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Certa “mitica” - e mitologica - unità dei comunisti...
La causa operaia ha bisogno dell'unità dei marxisti, e non dell'unità tra i marxisti e i nemici e travisatori del marxismo.
Lenin
L'inno all'unità dei comunisti
Centinaia di gruppi sul web, come migliaia di compagni sparsi e isolati in ogni dove, inneggiano - lanciando spesso la non poco sarcastica accusa di settarismo cronico anche nei nostri confronti (1) - ad una indispensabile ed improcrastinabile unità fra i tanti gruppi e gruppetti sedicenti comunisti divisi e spesso antagonisti.
Certo, una legittima aspirazione e necessità, sentita in maniera sincera e onesta da molti di quei compagni: un cruccio, per così dire, che anche noi condividiamo, anzi. Ma unità su cosa e per far cosa? - dovrebbe essere la prima domanda da porsi. Una questione di metodo, certo, ma anche e soprattutto di contenuti, e dunque di finalità attorno a cui unirsi, ovvero di programma.
Convinti che non basti autodichiararsi 'comunisti' per esserlo davvero (almeno sul piano della coerenza politica, non come “sentimento” individuale, sempre apprezzabile), ma che ciò vada appunto verificato e provato alla luce del programma politico di cui si è portatori e militanti, riteniamo che la concordia e la tanto auspicata "unità" fra comunisti è possibile solo se esiste una identità di posizioni programmatiche e di lotta. E tale infatti fu sempre il metodo seguito e indicato da Marx per la selezione dei rivoluzionari e per la loro chiara e netta contrapposizione e demarcazione politica autonoma da chi non lo è se non a chiacchiere.
Dunque un programma, obiettivi da raggiungere (che tipo di organizzazione sociale intendiamo per società comunista?) e strategia comuni e condivisi, senza i quali inneggiare ad una fantomatica unità equivale ad inneggiare al nulla, al compromesso dello stare insieme per stare insieme o magari per 'sentirsi' più forti (ma non esserlo affatto) perché più numerosi, ma per raggiungere non si sa cosa, non si sa come... non si sa perché. Come una squadra di calcio sgangherata in cui ciascuno giocasse per sé o puntasse a gettar la palla fuori dal campo e non in rete.
A proposito di "settarismo"... e "minestroni"
Questo nostro pensare, sicuramente 'scomodo' per tanti, non equivale affatto a 'settarismo' o presunta 'purezza incontaminata' - come in tanti sostengono in maniera non di rado supponente - ma molto più semplicemente ad un agire e organizzarsi in vista dei medesimi obiettivi - il che ci pare sia il presupposto minimo indispensabile per stare dentro una organizzazione unitaria di qualsiasi tipo, a maggior ragione se politica. Il tutto a partire da un'impostazione classista e di lotta rivoluzionaria anticapitalista senza se e senza ma, unica che identifichi un comunista, il quale o è rivoluzionario o, semplicemente, non è tale.
Su questa stessa discriminante - dicevamo - si mossero sempre Marx ed Engels, e dopo di loro Lenin, operando progressivamente ogni necessaria e intransigente rottura politica (e spesso dopo le più dissacranti e sarcastiche critiche al vetriolo nei confronti dei loro antagonisti politici), a cominciare da quella rispetto all'anarchismo dentro la I Internazionale, che Marx stesso non esitò a sciogliere perché incapace di agire omogeneamente come direzione politica dei proletari proprio a causa dell'inconciliabile contrasto programmatico tra comunisti e anarchici. Rottura netta rispetto a coloro che perseguivano obiettivi, e per farlo percorrevano strade, secondo Marx non condivisibili perché non adeguate allo scopo. "Settario" anche lui, dunque?! Niente affatto: semplicemente comunista.
Lo stesso percorso e metodo seguì poi lo stesso Lenin contrastando il riformismo bernesteiniano dentro la II Internazionale fino al suo abbandono (dopo il suo schieramento al fianco dell'intervento nel I conflitto mondiale), alla fondazione della III Internazionale comunista e alla rottura politica coi riformisti menscevichi russi. "Settario" anche Lenin?! No, comunista rivoluzionario anche lui. Spiace deludere qualcuno.
"Settari" forse anche i comunisti italiani che nel 1921 ruppero con PSI turatiano-riformista e che, fuoriusciti da quella gabbia di riformismo misto a massimalismo parolaio, diedero vita al PC d'Italia sulla base di un programma rivoluzionario, e non di chiacchiere democraticistiche o di ... volemose bene? No, di certo. Comunisti anche loro, piuttosto.
Quale socialismo?
Come tutti quelli sinora creati e miseramente 'andati a male' (al pari di quelli che nasceranno in futuro sugli stessi presupposti di disomogeneità teorica e politica e di compromesso) nessun "minestrone" politico di forze, anche cosiddette "radicali" - ciascuna perseguente, di fatto e di principio, o obiettivi differenti, o obiettivi meramente riformisti altrettanto fallimentari e falliti - ha un solo motivo al mondo per esistere, se non quello di ostacolare - checché si possa fariseicamente dichiarare - ogni reale e concreto movimento nella direzione della vera società comunista.
Società di cui fra l'altro simili forze dimostrano ampiamente e assai spesso di disconoscere i reali caratteri e i presupposti. Quelli, per intenderci, descritti dallo stesso Marx e per nulla minimamente assimilabili a quelli dei sistemi da costoro spacciati come 'socialisti' o 'sulla via del socialismo' (da URSS e Cina fino agli odierni ... 'socialismi bolivariani', castristi, kurdo-kobanisti, donetskiani, e compagnia varia). Verificare di prima lettura Marx, e Lenin, per credere.
La divisione (e al tempo stesso la difesa) programmatica e organizzativa è dunque sempre stata essenziale per i comunisti in risposta non ad un vezzo di settarismo spasmodico e purista, ma agli innumerevoli tentativi politici - messi in atto nel tempo e incessantemente dagli ideologi più astuti della classe dominante - di teorizzare diverse, e impercorribili, strade ("nazionali", democratiche, riformiste, pacifiche, comunizzatrici, anarcoidi, ecc.) ad un sedicente 'socialismo', oltretutto cocciutamente mistificato sotto le squallide spoglie o di un capitalismo a gestione statale (URSS, Cina, Cuba, ecc.), o addirittura sotto quelle di un mero 'progressivo' welfare state, possibile peraltro solo grazie ad elevati saggi di profitto (tipici delle fasi espansive del capitalismo) con annesse briciole da distribuire, o al drenaggio di consistenti flussi di rendita finanziaria internazionale (da detenzione di moneta forte, ad es. Il dollaro; o da vendita di petrolio in sonanti dollari, si pensi ad es. al Venezuela chavista).
Come se il welfare-state del capitalismo (ampiamente adottato anche dai capitalismi occidentali, per chi avesse memoria corta...) possa aver qualcosa a che spartire col socialismo. Così come se col socialismo (o il muoversi nella sua direzione) avesse minimamente a che fare il pacifismo gradualista e riformista, o il democraticismo borghese, la via parlamentare, sovranista o 'nazionale' al potere proletario, o le nazionalizzazioni 'nel' e fermo restando il capitalismo, le sue leggi e i suoi meccanismi di sfruttamento del lavoro ed estrazione di plusvalore (ricetta trotzkista tuttora in auge), o la rinuncia al necessario abbattimento degli apparati istituzionali (tutti!) dello Stato borghese - inutilizzabili come quelli feudali lo furono per la allora borghesia rivoluzionaria.
Come se fosse anche solo ipotizzabile che la borghese classe dominante possa mai accettare il suo spodestamento politico senza reagire violentemente, come invece ogni classe dominante spodestata prima ha sempre fatto, persino per molto meno di un suo minacciato o reale annientamento come classe sociale dominante (2).
E ancora: come se fosse possibile immaginare - sulle orme del più deleterio anarchismo tinteggiato di quel 'comune' di negriana memoria - una 'comunizzazione' graduale e progressiva (concepita come addirittura già in incessante e irrefrenabile corso) che strappi progressivamente il potere dalle mani di chi lo detiene da secoli (anche attraverso i più sofisticati strumenti di condizionamento ideologico) senza che sia 'più necessaria' alcuna fase di transizione retta in forma necessariamente politico-dittatoriale di massa (proletaria) nei confronti della borghesia spodestata, di certo intenzionata non poco a reagire in sua autodifesa con le armi della repressione più brutale e sanguinaria. La Comune parigina e gli infernali lunghi anni della guerra civile nella Russia rivoluzionaria dopo l'Ottobre si incaricano - e non da soli - di testimoniarlo storicamente ai senza-memoria e agli ingenui di ieri e di oggi.
Questo sì che è vivere nel mondo dei sogni, delle belle intenzioni e dei pii desideri. E meno male che gli 'utopisti' saremmo noi comunisti!
L'unità politica e organizzativa dei comunisti (3) può basarsi, fondarsi, solo ed esclusivamente:
- su un programma politico chiaro condiviso (rivoluzionario e anticapitalista),
- sulla definizione chiara e inequivocabile sia degli obiettivi e della strategia per il loro raggiungimento, sia del modello di società che si intende costruire, nonché
- sul riconoscimento e sulla denuncia ferma e coraggiosa delle decennali vergognose mistificazioni del socialismo operate da riformismo, radicalismo, stalinismo, maoismo, polpottismo, bolivarismo, castrismo, anarchismo, e loro epigoni di ieri e di oggi.
In tutto ciò consiste la 'carta d'identità' di rivoluzionari. Di comunisti. È da qui che si inizia a costruire vera unità. Il resto, come sempre, è solo fuffa.
PF(1) A testimonianza del lavoro svolto da decenni dalla nostra organizzazione sul piano dell'incontro-confronto politico internazionale, e dei suoi esiti concreti, rinviano alla lettura (sul nostro sito) dei documenti preparatori e dei resoconti delle nostre Conferenze internazionali, miranti a dar vita ad un polo politico comunista internazionale che possa divenire di riferimento per le lotte proletarie per indirizzarle nell'ottica rivoluzionaria classista, comunista, anticapitalista e internazionalista: a nostro avviso - e ad avviso di Marx - l'unica realmente comunista intorno alla quale coagulare le migliori e più sane energie militanti degli autentici rivoluzionari. Ecco alcuni utili link al nostro sito che riportano le posizioni del nostro V e VI Congresso:
Una visione più approfondita e generale può essere letta nel capitolo V del nostro libro Settant'anni contro venti e maree: "Il nostro lavoro per il partito internazionale del proletariato" (volume II, pag. 759), con un'ampia documentazione relativa alle Conferenze internazionali promosse dalla nostra organizzazione.
(2) Si pensi allo scontro di interessi tra fazioni borghesi nazionali e internazionali in casi come il Cile ai tempi di Allende - nel quale di certo non si trattò di tentativo rivoluzionario "socialista" - alla luce della brutale repressione che ne seguì.
(3) Per un ulteriore approfondimento sulla nostra posizione riguardo presupposti e criteri del confronto politico: leftcom.org, presente anche in Prometeo, serie VII, numero 11, giugno 2014 (paragrafo "Politica di raggruppamento").
Battaglia Comunista #10
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