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Home ›Siria - L'attacco americano è arrivato puntuale con il solito appoggio di Francia ed Inghilterra
Alcune premesse
- L'attacco missilistico è partito alle ore 3 del giorno 14 aprile 2018. Le minacce di Trump sembrano aver preso corpo. La “bestia” Assad è stato punito. I suoi armamenti di armi chimiche con cui avrebbe ucciso la popolazione di Duma sarebbero stati smantellati. Operazione compiuta, puntuale, precisa, senza praticamente vittime civili, così recitano i resoconti del Pentagono.
- L'attacco è partito senza la copertura dell'ONU, della NATO né di qualsiasi altro organismo di diritto internazionale. Soprattutto è partito prima che in Siria, a Duma, arrivassero gli esperti internazionali per verificare se in quella zona si siano usate armi chimiche e, cosa più importante, da parte di chi. La questione è assolutamente controversa. Si passa dalla versione russa, per la quale non ci sarebbe stato nessun uso di armi chimiche e che il tutto sarebbe una messa in scena americana per giustificare gli attacchi,a quella di altri osservatori per i quali, pur ammettendo la possibilità che le armi chimiche siano state usate, la responsabilità non sarebbe del regime di Bashar el Assad ma di qualsiasi altro attore agente sul tragico palcoscenico della guerra siriana. Sta di fatto che i missili americani sono arrivati prima dell'arrivo dei tecnici internazionali, chiudendo ogni possibilità di risolvere per via “normale” la questione.
- La velocità di reazione di Trump è sospetta tanto quella usata dal presidente Bush nell'attacco all'Iraq nel 2003. Anche in quel caso l'accusa era che Saddam Hussein avesse ancora, e non distrutto, un intero arsenale di armi chimiche per cui si sarebbe resa necessaria l'opzione militare, quando Hans Blix e Mohammed el Baradei, i due esperti ONU mandati a verificare la presenza o meno di queste armi, erano ancora sul territorio iracheno, a rischio di rimanere sotto i bombardamenti americani, e stavano stilando referti che contraddicevano i sospetti della Casa Bianca.
- Da che pulpito viene la predica con tanto di punizione militare. Non interessa difendere un dittatore quale è Assad, né ci interessa disquisire se abbia usato o meno armi chimiche e/o di distruzione di massa. La sua indole di dittatore e la sua feroce determinazione di rimanere al potere avrebbero potuto indurlo ad un atto criminale del genere, ma non la sua esposizione internazionale. Sarebbe stato poi molto facile metterlo alla gogna mediatica come carnefice; essere dittatori non significa essere politicamente imbecilli e il suo più tenace alleato, la Russia, in questa fase, non lo avrebbe certamente consigliato in tal senso. Mentre gli accusatori sono stati, nella recente storia del secondo dopoguerra, i maggiori produttori di armi di distruzione di massa di cui hanno fatto ampio uso, dal napalm nella guerra del Vietnam, al fosforo bianco a Falluja nell'Iraq di Saddam Hussein.
- L'attacco preannunciato a tutto il mondo era stato prima di tutto reso noto alla Russia, con l'esplicita dichiarazione che nessuna installazione militare, civile e tecnico-strategica di Mosca sarebbe stata toccata. Una sorta di missione a cielo aperto, autodeterminata sì ma senza inscenare rischiosi contraccolpi con l'avversario di sempre. Un forte avvertimento ad Assad, alla Russia e ai loro alleati, Iran compreso, che suona pressappoco in questi termini: “Qui ci siamo anche noi. Pensavate di aver vinto la 'campagna' di Siria, ma non è così, i conti con l'imperialismo americano prima o poi si fanno”.
- Finito il finto spauracchio della presenza dello Stato Islamico in Iraq e Siria, la scusa per continuare la guerra si arrampica sulle vaghe ipotesi di uso di armi chimiche da parte di Assad. L'attacco americano, preannunciato con tanto clamore ma fatto in punta di piedi, senza disturbare troppo il proprio contendente è una sorta di fragoroso avvertimento e nulla più. Una guerra non guerra, una minaccia con preavviso per disturbare sì ma non troppo, procedendo sui binari tracciati dalle conferenze di Soci e di Astana?
Conclusione unica
Già avevamo detto che i trattati di Soci erano saltati e con loro erano saltate le ipotesi di spartizione delle zone di influenza in Siria da parte di Usa e Russia e dei loro alleati. Dopo Soci, a peggiorare la situazione, l'alleanza tra Russia, Iran e Turchia aveva messo in allarme Trump. Non a caso l'8 gennaio di quest'anno gli Usa avevano rotto il ghiaccio dei fragili accordi bombardando depositi militari di Assad alle porte di Damasco. Pochi giorni dopo, un raid aereo israeliano, con l'ovvio placet di Washington, aveva fatto lo stesso, mentre truppe turche varcavano la frontiera siriana per tentare di entrare in possesso di quelle zone curdo-siriane che né gli accordi falliti di Soci né quelli traballanti di Astana concedevano alla Turchia. La Turchia ha dimostrato nella guerra siriana, sia quando si combatteva contro l'Isis che dopo, di oscillare tra un fronte e l'altro con una facilità estrema, frutto certamente di una politica estera che Erdogan ha valutato giorno per giorno. Ma anche conseguenza di scelte che l'imperialismo di Ankara ha dovuto fare a seconda dell'evolversi dei rapporti di forza tra i grandi imperialismi sul campo siriano.
Per cui è guerra vera così come era cominciata nel 2011. Tutti gli interpreti sono militarmente presenti sul luogo e continuano a tessere i loro obiettivi imperialistici. La Russia non molla nemmeno per un attimo Assad, perché non vuole rinunciare alla propria agibilità nel Mediterraneo. Non può pensare di perdere i porti commerciali e militari di Latakia e Tartus. Non può consentire agli Usa di avere a propria disposizione anche il mare Mediterraneo. Gli Usa nella guerra di Siria sono presenti per le ragioni opposte a quelle russe. Vorrebbero chiudere la flotta militare di Mosca nel mare del Nord, non consentirle approdi nel Mediterraneo, né tanto meno permettere alla Russia di giocare un ruolo nel nord Africa, in Egitto, in Libia e di continuare una alleanza, anche se, forse, solo temporanea e strumentale con un paese Nato come la Turchia. In più Trump, in cancellazione della politica di Obama e preoccupato delle ripercussioni imperialistiche sullo scacchiere caspico, vuole impedire la concatenazione degli anelli sciiti a partire dall'Iran e dall'Iraq per arrivare sino nel Libano degli Hezbollah, passando attraverso una sconfitta in Siria.
L'attacco americano -- armi chimiche sì, armi chimiche no -- rafforza questo scenario. Dietro una crisi che non si è ancora risolta ci sono interessi petroliferi da conquistare, da difendere o da non dare in mano all'avversario. Ma in ballo c'è anche l'aspetto finanziario, una lotta per la supremazia delle propria divisa. Gli Usa che vogliono continuare a mantenere il dollaro quale moneta degli scambi internazionali. La Cina che vuole incominciare ad imporre lo Yuan come mezzo di pagamento del petrolio. La Russia che vorrebbe fare altrettanto con il rublo, sia per il pagamento del suo gas che per l'oro e tutte le sue materie prime.
In mezzo, milioni di disperati che ne subiscono le conseguenze. O come carne da cannone da usare gli uni contro gli altri in un massacro continuo, all'unico scopo di favorire un fronte della guerra piuttosto che un altro, o per consentire al proprio imperialismo di riferimento di conquistare aree di interesse strategico, economico-commerciale, energetico e di reperimento di materie prime; o, non da ultimo, come vittime (“effetti collaterali”) della barbarie delle guerre che non solo continuano imperterrite sui vari scenari strategici, ma si gonfiano a dismisura sino ad assumere dimensioni sempre più internazionali che producono le chilometriche file di profughi che non riescono nemmeno a trovare un posto dove morire in pace. Non tragga in inganno il quasi “innocuo” bombardamento americano, ampiamente preannunciato ai russi e, per via transitiva, allo stesso Assad. La dimostrazione di forza è tale da giustificare non solo la continuazione della guerra ma la sue estensione anche se, per il momento, senza creare le condizioni di uno scontro diretto: per quello c'è sempre tempo e non mancheranno le occasioni per innescarlo, vere o false che siano. Scenari orridi si presentano all'orizzonte di una umanità sempre più compressa dalle contraddizioni di un anacronistico sistema di produzione e di distribuzione della ricchezza. Di ricchi che diventano sempre più ricchi, di poveri che diventano sempre più poveri e sempre più numerosi. Contraddizioni quali lo sviluppo delle forze produttive che invece di soddisfare maggiormente le esigenze sociali con più merci a disposizione e a costi inferiori, crea più sfruttamento per chi lavora e miseria per chi è espulso dal sistema produttivo, quando va bene. Quando va male è guerra, devastazione e barbarie. E' ora di prendere coscienza di questo sistema che per garantire la sua sopravvivenza vuole sangue e morte, vuole distruggere uomini e cose per creare le condizioni di una “vera” ripresa economica. E' ora di alzare la testa contro il capitale, le sue crisi, le sue devastanti guerre, le sue menzogne e le sue ideologie populiste, sovraniste e nazionaliste. Solo il proletariato internazionale, quando uscirà dagli schemi borghesi, dall'ideologia dominante che ancora lo soffoca, potrà essere, con il suo partito rivoluzionario, la massa d'urto che darà una definitiva spallata ad un sistema economico in decadenza, debole e sempre più barbaramente cattivo e aggressivo.
FD, 14 aprile 2018Prometeo #19
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