Com'è finita alla Canados?

Il 31 dicembre scadeva il termine ultimo per accordarsi riguardo alla procedura di mobilità dei quasi 80 lavoratori della Canados.

Il 12 dicembre la CISL e la CGIL, proprio mentre sfilavano per le vie di Roma inscenando uno sciopero generale per i “diritti dei lavoratori”, firmavano il licenziamento di tutti i lavoratori Canados in cambio di una miserevole buona uscita, siglando di fatto un accordo peggiorativo rispetto persino alla iniziale proposta padronale.

Oltre ai Confederali, al tavolo delle trattative sedeva anche l'USB, che almeno formalmente ha difeso gli interessi occupazionali, ma con pessimi risultati, visti gli esiti della vertenza.

In ambedue i soggetti coinvolti (confederali e USB) ciò che emerge immediatamente, pur con diversi ruoli ed operato, è sostanzialmente il ruolo nefasto del sindacato al fine anche della tenuta immediata degli interessi dei lavoratori

Se i confederali hanno riproposto il loro costante ruolo di garanti degli interessi padronali fino in fondo, l'Usb ha svolto un ruolo negativo dentro al percorso di mobilitazione dei lavoratori pur accreditandosi fra gli stessi come garante dei loro interessi.

Come già dicevamo nell'articolo precedente, l'Usb entra in cantiere a febbraio 2014 su richiesta degli operai più combattivi, decisi a dare del filo da torcere alla dirigenza Canados, e a settembre, quando si inizia a profilare la realtà della cassa integrazione e lo spettro dei licenziamenti per dismissione dei cantieri navali, ha inizio un presidio che durerà circa 2 mesi e mezzo, dentro una situazione che già parte con una estrema frammentazione fra i lavoratori, la cui appartenenza a diverse sigle sindacali non sarà certo un fattore di unificazione, al contrario...

Di fatto, l'operato dell'USB non è riuscita a spostare di una virgola la condizione della lotta stessa, ma battendo la strada, l'unica praticabile per un sindacato seppur di “base”, di ricondurre le forme di mobilitazione dei lavoratori all'interno del terreno della mediazione istituzionale dove ricercare eventuali soluzioni, non ha finito che avallare la condizione di subordinazione dei lavoratori di fronte alle scelte concertate sul piano istituzionale stesso, dove nulla pesano gli interessi operai e nulla possono incidere di fatto.

Ancora una volta il riformismo più o meno radicale, e declinato nell'occasione in salsa sindacale, non ha potuto invertire il segno della lotta, portandola su una strada senza uscita e rimanendo vittima esso stesso della volontà manifesta di qualificarsi come rappresentanza sindacalmente riconosciuta ai tavoli di trattativa, dove le regole del gioco sono state ulteriormente cambiate definendone rigidamente regole, criteri e soggetti di partecipazione. Il dover subire di fatto la firma da parte dei confederali è stato lo specchio di questo dato, riconducendo l'Usb al solo ruolo che in questo momento può giocare, ovvero quello di contenitore delle contraddizioni di classe senza nessun peso politico effettivo, riproponendo così l'annosa questione delle contorsioni del sindacalismo di base, dei suoi ondeggiamenti fra il fare propri le istanze che vengono dal mondo del lavoro e la ricerca di una rappresentanza che ne dia sbocco sul piano delle relazioni sindacali ed istituzionali, in un quadro però via via mutato, che di fatto ha spostato progressivamente i margini della mediazione effettiva, ridefinendo quindi i limiti della contrattazione “possibile” e gli stessi ambiti decisionali che sono strutturati nel dare la massima garanzia agli interessi padronali.

Il terreno vertenziale riflette esso stesso il rapporto di forza che attesta le relazioni politiche e sociali in un determinato momento fra le classi e di come quindi vengono a modellarsi, sul terreno della classe dominante, la borghesia, gli assetti formali “democratici” che ratificano questo rapporto di forza. Le varie “riforme del lavoro” che si sono succedute, non a caso si sono sempre accompagnate ad accordi “sulla rappresentanza” sociale e sindacale, sulla “contrattazione”, nonchè ad una impalcatura legislativa tesa a sterilizzare e, lì dove il caso, limitare e sanzionare le iniziative di lotta dei lavoratori.

È in questa strada stretta che si giocano “gioie e dolori” del sindacalismo anche di base, così come di tutto il radical riformismo, costretto a giocare una partita ai margini del campo, ma di fatto sempre all'interno delle linee di demarcazione dello stesso, in quanto unica dimensione obbligata possibile alla propria azione. In generale, tutto il radicalriformismo, con le sue più o meno accentuate spruzzate di sinistrismo, alla totale incomprensione dei caratteri della fase imperialistica attuale, alla dinamica materiale del capitalismo e la conseguente dinamica dei rapporti fra le classi stesse, fa corrispondere un'opzione politica e sociale perdente in quanto sostanzialmente arretrata, cioè inadeguata, a rispondere ai problemi che lo stesso capitalismo pone d'avanti al proletariato, sia riferite alle immediate condizioni di vita che più sostanzialmente all'organizzazione proletaria sui propri interessi.

L'apparente concretezza e realismo di cui si ammantano queste opzioni politico-sindacali in realtà hanno delle ricadute concrete nella pratica di gestione delle lotte, come è accaduto alla Canados. Un atteggiamento che ha favorito l'attestarsi dei lavoratori su una linea di “minima resistenza”, di fatto “simbolica”, sullo stesso terreno di mobilitazione, caratterizzato dall'aziendalismo e dalla chiusura nei ranghi della propria categoria.

I passaggi di costruzione dell'impegno operaio si sono strettamente identificati con i passaggi di ricerca di “possibili soluzioni concrete” nell'ambito della trattativa istituzionale, duplice ambito su cui si è anche giocato il piano di legittimazione degli spazi di agibilità e rafforzamento della propria sigla sindacale. La possibilità di costruire un collegamento con la realtà territoriale per allargare il fronte di lotta o comunque costruire un sostegno effettivo alla stessa si è posto in maniera formale o come problema da affrontare fuori tempo massimo.

La stessa assemblea del 6 dicembre alla fine più che rilanciare la lotta, con la proposta di unificazione delle varie vertenze del litorale romano e del suo territorio, ovviamente tutto strettamente targato USB, ha di fatto segnato il suo canto del cigno. La sua stessa convocazione, nei più tipici maneggi del politicantismo, veniva spacciata come autonoma iniziativa operaia per “unificare le lotte del territorio”, per altro nel momento in cui più forti si palesavano i cedimenti sul piano della resistenza operaia,tramutandosi di fatto in una assemblea senza prospettiva se non quella di stringere le fila sindacali. Non a caso, come la montagna che partorisce il topolino, la stessa assemblea si è conclusa concretizzando la proposta di un tavolo permanente al X municipio (Ostia) sulle situazioni di crisi.

La scelta di raccordarsi all'ambito territoriale istituzionale non cade quindi a caso e ha visto un ruolo preminente di Rifondazione Comunista quale “cinghia di trasmissione” fra la vertenza Canados e le realtà partitiche ed istuzionali del territorio. Nella sua duplice funzione di “supporto” pratico alla mobilitazione ( attacchinaggio, presenza agli accordi istituzionali, contributo alla cassa di resistenza per quanto poi quest'ultima sia naufragata con il naufragare della lotta stessa...) e partito “istituzionale”non ha potuto che esprimere il suo sostanziale accodamento alla logica del “possibile” e del “meno peggio” . La presa di posizione di RC all'assemblea del 6 dicembre ha riproposto stucchevolmente quel gradualismo ( “Non possiamo fare il passo più lungo della gamba, dobbiamo andare per gradi, se no rischiamo di non farci comprendere dai lavoratori”...), che solo apparentemente è la riproposizione come “farsa” all'oggi della polemica di oltre cento anni fa (la lotta fra bolscevichi e menscevichi dentro il POSDR), ma più sostanzialmente esprime la totale subordinazione di questa compagine politica al quadro degli assetti borghesi, entro cui collocare la propria azione politica e riciclare il proprio riformismo fuori tempo. La verbosità pseudo classista adottata non può certo nascondere il fatto, quello sì concreto e tangibile, della ricerca di soluzioni tutte interne al quadro capitalistico, soluzioni ovviamente a perdere per la classe operaia e che dimostrano la sua velleità, nel momento in cui si scontrano sul medesimo terreno borghese con il quadro imposto dalle compatibilità capitalistiche e le effettive soluzioni che gli corrispondono da questo punto di vista come centrali e dirimenti per la borghesia.

È evidente che alla luce di quanto determinatosi, registriamo a bilancio una sconfitta che sul campo non lascia nulla, se non forse l'aumento di qualche tessera sindacale, non l'unità di intenti fra gli stessi lavoratori della Canados, né con quelli del territorio, né la possibilità di crescita organizzativa e politica, quantomeno intorno ai propri interessi, aprendo la strada a processi di demoralizzazione, frustrazione e fughe individualistiche, che sicuramente non aiutano a collocare gli esiti della stessa sconfitta traducendoli su un piano di coscienza di classe.

Le vicende della Canados, pur nei specifici caratteri che l' hanno contraddistinta, si ricollega ad altri eventi che in questo periodo hanno contrassegnato la mobilitazione operaia, come la AST di Terni, la Titan di Bologna e nell'insieme di tutti quei settori oggi investiti dai processi di ristrutturazione dentro la crisi.

Il primo dato è che di fronte all'offensiva capitalistica la reazione operaia si è attestata su una linea di estrema difesa delle proprie condizioni e del proprio posto di lavoro, un attacco che porta anche con sè l'ulteriore erosione delle già residue garanzie e rigidità operaie, presupposto per la totale flessibilizzazione dell'uso e dello sfruttamento della forza-lavoro, che secondo i dettami del capitale devono attraversare orizzontalmente e verticalmente tutta la classe proletaria e lavoratrice. In questo senso, le vertenze concluse assumono un significato che va oltre la perdita del posto di lavoro per chi esce e più dure condizioni lavorative per chi rimane.

Il secondo dato è che su questa situazione obiettiva si è potuta inserire l'azione riformista nella gestione delle lotte, che di fatto si è posta come “esecutore testamentario” delle lotte stesse, ponendosi sia nel ruolo di ammortizzamento dello scontro sociale che di fiancheggiamento fattivo degli interessi padronali, facendo così ulteriormente arretrare la condizione operaia, accentuando gli elementi di divisione e i fattori di debolezza del fronte operaio.

Il terzo dato è che pure lì dove, come alla Canados, gli interessi operai si sono sganciati dal fronte sindacale confederale, ciò di per sè non ha voluto dire la consapevolezza della strada e degli strumenti con cui portare avanti i propri interessi. Il sindacalismo radicariformista non ha fatto altro che ripercorrere le stesse strade . Ciò dimostra come per forza spontanea propria il moto dei lavoratori non produca un diverso orientamento ed un salto politico in avanti, ma che nell'immediato possa esprimersi anche nella ricerca di nuove sponde sindacali.

Il quarto dato, di carattere politico, dimostra come la condizione di estremo arretramento cui oggi è ascritta la lotta operaia e proletaria, muovendosi obiettivamente dentro continue parzialità, faccia però i conti come suo contraltare con un quadro generale di assetti e regole teso a sancirne e ratificarne la subordinazione, in cui il riformismo, anche nella sua forma radicale, rappresenta di fatto la sponda di legittimazione formale, dentro la dialettica istituzionale, di un sistema che nella realtà non può dare nulla, se non uno scambio al ribasso della condizione operaia stessa.

Il quinto dato fa risaltare come le nuove forme di organizzazione autonoma di classe siano, all'interno del processo materiale del conflitto di classe, solamente accennate, in un processo che, lungi da assumere un carattere di progressività lineare, si presenta in realtà estremamente contraddittorio, suscettibile ad ogni passo di ritornare indietro, vuoi per propria immaturità, vuoi per pressione delle forze avverse, presentandosi le realtà odierne, nella loro stragrande maggioranza, ancora ben salde sul terreno di espressione immediatista e/o della mediazione riformista diversamente declinata.

Il nostro punto di vista

Il quadro appena descritto si presenta estremamente contraddittorio e pieno di criticità per il fronte proletario. Va da sè , a nostro avviso, che il maturare di una diversa condizione non può partire che misurandosi con questi problemi, all'insegna non di un approccio contingente, ma ricollocandoli, cioè facendoci i conti, all'interno di una visione di costruzione delle condizioni stesse che materializzano la possibilità dell'alternativa rivoluzionaria e proletaria a questo sistema, cioè trasfomandole in possibilità concrete di avanzamento della coscienza e dell'organizzazione di classe rivoluzionaria. E ciò, come abbiamo sempre affermato, chiama sopratutto in causa il ruolo e la funzione della avanguardia comunista nel suo rapporto con il proletariato e con le dinamiche concrete che manifesta il conflitto di classe. La stessa tendenza obiettiva allo scollamento dagli apparati sindacali può essere messa a frutto solo se si lavora nei vari momenti di lotta su quel processo di ricomposizione effettiva delle forze disponibili ed organizzabili sul piano programmatico dell'anticapitalismo. Il ruolo dei rivoluzionari non può per questo ridursi di volta in volta alla semplice “denuncia” del sindacato o degli aspetti economicisti e parziali delle lotte, invocando il terreno di generalizzazione delle stesse. In sostanza, sapremo dare forza concreta alle nostre battaglie contingenti soltanto se sapremo inquadrarle all'interno di una battaglia complessiva al capitalismo, possibile soltanto attraverso una visione generale dei rapporti tra le classi e dello stato attuale del capitale.

Soltanto cosi potremo batterci sino all'ultimo in ogni circostanza, consapevoli che non si tratta che di una battaglia di una guerrra generale, che ha come obiettivo immediato la costruzione e il rafforzamento del fronte di classe e di quella parte di essa che ne rappresenta la parte più avanzata e risoluta, il partito, nella direzione del superamento del capitalismo. Non si tratta di un prima e di un dopo, ma di un processo dialettico nel quale i vari aspetti si danno forza l'un l'altro, in cui lo sviluppo di ciascuno è la condizione per lo sviluppo degli altri. Infatti, la costruzione dei nostri Gift (Gruppi internazionalisti di fabbrica e di territorio) in seno alla classe è la condizione necessaria al salto qualitativo in senso politico delle lotte, ma allo stesso tempo la generalizzazione delle lotte è la condizione per la diffusione e il radicamento dei bracci del partito nella classe. Il radicamento del partito nella classe sedimenta e diffonde in essa la coscienza rivoluzionaria e la sua organizzazione militante come l'adesione proletaria al partito rafforza l'avanguardia proletaria e la sua capacità di intervento e direzione nella classe. Il rafforzamento e radicamento del partito nella classe e l'incremento della capacità conflittuale di quest ultima (del proletariato) sono strettamente ed intimamente connesse. Per questo il lavoro odierno dei comunisti non è quello di fomentare la lotta per la lotta, né tantomeno di elevare ad esempi da seguire sconfitte conseguite ad opera dell'ideologia dominante, ma, al contrario, lavorare politicamente all'interno della classe per costruire i propri organismi direttivi, attraverso la chiarificazione politica e l'indicazione pratica dell'unico terreno percorribile per essere realmente efficaci, l'anticapitalismo. Cercare di vedere oltre la singola lotta e lavorare perchè in ogni lotta la coscienza e l'organizzazione dei lavoratori si accrescano in senso rivoluzionario. Se dopo la lotta non resterà nulla, allora forse non avremo agito in tale direzione, perdendo una buona occasione. Ma se dopo la lotta si sarà rafforzata l'avanguardia politico organizzata del proletariato, avremo fatto l'unico passo avanti oggi possibile sulla strada della rivoluzione per l'affermazione del comunismo.

EJ
Lunedì, January 12, 2015

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.