Attentati a due petroliere nel Golfo dell'Oman

Nella mattina del 13 giugno due petroliere sono state oggetto di attentati, una è la norvegese Front Altair di proprietà della società Frontline, battente bandiera delle isole Marshall, che trasportava un carico di etanolo dal Qatar a Taiwan; la seconda la Kokuka Courageous di una società giapponese, la Kokuka Sangyo, battente bandiera Panamense che, a sua volta, trasportava metanolo da Singapore all'Arabia Saudita.

Immediatamente una dichiarazione del ministro della difesa americana Pompeo ha incolpato l'Iran di essere il responsabile degli attacchi, definendo la Repubblica degli Ayatollah un paese terrorista a cui verrà data l'adeguata risposta. Contemporaneamente, il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif ha risposto che le accuse americane altro non sono che una menzogna messa in circolazione per aggravare l'isolamento internazionale e per continuare la politica dei dazi nei confronti dell'Iran.

Tutto come da programma, due imperialismi che si accusano a vicenda senza che ci siano prove certe né da una parte né dall'altra. Noi non entreremo nella giungla delle ipotesi e cerchiamo di stare ai fatti e alla logica che li esprime.

Va innanzitutto rilevato che quel tratto di mare è tra i più controllati al mondo e che i controllori sono gli Stati Uniti. Da anni hanno una base navale della V flotta in Bahrein. Non a caso, poco dopo gli attentati alle due petroliere, una nave americana, con il supporto di un caccia, era già sul posto filmando la presenza di una imbarcazione non ben identificata, che secondo la versione di Pompeo stava disinnescando dalla fiancata della petroliera Kokuka Courageous una mina inesplosa. Tutto è possibile ma credere che un attacco terroristico iraniano arrivi a tanto, in acque così controllate e con rimozione compresa della bomba inesplosa, è davvero difficile.

Chi avrebbe interesse a che un simile episodio venisse attribuito al regime degli Ayatollah? Sicuramente a molti, ma a tre paesi in particolare. In zona, ovvero nell'area che va dallo stretto di Hormuz al Golfo Persico, l'attrito più forte è certamente quello tra l'Arabia saudita e l'Iran. Riad sia nella guerra in Siria che in altre occasioni è intervenuta sì contro il regime di Assad, ma soprattutto contro le truppe iraniane che ne erano a sostegno, anche se l'interesse maggiore dei sauditi era quello di arginare l'avanzata dell'Iran sia nel Golfo persico che nel Mediterraneo (Siria). In più, nei piani di Riad, la lotta contro lo sciismo è da sempre la bandiera impugnata per dimostrare a tutta l'area la superiorità del sunnismo, ovvero dei Sauditi stessi nei confronti dei paesi cugini, ma di secondo grado, per ribadire il suo ruolo egemone all'interno dell'OPEC e delle strategie non soltanto petrolifere. Dunque più Teheran rimane isolata e sotto embargo, con più difficoltà può intaccare i rapporti di egemonia petrolifera nel Golfo dell'Arabia saudita che, nonostante una crisi che si trascina da anni, rimane uno dei paesi a rendita petrolifere più forte.

Un altro paese che ha tutto l'interesse a usufruire delle accuse americane all'Iran è Israele. Lo stato israeliano sta vivendo una nuova, l'ennesima, luna di miele con gli Usa, dopo che in passato i rapporti tra i due stati non hanno vissuto sempre di giorni felici. Trump ha di fatto cancellato la vecchia ipotesi (per altro irrealizzabile per l'opposizione strenua di Israele) dei due popoli-due stati che, a parole, aveva retto sino alla precedente amministrazione. Sempre Trump ha sancito che Gerusalemme sarebbe stata la capitale unica dello stato d'Israele e che le alture del Golan, conquistate nella guerra dei Sei Giorni del 1967, appartengono definitivamente a Tel Aviv per diritto di “usocapione”. In più anche Israele è intervenuta nella guerra di Siria, non badando minimamente ad Assad, ma concentrando i suoi innumerevoli raid contro le truppe di Teheran per indebolire il fronte sciita che dall'Iran, passando per l'Iraq, arriva alla Siria e al Libano, dove alloggiano i peggiori nemici del sionismo, ovvero gli Ezbollah, sempre attestati, almeno in teoria, sulla distruzione dello stato di Israele quale condizione per la nascita dello stato palestinese. E per molti osservatori non è escluso che l'attentato possa essere opera delle forze speciali israeliane sotto l'attenta supervisione degli Usa. A proposito di quest'ultimi, essi sono i maggiori interessati ad addossare agli iraniani la responsabilità degli attentati perché i frutti e i vantaggi che riempiono il paniere delle sanzioni all'Iran sono enormi e irrinunciabili in questa fase di recrudescenza della crisi internazionale e dell'aumento delle fibrillazioni imperialistiche. Washington sta intensificando la lotta contro Teheran per una lunga serie di motivi. Per iniziare, a partire dall'elenco non va dimenticata la “necessità” di lavare l'onta del 1979 (rivoluzione khomeynista), a causa della quale l'imperialismo americano è dovuto precipitosamente fuggire dall'Iran, perdendoci la faccia e con essa un sicuro approvvigionamento energetico in una fase storica in cui l'economia americana importava il 40% del suo fabbisogno, 30% proprio dall'Iran. In secondo luogo l'Iran fa parte di quella alleanza gas-petrolifera e militare con Russia e Cina che, a tutti gli effetti, rappresenta il fronte bellico opposto sia per le vertenze attuali che per quelle future, più intense e certamente più gravi. In aggiunta, l'aggressività dell'imperialismo americano contro quello iraniano, come già riferito, si manifesta strumentalmente a favore di Israele come mezzo di provocazione in cambio di una serie di concessioni che al mini imperialismo israeliano fanno estremamente comodo ai fini della sua integrità territoriale e delle sue mire strategiche in Libano, Cisgiordania e Golan. In ultima istanza, per gli Usa che, nonostante una serie di rovesci economici e finanziari sono, pare, diventati energeticamente autosufficienti, l'alleanza con l'Arabia saudita, pur rimanendo in vita, è meno solida del solito e in termini concorrenziali a 360°.

In conclusione, gli attentati nel Golfo dell'Oman sono l'ennesimo atto di una guerra che sta montando con progressione geometrica. Gli Usa vogliono a tutti i costi controllare le vie commerciali del gas e del petrolio verso oriente, cioè verso i maggiori consumatori di materie prime energetiche, come la Cina, l'India e il Giappone. Buona, quindi, l'occasione di eliminare un concorrente del Golfo minacciando anche un intervento militare. Una partita che va al di là dell'episodio, comunque sia andato, e che stimolerà la risposte degli imperialismi contrapposti che, come già detto, sono la Russia, la Cina e l'Iran, giusto per rimanere nel perimetro descritto. Tempi duri che la crisi sta trasformando in tempi tragici. Che ci piaccia o no la guerra è alle porte. Solo una rivoluzione proletaria internazionale la può fermare, ma perché ciò avvenga occorre la presenza di un partito rivoluzionario internazionale come internazionali sono gli interessi capitalistici e le loro manifestazioni imperialistiche come le guerre. Perché queste non rimangano parole vuote o slogan ripetitivi, occorre impegnarsi, lavorare alla costruzione dell'alternativa a questo tragico stato delle cose, altrimenti subiremo l'ennesima barbarie della belva capitalista che pur di non morire è disposta alla distruzione totale.

FD
Sabato, June 15, 2019