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Home ›Ripresa o rimbalzo? Dello sfruttamento e delle morti per il profitto, di sicuro
L'Italia sta vivendo una vera fase di boom economico_ [e nel 2021] _è possibile un assestamento della crescita verso il 6% (1).
Questo è il grido di trionfo uscito dal petto di Brunetta, ministro della PA e già cacciatore di fannulloni annidati nella macchina amministrativa. Ma l'ineffabile ministro non è il solo a intravvedere o, meglio, a vedere per certo un “ritorno al futuro” degli anni 1950-60: accademici plurititolati, gazzettieri e, appunto, politici di varia collocazione, per lo più, va da sé, appartenenti all'area di governo cantano la stessa canzone.
Per trovare tanto entusiasmo bisogna tornare indietro di due anni e mezzo, all'epoca dell'insediamento del “Conte 1”, quella coalizione governativa definita da Gino Strada, con scarso rispetto del politically correct, un aggregato composto da “metà fascisti e metà coglioni”. Anche allora l'inedito “bicolore” si lasciò andare a previsioni strabilianti, secondo le quali si sarebbe aperta una stagione di crescita economica che, grazie alla sapiente guida dell'esecutivo, avrebbe abolito la povertà, espanso i consumi e, dopo la soppressione dell'odiatissima “Fornero” (2), regalato felicità a settori sempre più larghi di italiani. Però, chiunque non fosse stato intossicato dal becero qualunquismo legaiol-stellato sapeva bene che si trattava di pura e semplice fuffa per acchiappare voti. Com'è noto, la “strana coppia” governativa si separò dopo poco tempo per iniziativa di Salvini, il quale scoprì a sue spese che non era quel furbastro che credeva (e crede) di essere, visto che finì all'opposizione invece di vestire i panni di primo ministro.
In ogni caso, anche senza la pandemia che sarebbe arrivata poco dopo, i numeri dell'economia italiana dicevano ben altro, confortati, se così si può dire, dai numeri dell'economia internazionale o, detto altrimenti, dallo stato del processo di accumulazione su scala mondiale. Lo abbiamo detto da subito: la mazzata del Covid 19 si è abbattuta su di un'economia che era già ampiamente in affanno, esaltandone le difficoltà, quindi non stupisce che nel 2020 il Pil dell'economia italiana abbia subito un tracollo dell'8,9%, il calo di gran lunga peggiore dal 1945 e uno dei peggiori registrati tra i paesi dell'Unione Europea. Tra l'altro, le ferite della crisi del 2007-8 non si erano ancora del tutto rimarginate e avevano aggravato il peso del debito pubblico, in crescita da molto tempo, che oggi, dopo le misure messe in campo dai governi Conte 2 e Draghi, si colloca attorno al 160% del Pil, mentre il deficit è sopra l'11%. E' vero che le stelle polari della politica economica europea fino a febbraio 2020 sono state messe “in pausa”, ma è anche vero che la borghesia non è disposta a tollerare all'infinito uno sforamento così marcato di alcuni dei criteri fondatavi della stessa Unione e prima o poi i governi dovranno riportare le economie nazionali verso il rispetto di quei parametri. Cosa non facile né immediata, ma la stagione del rigonfiamento ininterrotto del deficit e del debito pubblico dovrà finire e, se anche non si dovesse tornare alla rigida austerità di bilancio praticata fino a ieri (3), certo ci sarà una correzione di rotta.
Ma per invertire o almeno rallentare la tendenza all'aumento, occorre una ripresa vera dell'economia ossia una crescita che non sia dovuta solo a un “effetto-rimbalzo” dopo la caduta verticale degli indici economici dovuta la Covid. Perché è questo il quadro a cui siamo di fronte, visto che le debolezze dell'economia italiana hanno radici profonde e non bastano le iniezioni generose di denaro alle aziende né le temporanee integrazioni al reddito di milioni di lavoratori-proletari (al fine di mantenere la pace sociale e sostenere i consumi) per rinvigorire in maniera decisiva il processo economico. La debolezza di fondo, che peraltro accomuna con diversa intensità il sistema capitalista nel suo complesso, si chiama produttività. Ma produttività, per il capitale, non significa tanto produrre più cose in minor tempo, quanto più cose, ossia merci, che abbiano un contenuto più alto di lavoro non pagato, di plusvalore, che vada a formare un saggio del profitto tale da giustificare nuovi investimenti.
Siamo dunque al nocciolo della questione, che la cosiddetta intellighenzia borghese (4) quasi sempre non riesce a capire, anche se, di quando in quando, arriva a descriverlo nelle sue manifestazioni esteriori. Pur misurata col metro borghese, la produttività del “sistema- Italia” da anni brilla ancor meno che in altre economie e anzi, per alcuni economisti soprattutto di area riformista, addirittura segnerebbe un arretramento rispetto alla fine del secolo scorso. I soldi del Next Generation EU – prestiti, in parte rilevante – amministrati dal PNRR potranno dare una bella boccata d'ossigeno alle imprese, ma, stando così le cose, parlare di un nuovo boom alle porte, cioè di una nuova fase storica ascendente del processo di accumulazione, è decisamente fuori posto. Sia i sostenitori riformisti dell'intervento diretto dello stato (tipo IRI, per sintetizzare), che quelli “liberisti”, ossia di una sua presenza più “discreta” ma non meno importante (finanziamenti, tagli fiscali ai profitti ecc.), continuano a presentare le loro ricette senza cavare il ragno dell'economia dal buco dei bassi saggi di profitto in cui è finito da una cinquantina d'anni.
Brunetta e i giubilanti come lui, oltre a scambiare un rimbalzo – significativo, ma in qualche modo scontato – con un trasferimento in pianta stabile ai piani superiori, non tengono conto anche di alcuni fattori “contingenti” che potrebbero togliere slancio al rimbalzo stesso. Il primo, va da sé, è l'andamento della pandemia legata alla contagiosissima variante Delta o ad altre varianti almeno altrettanto micidiali. I vaccini stanno dimostrando la loro efficacia nel contrastare il contagio, ma il numero delle vaccinazioni è ancora insufficiente per arrivare a una soglia di relativa “convivenza” con il virus, non solo nei paesi detti avanzati. Bisogna infatti tenere conto che miliardi di persone delle aree dette “in via di sviluppo” – cioè proletari e diseredati – non hanno ricevuto neppure una dose di vaccino (il 75% della popolazione mondiale), ma il virus, banale dirlo, non rispetta le frontiere, dunque la sua circolazione e le sue variazioni in forme più letali sono una spada di Damocle appesa sulla testa del presunto boom. Che dire poi del rialzo del prezzo di materie prime strategiche (come il litio), delle difficoltà nella produzione dei microchips che costringono certi colossi automobilistici a tagliare la produzione del 40%? O della movimentazione delle merci via mare, posta di fronte a problemi seri, di cui il blocco del canale di Suez a marzo è stato un esempio macroscopico?
Anche la cosiddetta ripresa dell'occupazione, che indubbiamente c'è stata – se non altro per la riapertura di tante attività nel terziario – può far cantare vittoria solo agli apologeti del capitale (quali Brunetta e compagnia indubbiamente sono), perché chi dà il proprio lavoro in cambio di un salario ha poco da festeggiare. Tralasciando – si fa per dire – che i salari/stipendi hanno perso in un anno una quarantina di miliardi (senza contare quelli pagati in nero...) e sono scomparsi grosso modo un milione di occupati, il recupero avviene lentamente, tanto che l'OCSE prevede che si tornerà ai livelli pre-pandemia alla metà del 2022. In ogni modo, di “buona occupazione” non è proprio il caso di parlare, dal punto di vista proletario, ovviamente. E non può essere altrimenti, visto che l'attacco alle condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratrice, in corso da decenni, è praticamente l'unica controtendenza alla caduta del tasso di profitto che funzioni– o quella ad oggi più efficace –, se non per rilanciare strutturalmente l'accumulazione, per immettere un po' di ossigeno nei polmoni esausti del capitale, quel tanto che basta per non farli collassare.
Oltre all'abbassamento del monte-salari complessivo (5), un altro asso nella manica della borghesia è, si sa, la precarietà, il cappio con cui il capitale tiene per il collo strati sempre più estesi di proletariato (e di piccola borghesia). Dei circa seicentomila posti di lavoro recuperati a maggio, due terzi sono inquadrati con contratti in vario modo precari (6). Il dato conferma non solo l'andamento pluridecennale del mercato del lavoro, ma corrisponde a quanto è previsto da molti contratti di categoria firmati di recente da padronato e sindacati:
Questa tornata di rinnovi ha, tra le altre, cinque caratteristiche da sottolineare_ […] _e la flessibilità che ha portato ad alzare la percentuale di contratti a tempo determinato e in somministrazione (7).
Oltre a questo, c'è l'allungamento della durata del contratto, in alcuni casi cinque anni, a seconda delle esigenze dei vari comparti economici, cioè padronali, alle quali i sindacati si sono, come sempre, inchinati.
Infine, ma non certo da ultimo, c'è un altro aspetto che rivela la natura della ripresa (cosiddetta) e traccia prospettive letteralmente funeree: l'aumento netto delle morti o, per usare un altro termine, degli omicidi sul lavoro. Anni di depotenziamento dei pur deboli strumenti destinati ad arginare morti e infortuni (in primo luogo, il numero degli ispettori del lavoro), la smania di recuperare quanto più velocemente possibile le perdite nei profitti aziendali, hanno fatto fare un tristissimo “rimbalzo” al numero dei caduti (maschi e femmine) sul fronte dello sfruttamento, uccisi dal profitto: nei primi sei mesi dell'anno sono stati 658. Di queste morti, Brunetta e sodali non parlano e se lo fanno non sono credibili, coi loro ipocriti discorsi di circostanza, perché sanno bene, e lo accettano, che la fatica, le lacrime e il sangue sono pietre angolari del modo di produzione capitalista. Allora, l'unica soluzione concreta, è la sua demolizione.
CB(1) Citato in F. Tamburini, Il Sole 24 ore del 31 luglio 2021. Attualmente la crescita è al 4,8%.
(2) Che la sia, nessun dubbio, e non c'era bisogno che ce lo venisse a dire (strumentalmente) Salvini, il quale, nonostante la propaganda martellante e le bugie a raffica sparate sulla sua riforma (Quota 100), in realtà non ha abolito la legge Fornero, che anzi è il punto di riferimento della sua presunta riforma pensionistica. Questa, in realtà, si è concretizzata in un altro taglio delle pensioni, tant'è vero che molti lavoratori, pur in possesso dei requisiti per accedere a “Quota 100”, hanno continuato a lavorare, perché il taglio della pensione anticipata è troppo oneroso.
(3) Anche l'OCSE raccomanda di non interrompere bruscamente i sostegni all'economia, come Draghi, tempo fa, aveva detto che oggi è il tempo di dare, non di prendere.
(4) Passateci il termine esagerato, per molto suoi esponenti, soprattutto politicanti.
(5) Anche questa è una tendenza in atto da molti anni che la pandemia ha drammaticamente aggravato.
(6) Repubblica on-line, 26 agosto 2021.
(7) Citato in C. Casadei, Aumenti, smart working e flessibilità: cosa dicono i nuovi contratti dell'industria, Il Sole 24 ore, 19 agosto 2021.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #09-10
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