazioni che contano elevate adesioni le ottengono con strumenti borghesi, tanto per capirci i sindacati promettono in definitiva posti di lavoro, già sentito? Noi, ritengo, promettiamo il superamento del capitalismo e la dittatura del proletariato.... questo e'.

Saluto.

Piu che una risposta e' uno spunto :)

Caro compagno GCom,cercavo di individuare problemi, nessun appunto critico, e stima per i compagni che lavorano in condizioni di grande difficoltà. Ma il problema è proprio uscire da queste difficoltà, riaprire le possibilità del futuro. Io mi pongo domande senza alcuna pretesa di disporre di risposte, cercandole e cercando di capire quale sia il contesto storico sociale in cui i comunisti sono chiamati ad operare. La volontà, per quanto nobile e meritoria, non basta.

Siamo di fronte alla crisi irreversibile del capitalismo. Un economista dello staff di Obama ha detto "non sappiamo quanto dura né dove ci porta". Questa crisi ricade pesantemente sul proletariato mondiale e sui popoli dei paesi deboli economicamente. La protesta, l'indignazione, per quanto generose, alla fine risultano inefficaci perchè il problema che si pone all'umanità è cambiare forma sociale. E' un problema del presente, non del futuro.

Qualche determinista pensa ad un automatismo crisi-rivoluzione, Marx pensava che senza rivoluzione il capitalismo avrebbe provocato "la sua rovina e quella di tutte le altre classi". Ma il soggetto che può davvero mettere fine alla crisi e cambiare la direzione della storia, il moderno proletariato, è attualmente disarmato ed inerte. E neppure di fronte a questo compito immane i vari partitii e gruppuscoli sentono la necessità di rivedere molte delle loro concezioni, che non funzionano, il bisogno di associarsi per tentare di intervenire con un minimo di effiacacia in questa situazione. La rivolta e la protesta, lasciate a sé stesse, sono destinate alla sconfitta, una sconfitta inutile, dalla quale non si impara niente.

Ho avuto in passato contatti con una organizzazione "internazionalista rivoluzionaria": sembravano preti che celebravano la loro impotenza invocando il messia proletario e difendendosi dall'evidenza storica mediante un settarismo protervo. Non penso fossero in malafede, ma non si accorgevano di essere diventati materiali inservibili per ciò che c'è da fare.

La domanda è ancora quella: "Che fare?" e la risposta bisogna cercarla nella realtà presente. E se questa esigenza prioritaria comporta anche una revisione o anche una correzione radicale del proprio impianto teorico, credo sia un bene e non un male.

Se così non è, chiedo a chi dissente di spiegarmi in positivo la storia delle incontabili divisioni della sinistra comunista. Ti saluto.

Parlare di settarismo o del suo contrario è parlare in astratto, in realtà è nuotare tra le parole spesso alla ricerca di formule lessicamente valide a copertura a di azioni che dette per come sono potrebbero creare sgradite razioni. Engels era aperto ad ogni opinione indipendente nata dal libero pensiero. Il punto è stabilire chi è e cosa vuole chi ti parla quali scopi si prefigge. Spesso si cercano appigli storici per giustificare scelte presenti con cui possono si avere qualche somiglianza esteriore ma che in definitiva sono molto differenti. Spesso c'è male fede, spesso i gruppi indipendenti indipendenti non sono ma scatole vuote atte ad attirare chi rifiuta le panzane sindacali e parlamentari. Essere attenti e vigili non vuol dire essere settari ma efficenti. Nin accettò l'alleanza momentanea con lo stalinismo spagnolo e l'unica cosa che ne ricavò fu di farsi torturare fino alla morte. Lenin aveva fatto lo stesso con i menscevichi contro Kornilov ma in una situazione differente in cui dei tre era lui il più forte e manovrava per evitare che i due fronti borghesi si unissero. Non era fortuna ma consapevolezza della situazione idee chiare e nervi saldi. Trotsckj voleva riproporre la cosa in Spagna non rendendosi conto che non c'è un'unica soluzione per differenti problemi. Ovviamente non rappresento la posizione ufficiale di alcuno ma la mia personale visione

Caro compagno Vasco,

ho difficoltà a capire il tuo intervento. Diciamo subito che attenzione e vigilanza non hanno nulla a che fare col settarismo, sono aspetti necessari per un'organizzazione ma neppure abilitano una cultura del sospetto nel senso "chi non la pensa esattamente come me è un nemico mascherato" o "un agente oggettivo del capitalismo". Di queste scomuniche se ne sono sentite tantissime, erano tipiche dei gruppi m-l, sono tipiche dei settari, erano tipiche del PCI di Mario Alicata. Un clima politico quale quello che tu preconizzi avrebbe il solo effetto di isolare, segregare, allontanare.

una organizzazione autenticamente rivoluzionaria - scrive Trotzky - che si prefigge come scopo di cambiare il mondo e riunisce sotto le sue insegne dei negatori, dei ribelli e dei combattenti capaci di qualsiasi audacia, come potrebbe vivere e svilupparsi senza conflitti ieologici, senza raggruppamenti, senza formazioni frazionistiche temporanee?...il Comitato Centrale si apoggiava su questa base effervescente, vi attingeva la sua audacia di decisione e di direzione. La evidente correttezza delle sue idee in tutti i momenti critici gli conferiva una grande autorità, prezioso capitale morale del centralismo.

Trotzy qui parla di come funzionava il partito bolscevico. Ma varebbe la pena parlare di quali fossero, nella realtà concreta della lotta politica, i rapporti tra bolscevichi e gli altri raggruppamenti proletari, vale la pena indagare sulla politica delle alleanze di Lenin, anche prima, molto prima dell'evento del '17. Nell'archivio storico della compagna Krupskaja c'è una lettera (velina) del 1907 a proposito dello sciopero di Baku che mise fine alla repressione del Ministro Stolpin: in essa Lenin riconosce e loda l'alleanza tra i (pochissimi) bolscevichi di Baku, i menscevichi, gli anarchici ed altri raggruppamenti proletari che avevano saputo trovare la quadra di un'alleanza capace di mobilitare un milione e mezzo di proletari di vari paesi ed etnie. (detto di passata i volantini dovettero essere scritti in sei lingue diverse: russo, armeno, tedesco, ucraino, persiano e turco).

L'aria asfittica delle sette ha soltanto il potere di soffocare lo spirito di collaborazione tra compagni; è infetto e dannoso e , non a caso, spesso si maschera dietro esigenze giuste come vigilanza, autodifesa, ecc. Quindi, cum grano salis.

Parliamo dell'oggi. Dopo l'affermazione dello stalinismo nel secondo dopo guerra la gente rimasta su un terreno rivoluzionario è stata poca. Controllata da lontano senza eccessive intromissioni è stato considerata marginale destinata nel tempo a consumarsi fino a toccare numeri insignificanti. Controllare senza portare colpi particolari sarebbe tutto finito da se. Ma ecco che il capitalismo inizia a logorarsi visibilmente e in molti iniziano a farsi delle domande, la propaganda rivoluzionaria ottiene pur modesti consensi. Inizia l'opera di riassorbimento delle avanguardie . Il metodo è semplice ma efficace farle avvicinare da scatoloni vuoti, gruppi fintamente autonomi già in essere in quanto atti al recupero di singoli individui. Diffidenza tra compagni dici? Ti sei chiesto se chi ti parla è un compagno? con questo ragionamento dovremmo tirare in barca anche gente come Stalin, Togliatti, Bertinotti, Ferrando etc. Una cosa è spiegare a chi ingenuamente supporta il PCL che sta sbagliando e perchè altro fare patti con il PCL o parlarci. A quale scopo, finiremmo solo per confondere chi realmente sta con noi e la pensa come noi. Lotta Comunista non è comunista e ciò si evince dall'osservazione del suo comportamento. Di più, come non combattere chi osteggia il tuo lavoro politico con mezzi oltretutto odiosi. E' giusto denunciarli pubblicamente anche se ovviamente si difenderanno dando del paranoico o del settario a chi li dipinge per quelli che sono. O il comunista vispa teresa morirà o sarà il comunismo a finire. La crisi detta i tempi non abbiamo davanti un'eternità

Caro compagno Vasco,

su molte cose hai indubbiamente ragione ed è evidente che parte della lotta di classe si svolge, da parte del capitalismo, anche con l'infiltrazione, la deviazione, la delazione, la provocazione, l'omicidio politico da cui bisogna difendersi. Su questo non ci piove.

C'è un precedente storico che forse ci aiuta a ragionare. Uno dei membri (una decina in tutto) del CC bolscevico uscito dal Congresso di Varsavia era Michail Malinovskji. Solo dopo la rivoluzione d'ottobre si scoprì che era un agente dell'Ochrana (il servizio di repressione zarista) e fu fucilato su sentenza del Soviet di Leningrado. La sua opera, comunque, non riuscì a fermare il lavoro dei bolscevichi.

Ora, mi sembrava evidente che riferendomi all'unità dei rivoluzionari fosse scontata l'avversione per quella robaccia che tu hai citato. La mia preoccupazione è che l'indiscutibile esigenza di difesa possa innescare settarismi deleteri ed ostacolare il formarsi di un blocco proletario. Io non vedo per quale ragione l'esigenza di difesa dei rivoluzionari debba andare a detrimento della comunicazione e della ricerca-sperimentazione unitaria. Comporta dei rischi, come è sempre stato, ma sono rischi che bisogna affrontare, certo col massimo di prudenza, ma sapendo che lo scopo prioritario della provocazione è proprio quello mantenere il più ed il più fortemente possibile le divisioni nel campo proletario. La solidarietà tra rivoluzionari, il lavoro comune, il confronto non implicano affatto confusioni ma chiarezza...e la disponibilità a misurare quello che si sostiene nella pratica sociale, ad adeguarlo al nuovo e, nel caso, a correggere ciò che si evidenzia come errato.

L'ambiente settario é l'ambiente più congeniale alla provocazione, credo sia evidente, un ambiente che tiene in incubazione i germi delle divisioni, dei conflitti nel campo proletario. L'obiettivo dell'unità dei rivoluzionari è il primo passo "pesante" che è necessario compiere, anche con tutta l'importanza delle tue osservazioni: la costruzione di un clima discorsivo, di leale confronto, di lavoro comune, di solidarietà attiva, pur nelle differenze ancora presenti e che non potranno essere superate se non nella pratica sociale.

No, non mi sono domandato sei tu sei o no un compagno. Ma poniamo, per ipotesi e me ne scuso, che tu non lo sia. Io non posso saperlo come non posso sapere se le persone con cui discuto e mi incontro siano o no agenti provocatori. Nel dubbio cosa fare? Rinchiudersi e tacere? Il problema vero di questa discussione, e credo che anche tu te lo poni, è come difendersi senza cedere sull'obietivo primario, l'unità dei rivoluzionari. Ti saluto.

io credo che la cosa più importante siano gli obbiettivi, si lavora insieme a chi ha gli stessi traguardi, purchè siano veri, per esempio no a collaborazioni con nazionalisti, anche quelli rossi

Fai benessimo a domandarti chi sono, in caso contrario come faresti a decidere quale atteggiamento tenere nei miei confronti? Tieni conto che la discussione può essere propedeutica all'azione e in un partito è necessaria fiducia reciproca. Si Raes gli obbiettivi sono la strategia, ossia il voler realizzare la società comunista. Il come, i mezzi, le modalità sono la tattica che deve essere decisa all'interno del partito e voluta da tutti isuoi componenti. Poi ci si presenta al proletariato dicendogli: siamo questo e vogliamo questo, che ne pensate?

Caro Compagno Vasco, dico le mie perplessità.

Il partito è una costruzione difficile, un proceso dialettico di interazione con la classe. La tua ipotesi, nobilmente giacobina, credo sia troppo semplice. Poniamoci delle domande.

C'è già un proletariato pronto all'ascolto ed in grado di decidere autonomamente quale linea appoggiare? E' gia risolto il conflitto di posizioni politiche nell'ambito del proletariato oppure anche questa sarà una lotta dura e difficile il cui esito sarà deciso dal proletariato stesso?

Come si costruisce il partito proletario? come si reclutano i compagni? come si formano i sui quadri? L'idea di uno sviluppo esponenziale degli aderenti è quella che ha condannato al settarismo ed all'impotenza tanti gruppuscoli. E' la sola strada possibile? non ci sono alternative?

Mi fermo qui, anche se ci sarebbero tantissime altre domande da porci.

Dopo decenni di pace sociale la crisi sistemica del capitalismo sta portando molti a farsi delle domande nostro compito è dare le risposte. Ovviamente la crescita non è esponenziale nè automatica nè dovuta solo all'attività di propaganda. Nessuno pensa che a 10 volantini corrisponda un contatto, a 100 dieci contatti etc. Il punto è un'altro ; il lavoratore che teme per il posto, il pensionato che passa denaro al figlio disoccupato, chi si chiede perchè degli sfaceli ecologici ed ambientali che lo circondano ( e magari vive in un comune amministrato dal 1946 da quella sinistra che dell'ecologia ha fatto un feticcio elettorale) se prende contatto con un gruppo alla ricerca di risposte deve trovarne di univoche e rappresentative del gruppo nella sua totalità. Magari è disgustato dal comportamento che il sindacato ha tenuto con lui e poi si ritrova nella sede di un partito che a parole osteggia il sindacalismo ma che nella pratica frequenta e patteggia con gruppi che con quel sindacalismo sono collusi. Questa evidenza crea disistima e sospetto. Gli amici si aiutano i nemici si combattono il problema è essere tutti in accordo su chi siani i primi ed i secondi

però se nel gruppo esistono diversità e bene che siano discusse pubblicamentee che non ci siano gruppi dirigenti che le censurano.

Sottoscrivo quello che ha scritto il compagno Raes, due volte. Una discussione leale intesa come ricerca comune delle scelte migliori e senza caporali. Su molte cose il compagno Vasco ha indubbiamente ragione. Poniamoci il problema di come costruire un blocco proletario, in sinergia con ciò che diceva il compagno Vasco, cioé con l'esperienza che i proletari hanno consumato sulla propria pelle, in una verifica, costante e rigorosa di ciò che si pensa. Ad esempio, c'è una discusione aperta dal compagno Gek sul movimento dei forconi: pensate sia davvero tanto difficile dare una risposta unitaria di tutto il fronte proletario e in limpido antagonismo con il ciarpame della sinistra borghese e del sindacalismo? Bisogna provarci e verificare sul campo quali forze si muovono con un indirizzo unitario di classe a partire dalla centralità della questione operaia in Sicilia.

Teoricamente è inappuntabile ma il passare alla pratica è difficoltoso. Ciò è dovuto alla debolezza numerica di chi crede e agisce per il superamento del capitalismo ed ai mille tentacoli che la "sinistra", strumento dei padroni tende verso di noi. Negli anni settanta, per esempio, era possibile collaborare con i maoisti? Ma quanti avevano chiaro non a posteriori chi fossero? Le forze esistenti andrebbero unificate in un unico partito rendendoci più credibili alla classe ma è difficile in pratica

CaeraCEro compagno Vasco,

proprio di questo sarebbe importante discutere, delle difficoltà di unificazione in un unico blocco proletario delle forze esistenti. Quali sono? da dove vengono? sono insormontabili?

Un programma di lotte operaie. L'unificazione in un unico partito e' veramente necessaria? Oltre ad essere di difficile realizzazione, magari un blocco con i vari cartelli comunisti costituitisi negli anni che abbiano comunque unita' di intenti, di superamento dei rapporti sociali borghesi eliminando la mediazione del denaro, che abbiano una consolidata valenza storica di classe. Non vedo perché debbano essere radunati e assorbiti sotto una sigla, questo bisogno ha significati borghesi di omologazione e ricerca del consenso nel contesto del sistema attuale, ma in un contesto di rottura e di cambiamento ciò che importa e' la militanza. L'organizzazione delle lotte si dovrebbe ottenere con la collaborazione tra i gruppi senza la necessita di un travaso, che può apparire forzato, anzi l'indipendenza impedirebbe lo sbandamento del movimento e la moderna velocità di comunicazione farebbe il resto. Es. Gli Indignados producevano assemblee, ordini del giorno e obbiettivi da perseguire, magari riformisti, ma ha funzionato per un po' . Certo che un partito con un programma di socializzazione coerente, che non dia alcuna possibilità di accentramento del potere, i cui membri si alternino rapidamente uscendo in maniera definitiva alla fine del mandato, e' indubbiamente necessario per una affermazione della dittatura del proletariato. Saluto

Un programma di lotte

Mi dichiaro in pieno accordo con quanto ha detto il compagno GCom.

Unica nota. Nell'ultimo periodo del suo critto il compagno postula un'idea di partito. Vorrei solo chiedere se si tratta di un prototipo dei partiti operai o di un'idea di partito unico. La dittatura proletaria, che ricordo fu una espressione usata polemicamente da Marx, secondo me, va esercitata dalla classe tramite organismi di tipo consiliare. Saluti.

Un partito è costituito da persone che liberamente si associano per raggiungere uno scopo politico ossia pratico. Se l'orientamento è il solito dividersi è fonte di debolezza ma gli obbiettivi e i mezzi per raggiungerli devono essere i medesimi pena l'implosione o peggio. Il punto è il proliferare di sedicenti partiti rivoluzionari, anarchici comunisti, anti sistema, che in realtà sono ben altro ed hanno fini opposti all'aggettivo che li caratterizza. Senza contare "la fascia ipermagmatica" o qualcosa di simile per citare un oratore composta da geni incompresi, vanesi alla ricerca di un pulpito, aspiranti capetti, lodatori di se stessi mai stanchi del suono della propria voce, caporalli cacciati da qualche partitino e simili che fanno la spola da tutti i gruppi da cui vengono regolarmente cacciati per le più ovvie ragioni. Cercare di riempire le sedi con gente simile perchè si dispera il consenso e la partecipazione proletaria è un errore . E' solo il proletariato che fa la rivoluzione non lo si sostituisce con la zavorra

Su quanto ha scritto il compagno Vasco ha ragioni da vendere. Sono d'accordo.

E' importante distinguere il piano dell'unità sul terreno delle lotte, dall'unità per la costruzione del Partito rivoluzionario.

L'unità fra compagni senza partito o provenienti da diverse organizzazioni del fronte classista per la ripresa delle lotte sui luoghi di lavoro, è qualcosa che abbiamo già promosso in diverse città emiliane: l'Assemblea Proletaria di Bologna, il Coordinamento Lavoratori Autorganizzati di Parma e un coordinamento simile, ancora in formazione, a Reggio Emilia.

Un altro discorso, invece, è l'edificazione del partito rivoluzionario. Per stare insieme nello stesso partito bisogna condividere lo stesso programma, non basta essere d'accordo sull'autorganizzazione delle lotte e un generico anti-capitalismo.

Quindi bisogna innanzitutto escludere tutte quelle formazioni che, pur richiamandosi al comunismo, portano avanti un programma che noi non riteniamo tale: lo stalinismo, il maoismo, il trotzkismo.

Ci sono altri che invece non ne vogliono sapere della forma partito: anarchismo, consiliarismo. Altri ancora che invece ritengono prematura la formazione del partito, bisogna aspettare che il proletariato "alzi la testa"... Anche con loro, dunque, niente da fare.

Il campo si restringe alla cosiddetta Sinistra comunista: noi, i bordighisti, la CCI.

Peccato che i bordighisti siano i primi a voler fare il partito per conto loro e a ritenere ancora noialtri i soliti "scarponi" attivisti che cercano di raddrizzare le gambe ai cani, per citare un celebre articolo anti-battaglino. E peccato che, proprio sulla forma partito, le differenze coi bordighisti siano davvero profonde: loro per il centralismo organico, noi per il centralismo democratico; loro per la dittatura del partito, noi per la democrazia proletaria: potere esclusivo dei Consigli proletari, fino all'estinzione delle classi.

Con la CCI il confronto/scontro teorico dura da moltissimi anni, ma l'accordo non c'è, e uno dei punti che ci divide è proprio la questione del partito.

Noi di Battaglia Comunista il confronto lo abbiamo sempre cercato: negli anni '70 organizzamo tre conferenze internazionali, invitando tutte le organizzazioni della Sinistra comunista... inutile dire che i bordighisti non parteciparono. Ma bisogna anche rendersi conto che, qui e ora, un Partito c'è, pur non essendo ancora forte come dovrebbe essere per guidare la classe all'assalto rivoluzionario.

Invitiamo allora i compagni che condividono il nostro programma a fare un passo avanti, perché il partito è innanzitutto uno strumento di lotta, pratica e teorica, di cui la classe ha un impellente bisogno.

Blocco proletario.

Il compagno Gek ha di fatto descritto cosa possiamo intendere per blocco proletario e, non per caso, pone come primo elemento, le esperienze unificanti in interazione col proletariato citando esperienze che io considero importanti, sia pure nelle loro dimensioni ancora modeste.

E' evidente che un partito esige accordo del programma, altrimenti non si capisce su cosa esso si fondi. Ora io capisco l'improponibilità di una convivenza politica con stalinisti e maoisti. Non so quale sia attualmente la linea delle organizzazioni trotzkiste. Il compagno Vasco diceva, giustamente, che la zavorra non serve: chi postula una dittatura del partito (ovviamente unico in questo caso), secondo me non si rende conto proprio questo è il carattere distintivo dello stalinismo, la soppressione della democrazia sovietica e degli altri partiti operai, la dittatura del partito unico e delle burocrazia sul patito unico e dell'autocrate sulla burocrazia. Per altri versi, il culto della propria infallibilità e metodi discutibili mi sembrano i caratteri che manifesta l'altra organizzione della sinistra comunista.

Ora, se tre conferenze internazionali non sono riuscite a creare almeno un minimo di collaborazione dagli anni 70 ad oggi e tra due sole organizzazioni viene il dubbio che qualcosa non funzioni nel ragionamento.

Credo molto, ma molto, ma molto più valide le esperienze di Bologna e di Parma che citava il compagno Gek e che secondo me dovrebbero essere generalizzate. Una attiva collaborazione con un partito dichiaratamente consiliarista, come il PC Int. secondo me è la vera strada che, come inizio, porta poi a crescere insieme classe e partito.

La collaborazione con tutti gli elemtei del campo anticapitalistico, come illustrava il compagno Gek, è possibile a molti livelli, da un generico anticapismo alla condivisione di un programma politico compiuto, e bisognerebbe servirsene, quando ciò è utile e possibile, come propedeutica unitaria, anche per rompere quella incomunicabilità tra le forse anticapitalistiche che garantisce la sopravvivenza dei settarismi.

Le maggiore organizzazione trotzkista presente in Italia è FalceMartello, del tutto organica a Rifondazione Comunista. C'è poi il PCL di Ferrando (che proviene da Rifondazione Comunista) e il PdAC (che è una scissione del gruppo di Ferrando).

Le differenze con i trotzkisti sono notevoli, vanno dalla questione sindacale alle lotte di liberazione nazionale, dalla nazionalizzazione al "governo operaio", ecc. Per approfondimenti: leftcom.org

Di seguito la presentazione del Coordinamento Lavoratori Autorganizzati di Parma, a cui aderiscono compagni di varia estrazione:

Si è costituito a Parma un Coordinamento di lavoratori accomunati dalla volontà di reagire ai continui attacchi che la classe padronale e i suoi governi stanno portando alle nostre condizioni di vita e di lavoro.

Il punto di partenza del Coordinamento è la consapevolezza che finora la reazione dei lavoratori è stata inadeguata anche grazie al ruolo giocato dai sindacati confederali, che, indipendentemente dalle intenzioni di molti tesserati della base, risultano essere argini del conflitto sociale e dunque strumenti di conservazione del sistema, nonché spesso controparte rispetto ad ogni gruppo di lavoratori che cerca di muoversi autonomamente per difendere i propri interessi.

Il Coordinamento individua nell’autorganizzazione delle lotte il terreno su cui è oggi possibile unirsi, al di là dell’appartenenza a questo o a quel sindacato, per cercare di reagire, iniziando col mettere in collegamento i lavoratori – italiani e immigrati – dispersi sul territorio e provando così a rompere l’isolamento che ci rende deboli e vulnerabili.

Il Coordinamento ritiene anche necessario avanzare una critica complessiva al sistema capitalistico, poiché soltanto la fine di questo regime economico fondato non sugli interessi collettivi ma sui profitti di un’esigua minoranza, potrà garantirci un futuro libero da sfruttamento e disuguaglianze sociali, ora in crescita a causa della crisi.

Gli obiettivi generali del Coordinamento sono dunque:

- promuovere la nascita di assemblee e di comitati di lotta che uniscano i lavoratori, indipendentemente dalla tessera sindacale che si ha o non si ha in tasca e al di là delle categorie, sul terreno concreto del conflitto: lotta contro i licenziamenti, contro i tagli al salario diretto e indiretto (servizi), contro le leggi anti-sciopero, sostegno ai picchetti, ecc. nella prospettiva di creare un ampio fronte di classe capace di opporsi alle continue aggressioni padronali;

- diffondere sui luoghi di lavoro e nelle piazze l'anti-capitalismo – ossia la consapevolezza dell'inconciliabilità fra gli interessi dei lavoratori e quelli del sistema capitalistico – e l'anti-istituzionalismo – ossia la consapevolezza che le cosiddette "istituzioni democratiche" sono in realtà lo strumento di dominio della classe dominante, e che dunque i lavoratori, per difendere realmente i propri interessi, devono cominciare ad autorganizzarsi.

Queste sono le cose da promuovere !

Vorrei chiedere qualcosa su i compagni di varia estrazione, è un punto importantissimo, potrebbe indicare un sintomo, una tendenza, una possibilità.

Di lotte ce ne sono poche. In realtà la presa ideologica del capitalismo inizia a scricchiolare e la crisi gonfia il coraggio di alcuni ma siamo ancora lontani da un cedimento. Detto questo presentarsi uniti quando ci divide quasi tutto porta solo confusione tra quello spezzone proletario disposto ad ascoltare. Una volta arrivati alla formulazione di decisioni ed alla loro applicazione che si fa? Perchè se si fosse in accordo su tutto non ci sarebbe bisogno di dar vita ad organizzazioni diverse. In realtà la voglia di ammucchiate deriva dall'impotenza e questa è data dal placido torpore in cui vive tuttora gran parte della classe. Gek restringe il campo dei papabili alla CCI ed ai "bordighisti" però poi promoziona la collaborazione con Operai Contro in un organismo da cui i "bordighisti" di Programma sono stati cacciati. Questi "anarchici" oltre ad un compulsivo atteggiarsi vuoto di sostanza, simpatia per talebani, Hamas e simili, rilanciano il ruolo del sindacato come mezzo di lotta. Un sindacato diverso a chiacchiere ma in definitiva se si arrivasse alla pratica quello già esistente. Esprimo qui esclusivamente le mie opinioni e non quelle di chi gestisce il sito o di un qualsiasi gruppo \ partito ma la siamo davanti ad un rozzo tentativo di riassorbimento; il poco che è rimasto del movimento rivoluzionario potrebbe intercettare il malessere crescente indi si gioca d'anticipo.

Qualunque forma di sindacato nel tempo presente assolve ad una funzione oggettivamente reazionaria. Non dipende dalla buona o cattiva fede dei singoli ma dalla sua specifica funzione nell'epoca della decompisizione del capitalismo.

Altra cosa sono gli organismi di auto-difesa e di organizzazione a cui il proletariato dà forma nel corso delle crisi. Su un punto il compagno Vasco ha ragione: il capitalismo non sta a guardare: confusione e falsi obiettivi, illusioni neo-sindacaliste, partiti funzionalmente borghesi a colorazione proletaria (vedi RC), propaganda artefatta,ecc. sono armi che, a maggior ragione oggi, funzionano per ritardare i processi di aggregazione proletaria (che tendenzialmente cominciano a presentarsi in vari modi).

D 'altra parte, come chiarificare la confusione, come tracciare uno spartiacque tra il campo proletario e gli ausiliari (oggettivi o soggettivi) del capitale?

E' evidente che "la voglia di ammucchiate deriva dall’impotenza" ma è anche vero che la voglia ed il bisogno di unità sono presenti ed impellenti. Ed è altrettanto evidente che il livello attuale del conflitto di classe non consente ancora di porre la questione nell'ambito della classe, consentendo anche a soggetti in buona sede di orientarsi e, scusate il termine brutto, di riciclarsi. E' però importantissimo un atteggiamento unitario, che incoraggi il dialogo, che consenta verifiche e valutazioni proprio da partre di questi soggetti. Non possiamo pensare che tutti coloro che aderiscono a varie organizzazioni non abbiamo una volontà anticapitalistica. Sono materiali spinosi da trattare, capisco le perplessità del compagno Vasco, ma "hic Rodus, hic salta".

A Vasco: per la costruzione del Partito rivoluzionario io restringo il campo alla Tendenza Comunista Internazionalista, di cui Battaglia Comunista è la sezione italiana.

Bordighisti e CCI non sono affatto "papabili". Almeno finché le differenze programmatiche rimarranno quelle attuali.

Nessun militante di Battaglia Comunista - e quindi neanche il sottoscritto - promuove la collaborazione con Operai Contro o con qualche altra organizzazione politica. I coordinamenti di Parma e Bologna non sono intergruppi, non si aderisce a livello di organizzazione ma individualmente.

Ad Anonymus: i compagni "di varia estrazione" a Parma provengono da Battaglia Comunista, dalla base della FAI, dalla base del PCL oppure da nessuna organizzazione politica precisa: compagni dell'area comunista extraparlamentare che si riconoscono nelle discriminanti del coordinamento.

Un programma di lotte senza la revisione dell'azione concreta e ci si arrocca sulle posizioni solite, ma il rigore teorico e la critica costruttiva sono la costituzione di un partito e non puoi rinunciarvi.

Sebbene una militanza di base non sia attrezzata per postulare non vuol dire che non lo sia per raccogliere e comprendere i messaggi delle avanguardie di partito, il problema sono i militanti - pochi anche unendosi - poche adesioni.Non credo che la "svolta classista" sia bloccata dalle polemiche, l'attenzione va posta secondo me alla propaganda reazionaria borghese che e' il reale freno allo slancio proletario, rivoluzionario, vanno attaccati culturalmente preti e sindacati! Questo penso si possa fare anche senza avere un programma fino in fondo coincidente, con questo non voglio aprire agli "obbiettivi minimi" perché minimo non e'.Un aumento generale dei simpatizzanti dovrebbe partire in primo luogo da una aperta condivisione delle idee e cioè dal semplice dichiararsi marxista ad altri operai, senza riserve e ostentazioni, (di solito si preferisce glissare se non con persone note), senza assillare nessuno.Saluto.

Integrerei al dichiararsi genericamente marxista, anche con simpatizzante di Battaglia Comunista in modo da poter fruire della pubblicistica messa a disposizione dal partito e disporre quindi di un riferimento concreto di confronto.

Gek sentenzia ma il suo dire ed il suo fare sono come il corpo e l'anima del pio credente: in perenne contrasto. La realtà è questa, l'aggancio ad opera dell'opportunismo è già avvenuto e i risultati non tarderanno a manifestarsi. Ammesso che già non siano in essere. Oltre al riassorbimento di tutto ciò che si pone fuori dal controllo ideologico e pratico padronale, il PD sta operando una sua personale "piazza pulita" eliminando ogni più insignificante pericolo al monopolio elettorale che detiene in Toscana ed in particolar modo nei suoi colleggi elettorali esclusivi dove regna incontrastato previo accordo con tutte le altre forze politiche. E' quindi necessario che singoli individui attivi vengano irreggimentati da gruppi politici terzi, formalmente autonomi come Lotta, oppure appositamente infiltrati e condotti all'ovile stalinista. Se il singolo scalpita si fa in modo che prenda ordini da chi dirige questi gruppi i cui capi raggirati o pagati devono ottenerne l'obbedienza. Sarà chi li dirige ad indurre questi "cani sciolti" ad atteggiamenti non lesivi degli interessi PD. Sono stato sollecitato ad un incontro con il presunto responsabile del PCInt in regione che atteggiandosi a moderno inquisitore le ha provate tutte perchè i PD vengano lasciati in pace. "Vuoi far pensare alla gente che sei fascista o berlusconiano?" Bell'argomento modello PCI di Togliatti! Dopo aver subito minacce e pressioni dal SI.NA.GI. perchè aderissi alle estorsioni del padrone - fornitore l'ideale e incitare me i i miei simili alla pace con sindacalisti i PD

Caro Vasco, se devi intervenire sul nostro forum per darci degli opportunisti e degli inquisitori hai sbagliato a fare i conti.

Qui sei nostro ospite, per cui innanzitutto sii rispettoso.

Altrimenti - modello PCI di Togliatti - con questo forum hai chiuso.

Raes

penso anch'io che sia la scelta più equilibrata. Le differenze vanno esposte con chiarezza ma senza che divengano conflitti che impediscano la collaborazione.

Ora mi domando se qualcuno di noi ha già pronto uno schema di transizione oppure se anche la transizione non sia oggetto di riflessione, di nuova elaborazione dato che essa è stata finora pensata al passato e che i mutamenti intervenuti, soprattutto nelle architetture sociali, richiedono aggiornamenti quando non mutamenti di concezioni?

Delle vecchie idee sulla transizione cosa conservare e preservare e cosa cambiare? Siamo proprio sicuri che nel tempo presente non sia divenuta possibile una nuova sintesi tra le varie espressioni del proletariato? Io non credo che tutto sia stato già detto, credo che ci stia davanti la fatica di pensare nel tempo presente e per il tempo presente. E credo che ciò riguardi anche i compagni anarchici per i quali non mi sento di escludere a priori una positiva evoluzione.

Abbiamo eliminato l'ultimo post di "Vasco" che conteneva, ancora una volta, una serie di attacchi personali rivolti ad alcuni compagni del PCInt.

Speriamo che, con un provocatore in meno, le discusioni possano procedere serenamente.

Anonymous, spero tu possa avere ragione, sarebbe sicuramente molto meglio per tutti

Cosa ci riserverà il futuro è veramente difficile dirlo. Teoricamente le condizioni oggettive dovrebbero sciogliere molti nodi, ovvero dovrebbero aiutare a capire alle diverse formazioni politiche rivoluzionarie – che ci sono o che ci saranno – gli errori. Questa comprensione – ma sempre teoricamente – dovrebbe anche agevolare l’avvicinamento tra compagni. Chissà, vedremo…

Per quanto riguarda gli anarchici, questi vedono la transizione in modo completamente differente dai comunisti (ruolo del partito, ruolo dello Stato proletario). Per avvicinare totalmente comunisti ed anarchici gli uni o gli altri dovrebbero abbandonare completamente la loro analisi della transizione secondo me, gli anarchici dovrebbero smettere di essere anarchici o i comunisti di essere tali.

Caro compagno Nun,

io non sarei così categorico, o comuisti o anarchici. Dovremmo, noi o loro, abbandonare le nostre analisi di una transizione che non sappiamo affatto come si presenterà? E che senso hanno queste analisi (ipotetiche)? Una volta la transizione veniva calibrata su un struttura di società che oggi non esiste più; la questione di ciò che è il moderno proletariato pone diversamente molte questioni e fa vacillare molte supposizioni. In effetti noi non disponiamo di un'esperienza di transizione in generale, ma anche se ne disponessimo, fino a che punto essa sarebbe validata nelle condizioni presenti?

La nostra comune prospettiva è una comunità di liberi lavoratori, dove l'organizzazione della società non sia più "Stato" nel senso che indicava Lenin in "Stato e Rivoluzione". Lo stesso "Stato proletario" non può essere pensato se non come un provvedimento temporaneo magari necessario ma da accogliere con la massima diffidenza, qualcosa che attivamente dobbiamo mettere nelle condizioni di estinguersi. La base di questo "Stato proletario" non può che essere la democrazia proletaria, i consigli, nei quali confluiscono tutte le espressioni del proletariato che hanno come tratto comune l'obiettivo che dicevo e nei quali il partito deve conquistarsi la maggioranza, giorno dopo giorno e non una volta per tutte. Se così non è, stiamo attenti ai prodromi dello stalinismo.

Compagno,

lo stalinismo non è il frutto di un approccio sbagliato verso la transizione ma semplicemente non ha nulla a che fare con il comunismo. È l’espressione politica, ideologica, burocratica della controrivoluzione quindi terrei le cose totalmente separate.

Il ruolo dell’avanguardia politica – parte più cosciente della classe – è quello di porsi come punto di riferimento, di guidare la classe, anche nella fase di transizione. Preciso, per non essere frainteso: guidare la classe e non sostituirsi ad essa. Questa guida, questo ruolo di direzione, la si ottiene guadagnandosi la “stima” politica negli organismi di classe (negli organismi di potere della classe, quelli che anche tu hai destritto, riferendosi alla transizione). Detto questo: come può un avanguardia guidare la classe se non ha una chiara idea delle forme politico- organizzative proprie della transizione? Certo che ci saranno aspetti legati alle particolarità ma in termini generali dobbiamo avere da subito un progetto per la transizione. Non credo che questi aspetti generali siano diversi da quelli delineati da Lenin in “Stato e rivoluzione”; ricordo inoltre che anche Lenin parlava della dittatura proletaria come una esperienza limitata, legata alla transizione verso una società comunista dove lo Stato smette di esistere in quanto Stato politico.

È il metodo (di analisi sulla transizione) che anarchici e comunisti hanno storicamente differente. Se questo metodo rimane intatto (se gli anarchici rimangono quindi anarchici)… un metodo differente porta a conclusioni differenti.

Io penso che non sia da escludere una collaborazione con quegli anarchici classisti che, come noi, ritengono necessario eliminare attraverso un processo rivoluzionario la macchina statale borghese e sostituirla con gli organismi consiliari dei lavoratori. Non è un obiettivo di poco conto.

In Grecia, ad esempio, lo spartiacque fondamentale all'interno del movimento proletario è: da una parte le assemblee locali, dall'altra le istituzioni. I comunisti coerenti e gli anarchici classisti sono dentro le assemblee locali, gli stalinisti tengono invece il piede in entrambe le scarpe e fanno così da argine sinistro del sistema.

Detto ciò, per noi è centrale il ruolo del Partito rivoluzionario all'interno degli organismi della classe, e su questo abbiamo una visione completamente diversa rispetto a quella degli anarchici. Ma è anche vero che, come lo stesso Nun ha sottolineato, noi riteniamo che il partito debba conquistare - o comunque mantenere - la guida della classe all'interno della libera arena politica dei futuri Consigli, in cui senz'altro ci saranno anche correnti anarchiche con cui dovremo scontrarci e confrontarci.

Ma fino ad allora io dico: magari nascesse una vasta unione proletaria per l'abbattimento dello stato borghese e l'instaurazione del potere dei Consigli!

Ben detto compagno Gek,

sottoscrivo quanto dici, è esattamente ciò che penso e credo sia l'unica strada.

credo che la posizione giusta sia quella di gek

Cosa potrebbe succedere in una futura fase prerivoluzionaria (quando quindi la classe proletaria potenzialmente può iniziarsi a muovere nel senso auspicato da Gek, e da tutti, e ci si pone quindi concretamente il problema del potere e dei "consigli" di potere) è veramente difficile dirlo. Possiamo solo essere ottimismi o meno. Io sono più pessimista rispetto al ruolo degli anarchici in questa fase visto l’approccio storico e attuale di questi, in termini metodologici, rispetto alla questione potere – oltre alla questione Partito come si accennava. Molto secondo me dipenderà da come le condizioni oggettive in fase "calda" saranno capaci di incidere nel metodo con il quale chi anarchici aprocciano la questione del potere durante la fase di transizione. Guardando a fasi "calde" del passato: in Russia nel ’17 - per esempio - alcuni menscevichi in fase prerivoluzionaria passarono nelle file bolsceviche abbandonando ovviamente i principi programmatici menscevichi. In termini di collaborazione invece, solo parte dei soclisti "rivoluzionari di sinistra" e dei "menscevichi internazionalisti" collaborarono "criticamente" con i bolscevichi. Se non ricordo male, invece, con anarchici fu scontro aperto…anche questo esempio storico mi rende pessimista. In particolare il mio pessimismo si riferisce alle organizzazioni anarchiche mentre secondo me - su questo sono meno pessimista - alcuni anrchici potrebbero singolarmente allearsi con i comunisti (come è successo per parte dei "socialisti rivoluzionari di sinistra" prima citati). Ma siamo sempre nel campo del pessimismo/ottimismo o delle ipotesi...

Effettivamente si possono intravedere posizioni "idealiste" nella ricerca dell'unità a tutti i costi ed anche di una ipotetica intima presa di coscienza della classe per un'evoluzione rivoluzionaria che invece e' compito del partito come e' compito del partito l'intransigenza rispetto alle correnti o ai partiti con programmi divergenti, altrimenti non si dovrebbe andare contro ad es. Rifondazione perché vi sono operai al suo interno. Il mio parere e' che queste verifiche di programma possano avvenire direttamente durante una fase di transizione rivoluzionaria più che renderle una discriminante necessaria, una premessa assoluta prima dell'offensiva rivoluzionaria.Bisogna senz'altro sottolineare e discutere le differenze in un contesto di crescita ideologico e quindi senza considerare una grandezza storica ogni singolo gruppo o circolo, in questa fase lottare più che altro contro gli opportunismi di foggia borghese, controrivoluzionari, come Rifondazione appunto.Saluti ai compagni. P.s. Il compagno Mic segnala in un post ( discussione "modello di partito" 2007) un link dal titolo - zone di irrazionalità nel mondo della sovrastruttura - ed altri, che non funziona.

concordo che le differenze con gli anarchici classisti sono soprattutto di ordine terminologico, come ha giustamente osservato il compagno Gek all'inizio del forum, per cui suggerisco di sostituire l'espressione, poco felice, di "dittatura del proletariato" con quella di "democrazia proletaria": cambia la veste terminologica, ma non il senso...

Il compagno Spatakus ha ragione.

Il termine "dittatura del proletariato" fu utilizzato da Mark polemicamente in opposizione a quella che lui chiamava "dittatura delle borghesia". L'equivoco che si trattasse di un concetto invece che di una boutade polemica, quale in effetti l'espressione era in Marx, tornò comodo all'epoca in cui fu soppressa la democrazia sovietica e Stalin si preoccupò di completarlo con "dittatura del proletariato e per esso del suo Partito".

L'intenzione con cui i compagni hanno quì usato questo termine mi pare invece più vicina al senso in cui Marx la utilizzò; capisco le tradizioni terminologiche, ma mi domando se è utile utilizzare un termine polemico invece di un concetto compiuto. Ciò che si vuole è la liquidazione della borghesia e credo che una energica e persistente democrazia proletaria possa farlo. Il termine "dittatura" proietta un'ombra oscura nell'immaginario collettivo dei proletari dopo le esperienze del fascismo, del nazismo e dello stalinismo.

al tempo di marx la parola dittatura aveva un significato divirso risprtto ad oggi, parlando di dittatura pensava ai dittatori dell' antica roma. cioè a persone con pieni poteri per risolvere problemi specifichi, ora invece si pensa ad hitler e stalin

Al tempo di oggi anche la parola comunismo o socialismo viene dato un significato diverso dalla "gente comune", ovvero quasi da tutti. Anche alla parla comunismo si associa Stalin, non solo alla parola dittatura. é il lavoro dell'ideologia dominante! Ma i comunisti devo combattere l’ideologia dominante con la loro attività non adattarsi ad essa. Ogni Stato è una dittatura, perché espressione di un potere di una classe sociale su un'altra questo da sempre è l'analisi marxista dello Stato. Anche il semistato proletario - durante il periodo di transizione - è una dittatura, della classe proletaria sulla controrivoluzionaria classe borghese. Anche la "democrazia proletaria" è uno Stato (in via di estinzione come Stato politico) e ci sarà bisogno di questo Stato proletario - quindi di questa dittatura proletaria - per imporre il socialismo e per una società comunista. Non è questione di termini ma questione di sostanza. Gli anarchici negano la necessità di uno Stato – il semistato proletario - che si sostituisca allo Stato Borghese, dopo l'abbattimento di questo. Per farvi un esempio: dopo la rivoluzione in Russia gli anarchici erano per la “semplice” autogestione delle fabbriche. I comunisti no: la produzione deve sì essere gestita da chi lavorava in fabbrica ma questa produzione non deve rispondere solo alla volontà di chi lavora in fabbrica ma alle esigenze di tutta la società, doveva esserci quindi un lavoro di centralizzazione. Questa centralizzazione doveva essere attuata attraverso i decreti sulla gestione operaia delle fabbriche, redatti e approvata dal CEC (comitato esecutivo dei soviet) e dal governo rivoluzionario dei commissari del popolo. Gli anarchici erano contro questo decreto e contro lo stesso istituto del CEC e il governo, erano contro lo Stato proletario.

Cito dall'articolo di apertira scritto da GEK: "- gli anarchici rivoluzionari sostengono che si possa e si debba passare dal capitalismo al comunismo senza nessuna fase intermedia, semplicemente distruggendo la macchina del potere borghese. - i comunisti rivoluzionari sostengono invece che sia necessaria la fase intermedia della "dittatura proletaria" che consiste nel potere esclusivo della classe lavoratrice, necessario per combattere e spazzare via definitivamente la reazione borghese che inevitabilmente si organizza per proteggere i suoi privilegi e il suo potere economico il quale - come e` ovvio - non puo` certo essere cancellato dall'oggi al domani. E' chiaro poi che, quando le classi saranno realmente scomparse, e non solo abolite sulla carta, la dittatura proletaria, in quanto potere coercitivo anti-padronale, non avra` piu` ragion d'essere e quindi si estinguera`." Cred che questo sintetizzi ancora meglio il concetto ;-)

ps: usare il termine "dittatura proletaria" non è questione di tradizione ;-) Lo stesso Lenin non usa - per esempio - sempre questo termine in Stato e rivoluzione, e lo stesso Lenin adopera certe volte il termine "democrazia proletaria". Lenin li adopera entranbi perchè semplicemente questi termini sono sinonimi! Lo Stato è una dittatura, qualsiasi Stato, anche la "democrazia proletaria".

Ogni stato, per quanto si presenti "al di sopra delle parti", incarna sempre la dittatura di una classe su di un'altra. E così vale per il semi-stato proletario di cui parla Lenin in Stato e rivoluzione. Ma Lenin, giustamente, specifica che non si tratta proprio di uno stato, ma di un semi-stato, ossia di un quasi-stato. Come se non esistesse ancora un termine adatto per definire il potere di quella classe che, a differenza di tutte quelle che l'hanno preceduta, ha come obiettivo storico l'estinzione delle classi e quindi dello stato.

Se non si tratta esattamente di uno stato, allora non si tratta esattamente di una dittatura. E qui sta il punto. Quando noi parliamo del futuro socialista e, ancor più, comunista, utilizziamo sempre una terminologia imperfetta, perché è presa in prestito da un passato rispetto al quale la rivoluzione di classe deve rappresentare una netta frattura.

Ora, secondo me è sacrosanto ingaggiare contro il veleno ideologico borghese una battaglia terminologica che restituisca a parole come socialismo, comunismo, proletariato, internazionalismo il loro significato autentico, perché i concetti che stanno dietro a questi termini sono il cuore pulsante della causa per cui lottiamo. Non solo, ma sulla critica alle falsificazioni che questi termini hanno subito nel corso dell'ultimo secolo si basa la nostra identità politica: il nostro rivendicare Marx e la Rivoluzione d'Ottobre, il nostro rifiuto della controrivoluzione stalinista, con tutti i suoi corollari (maoismo, ecc.).

Credo invece che per il termine dittatura non valga lo stesso discorso. Quando Lenin lo utilizza, non c'era ancora stato né il fascismo, né il nazismo, né, ovviamente, lo stalinismo. Queste esperienze storiche - che rappresentano la reazione più feroce e brutale al movimento comunista - hanno segnato molto profondamente l'immaginario collettivo, oltre che la vita concreta di milioni di comunisti e proletari. Per cui sarebbe saggio trovare un termine più appropriato, che richiami meglio il concetto di una enorme maggioranza (i proletari) che esercita il suo potere coercitivo su una ristretta minoranza (i capitalisti), attraverso organismo consiliari, fino alla definitiva estinzione delle classi.

Si pensi che lo stesso Lenin, fino al Che fare (1902), si definiva socialdemocratico. Poi quel termine generava troppa confusione con i riformisti, e recuperò il termine comunista. Decisamente meglio, anche perché il termine comunismo richiama una tradizione lunga come la storia umana, la meta a cui sono rivolti gli uomini nella loro insopprimibile aspettativa di uguaglianza e libertà, per usare le parole di Onorato Damen.

Sottoscrivo quanto ha scritto il compango Gek. Se un termine deve esprimere un concetto, anche a fini di propaganda, allora deve essere limpido, immediatamente comprensibile e inequivoco. Il termine "dittatura" viene oggi percepito nel significato di cui la storia lo ha caricato e che è l'opposto di quello illustrato qui dai compagni. Meglio e più efficacemente si comprende il significato di "democrazia proletaria" che proietta immediatamente l'idea di una democrazia consiliare in opposizione alla (falsa) democrazia borghese.

Sulla questione dei termini si può sempre riflettere, ovvero ricercare quelli che al meglio riescono a comunicare. Dobbiamo renderci conto che l'ideologia borgheseha inflazionato tutti i temini, non credo che ci sia un termine che al meglio possa racchiudere il significato del potere proletario, ovvero un termine immune da una possibile interpetazioni scorrette. La stessa "democrazia proletaria" potrebbe essere un termine percepito in modo non chiaro. L'impegno dei rivoluzionari quindi, oggi più che mai, deve essere rivolto verso la chiarificazione del progetto politico e la propaganda di questo, non tanto nella ricerca di nuovi termini da sostituire ai vecchi; tenendo ovviamente conto che anche la terminologia può aiutare in questo cpmpito. La questione fondamentale è sempre la sostanza: “dittatura del proletariato” e “democrazia proletaria” sono sinonimi nella sostanza, entrambi espressione di uno Stato ( o di un Semistato come ci ricorda GEk). Dicevo questione di sostanza perché è questa sostanza che gli anarchici non condividono, come ci ricorda l'articolo di apertura: gli anarchici non sono per un Semistato. Lo Stato borghese si abbatte e lo si sostituisce con il potere proletario, questo si esprime attraverso una forma di Stato che si estinguerà parallelamente alla estinzione delle classi. Lo Stato borghese si abbatte e viene sostituito da un Semistato proletario, questo Stato proletario si estingue. Gli anarchici non credono in questo processo. Ripeto, quanto già detto: Anche la “democrazia proletaria” è uno Stato (in via di estinzione come Stato politico) e ci sarà bisogno di questo Stato proletario — quindi di questa dittatura proletaria — per imporre il socialismo e per una società comunista. Non è questione di termini ma questione di sostanza. Gli anarchici negano la necessità di uno Stato – il semistato proletario — che si sostituisca allo Stato Borghese, dopo l’abbattimento di questo. Per farvi un esempio: dopo la rivoluzione in Russia gli anarchici erano per la “semplice” autogestione delle fabbriche. I comunisti no: la produzione deve sì essere gestita da chi lavorava in fabbrica ma questa produzione non deve rispondere solo alla volontà di chi lavora in fabbrica ma alle esigenze di tutta la società, doveva esserci quindi un lavoro di centralizzazione. Questa centralizzazione doveva essere attuata attraverso i decreti sulla gestione operaia delle fabbriche, redatti e approvata dal CEC (comitato esecutivo dei soviet) e dal governo rivoluzionario dei commissari del popolo. Gli anarchici erano contro questo decreto e contro lo stesso istituto del CEC e il governo, erano contro lo Stato proletario.

Riportando quindi l'attenzione sul tema di questo topic, aldilà dei termini: il problema, con gli anarchici, non è una questione di termini ma una questione di sostanza.

Sui termini.

Socializzazione dei mezzi di produzione - indi - Socializzazione del potere.

GCom in att.sa riparaz.ne internet

Sarebbe interessante discutere coi compagni anarchici di alcune questioni di organizzazione della produzione e della vita sociale in regime di post-capitalismo. Non si tratta del termine, Stato o semi-Stato, ma di come praticamente debba funzionare una comunità moderna senza il capitalismo.

Nella discussione "A proposito del 'darwinismo sociale'" il compagno Gek ed il compagno Spartacus hanno posto una questione fondamentale: la liberazione delle forze produttive implica la liberazione della scienza e della tecnica il cui sviluppo viene attualmente represso per gli interessi capitalistici. Compito del socialismo, si diceva, è sviluppare al massimo grado possibile la produzione dei beni necessari all'uomo e questa possibilità è già presente in quanto scienza e tecnica, non più strangolate dal capitalismo, consentirebbero di cambiare radicalmente non soltanto le finalità della produzione mail modo stesso di produrre, la relazione uomo-processo produttivo, ecc.

Ora, una trasformazione di queste dimensioni richiederebbe che tutti i fattori produttivi siano posti in coordinazione ed in sinergia, cioé che si muovano secondo un piano generale di trasformazione e di sviluppo. E' possibile fare tutto questo senza centralizzare e coordinare l'insieme del lavoro? Evidentemente,no.

Ma ancora; in un progetto di questi contenuti e dimensioni, costruito tramite decisioni assunte in regime di democrazia proletaria, c'è posto per l'autogestione? Evidentemente, si. A parte la ovvia considerazione che una simile impresa sarebbe per definizione una autogestione generale della produzione da parte dell'intero proletariato, l'organizzazione del lavoro delle singole entità produttive e la loro gestione collettivistica non potrebbe passare che attraverso la democrazia proletaria.

L'obiezione che potrebbe essere mossa è questa: un piano centralizzato di sviluppo porterebbe in nuce una tendenza autoritaria, non fosse altro per le insopprimibili esigenza di disciplinare agli obiettivi del piano ogni fattore.

Ricordo una polemica durissima a proposito della "militarizzazione dei sindacati" proposta da Troskji e contro cui insorse Lenin. Lenin ebbe a dire: "I sindacati devono difendere i lavoratori contro gli eccessi autoritari dello Stato operaio e devono difendere lo Stato operaio contro gli eccessi corporativi dei lavoratori". Il problema centrale della discussione tra centralizzazione e autogestione è ancora quello del funzionamento della democrazia proletaria, del potere e del funzionamento dei consigli operai.

Facciamo che tutti gli anarchici classisti sono per l'autogestione e i comunisti, invece, per la centralizzazione; lasciamo per un momento da parte il fatto che autogestione e centralizzazione possano, entro certi limiti, coesistere. Ci confronteremo all'interno dei consigli proletari e chi avrà la maggioranza della classe dalla sua parte farà prevalere la sua linea. E' questa la democrazia proletaria.

Il vero partito comunista non vuole imporre il suo programma alla classe in modo autoritario, ma vuole, anzi, deve conquistarne la guida all'interno dei suoi organismi consiliari.

La questione del governo dei commissari del popolo in effetti è abbastanza problematica. Cito dall'opuscolo "1917" della CWO:

Naturalmente, non tutto era perfetto in questo sistema proletario in erba. Per cominciare, il Consiglio dei Commissari del Popolo non rispondeva direttamente ai Soviet e tendeva ad operare in maniera simile ad un governo borghese.

leftcom.org

Mi domando se, di fronte alla necessità ineludibile di far funzionare al meglio una società socialista, possano prevalere logica e buon senso. E mi domando se di fronte alla responsabilità di produrre decisioni da cui dipendono gli esiti storici di una rivoluzione, decisioni assunte democraticamente nell'ambito dei consigli, prevalga lo spirito collettivo di una grande opera storica oppure i dettati "teologici" di teorie che nella pratica risulteranno superate. Il compagno Gek ritiene i compagni anarchici classisti idonei ad una collaborazione per "la rivoluzione e per il raggiungimento del potere dei consigli", e non è poco. Tra l'altro ritiene che questa corrente proletaria debba partecipare all'insieme della democrazia proletaria, e neppure questa è poca cosa.

Un programma post-capitalistico non può che originarsi nei consigli, nella democrazia proletaria, nel libero confronto tra le tendenze proletarie e sulla base della situazione materiale concreta di partenza, di fronte alla quale bisogna rispondere con decisioni efficaci ed in grado di spostare in avanti tutta la società e non accetterei, io per primo, che un eventuale Consiglio dei Commissari del Popolo non rispondesse direttamente ai Consigli o operasse come un governo borghese; a quel punto avremmo già perso.

Molti guasti storici sono il prodotto già dei prodromi dello stalinismo che cominciava a strangolare i soviet nelle tenaglie dello stato burocratico e ad introdurre il capitalismo di stato in continuità con i costumi e la cultura borghese. E l'ombra di quella nefasta esperienza, lo stalinismo, continua ad irretire anche i compagni anarchici.

Ma di fronte alla necessità di far funzionare l'industria, l'agricoltura, i trasporti, di rifornire le città, di distribuire la ricchezza sociale, ecc. e di mettere tutte queste esigenze in coordinazione ed in sinergia, perchè devo pensare che i compagni anarchici non le vedano e non cerchino di farle funzionale al meglio? Qui non si tratta di sapere quale idea sia più affascinate, si tratta di far funzionare le cose nella direzione del socialismo e dell'estinzione dello stato in quanto dominio. A queste esigenze di transizione, come rispondono i compagni anarchici? perchè è evidente che o il proletariato è in grado di assicurare un funzionamento di tipo superiore al capitalismo dell'intera società oppure la rivoluzione è un processo illusorio. Il socialismo non si giustifica col giustizialismo sociale ma trova la sua leggittimità perchè, liberando le forze produttive, riesce ad assicurare l'avvio di una nuova fase del progresso dell'umanità che non può prodursi senza un piano organico.

La cosa più interessante è se a questo dibattito sul forum partecipassero anche anarchici classisti, altrimenti si rischia di fare i conti senza l'oste ;-)

E' possibile invitarli?

Sono favorevole ad invitare "l'oste" alla discussione :-)

Credo che la maggior parte degli "anarchici" non persegua come paradigma sociale il socialismo e il comunismo, ma l'autogestione. Se però ci si ferma lì, non vengono messe in discussione tutte le categorie economiche del capitalismo, e di fatto si va a riproporre un sistema del tutto simile all'attuale.

Suggerisco ad esempio di guardare il seguente video divulgativo su una certa "anarchia", che ripropone (o non esclude) mercato, concorrenza, denaro e proprietà privata...

Gli anarco-comunisti, invece, credo condividano il nostro stesso fine, anche se mantengono grosse differenze sulla organizzazione delle avanguardie, sulla fase di transizione ecc. La mia impressione è che le differenze siano importanti e concrete, ma siano ingigantite da barriere lessicali e terminologiche.

youtube.com

Credo che il compagno Mic abbia dato due giudizi decisivi per questa discussione.

E' fuori discussione che l'autogestione, da sola, ammesso che funzionasse, ma non lo credo, ci riporterebbe pari pari dentro un'altra forma di capitalismo, non molto dissimile dal capitalismo praticato dalle cosiddette "cooperative rosse" (le quali, attualmente, sono in prima linea nello sfruttamento dei precari e nei licenziamenti).

E' invece di grande interesse l'opinione del compagno Mic sugli anarco-comunisti. Se condividono il nostro stesso fine allora vale davvero la pena aprire un dialogo. Intanto credo che barriere lessicali e terminologiche possano essere superate, dato che né noi né loro siamo fondamentalisti religiosi. Il compagno Mic individua le due principali differenze a) organizzazione delle avanguardie b) fase di transizione.

Ciò che vorrei proporre è: a) vediamo queste differenze e vediamo se ciascuna posizione corrisponde ancora alla situazione del presente; b) come progettano i compagni anarco-comunisti una transizione dal capitalismo ad una forma di socialismo consiliare?

I compagni della Tendenza, ove lo ritengano opportuno, possono rivolgere un esplicito invito a questa discussione ai compagni anarco-comunisti?

ho mandato l' invito attraverso il sito della fdca

Bene reas, se i compagni anorco-comunisti partecipano al forum è certamente una cosa interessante, speriamo!

La vostra intenzione di aprire un dibattito con gruppi anarchici che hanno per obiettivo il comunismo e si prefiggono d'arrivarci attraverso rivoluzione sociale - non è soltanto una buona idea, ma un passo necessario verso la consolidazione delle forze rivoluzionarie. Quindi, mi fa assai piacere leggerlo. Nondimeno, vorrei che rifletteste un attimo sulla natura politica dell'organizzazione concreta che avete scelto come interlocutore - la FdCA. Qui riporto un passaggio tratto da un documento loro "approvato all'unanimità dal VIII Congresso Nazionale della FdCA" il "1 novembre 2010":

Risulta importante per i militanti e simpatizzanti FdCA presenti in CGIL, assumere un ruolo attivo nell'area programmatica "La CGIL che vogliamo", avendone da subito sostenuto la formazione ed essendo questa un'ottima possibilità per portare il nostro contributo e avere visibilità in CGIL.

Voglio precisare comunque che io da parte mia non sto suggerendo granché, cioè vi lascio trarre conclusioni a vostro piacimento. Ecco anche il relativo legame ipertestuale: fdca.it

Grazie Unossu. In effetti conosciamo direttamente alcuni compagni della FdCA e sappiamo quale sia la loro attività concreta, in gran parte concentrata sulla CGIL-FIOM. Ad esempio:

fdca.it

Senza comunque escludere il dialogo con nessuno, io mi riferivo piuttosto ai compagni di quell'area intesa in senso lato, anche e soprattutto quelli senza una collocazione precisa. Anche alle discussioni su libcom.org partecipano diversi compagni con una impostazione di tipo anarco-comunista, o ispirati in qualche misura al consigliarismo, con cui è possibile e necessario un dialogo. Appunto, per chiarire quali siano le differenze concrete, e quali i punti in comune, superando se possibile le incomprensioni.

A dirla francamente non ho capito la finalità che si è proposto Unossu col suo intervento.

Mi suonano suonano ambigue il "non vi suggerisco granché" e la sua benevolenza a consentire a chi stava discutendo di "trarre conclusioni a piacimento". Uno strano modo aristocratico di intervenire in una discussione.

Ora , almeno dal mio punto di vista, l'entrismo nella CGIL come in qualsiasi altro sindacato, è un errore politico. Ma non è proprio di questi errori che qui volevamo discutere con i compagni anarco-comunisti? Oppure, in forza di questo errore, dobbiamo considerare i compagni della fdca come irrimediabilmente perduti e per sempre organicati nel fronte borghese? Unossu vuole dirci questo? Non l'ho capito.

Innanzitutto, vorrei scusarmi per avere attribuito la proposta di Raes a BC.

Per quanto riguarda il commento di Anonimous, non mi pare d'essermi comportato da aristocratico, ché onestamente 'un so neanche come si faccia 'na cosa del genere. Le ragioni della mia astensione dal giudizio sulla opportunità di un dialogo tra BC e la fdca sono semplicissime. Non milito in nessuna delle due organizzazioni, quindi la questione di tale opportunità m'è parsa un affare interno di BC. Tutto lì. Forse ho fatto male, forse non mi son espresso nel meglio dei modi. Pertanto, se qualcuno m'ha capito diversamente, mi scuso per gli eventuali equivoci.

Entrando comunque nel merito della questione, e parlando in via generale, a me non pare tanto grave entrare in un sindacato per comunicare meglio con i lavoratori iscritti. In questo caso si tratta però di sostenere incondizionatamente una delle due fazioni concorronti nella CGIL di cui entrambe difendono in maniera inequivoca gli interessi della borghesia. E' questo appunto quel che fa la FdCA.

Infine, non ho mai sostenuto che chicchessia fosse irrimediabilmente perduto, tanto io stesso un anno e mezzo fa ero ancora anni luce lontano da una prospettiva rivoluzionaria.

Compagni, credo che tutto vada riportato nella giusta dimensione, negli ultimi interventi forse si è fatto un po' di confusione...

Questo è un forum messo a disposizione da Battaglia Comunista. è un forum dove diversi compagni, anche di BC ma in prevalenza provenienti da altre realtà, discutono, riportando le loro personali osservazioni, postano materiale ecc, ecc. Si tratta semplicemente di un forum. Anche questo interessante dibattito va riportato quindi nelle dimensioni… del forum. È semplicemente una “chiacchierata” tra compagni. I confronti tra organizzazioni vengono strutturati in ben altro modo, BC cerca nel suo piccolo di farlo da sempre (vedi la promozione delle conferenze internazionali negli anni 70, il rapporto con i GLP, le conferenze tenutesi questo mese in Francia ospiti dei compagni di Controvers, o anche altre “piccole” situazioni neanche conosciute al’esterno). Una cosa è il confronto sistematico e strutturato tra organizzazioni – e questo non verrà mai fatto su un forum, certamente non lo farà mai BC – altra cosa è il dibattito tra compagni su un forum. Per questo secondo ovviamente non credo ci siano discriminanti: il confronto sul forum è aperto a tutti, quindi ben venga anche qualche intervento dei compagni anarchici prima menzionati o anche di altri anarchici.

Do atto al compagno Unossu di essere pervenuto in breve tempo ad una prospettiva rivouzionaria ed è proprio questa una delle cose che dobbiamo incoraggiare e promuovere: aiutare gli elementi più sensibili della classe a giungere a questa prospettiva.

Una disamina degli errori in corso nella sinistra richiederebbe un elenco sterminato, ma non è questo il punto. Ciò che Raes ha fatto e che alcuni di noi hanno apprezzato e sostenuto è l'apertura di un campo di discussione tra proletari e tra formazioni politiche proletarie, nella chiarezza e nell'intento comune di ricompattare il blocco proletario.

Siamo di fronte alla crisi epocale del capitalismo, al suo fallimento storico, e nelle temperie della crisi ogni posizione, ogni idea, ogni proposta è soggetta ad una spietata verifica in campo. E' vero ciò che dice il compagno Unossu, ciascuna delle due fazioni interne alla CGIL è di fatto sostenitrice di un settore della borghesia, ma non credo che l'intenzione dei compagni anarco-comunisti, che condividono l'errore dell'entrismo, sia quella di sostenere una fazione borghese.

Il compagno Nun ha ragione a precisare la differenza tra le funzioni di un partito e quelle di un forum. Neppure io aderisco ad alcun partito ma credo sia importante costruire un ambiente proletario che abbia connotazioni identitarie ed unitarie e nel quale la libera discussione tra compagni possa anche fornire un supporto più largo all'indispensabile lavoro di unificazione del campo proletario. Credo sia questo lo spirito con cui i compagni partecipano alle discussioni, senza alcuna pretesa di surrogazione del ruolo di partito.

Sarebbe però utile ed istruttivo sapere qualcosa di più sui rapporti, sul modo e sui contenuti del confronto tra le organizzazini proletarie, su ciò che unisce e su ciò che divide e sulle ragioni per cui, pur riconoscendo ciascuna di loro l'esigenza di unificazione, non si riesce a fare consistenti passi avanti in questa direzione. Nella sua introduzione il compagno Gek ha precisato differenze storiche tra comunisti ed anarchici e stavo tentando di capire se queste differenze possano, oppure no, trovare una possibilità di superamento a fronte della crisi epocale del capitalismo, delle mutazioni avvenute nell'architettura sociale, della necessità per il proletariato di rispondere alla crisi sul piano di classe.

io non sapevo neanche di queste posizioni della fdca, ho semplicemente cercato un sito di comunisti anarchici e gli ho invitati a partecipare alla discussione.comunque i miei interventi rifguardano sole me non coinvolgono battaglia comunista, solo quando accanto al nome c'è la scritta editor siamo di fronte a militanti di b.c. . francamente trovo assurdo anarchici comunisti che militano nella cgil

Il compagno Anonimous ha scritto: "stavo tentando di capire se queste differenze possano, oppure no, trovare una possibilità di superamento a fronte della crisi epocale del capitalismo, delle mutazioni avvenute nell’architettura sociale, della necessità per il proletariato di rispondere alla crisi sul piano di classe."

Io personalmente credo che le due più importanti differenze tra comunisti e anarchici, benché appaiano enormi sul piano ideale, sul piano dei fatti non si possano neanche verificare.

Cercherò di spiegarmi. Mentre l'idea anarchica del federalismo risulta inaccettabile per un comunista, date le modalità attuali di produzione sociale e il grado di sviluppo attuale delle forze produttive, la questione del federalismo sul piano dei fatti non si porrebbe neanche, inquanto esso risulterebbe tecnicamente infattibile.

Poi, per quanto riguarda la fase di transizione, sia la repressione (e quindi, anche la discriminazione) temporanea degli appartenenti alla classe fino ad allora dominante che una pronta abolizione del modo di produzione capitalistico risulterebbero praticamente indispensabili. In particolare, tale abolizione sarebbe inevitabile, giacché la rivoluzione sociale non potrebbe aver luogo che in un momento di disintegrazione accelerata della produzione capitalistica e, data l'entità della crisi cui stiamo già assisitendo, io non dubiterei della inevitabilità di una siffatta disintegrazione (anche se non s'è in grado di prevederne le forme).

Detto questo, una futura cooperazione tra comunisti e anarco-comunisti (il termine mi garba poco in quanto semanticamente inappropriato, ma che ci possiamo fare) mi sembra molto più facilmente realizzabile che quella tra comunisti e varii gruppi che si dicono comunisti ma rifiutano ogni procedimento democratico persino in dei contesti presenti o futuri privi di oppressione di classe, dando luogo in tal modo a dei progetti sostituzionisti o tecnocratici. Mi posso riferire al riguardo tanto ai bordighisti quanto al gruppo N+1.

Un altro ostacolo a una simile cooperazione che sia importante sul piano pratico credo sia il fatto, assai ricorrente presso moltissimi gruppi "anarco-comunisti" o "anarco-sindacalisti", di sostenere - specie nell'America Latina - candidati o partiti borghesi o piccolo-borghesi, a colorazione liberale o socialista, contro dei concorrenti "fascisti". La fdca, ad esempio, riporta spesso il logo del sito Anarkismo il quale lo fa puntualmente.

Riportando la posizione dell'FdCA sul sindacalismo, Unossu ha in realtà centrato la questione sul piano dell'attività pratica presente.

Come ho già detto, infatti, da un po' di tempo in alcune città emiliane, a Bologna, Parma, Reggio Emilia, si sono formati dei coordinamenti di lavoratori che coinvolgono compagni provenienti sia dall'area anarchica che da quella comunista, con l'intenzione di intervenire sui luoghi di lavoro sul terreno dell'anti-capitalismo e dell'autorganizzazione delle lotte.

La denuncia dei sindacati confederali come ingranaggio fondamentale del sistema capitalistico è parte integrante di questo intervento comune; i compagni dell'FdCA di Reggio Emilia, invece, non accettano che si faccia una critica del genere sui volantini, proprio perché loro fanno entrismo nella Fiom. Questo è più che sufficiente per porsi al di fuori di un eventuale intervento comune.

Con altri anarchici di diversa estrazione, invece, questo percorso sta procedendo. Ma è fondamentale non si tratta di collaborazione fra organizzazioni, sono adesioni di singoli compagni. Se un membro della FAI aderisce a un coordinamento del genere, in cui sono presenti anche militanti di BC, non significa che la FAI e BC abbiano cominciato una collaborazione, ma solo che quei compagni, su determinati punti discriminanti, possono intraprendere un percorso comune.

Comprendo ciò che scrivono i compagni, in ultimo il compagno Gek. Ma mi stavo domandando: rispetto a ciò che sta succedendo in Grecia e che succederà prossimamente in molte altre parti del mondo, quale dovrebbe essere la dimensione "operativa" di un partito o consociazione di forze proletarie? E quanti anni saranno necessari per arrivarci in questo modo? E quando e se ci si arriverà, la storia non sarà già passata oltre?

Compagno anonimo l'interrogativo che ti poni e' centrale riguardo una prospettiva rivoluzionaria con un minimo di valenza storica, ma e' pessimista in quanto eccessivamente anticipatore.

L'attuale situazione seppure ampiamente corrotta, non e' comunque sufficientemente "virulenta" per una adesione di massa ad una condotta eversiva, "l'idea ha sempre fatto brutta figura quando diversa dall'interesse".

L'esercizio intellettuale consigliato dai lumi borghesi e' di mera ragioneria...ancora brodaglia di confindustria, il "poco" con cui fare i conti non e' il "niente", e' ancora in essere la mediazione del capitale sui processi sociali, l'interesse borghese e' ancora celato da quello che appare l'interesse umano.

Saluti.

Gentile compagno GCom,

francamente non capisco. Intervistato nel 1913 Lenin diceva che la rivoluzione l'avrebbero fatta le _due o tre generazioni successive_ (letterale) e ciò per dire che neppure un abilissimo rivoluzionario di professione (chi più di lui?) era in grado di prevedere i tempi di una deflagrazione sociale.

Mi pare, d'altra parte, che i compagni di BC pongono, e giustamente, come attuale il problema dell'organico rivoluzionario, senza il quale la "virulenza" sociale si traduce in sterile ribellismo quando non in una scoffitta secca. Voglio dire che il fattore soggettivo non è secondario nel decorso della crisi. In biologia si afferma che al di sotto di certe dimensioni la vita non è possibile; credo valga anche per il lavoro politico, sia pure quello teso a svelare l'interesse borghese celato da quello che appare l'interesse umano. Non dico affatto che il "poco" è "niente": mi domando semplicemente se è sufficiente e se può diventare sufficiente nei tempi richiesti dalla contingenza storica.

La domanda sussidiaria è questa: fino a che punto è "riciclabile" il materiale umano che oggi si pone sul versante antiborghese? E se non lo è, o lo é solo in minima parte, tu quale conclusione suggerisci? Saluti.

E' vero, il poco numerico delle attuali avanguardie rivoluzionarie rischia di essere niente rispetto alla situazione di crisi catastrofica in cui già ci troviamo: la Grecia è dietro l'angolo, in tutti i sensi. E' per questo che è necessario trovare al più presto un terreno comune che unisca tutto il proletariato. L'autorganizzazione delle lotte è un ottimo punto di partenza.

Io penso che le attuali forze classiste - quindi non solo Battaglia, ma tutte quelle organizzazioni che mettono al centro la lotta di classe - abbiano una grande responsabilità, perché rappresentano il ponte indispensabile per collegare le nuove generazioni alla tradizione comunista rivoluzionaria.

Se i vecchi potessero... se i giovani sapessero... recita un detto popolare. Ecco, noi dobbiamo fare che i vecchi possano e che i giovani sappiano. Altrimenti il capitalismo ci seppellirà tutti.

A proposito di "ponte" verso le nuove generazioni, vi segnalo questo ottimo forum:

giovaninternazionalisti.forumcommunity.net

A causa mia sono stato frainteso, forse ho cercato di condensare troppo senza chiarirmi.

Con Il -poco e il niente- intendevo dire quel "poco" che ancora rende l'operaio interessato al destino dell'apparato che lo sfrutta (la paga), il "niente" e' la miseria generalizzata. In questo senso intendo dire che la politica e l'economia sono divenute un mero esercizio di ragioneria con cui si giustifica l'aggressione borghese alle condizioni di vita operaie. In questo senso, penso io, non siano ancora maturate determite condizioni eversive.

Lungi dal fare "statistica" per valutare le idee dei compagni: se sarà sufficiente o no lo vedremo.

Per i suggerimenti direi che Gek ha ragione, si tratta di fare...letteralmente.

Saluti.

"è necessario trovare al più presto un terreno comune che unisca tutto il fronte proletario"

Proprio così, compagno Gek e dovremmo ripetere a tutta la sinistra "qui si varrà vostra nobilitate" (Ariosto), perchè già immediatamente questo terreno esiste:

-chiarire al proletariato la natura irreversibile della crisi e l'inutilità della miseria obbligatoria imposta.

- la difesa del proletariato contro la somministrazione di misure ingiuste ed inutili

-la possibilità di far funzionare la società oltre e meglio del capitalismo.

Una sinistra che si presenti unita al proletariato e che, almeno su questi punti, parli un unico linguaggio, sarebbe di per sé un elemento di incoraggiamento per fare diventare il poco "qualcosa".

Ma se questa sinistra non è capace di unirsi almeno su questo, allora che se ne vadano a coltivare la loro misantropia e lascino il campo proletario

Compagno anonimo, più che alle “sinistra”direi che con forza l’appello a fare fronte vada rivolto ogni giorno alla classe stessa. Non quindi un “fronte” tra organizzazioni della “sinistra” ma un fronte di classe costruito dal basso, ovvero una unità nelle lotte. È la classe – oggi ancora estremamente frammentata - che deve iniziare a fare fronte comune, muovendosi su un comune terreno che nei fatti esiste già, ovvero le condizioni di lavoro e di vita nelle quali il capitalismo sta spingendo tutti i proletari. Quello che storicamente il Partito Comunista internazionalista chiamava "fronte unico dal basso", un appello lanciato alla classe, non alle organizzazioni della "sinistra", uno stimolo a fare fronte, ad unirsi, oltre i sindacati e le organizzazioni politiche che avevono magari come riferimento.

I comunisti quando possono devono agevolare questo processo e esserne parte attiva, stimolando poi la classe stessa verso la crescita di una coscienza in termini politici e di prospettiva rivoluzionaria. Per compiere questo indispensabile lavoro politico ci vuole una forte organizzazione e un saldo programma, non semplicemente un “fronte” tra la sinistra su obiettivi "minimi". La classe ha bisogno di unirsi. La classe ha bisogno inoltre di una chiarezza politica, di un chiaro programma, di un indispensabile Partito rivoluzionario internazionale. La costruzione di un forte Partito comunista internazionale ed internazionalista, costruito intorno ad un chiaro programma da portare alla classe, è certamente un lavoro non facile ma allo stesso tempo indispensabile.

ps: credo che stiamo uscendo un po' fuori tema ;-) Anche perchè si sperava in qualche intervento anarchico sul forum...

Restando in tema, ho trovato oggi il libro "Anarchici e marxisti", Editori riuniti, un documento di critica di Marx ed Engels, realizzato anche in collaborazione con Lafargue. Uno saggio interessantissimo incentrato sulla critica marxista al pensiero anarchico, nello specifico il testo è rivolto contro l'associazione segreta fondata da Bakunin in contrapposizione-sovrapposizione all'internazionale.

Caro Compagno Nun,

"Datemi un punto di appoggio ed io vi solleverò il mondo" si dice abbia detto Archimede; l'ipotesi sembrava verosimile ma non si trovò né quel punto di appoggio e, meno che meno, una leva abbastanza lunga e robusta che gli permettesse di sollevare da solo il Mondo. Il problema è questo, la leva.

Seguendo il tuo inappuntabile ragionamento si torna giocoforza al "crescere su sé stessi: in quali tempi? e questi tempi sono compatibili con la velocità dell'avanzare della crisi?

In questo momento, ora, adesso, il proletariato riceve colpi durissimi ed è nella più inestricabile confusione sulla natura della crisi, fino al punto da non comprendere l'inutilità della miseria obbligatoria che gli viene somministrata.

Dal tuo scritto deduco che la sinistra che si è storicamente determinata è del tutto inidonea al compito che oggi la storia e la crisi pongono ai rivoluzionari, per vizio ideologico e per colpe storiche, alcune addirittura risalenti a 150 annui fa, come nel testo che tu hai citato. Dunque, in cosa sperare che non sia un'illusione messianica? La rivoluzione non é un automatismo della storia, nel marxismo non vi è alcun determinismo e il fattore soggettivo è decisivo, come tu stesso riconosci.

Se neppure su esigenze minime questa sinistra è in grado di seguire il consiglio di Marx (unitevi) allora vuol dire che essa è solo un residuo storico inutile, capace solo di coltivare le sue (infruttuose) polemiche e di cercare ragioni minimali per giustificare la sua diserzione.

Dico come la penso, con franchezza, e mi scuso se il tono è abbastanza polemico, ma vorrei che anche tu riflettessi sul che fare. La politica è l'arte del possibile e, per dirla con Lenin, essa si basa sull'analisi concreta della situaziuone concreta e ciò che pensiamo deve correlarsi alla realtà così come esssa è e non come vorremmo che essa fosse. Saluti

Compagno anonimo ciò che dici e' in gran parte condivisibile soprattutto per ciò che riguarda il - fattore soggettivo - . Provando a dare un parere su questo particolare aspetto mi sembrerebbe favorevole incoraggiare i compagni non ancora appartenenti ad alcuna organizzazione a considerare la possibilità di impegnarsi, nella misura che ritengono opportuna, aderendo ad un partito, dalla radice rivoluzionaria, con un certo spessore, magari individuando una sede nella propria città, senza pregiudizi eccessivi oppure cavillando differenze a volte non propriamente essenziali, considerando che il proprio apporto contribuirà in qualche misura a "collegare" le formazioni.

Tutto qua...saluti

Compagno anonimo, trovo il tuo messaggio molto serio, per niente polemico, quindi a maggior ragione rispondo volentieri.

Spesso, secondo me, viene fato l’errore di basarsi troppo sul contenitore e meno sul contenuto. Il Proletariato non ha bisogno di un involucro Partito ma ha bisogno di un contenuto, questo contenuto si chiama programma politico rivoluzionario. È capace un alleanza tra la “sinistra” a partorire un chiaro programma politico rivoluzionario? Io dico No.

Personalmente credo che i comunisti devono interagire tra loro, quando c'è lo spazio per farlo. In che modo? Tenendosi lontani dal settarismo e dall’opportunismo. Questo significa, confrontarsi, seriamente per realizzare quelle condizioni che dicevo sopra, poter partorire un chiaro programma politico rivoluzionario, quando non si è capaci di fare questo allora non si può offrire politicamente nulla di buono al proletariato, ovvero non si può offrire quello del quale questi hanno bisogno: il programma rivoluzionario.

Non bisogna quindi semplicemente “crescere su se stessi”, ma far crescere la possibilità di diffondere un chiaro programma proletariato, muoversi quindi compatibilmente a questa finalità, tenendosi lontani da settarismo e opportunismo. Questo significa lavorare per la costruzione di un futuro partito internazionale del proletariato. Quali sono i passaggi che portano a questo partito internazionale del proletariato? Questo dipende dalle condizioni che si offriranno. BC in determinate condizioni ritenne utile promuovere le Conferenze internazionali della Sinistra comunista, da quelle conferenze è nato un lavoro diverso dalla conferenza stessa, l'alleanza con la CWO, il BIPR...dal lavoro del BIPR è nato la ICT... in futuro speriamo di poter dare con questo lavoro il nostro contributo al Partito internazionale del proletariato. la tipologia di lavoro per il partito può combiare a secondo delle condizioni che vanno a crearsi, quindi i comunisti devono essere aperti a qualsiasi possibilità ma non devono perdere di vista la finalità. la finalità non è l'involucro ma il programma politico.

Ps: oggi nulla può paragonarsi con il Partito bolscevico … ma cosa avrebbe dovuto fare per esempio i bolscevichi (deboli fino a pochi mesi del ’17), ricucire lo strappo con i menscevichi? Avrebbero ottenuto un contenitore più forte un contenitore inutile però, senza un chiaro programma.

Laciando a parte una diversa valutazione da parte mia della frazione bolscevica del partito socialdemocratico russo, ci tengo a notare che né il partito socialdemocratico preso nel suo insiemo né la frazione bolscevica hanno mai subordinato la relativa adesione all'accettazione di un programma chiaro e preciso. Il programma del partito in questione veniva di volta in volta determinato ai congressi del partito e quindi una fetta importante degli aderenti non lo accettava ed all'occasione della rivoluzione del 1917, la maggioranza schiacciante dei membri non condivideva intimamente nessun programma preciso.

La pretesa di fondare un vero e proprio partito sulla base di una graduale chiarificazione di un programma fermo e preciso è una pretesa alquanto stravagante, in quanto un siffatto partito non si è mai storicamente verificato. Un simile programma non potrebbe esser che patrimonio di un limitato gruppo di persone ed un vero partito non potrebbe far a meno di una pluralità di tendenze distinguentisi programmaticamente. Ogni tentativo di costruire un partito relativamente numeroso e allo stesso tempo dotato di un programma alla cui accettazione sia subordinata l'adesione stessa può portare unicamente ad una sempre maggiore ipocrisia dei membri giacché esser effettivamente d'accordo in tanti su mille cose semplicemente non è possibile.

Nonostante il lunghissimo periodo di riflusso delle lotte proletarie, determinato per lo più dalle circostanze oggettive dello sfruttamento di classe e del dominio borghese, io mi permetto di identificare una delle cause della paurosa apatia che affligge il proletariato nel puntare troppo da parte dei comunisti sul programma a scapito dell'organizzazione. Sì, io credo che i proletari abbiano bisogno di un "involucro", cioè di uno spazio proprio in cui si possa discutere liberamente e nella consapevolezza di far parte di un tutto, appunto, di una classe. In assenza di un siffatto "involucro", ogni tentativo da parte di compagni comunisti di rivolgersi a dei proletari non comunisti, viene da questi ultimi percepito, come un inutile dialogo tra INDIVIDUI 'estremisti' da un lato e INDIVIDUI 'normali' dall'altro. Per comunicare in maniera fraterna, ci vogliono spazi comuni, ci vuole un'organizzazione comune - all'interno della quale le minoranze rivoluzionarionarie potranno battersi per il proprio programma chiaro, preciso e da loro intimamente condiviso. Voglio precisare comunque che io non sto affatto proponendo l'entrismo nei sindacati e partiti borghesi. Una simile organizzazione avrebbe in ogni caso da avere chiari connotati di classe, ma non un programma preciso. Ora mi si potrebbe chiedere: è quali sarebbero 'sti criteri che possano (o forse 'potessero'? scusate il mio italiano) contraddistinguere chiaramente un'organizzazione politicamente proletario? Non è una questione facile e io ora non saprei risponderci, quantomeno non in questa sede. Ma forse il vostro concetto di 'campo proletario' potrebbe esser utile a tal fine.

Ciò che dice un ossu è vero, è fondamentale trovare degli "spazi" in cui i compagni che si richiamano al classismo possano confrontarsi, ma è altrettanto chiaro che questo spazio non può essere l'Organizzazione con la maiuscola, cioè il partito.

All'interno di un partito ci si può confrontare, ma la premessa è l'adesione alla stessa analisi e allo stesso programma. Ora, noi di Battaglia Comunista siamo un partito - il Partito Comunista Internazionalista, che esiste dal 1943 - ma allo stesso tempo siamo consapevoli di non essere, qui e ora, il futuro Partito rivoluzionario. Perché

- non abbiamo la forza numerica e il radicamento nella classe sufficiente per essere in questo momento la guida politica del proletariato;

- il futuro partito rivoluzionario dovrà essere organizzato su base internazionale, e infatti il PCInt è tra i fondatori della Tendenza Comunista Internazionalista, che si pone esattamente questo obiettivo.

La domanda che ci poniamo sempre è: la "sezione italiana" del futuro Partito rivoluzionario sarà il PCInt che con l'avanzare della crisi si radicherà nella classe e aumenterà esponenzialmente i suoi quadri, oppure nascerà dalla fusione di realtà politiche preesistenti, che dal confronto scopriranno di condividere lo stesso programma? Come si dice: chi vivrà vedrà. Noi siamo sempre stati aperti al confronto politico. Non siamo però d'accordo con chi dice "prima uniamoci, poi vediamo". Esattamente il contrario: confrontiamoci politicamente, e vediamo cosa ci accomuna.

In questi mesi, però, uno spazio per il confronto fra compagni classisti che provengono da correnti politiche differenti, in Emilia lo stiamo trovando nei coordinamenti per l'autorganizzazione delle lotte, e ne approfitto dunque per segnalare l'assemblea che si svolgerà a Bologna questo sabato:

assembleaproletaria.wordpress.com

Cari Compagni,

mi scuso in anticipo se violerò di poco la norma sulla lunghezza dei messaggi, ma anche gli editors comprenderanno che si tratta di un tema essenziale e complesso.

Io penso che ciascuno di Voi, Nun, Unossu e Gek, abbiate parti importanti di ragione che tendono ad integrarsi ed a porsi in equilibrio, ma questa esigenza, anche nella sua semplicità, ci mostra l’esigenza intanto di un partito ed in secondo luogo di un partito che lavori per l’unificazione delle forze e del proletariato. Scarto a priori dal ragionamento m-l ed anche quelle strane persone di L.C. che hanno esposto su questo sito argomenti irricevibili.

La prima seria obiezione viene dal Compagno Nun, il quale diffida di un aggregato politico difforme, estemporaneo e confuso e perciò incapace strutturalmente di produrre un programma in grado di orientare il proletariato in un conflitto con una classe, quella borghese, che dispone di tutte le armi e di tutta la sapienza del potere: questo ragionamento sottende un’altra seria preoccupazione, e cioè che la rivoluzione possa fallire dopo per la difformità di tendenze dei vari componenti di un aggregato di partiti di sinistra.

Il compagno Unossu osserva che il programma del bolscevismo si compose via via che si sviluppavano gli eventi rivoluzionari potendo esprimersi in un ambiente proletario dove il libero confronto tra le varie fazioni proletarie consentiva lo spostamento di forse e di quadri verso l’organizzazione che proponeva il programma più efficace. In effetti fu così: dopo le “Tesi di Aprile” Lenin dovette lottare innanzitutto contro il “vecchi bolscevichi” che resistevano alle innovazioni in nome del vecchio programma del bolscevismo; inoltre Lenin mutuò il programma agrario dei socialisti rivoluzionari e parte di quello menscevico e dei mezrajoncin (l’organizzazione intercittadina guidata da Troskji). L’ambiente proletario, i Soviet e ciò che intorno ad essi gravitava approvarono questo programma. Ma è anche vero che questo programma non si sarebbe potuto affermare senza la tenuta organizzativa della base proletaria del bolscevismo. Lenin minacciò addirittura di dimettersi dal Comitato centrale bolscevico e di rivolgersi direttamente alla classe quando si trovò in minoranza nel suo stesso C.C. E quel programma spostò la rappresentanza bolscevica nei soviet da 12 al 76% (la storia è questa).

Il Compagno Gek non sottovaluta nessuno di questi due argomenti e francamente mi sento più d’accordo con la sua posizione perché offre maggiori possibilità di lavoro e di manovra politica, senza cedere, come giustamente ha sottolineato il Compagno Nun, né al settarismo, né all’opportunismo.

Ci sono due cose che bisogna tenere ferme nel pensiero, secondo me: la portata dell’avversario e la sproporzione di forze e, quindi, mettere in equilibrio dinamico sia la necessità di un saldo partito, sia quella di innescare un movimento unitario, di ricomporre un ambiente proletario nel quale le questioni di programma, tattica e strategia possano essere valutate sulla base dell’andamento della crisi e della crescita della risposta proletaria.

Vorrei solo aggiungere una nota per quei signori che hanno scritto: “Noi siamo di più, quindi abbiamo ragione”: è evidente che essi ignorano del tutto le dinamiche delle trasformazioni sociali. Da questo punto di vista sono più marxisti gli anarchici che non questi para-marxisti.

Dalla corrispondenza di Darwin, finalmente interamente pubblicata, viene una conferma importante. Una velina, datata 1851, attesta che Darwin, insieme ad altri eminenti studiosi, intervenne presso il governo francese al fine di far ridurre la condanna all'esilio di Elisée Reclus, un grande geografo e, soprattutto, uno degli anarchici più eminenti del suo tempo.

Reclus è una figura eroica dell'anarchismo e del movimento operaio per il suo coraggio, la sua coerenza e la sua assoluta dedizione alla causa dei lavoratori. Divenne geografo in modo autodidattico, in forza delle sue acutissime osservazioni sul mondo che aveva visitato e conosciuto e, possiamo dire, fu il fondatore della geografia sociale. Ebbe grande considerazione e rispetto in tutto l’ambiente scientifico internazionale e attestati di stima da parte dei più eminenti scienziati del tempo. Nel suo lavoro si avvertono tratti molto marcati di genialità e, anche in una scienza apparentemente "neutra", si avverte la fortissima tensione ideale che lo portò a spendere la sua intera vita, costellata di sacrifici e di persecuzioni, per la causa dei lavoratori. Quali che fossero le sue polemiche con Marx, credo che anche noi comunisti abbiamo il dovere di onorarlo ed, al di là di ciò su cui non possiamo proprio essere d'accordo con parte delle sue idee, il suo valore umano e morale rimane un titolo di onore per il movimento dei lavoratori. Credo che questo atteggiamento sia in linea con il profondissimo rispetto con cui Lenin trattava un altro grande studioso anarchico, Kropotkin, ed in generale, pur nella polemica più dura, trattava gli anarchici.

La diversità del modo di giungere alla meta che è comune a comunisti-anarchici e comunisti-marxisti, il comunismo, a volte mi sembra un motivo insufficiente per non ricercare unità contro il comune avversario, unità sul terreno dello scontro di classe, unità nella difesa del proletariato. Ma un singolo individuo non può porre questa questione perché non ha l’autorità politica di un partito proletario ed è perciò che vorrei chiedere al PC Int. di forzare il muro di divisione che impedisce di confrontarsi e di discutere con i compagni comunisti-anarchici.