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Home ›Pacco e doppio pacco: l'atomo civile e il capitalismo sostenibile
Introduzione
L'eco del disastro di Fukushima è giunta in Italia nel bel mezzo di una campagna politica e propagandistica volta a reintrodurre il cosiddetto “nucleare civile” all'interno del novero delle fonti alla base del sistema energetico nazionale. In realtà negli anni scorsi vi è stata un po' in tutto il mondo una riscoperta dell'atomo come fonte energetica, tanto da parlare di “Rinascimento Nucleare” in associazione allo sviluppo di nuovi impianti definiti di “terza generazione”. Al potenziale ricco banchetto elargito dagli Stati, ossia dai “contribuenti”, si sono avvicinati rapidamente i grandi nomi mondiali dell'energia, dell'industria pesante, ma anche in generale tutte le grandi e piccole imprese allettate dai guadagni facili. (1)
Ma, prima di procedere nell'analisi dell'energia nucleare dal punto di vista economico, sociale e politico, occorre fare un po' d'ordine sullo stato attuale della tecnologia, cercando di dotarsi di qualche strumento interpretativo utile a superare le formule del marketing, la fiducia cieca propagandata da un lato e i proclami idealistici ripetuti dall'altro.
La tecnologia delle centrali nucleari
Innanzitutto vale la pena ricordare come l'uomo abbia cominciato ad occuparsi dell'energia atomica da circa un secolo, a partire dalla celebre formulazione di Einstein, E = mc2, che ha svelato la possibilità teorica di convertire massa in energia e viceversa, superando il principio di Lavoisier di conservazione della massa che fino ad allora era ritenuto inviolabile. Anche se vogliamo limitarci a considerare l'uso civile dell'energia atomica, il periodo in esame ingombra oltre mezzo secolo, in cui più volte i proclami a testimonianza della sicurezza delle nuove centrali si sono succeduti, senza che gli incidenti e i danni cessassero o diminuissero sensibilmente. In effetti, scorrendo le varie “generazioni” degli impianti, si può notare come la tecnologia fondamentalmente sia cambiata assai poco e la criticità degli impianti non paia affatto diminuita.
Quando si sente parlare di nuova generazione del nucleare, i discorsi diventano presto molto fumosi, spesso più o meno deliberatamente mistificanti, arrivando addirittura a fare confusione tra fissione e fusione. A questo riguardo, la tecnologia attualmente disponibile e quella futuribile per i prossimi decenni è limitata alla fissione. La fusione nucleare è per ora una chimera, di cui eventualmente dovranno occuparsi le generazioni a venire. (2)
Quindi, con “nucleare civile” si intende essenzialmente l'applicazione della fissione nucleare per la produzione controllata di energia, all'interno di centrali nucleari. A partire dagli anni 1950, prima di tutto negli Stati Uniti e in URSS (ossia le due superpotenze imperialiste coinvolte nella corsa agli armamenti nucleari), sono state costruite varie centrali di questo tipo, adottando soluzioni tecniche leggermente diverse, ma che possono essere considerate varianti attorno ad un progetto che risale appunto alla metà del secolo scorso. Le centrali di prima e seconda generazione sono state realizzate secondo vari schemi, tra cui BWR e PWR (USA), VVER e RBMK (URSS), Magnox e AGR (UK), CANDU (CA). Alcune di queste centrali sono divenute tristemente famose, come quelle di Chernobyl, Three Miles Island, Fukushima, ma questi schemi realizzativi sono alla base della quasi totalità delle centrali tuttora in funzione.
Una delle differenze principali riguarda la separazione eventuale del circuito idraulico in cui si trova la turbina, rispetto al liquido di raffreddamento a contatto diretto col combustibile fissile. Lo schema più semplice è quello con circuito singolo, come nelle centrali di Chernobyl e Fukushima (ma anche Caorso e tanti altri siti). Lo schema a circuito doppio, come a Three Miles Island (e Trino Vercellese), isola meglio il combustibile, naturalmente, ma nemmeno questo si è mostrato particolarmente sicuro, alla prova dei fatti. Un'altra differenza riguarda l'elemento moderatore, necessario a rallentare alla velocità giusta i neutroni, in modo che siano efficaci nell'innescare ulteriori reazioni, a catena. La grafite utilizzata nella centrale di Chernobyl e in UK si è dimostrata micidiale in situazioni di emergenza, ma anche l'acqua pesante usata come moderatore in altre centrali non ha impedito il verificarsi di gravi incidenti.
Tra i pochissimi nuovi reattori in fase di realizzazione, alcuni sono denominati di “terza generazione”. Si tratta di sistemi con diversi elementi di sicurezza ridondanti, attivi e passivi, come pompe di raffreddamento di emergenza e involucri in cemento armato, ma in effetti non introducono nessuna modifica sostanziale rispetto a quelli già in funzione, tale da renderli di diversa “generazione”. Per esempio, uno degli schemi più diffusi, l'EPR francese, deriva direttamente e con poche modifiche dallo schema PWR, con acqua leggera in condizioni sottoraffreddate come moderatore e refrigerante (3).
Introducono qualche novità, non sempre positiva, i progetti di cosiddetta “quarta generazione”. Bisogna subito dire che si tratta in effetti non solo di progetti mai sperimentati, ma neppure completi, anzi spesso solo allo stadio di bozza o idea di base. Come dire, la quarta generazione semplicemente non esiste, e non esisterà nemmeno come ipotesi per vari anni ancora. Si tratta comunque di progetti che mirano ad aumentare la sicurezza, ridurre le scorie, slegare le centrali dalla possibilità di ricavare plutonio per uso militare (un punto su cui torneremo nel seguito), oltre a usare con più efficienza il combustibile e ridurre i costi di costruzione ed esercizio. In questi progetti spesso si usano refrigeranti diversi dal passato, quali elio, sodio, piombo-bismuto, sali minerali. Ad esempio i sistemi basati sul progetto LFR, con raffreddamento a piombo fuso, derivato dai sottomarini nucleari russi, viene descritto come sicuro, vendibile “chiavi in mano” anche in moduli di potenza ridotta. Naturalmente, la proliferazione di tali “scatoloni” nei punti più irraggiungibili e instabili del pianeta non è necessariamente uno scenario desiderabile... specie se non si hanno interessi diretti nella loro produzione e installazione.
Molti dei progetti di quarta generazione hanno poi qualche radice nel reattore autofertilizzante Superphénix, in attività in Francia dal 1985 al 1997. Si tratta di un sistema basato su neutroni veloci, capace di generare più combustibile fissile (in particolare plutonio, adatto a scopi militari) rispetto a quello consumato. Questo è possibile grazie ad un seme costituito da uranio fortemente arricchito di plutonio (fino al 20%), che nel tempo irraggia un mantello costituito da uranio naturale, MOX (una miscela di plutonio e uranio impoverito, a bassa concentrazione di uranio 235 fissile), o semplicemente uranio impoverito. Il reattore Superphénix è stato flagellato dagli incidenti e dai blocchi di funzionamento e ha inghiottito una montagna di finanziamenti statali, giustificabili in realtà solo nell'ottica della militarizzazione nucleare perseguita a tutti i costi dalla Francia. Il sistema di raffreddamento basato su sodio, comune ad alcuni progetti di quarta generazione, si è dimostrato particolarmente critico, dato che il sodio è fortemente reattivo, a rischio di esplosioni nel contatto sia con l'acqua che con l'ossigeno dell'aria. (4)
I vantaggi predicati
I fautori dell'energia nucleare sottolineano una serie di vantaggi che la renderebbero appetibile in alternativa o in combinazione con altre fonti energetiche. Tra i vantaggi predicati citano una minore utilizzazione di suolo, rispetto alle miniere di carbone e alle altre fonti fossili. Le miniere di carbone sono effettivamente uno scempio ambientale e un posto infernale dove lavorare. Le miniere di uranio non sono però uno spettacolo migliore, e a fronte di un quantitativo di “combustibile” necessario molto inferiore, possono produrre effetti molto peggiori e con una lunga coda per gli anni a venire. Anche dal punto di vista della sicurezza e della salute dei lavoratori, il confronto è arduo. Le esplosioni controllate e le abituali tecniche minerarie, applicate all'uranio, spargono enormi quantità di polveri cancerogene che si aggiungono al radon che si libera in loco. Inoltre sono comuni gli episodi di inquinamento radioattivo del territorio, dei fiumi e delle falde acquifere. La devastazione in Niger, che Greenpeace ha denunciato come legata allo sfruttamento dell'uranio, è solo uno dei molti esempi che potrebbero essere citati. (5)
Un'altra motivazione spesso addotta per lo sfruttamento del nucleare civile è la diversificazione rispetto ai combustibili fossili, per evitare instabilità geopolitiche e per il meno citato problema dell'esaurimento progressivo delle fonti fossili. L'uranio non è una fonte fossile, ma non per questo è meno esauribile di petrolio, gas e carbone. Inoltre le compagnie elettriche, come l'Enel, mostrano spesso previsioni di crescita continua dei consumi che avrebbero possibilità di essere soddisfatte solo con l'apporto del nucleare, per non incorrere in catastrofici black-out. Ma, se già in passato le stime si sono spesso rivelate oltremodo esagerate, a maggior ragione è lecito dubitarne in questo periodo, in cui la profonda crisi economica porta ad una depressione generalizzata della produzione.
L'unica motivazione tra quelle addotte ad avere un fondamento è la bassa emissione di anidride carbonica, uno dei principali gas serra, alla base del riscaldamento globale del pianeta. Tuttavia, anche limitatamente a questo aspetto, facendo bene i conti, non c'è spazio per troppi entusiasmi. Si può ad esempio leggere in un articolo pubblicato su Nature:
L'energia nucleare, con emissioni pari a 66 gCO2e/kWh, è ben al di sotto delle centrali a carbone, che emettono 960 gCO2e/kWh, e le centrali a gas, a 443 gCO2e/kWh. Tuttavia, il nucleare emette il doppio di carbonio rispetto al solare fotovoltaico, a 32 gCO2e/kWh, e sei volte più che l'eolico a terra, a 10 gCO2e/kWh... Quindi per ogni dollaro speso nel nucleare, si potrebbe risparmiare 5 o 6 volte in termini di carbonio con l'efficienza o con le centrali eoliche... Le centrali nucleari devono essere costruite, l'uranio deve essere estratto, processato e trasportato, le scorie devono essere immagazzinate, e alla fine la centrale deve essere smantellata. Tutte queste azioni producono emissioni di carbonio... Un'altra questione ha a che fare con la sostenibilità delle stesse forniture di uranio... I depositi di minerali con più alto contenuto di uranio si stanno esaurendo, lasciando sfruttabili solo i depositi di minore qualità. Man mano che la qualità dei minerali degrada, per l'estrazione e la lavorazione è richiesta più energia, e le emissioni di gas serra s'innalzano (6).
Una energia a basso costo?
Infine, veniamo alla tanto vantata convenienza economica dell'energia nucleare, grazie a cui avremmo bollette più leggere di almeno il 20-30%. Innanzitutto, i costi bassissimi sbandierati sono spesso relativi alle sole spese di esercizio, o addirittura solo al costo del combustibile fissile, che costituisce una parte abbastanza marginale del costo complessivo del lunghissimo ciclo di vita di una centrale nucleare. Senza tema di trovarvi dati volutamente tesi a mettere in cattiva luce il nucleare, vale la pena spulciare qualche documento di Assonucleare, una delle principali lobby a favore della costruzione di nuove centrali in Italia. Vi si legge:
Dalle valutazioni dell'OCSE emerge una sostanziale equivalenza del costo del chilowattora nucleare rispetto a quello prodotto con centrali a carbone o a gas a ciclo combinato (che sono le più economiche fra le centrali termoelettriche).
Quindi, secondo le valutazioni assai benevole dei suoi più interessati sostenitori, il costo del nucleare, includendo costruzione, esercizio e smantellamento degli impianti, non si discosta significativamente dalle fonti fossili. Gli stessi estensori dello studio, quindi, mossi senz'altro da fervente spirito ambientalista, reclamano l'introduzione della carbon tax, ossia imposte sulle emissione di CO2 e quindi sulle fonti fossili. (7)
Ma, consultando i risultati di altri autorevoli studi, si nota come i dati dell'Assonucleare siano oltremodo ottimistici nel valutare l'energia nucleare, anche al di là di altre valutazioni commissionate da agenzie internazionali pro-nucleare. In un documento stilato dalla “Fondazione per lo sviluppo sostenible” di Edo Ronchi (8), vengono in particolare messi a confronto vari studi internazionali, di diverso orientamento. Come si vede nella tabella qui riportata, il costo dell'energia nucleare in media risulta superiore del 20% rispetto alle ottimistiche e “originali” valutazioni di Enel-EDF. Il costo medio di produzione delle nuove centrali a gas risulta in media inferiore del 16% rispetto al costo medio del kilowattora prodotto dalle nuove centrali nucleari.
$/MWh - Valori 2007 | NEA-OECD - Ag. en. nucleare, OCSE (2010) - Costo del capitale 5-10% | CBO - Ufficio del Budget del Congresso, USA (2008) | EC - Commissione Europea (2008) | EPRI - Istituto di ricerca di Palo Alto, USA (2008) | House of the Lordes - UK (2008) | MIT - USA (2009) |
---|---|---|---|---|---|---|
Nucleare | 58,53-98,75 | 73 | 65-110 | 73 | 90 | 84 |
Gas | 85,77-92,11 (10,54 x CO2) | 58 | 65-78 | 73-97 | 78 | 65 |
Carbone | 65,18-80,06 (23,96 x CO2) | 56 | 52-65 | 64 | 82 | 62 |
Inoltre, rispetto ai semplicistici conti dell'Assonulceare, ci sarebbe da osservare che, se davvero si assistesse al “Rinascimento Nucleare” auspicato da questi personaggi, allora anche la disponibilità e il costo del combustibile fissile assumerebbero ben altro peso. Già negli anni scorsi il prezzo dell'uranio ha mostrato grande volatilità, passando dai 20$/Kg del 2000 ai 300$/Kg del 2007. Attualmente, in fase di stasi praticamente assoluta dal punto di vista della costruzione di nuove centrali, il prezzo si aggira intorno ai 130 dollari.
Il documento dell'Assonucleare si sofferma in particolare sui risultati di uno studio commissionato dal governo finlandese, aggiornato al lontano 2003. Trascura di menzionare però che proprio l'impianto di “terza generazione” in realizzazione in Finlandia, a Olkiluoto (il primo reattore EPR in costruzione al mondo) è paradigmatico dell'approccio oltremodo ottimistico di definire le stime iniziali. Per un impianto di 1600MW, si è passati infatti da un costo preventivato di circa 3,2 miliardi di euro agli attuali circa 6, non ancora definitivi. Infatti della costruzione, avviata nel 2005, non si vede ancora la fine: la data prevista inizialmente era il 2009, ora si parla del 2013. In sostanza, sia i costi che i tempi di realizzazione saranno almeno raddoppiati. I pochissimi altri reattori di terza generazione in realizzazione (tra cui uno a Flamanville, in Francia, e due in Cina) stanno subendo problemi e ritardi del tutto simili.
Però il vero problema di cui non si parla, l'elefante nella stanza, sono tutti quei costi che non vengono conteggiati, se non in maniera del tutto fittizia. (9) Il primo tra questi è la gestione delle scorie. In effetti, calcolare il costo di messa in sicurezza e conservazione delle scorie radioattive non è semplicemente possibile. Basta considerare quali sono i tempi in questione: se il plutonio desta spesso grosse preoccupazioni per la sua emivita di circa 24000 anni, ci sono altri prodotti di fissione con emivita più lunga di diversi ordini di grandezza, come lo iodio 129 che richiede 16 milioni di anni prima di dimezzare la sua massa per decadimento spontaneo. Ma il dimezzamento non risolve il problema. Per ridurre le scorie radioattive ad un millesimo della massa iniziale, occorre moltiplicare per dieci l'emivita. Come si fa a stimare il costo della messa in sicurezza delle scorie per tempi biblici o addirittura geologici? Semplice: non lo si fa. E così un costo effettivamente incalcolabile diventa un bello zero (o quasi) sulle tabelle dei sostenitori del nucleare. E, al colmo del paradosso, lo zero delle tabelle è anche quello che poi si impiega nella realtà, per cui le scorie non vengono affatto messe in sicurezza, ma infilate in qualche miniera in disuso quando va bene - nella speranza che gli effetti disastrosi e alla lunga inevitabili non si verifichino troppo presto - affidate alle ecomafie in molti altri casi, per essere sparse o affondate chissà dove (10).
I danni alla salute e gli incidenti
Ma la (mancata) gestione delle scorie è solo uno dei costi non messi a bilancio, “esternalizzati” sulla società intera, scaricati sulle generazioni a venire. Tra questi costi sociali bisogna annotare sicuramente i danni alla salute, in primo luogo per le popolazioni che vivono a ridosso delle centrali, ma che in misura diversa riguarda tutta la popolazione mondiale. In un articolo di Enrivonmental Health (11) si legge:
Nel 2008, in Germania, lo studio denominato KiKK (“Kinderkrebs in der Umgebung von KernKraftwerken”, “Cancro infantile nelle vicinanze di impianti nucleari”) ha riscontrato un incremento di 1.6 volte di tumori solidi e di 2.2 volte di leucemie nei bambini residenti entro un raggio di 5 km da tutti gli impianti nucleari di quel Paese. Questo articolo riporta i risultati dello studio KiKK, discute gli studi epidemiologici più recenti e del passato sui casi di leucemia nei pressi degli impianti nucleari nel mondo e delinea un possibile meccanismo biologico per spiegare l'aumento di quei casi. Si ipotizza che l'alto tasso di leucemia infantile possa essere attribuito ad un effetto teratogeno di radionuclidi assorbiti. Le dosi emesse nell’ambiente, verso feti ed embrioni in donne incinte, nei pressi di impianti nucleari, possono essere maggiori di quanto in genere si ritiene. I tessuti ematopoietici appaiono considerevolmente più radiosensibili in embrioni e feti che nei neonati.
Si tratta di un dato ancora peggiore di quello riscontrato in studi precedenti, citati nell'articolo, che riportavano aumenti del 54% e 76% per l'incidenza di cancro e di leucemie infantili, confermando una maggiore sensibilità alle radiazioni di embrioni e feti, che spesso non è considerata negli studi istituzionali. Questi ultimi si appoggiano unicamente alla cosiddetta dose equivalente e alla soglia di esposizione, un dato che viene adattato alle diverse situazioni, rivisto continuamente al rialzo per accomodare la crescente diffusione di inquinamento radioattivo, senza solide motivazioni scientifiche. Il livello di radiazioni si misura internazionalmente in Sievert, una unità di misura che rappresenta la dose equivalente di radiazione, espressa in energia per unità di massa, J/Kg. Ma in queste valutazioni non sono tenuti in conto gli effetti a lungo termine, dovuti all'accumulazione di vari radionuclidi nei tessuti; ad esempio è documentato che iodio 131 e cesio 137 si accumulano nella tiroide, generando neoplasie. Restando ai valori ufficiali, si misura in 2,4 mSv/anno l'esposizione media in occidente, mentre è pari a 50 in un raggio di 30Km da Chernobyl, attualmente. Per valori attorno a 2-5 Sv si verificano vomito, febbre, emorragie. Esposta a 4 Sv, metà della popolazione rimarrebbe uccisa, mentre a 6 Sv c'è la morte quasi certa.
Tumori e leucemie infantili sono il dato “normale” delle centrali nucleari, ma a questo bisogna aggiungere i danni provocati dagli incidenti che, nonostante le rassicurazioni degli “esperti”, continuano a verificarsi senza sosta, ad ogni latitudine, sotto ogni regime politico, per ogni “generazione” delle centrali. Le centrali nucleari sicure semplicemente non esistono. Il numero degli incidenti nucleari documentati è assai più alto di quanto viene detto. Recentemente (13 aprile 2011) il New York Times ha pubblicato uno studio, basato solo sugli episodi di “meltdown” (fusione del nocciolo) appurati e resi pubblici, a partire dal 1957. Risulta che,
con 439 reattori ora operanti in tutto il mondo, ogni tre anni in media si verifica statisticamente un incidente nel nocciolo di un reattore (12).
I rischi derivanti dall'installazione di una centrale dipendono da molti fattori, tra cui: densità demografica, sismicità del territorio, efficacia dei piani di evacuazione, accuratezza e affidabilità dei sistemi controllo e dei sistemi di emergenza. In realtà queste valutazioni lasciano spesso il tempo che trovano. Nella società capitalistica, l'energia svolge un ruolo fondamentale, essendo essa indispensabile in ogni processo produttivo automatizzato. Soprattutto, l'energia è diventata una merce, e come tale viene prodotta e distribuita. La merce energia ha però la proprietà particolare di trasferire il suo valore su ogni altra merce prodotta. Quindi, le centrali elettriche, comprese quelle nucleari, sono gestite fondamentalmente come qualsiasi altra attività capitalistica; anzi, se possibile, con attenzione ancora maggiore alla minimizzazione dei costi di realizzazione e gestione degli impianti e alla massimizzazione dei profitti. Ad esempio, le centrali nucleari richiedono un fabbisogno di acqua di raffreddamento veramente molto cospicuo (in Francia, il raffreddamento delle centrali elettriche nel 2006 ha assorbito 19,1 miliardi di metri cubi d'acqua dolce); per questo motivo quindi le centrali vengono realizzate dove l'accesso all'acqua è più facile ed economico, quindi lungo corsi d'acqua o lungo le coste, ossia spesso in corrispondenza dei territori più densamente popolati, se non addirittura a rischio di terremoti e tsunami come in Giappone. (13)
Altri elementi di rischio sono legati al trasporto e all'isolamento del combustibile e delle scorie, alla qualità del processo di costruzione, manutenzione e smantellamento impianti. In tutti questi aspetti, la gestione capitalistica impone risparmi a tutti i livelli. È (poco) noto che il contenitore d'acciaio di uno dei noccioli di Fukushima I avesse un difetto di costruzione, ossia fosse danneggiato già in fonderia. Tuttavia il vessel, che costava 250 milioni di dollari, fu ugualmente installato per non mettere a rischio la sopravvivenza stessa della Hitachi, l'azienda realizzatrice. Insomma, tutto fu insabbiato grazie alla collaborazione di uno dei progettisti. Questo avveniva decenni fa, ma problemi non minori si stanno verificando nella realizzazione della “modernissima” centrale EPR di Olkiluoto 3 in Finlandia (14):
Da controlli effettuati dalla Stuk lo spazio tra alcuni pezzi saldati era risultato eccessivo e fuori dalle norme di sicurezza. Areva non avrebbe dato istruzioni vincolanti alle centinaia di società che si erano inserite nella lunga catena dei subappalti, lasciando un margine di manovra pericoloso. Nel caso del cemento non adeguato il rischio per la sicurezza dell'impianto era notevole: secondo i test realizzati la base che sorregge il nucleo non avrebbe resistito alle sostanze corrosive nel corso dei 60 anni di durata della centrale.
Infine, non si può tenere al di fuori delle valutazioni il rischio legato ad attacchi militari e terroristici. L'attuale società non è affatto pacifica, nonostante le promesse di armonia e addirittura di “fine della storia” decantate dai sostenitori del capitalismo. Un sito che presenta forti criticità già nella sua operatività quotidiana può facilmente diventare un obiettivo alla portata di potenze militari straniere, gruppi terroristici operanti a copertura di concorrenti imperialisti, gruppi criminali e perfino sette millenariste e altre schegge “impazzite”.
Le motivazioni inconfessate
Alla fine della fiera, con onestà si deve riconoscere che la tecnologia nucleare è fondamentalmente immatura. Questo è testimoniato anche dai guasti continui e da un fattore di utilizzazione degli impianti particolarmente basso. Negli ultimi anni le statistiche ufficiali parlano di un aumento di questo fattore dal 53% degli anni 1970 fino all'85% dei primi anni 2000. Ma osservando le dinamiche dei maggiori incidenti, e notando che negli ultimi anni le nuove centrali costruite sono state solo alcune unità, si capisce come questo innalzamento indichi un utilizzo delle stesse vecchie centrali ben oltre ogni soglia di rischio “ragionevole”, tenendole spesso operative anche in situazioni di pericolo e con impianti di sicurezza danneggiati o bloccati. L'elevata complessità degli impianti richiede inoltre la realizzazione di sistemi di controlli basati su modelli approssimati, di cui è difficile dimostrare anche solo teoricamente il buon funzionamento in tutte le condizioni realmente possibili.
La verità è che la scelta nucleare avrebbe consentito un ritorno al “militare” da cui era stato originato. Alla borghesia preme possedere tecnologie strategiche convertibili in potenza militare per sorreggere meglio la sua politica imperialista. (…) Dopo la bomba atomica e lo choc da essa provocato sull’opinione pubblica mondiale, il capitalismo tenta l’utilizzo “pacifico” dell’energia nucleare. Il passaggio viene effettuato con gradualità. (...) Nasce un nuovo mercato che trarrà grandi benefici economici, realizzando una ricaduta tecnologica dalle enormi spese militari per il nucleare. Per arrivare al primo utilizzo pacifico del nucleare bisognerà però aspettare il 1956, anno in cui verrà costruita a Shippinport negli USA la prima centrale.
È molto interessante notare come l’energia nucleare civile venga sviluppata nel mentre prevale, nei paesi industrializzati, l’utilizzo del carbone e si preannunci la svolta legata al petrolio, quando cioè non ci si poneva minimamente il problema dell’esauribilità delle riserve petrolifere naturali né quello dei costi dello stesso petrolio che all’epoca erano veramente irrisori.
Allora perché si è fatta una tale scelta? Per vari motivi. C’è il motivo della ricerca del massimo profitto che è un motivo connaturato all’essere del modo capitalistico di produzione; v’è poi la necessità dell’espansione della “ricerca scientifica”, dell’utilizzo delle tecnologie convenzionali da intrecciare con quella nuleare derivata e strettamente connessa al settore militare.
Tutti i paesi (Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna e successivamente la Francia) che si sono dotati di armi nucleari, compenseranno i costi con la commercializzazione dell’innovazione tecnologica, facendo pressione sulle loro aree di influenza politica e commerciale.
In sostanza quindi - come scrivevamo già sul nostro opuscolo del 1986 (15) - il grande interesse del capitalismo decadente è quello di spostare nel settore civile parte dei costi della ricerca e della produzione nucleare, per poterne poi sfruttare le potenzialità di carattere militare. L'apparato militare si trova infatti immediatamente a disposizione tecnologia, conoscenze e impianti per l'arricchimento dell'uranio, per la generazione di plutonio, in generale per il dominio dell'energia atomica. Inoltre il ricorso all'energia nucleare offre a molti paesi il vantaggio di slegarsi parzialmente dalle fonti fossili e dagli instabili bacini mediorientali e centrasiatici. A parità di altre condizioni, la diversificazione delle fonti energetiche rende meno soggetta alle instabilità interimperialiste la base produttiva nazionale. La costruzione di centrali nucleari si fonda quindi su valutazioni essenzialmente imperialistiche, in particolare sulla necessità di trovare applicazioni civili per compensare le spese militari; meglio ancora se questi costi possono essere trasferiti all'estero, diffondendoli sui bilanci statali delle aree di influenza politica ed economica. Le prime aziende ad operare nel settore sono state le americane General Electric, Westinghouse, Babcock & Wilcox. Non è ascrivibile semplicemente al caso il fatto che le centrali nucleari giapponesi, tra cui la famigerata Fukushima I, Dai-ichi, risalente al 1967, sia stata costruita dalla General Electric con tecnologia statunitense BWR. Ma accanto alle necessità dell'imperialismo a stelle e strisce, occorre annoverare anche gli obiettivi nazionali giapponesi, la volontà di crescita e rivincita del capitale nipponico, alla lunga anche sul piano militare. I dati sulle riserve di plutonio in Giappone sono stati riportati, tra gli altri, da RaiNews24 e dal Corriere della Sera (16):
Dati ufficiali alla mano: l’Asia è l’unico continente in cui il nucleare è in vertiginosa espansione. Grazie ai reattori a riproduzione veloce, produttori di plutonio extra che può essere riciclato per generare energia, ma anche per costruire bombe atomiche o essere rivenduto sui mercati mondiali. Secondo l’ International Atomic Agency «il Giappone ha accumulato una riserva strategica di 50 tonnellate di plutonio 239, prodotto dai suoi reattori civili, sufficienti a fabbricare circa 7 mila testate nucleari, destinata a crescere ogni anno». Sia il Cisac (Comitato per la Sicurezza Internazionale e il Controllo degli Armamenti) che il Phisics Today (il bollettino mensile della Società americana di Fisica) concordano nel ritenere che Giappone, Cina, Taiwan, Corea del Nord, Corea del Sud, Indonesia, Malesia e Tailandia stanno sviluppando capacità nucleari belliche con la copertura di programmi civili per l’energia atomica.
In Italia l'avventura nucleare si è svolta tra il 1963 e il 1990, quando si diede finalmente corso all'esito del referendum del 1987 e furono chiuse le ultime centrali. Nel anni Ottanta in Italia si contavano quattro centrali nucleari: Latina (Magnox), Garigliano (BWR), Trino Vercellese (PWR), Caorso (BWR), oltre a vari reattori sperimentali e strutture di gestione del combustibile.
Per la campagna propagandistica di ritorno al nucleare è emblematica la figura di quel Chicco Testa - che qualcuno ricorderà come fervente ecologista e anti-nuclearista ai tempi di Chernobyl, quando era a capo di Legambiente - oggi animatore del “Forum Nucleare Italiano”, l'associazione pro-nucleare finanziatrice degli spot televisivi aggressivi e mistificanti cui siamo stati sottoposti per mesi (quelli delle partite a scacchi, per intenderci). Per comprendere le finalità di questo “forum” basta dare un'occhiata alla lunga lista di aziende ed enti che vi prendono parte: in pratica tutti i maggiori soggetti interessati al grande business delle centrali nucleari italiane. Tra le aziende più interessate al ritorno del nucleare figurano, poco sorprendentemente, i soliti nomi legati alle commesse statali: Edinson, Eni, Enel, Finmeccanica tramite Ansaldo, ma anche alcune grosse municipalizzate ed ex-municipalizzate tra cui A2A, Acea, Hera, Iren (non è un mistero che i dirigenti di queste aziende siano per lo più emanazione dei partiti, compresi quelli che ora si dicono anti-nuclearisti). Pronti ad approfittare del ricco business anche i colossi internazionali come Areva, Alstom, Eon, GE, Westinghouse. La parte del leone vorrebbero comunque farla Enel ed Edf, che nel 2009 hanno costituito una apposita joint-venture denominata Sviluppo Nucleare in Italia (SNI), assieme ad Areva, che dovrebbe occuparsi della realizzazione dei reattori. L'accordo iniziale, adesso messo in forse, prevedeva quattro centrali, dal costo ipotizzabile in circa 6 miliardi di euro ciascuna.
Sulla scelta di Areva e della tecnologia francese EPR, hanno pesato sicuramente diverse considerazioni tecniche, economiche, più ampiamente geopolitiche. Va però messo in conto anche la distribuzione dell'enorme debito pubblico italiano, che per circa un terzo, 511 miliardi di dollari, è in mani francesi. Si tratta di una cifra che equivale a circa il 20% del pil francese. Allo stesso modo, sul temporaneo blocco dei programmi di italico “rinascimento nucleare” hanno contato sicuramente questioni di opportunità politiche ed elettorali per la maggioranza, questioni più personali e giudiziarie per il premier, ma forse anche l'acuita tensione con la Francia, a seguito dell'ondata migratoria e della questione dei permessi di soggiorno, delle mosse per l'acquisizione di Parmalat, ma soprattutto della crisi libica e della conseguente incertezza sui molti e importanti contratti energetici già stipulati in Libia da aziende italiane. (17)
Le alternative all'energia nucleare
Se da un lato il nucleare rappresenta un rischio inaccettabile per l'intera umanità, senza alleviare i problemi imposti dalla bulimia energivora del capitalismo, dall'altro lato il consumo di combustibili tradizionali - carbone, petrolio, gas - genera emissioni di gas ad effetto serra, come l'anidride carbonica, che stanno già portando a modificazioni climatiche irreversibili. La cattura delle emissioni sulla carta pare un'opzione praticabile, ma in pratica è molto difficile trovare “depositi” naturali che possano ospitare e trattenere efficacemente la CO2 per un lunghissimo periodo.
Inoltre, petrolio e gas sono risorse non rinnovabili, e come tali sono soggette presto o tardi ad esaurimento, seguendo la ben nota curva a campana di Hubbert. Per quanto riguarda il petrolio, i dati mostrano come a livello complessivo siamo già nella fase di plateau, ossia nella regione piatta che segna il picco della curva, a cui segue la discesa verso una situazione di relativa scarsità e costi crescenti. La discesa potrebbe essere accelerata dal crescente consumo interno dei paesi produttori, che in alcuni casi si stanno trasformando addirittura in importatori netti di combustibile. È successo proprio quest'anno all'Egitto, per esempio (18). Non è quindi un caso che si ricorra a giacimenti sempre più impervi, come quelli nelle profondità del Golfo del Messico, o addirittura nel Mar Glaciale Artico. (19)
Tra le fonti rinnovabili vere e proprie ce ne sono alcune, come solare ed eolico, che cominciano ad essere sfruttate sistematicamente. Si tratta in generale di tecnologie a cui finora sono state dedicate scarsissime risorse, in confronto al nucleare, ad esempio. Soprattutto per questo motivo, l'efficienza è relativamente bassa. Ma anche in queste condizioni rese sfavorevoli da un sistema produttivo del tutto disinteressato ai problemi ambientali e sociali, è già possibile un utilizzo addirittura competitivo con le fonti fossili, che sono consumate sottraendole all'ecosistema una volta per tutte. Senza fare grandi voli di fantasia, è ragionevole ipotizzare quantomeno una efficienza significativamente maggiore delle fonti rinnovabili, se solo fossero state oggetto di ricerca ed investimento di risorse adeguate.
L'energia eolica è già sfruttabile in maniera conveniente anche in regime capitalista. Anzi, grazie anche agli incentivi statali, in Italia si è trasformata in una ghiotta occasione di investimento da parte delle mafie e di altri speculatori, che hanno innalzato torri eoliche anche nei posti più inappropriati, dal punto di vista geologico e paesaggistico. Lo sfruttamento dell'energia solare, in confronto, appare al momento meno efficiente, con un costo del chilowattora più alto. Tuttavia, in confronto all'energia nucleare, ha potenzialità molto superiori. Si tratta infatti di una forma di energia con una “curva di apprendimento” discendente, ossia col passare del tempo la tecnologia costa meno e diventa più efficiente. Esattamente l'opposto dell'energia nucleare, che presenta costi a crescita esponenziale, per tentare di arginare gli enormi problemi di sicurezza. In questa situazione, basta qualche modificazione degli incentivi, di cui si giovano sia le energie rinnovabili che il nucleare, per alterare la convenienza a favore dell'una o dell'altra. Infatti, uno studio realizzato in North Carolina parla già oggi di “historic crossover” (20) a favore del solare. Le valutazioni sono state naturalmente criticate dalla Associazione Italiana Nucleare, che però nella sua risposta si è fatta sfuggire per la prima volta una stima dei costi del nucleare rivista al rialzo fino a 0,15 $/kWh: ancora un valore sottostimato, ma ben superiore ai 3-4 centesimi propagandati fino a qualche anno fa.
Oltre all'energia idroelettrica, eolica e solare, di tipo termico, fotovoltaico, o combinato, esistono numerosi studi che mirano a sfruttare altre fonti energetiche, su cui finora non sono confluite risorse e ricerche, se non in maniera del tutto sporadica. Tra le varie proposte, figurano lo sfruttamento dell'energia delle maree, dell'energia eolica di alta quota, anche con ingegnosi sistemi di “aquiloni” (21), dell'energia geotermica, profonda o a bassa entalpia. (22)
In sostanza, il problema dell'energia non è dovuto ad una carenza di conoscenze tecniche e scientifiche, quanto piuttosto ad una struttura economica tutta orientata al massimo profitto, alla accumulazione senza sosta, che alla fine si scontra inevitabilmente con la sovrapproduzione o il sottoconsumo, due facce della stessa medaglia che possiamo meglio definire sovraccumulazione. Paradossalmente, il capitalismo genera nel tempo forze produttive crescenti, arrivando a non riuscire più a dispiegarle proprio per mancanza di profitti adeguati alla massa di capitale. In questa corsa forsennata alla produzione in crescita esponenziale, l'energia gioca un ruolo di pietra angolare, in quanto merce come le altre e al tempo stesso speciale, una merce che rientra in tutti i processi produttivi e influisce grandemente sulla composizione organica del capitale. Qualsiasi fonte energetica, anche la più “pulita”, sfruttata secondo le logiche capitaliste, sarebbe portata ben oltre la sua “sostenibilità” e impiegata a fini tutt'altro che ecologici, non per soddisfare i bisogni dell'uomo ma per generare profitti su profitti, infischiandosi di ogni impatto negativo sull'ambiente. In una battuta, maggiore energia equivale a maggiore capacità di generare sconvolgimenti globali, sotto le leggi del capitale.
Il movimento anti-nuclearista
A seguito dei grandi disastri ambientali, di cui l'energia nucleare si è più volte macchiata, si solleva puntuale il movimento ecologista, che raccoglie i sentimenti di giusta rabbia e angoscia di ampi settori della cosiddetta “società civile”. Sullo stesso opuscolo già citato (14), scrivevamo:
Quali sono state le ragioni dell’originarsi del movimento ecologista? Innanzitutto, come può apparire ovvio, è nato dalla constatazione dei danni provocati dalla società industriale. (...) Tali constatazioni vengono amplificate dalla Dichiarazione di Mentone, firmata nel 1971 da più di 2000 scienziati e dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente (Stoccolma 1972). Il rapporto del MIT sui “Limiti dello sviluppo” redatto nel 1971-72 sotto l’impulso del “Club di Roma” ha tentato di quantificare i dati della crisi ecologica pervenendo ad una simile conclusione: se la popolazione e il consumo delle risorse non rinnovabili non si stabilizzano, se non si distoglie una parte degli investimenti industriali a favore della produzione alimentare, se non si effettua il riciclaggio sistematico di tutti i nostri rifiuti, se non si riduce l’inquinamento globale ad un quarto del livello raggiunto nel 1970, l’umanità si troverà in gravissimo pericolo. Il movimento ecologista, molto ingenuamente, s’è mosso per la realizzazione di questi obiettivi (...) rivendicando la difesa dei “diritti democratici dei cittadini” e alla lotta per l’integrazione e, progressivamente, per la sostituzione dell’energia nucleare con forme di energia rinnovabili, pulite e alternative. Il movimento ecologista non ha mai fatto una analisi delle più strutturali ragioni che legano il degrado ambientale o la scelta nucleare alla logica del capitalismo. Non è un movimento anticapitalistico poiché crede di poter raggiungere gli obiettivi descritti attraverso la pressione di un movimento di massa, la mobilitazione di vasti settori dell’opinione pubblica. Non si rende cioè conto di chiedere al capitalismo di essere quello che non potrà mai essere e che la soluzione di certi problemi potranno trovare uno sbocco solo nella negazione del capitalismo, nel superamento di questo modo di produzione antiumano e, oramai giunto nella fase della sua decadenza storica, anacronistico a tutti i suoi livelli.
La denuncia dei rischi e dei costi sociali inaccettabili dell'energia nucleare è sacrosanta. Ma il movimento ecologista - che in molte delle sue manifestazioni più recenti si coagula attorno all'idea di “decrescita felice” proposta da Serge Latouche - è nella sua essenza un movimento di opinione, moralista e interclassista. Non riconosce l'esistenza di classi sociali con interessi contrapposti e in particolare non individua il soggetto sociale che, spinto dalle sue condizioni materiali, sia potenzialmente capace di rivoluzionare davvero la società dalle sue fondamenta. La “decrescita felice” non mette in discussione le fondamentali relazioni sociali della struttura produttiva capitalistica, anzi in tempi di crisi può favorire l'accettazione di privazioni e sacrifici imposti soprattutto alle fasce proletarie. I marxisti individuano invece chiaramente come “soggetto rivoluzionario” - quello capace di bloccare il processo che dobbiamo correttamente chiamare di accumulazione, anziché di astorica “crescita” - la classe dei lavoratori salariati, esclusi dal controllo dei mezzi di produzione e della società nel suo complesso. Solo riconoscendo la natura classista dell'attuale società e il ruolo sovrastrutturale della politica, si capisce come la finta democrazia borghese non possa offrire alcuna soluzione duratura ai problemi ambientali.
L'unico programma concretamente ecologista è quello comunista, che impone l'eliminazione della proprietà privata, del mercato, del profitto e di ogni meccanismo di appropriazione e accumulazione di capitale. In questo modo, cosa, quanto e come produrre potrebbe essere finalmente deciso dagli stessi produttori, liberamente associati. Solo quando gli uomini cominceranno a produrre per soddisfare i propri bisogni, e non il profitto, si potrà porre concretamente la questione fondamentale del rispetto dell'ambiente. In questa ottica, i comunisti auspicano da subito il superamento dello spontaneismo del movimento, in favore dell'adozione del programma di edificazione di una società più evoluta e umana di quella attuale. Questo superamento passa innanzitutto attraverso un processo di inevitabile chiarificazione e organizzazione delle avanguardie rivoluzionarie.
Mic(1) Tra gli altri, si può citare Bill Gates, fondatore di Microsoft e a capo della omonima celebre fondazione “umanitaria”, che si è dichiarato pronto ad investire decine di milioni di dollari nella tecnologia dei reattori iperveloci TerraPower.
(2) Per fusione si intende un processo che parte da due nuclei leggeri (spesso isotopi dell'idrogeno) e porta alla generazione di un nucleo più pesante (p.es. elio), con perdita di massa e liberazione di enormi quantità di energia. Questo forma di energia, simile a quella che si sviluppa naturalmente nelle stelle, con temperature nell'ordine delle decine di milioni di gradi, è relativamente “pulita”, non generando direttamente radionuclidi, ossia nuclei instabili che emettono radiazioni. Tuttavia nel processo possono liberarsi neutroni che a loro volta possono, nel lungo termine, introdurre radioattività nelle strutture di una eventuale centrale. Allo stato attuale, si prevedono possibili applicazioni pratiche della fusione nucleare solo tra diversi decenni (v. ITER, DEMO). Il processo di fissione parte invece da un nucleo molto pesante (es. uranio o plutonio) per ottenere dei nuclei più leggeri. Anche in questo caso, nel processo c'è perdita di massa e liberazione di energia. Oltre all'energia, si generano in maniera difficilmente controllabile nuovi nuclei di elementi della natura più varia, inclusi vari radionuclidi che rimangono per anni o millenni a far parte delle scorie nucleari del processo.
(4) Infine, bisogna citare il cosiddetto “ciclo del torio”, che partirebbe dal torio 232, ampiamente disponibile, per la produzione di uranio 233 fissile. Ipoteticamente, il torio sarebbe sfruttabile in centrali che potrebbero essere disattivate con relativa facilità, non essendo basate su reazioni autosostenute, con una minore produzione di scorie radioattive, senza legami con l'industria militare. A riguardo di questa tecnologia, il premio nobel Carlo Rubbia, che pure ne è uno dei proponenti, osserva: “Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo.” (4) Insomma, in assoluto non si tratta di una soluzione sicura e pulita, anche se sulla carta pare meno critica di quella attuale e potrebbe consumare le scorie e il combustibile fissile già esistenti. Il fatto di operare a temperature più elevate, richiede particolare attenzione nella realizzazione dei sistemi di refrigerazione, evitando l'uso di sodio o altri elementi potenzialmente esplosivi. Al di là dei rischi e dei “problemi tecnici”, i maggiori costi e la difficile applicazione al settore militare rendono questa soluzione poco appetibile in chiave imperialista.
(8) fondazionesvilupposostenibile.org
(9) Il ministro dell'economia Tremonti, in un discorso passato in sordina, ha parlato esplicitamente di un “debito atomico” di alcuni Paesi, legato al decommissioning del nucleare.
(16) scenari.blog.rainews24.it
(17) L’Espresso ha pubblicato alcuni cablogrammi da Wikileaks, relativi al maggio 2009. In quel periodo, mentre il ministro per l’energia Steven Chu preparava il viaggio a Roma, la diplomazia Usa lo metteva in guardia sulle difficoltà a vendere tecnologia atomica in Italia.
Intense pressioni della Francia, ad esempio, forse comportanti pagamenti di tangenti a dirigenti del governo italiano, hanno aperto la strada all’accordo di febbraio tra le società elettriche parastatali ENEL e EdF per la formazione di un consorzio alla pari per la costruzione di impianti energetici nucleari in Italia e altrove.
A riguardo della contesa in Libia: ilfattoquotidiano.it
(19) In sostituzione delle fonti fossili più facili da reperire, si cominciano già a sfruttare altre fonti ad uso intensivo di capitale ed energia, come gli scisti bituminosi e lo shale gas. Infatti, oltre a imporre un gravissimo costo ambientale, prima di tutto in termini di consumo ed inquinamento delle acque (18), queste fonti richiedono paradossalmente un alto dispendio di energia. Se i prezzi e i costi sono fortemente distorti da interventi di carattere politico in senso lato, è possibile evidenziare la scarsa convenienza di ricorrere a tali fonti ragionando in termini di EROEI, ossia di energia ottenuta in rapporto all'energia impiegata nel processo di estrazione e raffinazione, fino alla produzione del combustibile finale.
Il discorso è più articolato per quanto riguarda gli “agri-carburanti”. Si sostiene che i carburanti prodotti dalle piante possano ridurre la quantità di anidride carbonica emessa da auto e camion. Le piante infatti, mentre crescono, assorbono carbonio, che viene poi rilasciato quando il carburante viene bruciato. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Le coltivazioni destinate ai carburanti sono legate a processi di deforestazione, pesante inquinamento da pesticidi e concimi, consumo d'acqua, sottrazione di risorse destinate ai bisogni alimentari ed emissioni consistenti di gas serra. Infine, secondo alcuni, come il presidente dell’ASPO, il bio-etanolo non sarebbe nemmeno energeticamente conveniente: “Conta poco sapere se la resa è 1.08 oppure 1.27. Non funziona comunque.” In molti casi la sua produzione richiederebbe una quantità di energia addirittura maggiore di quella capace di erogare nella combustione, ma anche secondo i bilanci energetici più ottimistici, la poca energia guadagnata non giustificherebbe assolutamente gli altissimi costi sociali, economici e ambientali.
(22) Oltre a sfruttare geiser e fenomeni di affioramento naturale di vapori, è possibile in ogni regione iniettare acqua a diversi km di profondità per ottenere vapore ad alta pressione, per la generazione di elettricità; ma bastano tubature alla profondità di pochi metri per sfruttare il sottosuolo come serbatoio termico, dal quale estrarre calore durante la stagione invernale ed al quale cederne durante la stagione estiva.
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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Comments
I wish I could read Italian. When young I always wanted to speak it, but was lazy. But now I want to read it.