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Home ›Fra un prestito e un debito, prepariamoci al peggio
Con l’emissione di titoli di debito (bond) europei a corta/media scadenza, i gestori del capitalismo europeo raccolgono denaro per creare fondi straordinari (si parla di un centinaio di miliardi di euro) e sostenere gli ammortizzatori sociali per i paesi in crisi Covid. Tutti gli Stati UE hanno versato una quota di garanzia: 25 mld in totale (3 mld dall’Italia per riceverne 27,8 di cui 16,5 già incassati). Sia chiaro: si tratta di denaro da restituire per riprendersi i 3 mld versati per accedere ai fondi.
Bisogna distinguere le sovvenzioni definite “a fondo perduto” dalle erogazioni a prestito e quindi da restituire. Dei 209 mld previsi per l’talia, 81,4 mld sono sussidi e 127,4 prestiti. Da impiegarsi – e qui se ne vedranno delle belle! – in digitalizzazioni, innovazioni competitive, istruzione, infrastrutture migliorie sanitarie e ospedaliere. Infine – dulcis in fundo – con attenzione alla coesione sociale! Sempre, s’intende, col rispetto della divisione in classi della società…
La BCE, dunque, non stampa denaro; lo prende in prestito dai mercati finanziari ed emette titoli di debito (Bond comunitari). Il tutto sarà restituito alla scadenza dei bond emessi; anche i mld del Recovery Fund andranno restituiti: almeno 6,5 mld di euro l'anno per 20 anni, al netto di interessi. Prestiti vantati come credito privilegiato. In totale, saranno 390 i mld che la UE dovrà restituire – in 30 anni – al mercato: 13 miliardi l'anno più interessi. Aumentano i contributi richiesti agli Stati, dopo le maggiori quote di IVA e balzelli doganali vari, che per l’Italia significano un’altra “uscita” di 10 mld per i prossimi 7 anni. In totale, lo Stato italico avrà – tra versamenti ed entrate Ue – un saldo negativo di 35 mld in 7 anni. Va poi segnalato lo sconto straordinario concesso ad alcuni paesi “recalcitranti” (fra cui la Germania) e ammontante a 26 mld in 7 anni.
Tutti i debiti contratti col Recovery Fund (127,4 mld di euro in prestiti) andranno, dunque, restituiti senza sconti. Nel bilancio statale italiano questi prestiti “di favore” scaveranno voragini, con la crisi economica che sta intaccando le fondamenta stesse del capitalismo e della sua globalizzazione. Si prepara un drammatico peggioramento delle condizioni di vita delle masse di proletari: se in tutto il mondo non scenderanno sul terreno di una aperta lotta di classe, strappandone la direzione alla classe dominante e affidandone la guida politica al partito rivoluzionario, tutto da costruire, sarà impossibile arrivare fino ad una trasformazione radicale del presente stato di cose. Mettendo fine ad un modo di produzione e distribuzione storicamente tramontato. Oltre che essere pericoloso per i rovinosi effetti che diffonde, aggravando un’altra crisi, quella ecologica, i cui sintomi si stanno evidenziando sul pianeta.
L’agonia virale del capitalismo
Le stesse invasioni di virus (aviaria, Sars, Mers ed oggi Corona) mostrano un pericolo – i salti di specie – addebitando molta responsabilità a fattori ambientali quali le monoculture agricole, gli allevamenti intensivi di massa, le deforestazioni, il riscaldamento climatico, la mobilità della popolazione mondiale e delle merci. Un’altra specie di virus, quelli informatici, segue la fittizia “economia finanziaria” che, con l’accelerazione degli scambi borsistici e il forzoso gonfiamento di bolle speculative, minacca una esplosione catastrofica da un giorno all’altro. All’origine di questo tragico accavallarsi di azioni e reazioni contrastanti, l’economia cosiddetta reale si sta sfaldando in una lenta ma approfondita agonia che coinvolge le tante marionette politiche che occupano i palcoscenici della destra e sinistra borghese; bande spesso malavitose di parassiti di ogni specie e colore con alla testa campioni pericolosamente paranoici e psicopatici.
Si succedono e si ampliano le interruzioni di quella circolazione che è per il capitale la condizione per realizzre la sua valorizzazione. “Un movimento senza misura”, dirà Marx, col plusvalore che (denaro investito come capitale) si annullerebbe senza quella riproduzione allargata che di nuovo lo valorizzerà. Attenzione, però: occorrerebbero quote di profitto sempre maggiori, e qui esplode la contraddizione tra gli aumenti della produttività di merci e – a causa loro – le cadute di quel valore di scambio che per il capitale è questione di vita o morte. Questo valore si forma attraverso la produzione di merci, ma diminuisce con gli aumenti di produttività dovuti alla introduzione di nuove macchine e tecnologie che riducono il vivo lavoro. Se non c’è “convenienza” per gli investimenti, ciò che aumenta è soltanto una massa di capitale fittizio mentre si aprono scenari spaventosi sul crescere di una massa di debiti (privati e pubblici) con somme spropositate per chi adora il capitale, un dio senza la minima compassione e misericordia per chi è “insolvente”, pur entrando a far parte della sua “fraterna comunità”.
L’obiettivo che assilla le rissose compagini dei tanti servi del capitale, affollanti i salotti ideologico-propagandistici della borghesia internazionale, sarebbe quello – nonostante tutto – di un rilancio economico, produttivo e finanziario, che possa pagare i debiti. E sia tale da far risorgere una società, come l’attuale, che sta disgregandosi giorno dopo giorno. Qualcuno poi, non sapendo più a cosa aggrapparsi, rinnova il tema delle politiche monetarie: specialmente in Europa circolano menti che si ritengono geniali avanzando una… critica alle attuali politiche monetarie e, modificando questa o quella regola, offrono sul mercatino politico astratte proposte che, oltre a salvare le rispettive patrie in difficoltà, assicurerebbero la ripresa economica globale. Denaro per tutti come prima cosa, senza però – fra le tante promesse da Paese dei Balocchi – chiarire che le “spese” – obtorto collo e siano esse pubbliche o private – vanno poi risarcite… E nel ginepraio delle spese (pubbliche) non va dimenticato che esse sono pur sempre dipendenti da altrettanti “ricavi” nel perverso gioco delle “entrate-uscite”, sapendo bene chi sarà poi a pagare non solo alla fine ma anche durante la partita!
Dunque, un altro aumento (consistente) della “spesa pubblica” accodandosi ai bisogni di un capitale che non sa più cosa fare, se non infierire sulle masse proletarie del mondo intero, anche quando allo Stato fa indossare la maschera “sociale”!
Senza lo sfruttamento del lavoro che produce merci, non si “crea” valore
Privata o pubblica, la moneta ha un valore derivante da ciò che viene prodotto nel capitalismo, tutto in forma di merci e sfruttando il lavoro di una classe sociale imprigionata nell’ordine borghese. Chi possiede denaro, compera e consuma tutto ciò che vuole, anche se inutile o dannoso, compresi i mezzi di produzione. Ecco ciò che la borghesia intende per “economia”, costringendo i proletari a subire lo sfruttamento della propria forza-lavoro. E’ questa la vita sociale con la quale gli uomini, se divisi in classi, si rapportano fra di loro: una maggioranza che lavora – e sopravvive solo se può lavorare con un salario – e una minoranza che conserva e giustifica un modo di produrre e distribuire storicamente finito, ma che ancora mantiene i suoi interessi e privilegi, dagli altri pagati con sudore e sangue per inseguire la valorizzaziobe del capitale.
Il capitale esige per questo una circolazione ininterrotta, col passaggio da un ciclo all’altro. La produzione, nel capitalismo, deve fornire quanto più plusvalore sia possibile; una parte di questo deve diventare capitale: prima nella forma denaro (vendendo le merci prodotte) e poi investendolo come capitale. Una riproduzione allargata che consenta al capitale di realizzare il suo movimento di costante valorizzazione. Ma per concretizzare il motivo della propria esistenza, il capitale deve estorcere quote sempre maggiori – e non minori – di profitto. Questi rapporti sociali devono essere perciò spezzati affinchè l’umanità si liberi per sempre da un modo di produzione e distribuzione che consente ai prodotti del lavoro – trasformati in merci – di avere dei prezzi di vendita coi quali realizzare un profitto per il capitale. Con questi rapporti di produzione, con questa circolazione di prodotti e mezzi di produzione, il capitalismo continuerebbe a sopravvivere cercando di ridurre sempre più i “costi” del lavoro. Quanto agli umani bisogni sociali, nulla contano a fronte della salvaguardia delle categorie economiche capitalistiche e – soprattutto – della valorizzazione e accumulazione del capitale. Un capitale che diventerebbe addirittura “socialista” – come cantano le sirene cinesi – qualora le sue… dinamiche si volgessero a favore di un “vantaggio comune, regolando il commercio mondiale in modo virtuoso ed armonico”!
Ormai anche l’ultimo dei servi sciocchi del capitale si sta rendendo conto che non c’è una briciola di ricchezza reale dietro i crescenti cumuli di moneta fittizia: altro che “merci per tutti” e “investimenti pubblici di largo respiro”! Tutto finto, a cominciare da una sovranità che insegue valori (di merci) che non esistono più: come sfruttare un lavoro vivo che in quasi tutti i processi produttivi è tendenzialmente sostituito da macchine automatizzate? Come fermare la caduta dei saggi di profitto?
Pochi si aggrappano alla creazione di “relazioni virtuose tra domanda e lavoro salariato”, magari facendo gestire le aziende dai lavoratori… più che mai illudendoli di essere cittadini liberi ed eguali e partecipi al gioco delle “entrate-uscite”, sapendo bene chi sarà poi a pagare non solo alla fine ma anche durante la partita! L’importante è far muovere i capitali e mantenere “rapporti mercantili” vantaggiosi, scambio poco per il pubblico e molto per il privato. Ecco l’equilibrio che il capitalismo insegue da secoli, masherandosi persin di “socialismo”, come fu in Russia con lo stalinismo ed oggi in Cina con quel misterioso “oggetto” definito capital-socialismo. Ma l’agonia di questo sempre più assurdo modo di produrre e distribuire, prosedue e si approfondisce. Occorre distruggerlo, e al più presto.
Abbattere il valore di scambio
Il capitale deve generare (è per esso questione di vita o morte) valore (di scambio), e il denaro serve a misurare tale valore per acquistare le merci. Come sistema monetario, “denaro come denaro” cioè semplice mezzo di pagamento, girerebbe a vuoto: ha quindi bisogno – per lui è questione di vita o morte – dello sfruttamento del lavoro in uno specifico modo di produzione. Questo è l’ABC per una vera critica della economia politica. Marx nei suoi Grundrisse si chiedeva:
É possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione ad essi corrispondenti mediante una trasformazione dello strumento di circolazione (il denaro)?
La risposta è negativa, altrimenti si dovrebbe presupporre un completo travisamento della realtà del capitalismo. Significherebbe ignorare quali sono i rapporti di produzione presenti in questa società dove il capitale obbliga lo sfruttamento del lavoro umano per far sì che il denaro produca denaro. E questo lo può fare soltanto attraverso una attività produttiva di merci, concreti valori di mercato, basata sul vincolo dei rapporti sociali di sfruttamento del vivo lavoro salariato. Altrimenti il denaro non ha alcun valore, è una illusione cartacea.
Ciliegina sulla torta – a completamento di una ipotetica “rivolta democratica” sottovoce proposta – c’è poi la ricetta di una “politica fiscale espansiva” col bel fine di “rilanciare l’occupazione e i salari”. Dunque, lunga vita e prosperità all’attuale società (in pieno accordo con i gestori del capitale) liberandola dalla “politica monetaria usata come una camicia di forza”… Ultima spiaggia: politiche fiscali espansive a sostegno, con un pizzico di ipocrisia, della collettività. A condizione – sempre – che poi si producano più merci e, soprattutto, si trovino acquirenti paganti con denaro contante. Affinché il capitale possa intascare il “giusto” profitto, e si “produca” quel plusvalore che in piccola parte puntelli un Welfare ormai a pezzi, che invano insegue una produzione di merci esigente valori di scambio e non di uso, come invece sarebbe necessario.
Ci si sta incamminando verso una barbarie senza fine, che apre fumerie d’oppio per… “restituire dignità ai lavoratori” attraverso “una crescita inclusiva e favorevole alle classi subalterne”! E fino a quando il “castello” non si sbriciola, si parla di “spesa sociale” tagliando – se non oggi, domani! – tutto ciò che abbia una minima funzione… sociale.
Ma più la corda viene tirata, e più da un momento all’altro può spezzarsi: per questo dobbiamo tenerci sempre pronti e far crescere l’iindispensabile strumento politico della lotta di classe, il partito dell’anticapitalismo per l’alternativa sociale del comunismo. Quella alternativa che sarà la fine del lavoro pagato (col salario, cioè sfruttato) e non certo della presentazione di un nuovo contratto salariale dietro il quale continuerebbe il rapporto lavoro-denaro. Nella nuova società (che nulla ha a che vedere con le “fantasticherie conservatrici” – se non addirittura reazionarie – di un certo “anticapitalismo” oggi di moda…) non esisterà più un valore dipendente dal lavoro sociale necessario a produrre prodotti d’uso (tanto più quando questo lavoro sarà ridotto quasi a zero!). Si produrranno valori d’uso e non più valori di scambio; il lavoro non sarà comperato con denaro e “la forma distintiva della economia monetaria” (Marx) non esisterà più. Con la fine dello scambio tra equivalenti sarà sepolta per sempre la legge del valore-lavoro e ogni dottrina del plusvalore. Gli uomini non sarranno più obbligati a “guadagnare denaro” e poi spenderlo per comprare i prodotti che dagli stabilimenti automatizzati vengono portati al mercato. Ad una condizione, alla quale va il nostro costante impegno: l’organizzazione politica delle avanguardie della classe operaia attorno al loro partito rivoluzionario.
Battaglia Comunista #07-08
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