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Home ›Appunti sulla fase di transizione (II)
Ma lo sviluppo degli antagonismi di una forma storica di produzione è l'unica via storica possibile al suo dissolvimento e alla sua metamorfosi.
K. Marx, Il capitale, libro I, cap. XIII, par.9
In seguito alla pubblicazione della prima parte di questi “appunti” si è sviluppato un certo confronto/dibattito su alcuni aspetti della transizione al comunismo. Era, ed è, nella natura degli “appunti” l'intento di stimolare tale riflessione. Auspichiamo che anche questi nuovi “appunti” sortiscano lo stesso effetto. Attraverso questi lavori stiamo infatti cercando di ribadire alcuni punti fermi ma anche di fornire spunti circa le difficoltà che potrebbe incontrare lo sviluppo del futuro processo rivoluzionario.
Riprendendo la prima parte degli appunti
Questioni di metodo. Nella prima parte degli “appunti” (1), a volte, non abbiamo sottolineato con sufficiente forza il fatto che tutte le indicazioni relative alla fase di affermazione del socialismo possono oggi essere enunciate solo per i loro aspetti programmatici/generali. Nel capitolo “contraddizioni del processo di socializzazione”, per esempio, eravamo a volte scesi in ipotesi un po' troppo specifiche riguardo alcuni problemi come: la possibilità della permanenza dei padroni “grandi e piccoli”, i motivi per i quali una parte del tessuto economico potrebbe non essere immediatamente socializzabile, la permanenza di categorie economiche capitaliste nel socialismo, ma così facendo ci siamo esposti ad alcune forzature.
È importante evidenziare che le condizioni concrete nelle quali si affermerà il futuro processo rivoluzionario non sono oggi prevedibili, se non in termini molto generali: quali saranno le condizioni strutturali, infrastrutturali, sociali, ambientali etc. nel momento in cui prenderà vita il processo rivoluzionario? Quali forme concreta assumerà questo processo? A che punto sarà giunta la barbarie capitalista allora? Chi può rispondere oggi? Nessuno.
L'enunciazione del nostro programma non può (oggi) andare oltre l'affermazione di quelli che sono i principi generali. Scendere in ipotesi concrete riguardo questo o quell'aspetto particolare – con il rischio di assumerle poi come delle certezze – ci esporrebbe ad un duplice errore, politico e metodologico: da un lato rischieremmo, infatti, di essere fraintesi laddove riflessioni particolari (p.es. i motivi per i quali potrebbe domani non essere possibile una immediata socializzazione di alcune aziende e come affrontare questo problema) che oggi possiamo basare solo su ipotesi, venissero intese come enunciazioni programmatiche (P.es.: “il PCInt vuole/prevede che, anche nel socialismo, non tutte le aziende vengano socializzate”, posizione a noi estranea); dall'altro lato, non potendo oggi conoscere le condizioni concrete nelle quali si svilupperà la rivoluzione, rischieremmo di ingigantire alcuni aspetti, tralasciandone invece degli altri, insomma, scadremmo in una sorta di utopismo che nulla ha a che vedere con il materialismo storico.
Se oggi dobbiamo essere capaci di porre le giuste domande su ciò che potrebbe accadere domani, al contempo non dobbiamo confondere il piano della riflessione e degli interrogativi, con quello delle affermazioni programmatiche. Il programma, che oggi possiamo solo enunciare ed argomentare, domani sarà la bussola in base alla quale, concretamente, le contraddizioni emerse verranno affrontate e governate. Ma questo sarà, appunto, il compito di domani, compito di un proletariato rivoluzionario guidato dal suo partito: una fase storica, evidentemente, molto differente dall'attuale. La transizione dal capitalismo al comunismo sarà un processo – di questo possiamo essere certi – nel quale per un certo periodo continueranno a sopravvivere alcune eredità del capitalismo, contraddizioni complesse che andranno affrontate e governate fino al loro, definitivo, estinguersi.
Quella con cui abbiamo a che fare qui, è una società comunista [socialista N.d.R.], non come si è sviluppata sulla propria base, ma viceversa, come emerge dalla società capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le “macchie” della veccia società dal cui seno essa è uscita (2).
Il nostro programma immediato. È in ogni caso possibile sintetizzare in pochi punti che abbozzano anche una successione temporale, gli elementi caratteristici di tale programma rivoluzionario:
- passaggio di tutto il potere politico ai nuovi organismi di potere, i consigli territoriali dei lavoratori;
- eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione (loro totale controllo da parte dei consigli);
- esclusione da ogni diritto politico della classe borghese;
- favorire in tutti i modi l'estensione internazionale della rivoluzione;
- superamento del capitale come forza-produttiva attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione;
- formazione dei comitati del controllo operaio in ogni ambito lavorativo;
- pianificazione della produzione sulla base dei bisogni collettivi e individuali;
- suddivisione del lavoro socialmente necessario tra tutta la popolazione attiva;
- sostituzione del denaro come mezzo di scambio in favore del buono-lavoro;
Rivoluzione proletaria ed edificazione socialista. Va chiarito che la conquista del potere da parte del proletariato apre solo le porte alla possibilità dell'edificazione socialista: l'atto rivoluzionario è condizione necessaria ma non sufficiente all'avvio della fase socialista (prima fase della società comunista). Il potere proletario potrà infatti iniziare la socializzazione dei mezzi di produzione – e con essa il superamento delle categorie economiche capitaliste (capitale, salario, merci, mercato, prezzi...) – solo a condizione di vivere un'estensione del processo rivoluzionario tale da garantire almeno una serie di condizioni minime come: apparato produttivo in “buone condizioni”, possibilità di approvvigionamento di materie prime, possibilità materiale di convertire la produzione secondo gli scopi del socialismo, di garantire la difesa del potere rivoluzionario, etc.
Si tratta di un processo che dovrà essere estremamente rapido (3) e che, presumibilmente, incontrerà mille difficoltà. Nel caso in cui una tale estensione internazionale, relativa cioè almeno ad un area macro-geografica significativa (p. es. l'intero bacino del Mediterraneo, per intendersi) non si verificasse, il proletariato che avrà già politicamente sconfitto la “propria” borghesia, solo con molta difficoltà potrà avviare un processo di reale socializzazione della struttura produttiva. Nelle condizioni avverse determinate dalla possibilità di un isolamento delle prime esperienze rivoluzionarie, probabilmente, i compiti del nuovo potere proletario sarebbero limitati a:
- lavorare affinché la rivoluzione si estenda a livello internazionale venendo così in soccorso delle prime rotture dello schieramento capitalista;
- cercare di tenere sotto controllo le categorie capitaliste nel tentativo di evitare che la classe sociale che è espressione di queste stesse categorie (la borghesia), riesca a “tornare in sella” rovesciando a sua volta il potere rivoluzionario.
Su quanto detto è importante precisare che:
- una situazione del genere è di per sé critica, la mancata espansione, in tempi rapidi, del processo rivoluzionario, finirebbe per compromettere l'intero processo come già avvenuto in Russia;
- le situazioni locali dovranno essere gestite in un ottica internazionale ed internazionalista seguendo una strategia, definita dai rivoluzionari, in chiave internazionale. L’esistenza e il radicamento del partito internazionale del proletariato è una condizione necessaria per la realizzazione di tale strategia.
Questo è tutto quanto possiamo oggi prevedere in base al nostro metodo e sulla scorta delle lezioni della sconfitta della passata ondata rivoluzionaria.
Socializzazione e sussistenza di categorie economiche capitaliste nell'ambito del socialismo. Come è stato detto nella prima parte degli “appunti”, è obiettivo del potere proletario la socializzazione dei mezzi di produzione. A tale compito il potere proletario consacrerà i suoi sforzi, partendo ovviamente dai settori economicamente portanti.
Dove tale immediata socializzazione non fosse possibile, il potere proletario dovrà in ogni caso operare al fine di “mettere fuori gioco” la classe borghese: le attività produttive dovranno cioè essere sottoposte al controllo diretto degli organismi (consigli) del semi-Stato proletario.
In queste realtà continuerebbero ad essere operanti le categorie economiche capitaliste, ma i padroni verrebbero estromessi: l'amministrazione delle aziende sarebbe affidata quindi ai consigli. Si tratterebbe però di una misura eccezionale, finalizzata almeno ad escludere il padronato dal potere economico. Questo in attesa che le condizioni interne ed internazionali permettano di avviare la completa socializzazione delle stesse aziende. È evidente come tale provvedimento costituirebbe una contraddizione all'interno dello semi-Stato proletario, il quale si troverebbe a gestire ambiti produttivi nei quali si continuerebbe a produrre merci in cambio di un salario. Contraddizione che solo con il rapido progredire della rivoluzione, nella chiarezza degli obiettivi programmatici, potrebbe essere dominata.
Lo stesso discorso vale per il denaro, se è vero che è inscritto nel nostro programma il suo superamento, è altrettanto vero che, laddove questo non possa avvenire in tempi rapidi, dovrà essere il potere proletario ad operare per strappare questo mezzo di circolazione e accumulazione alla classe borghese, attraverso il pieno controllo delle banche, sottoponendolo così, da subito, al controllo dei consigli, al fine di guidarlo all'estinzione. Torniamo a dire che si tratta di misure eccezionali, non volute, non cercate, ma che in una prima fase particolarmente complessa e difficile potrebbero rendersi necessarie, misure volte a neutralizzare la borghesia sottraendole il controllo delle fonti del suo potere economico.
Quanto fin qui detto implica la possibilità che, per un determinato lasso di tempo, a fianco dei settori produttivi socializzati nei quali lo scambio “lavoro contro beni consumo” viene regolato dal buono-lavoro, sussista un'area economica nella quale si continui, sebbene sotto il controllo del semi-Stato proletario, a produrre merci in cambio di un salario.
In questa situazione: come verrà regolato l'accesso ai beni di consumo se alcuni lavoratori percepiscono un buono-lavoro ed altri un salario? Al fianco del fondo sociale dei mezzi di consumo al quale è possibile accedere con il buono sussisterà ancora, per un certo tempo, qualcosa di simile al mercato? Come verrà regolata l'emissione e la circolazione del denaro? In che misura il semi-Stato proletario saprà “immunizzarsi” dalla contraddizione di dover controllare una produzione, sebbene residuale, che ancora avviene secondo la logica del profitto? Sono queste alcune domande che è importante non tralasciare sebbene, come precisato in apertura, non abbiamo oggi i mezzi per rispondere. E non possiamo oggi rispondere, non per limitatezza di capacità analitica, ma perché si tratta di problemi concreti, che solamente il concreto processo storico potrà definire e che solamente la classe e il partito rivoluzionari, in quel momento, potranno concretamente affrontare e risolvere.
“Il problema sorge contemporaneamente ai mezzi per risolverlo. (4)”
A noi, oggi, il compito della loro enunciazione nei termini generali, gli unici attualmente possibili. Chi volesse procedere diversamente cadrebbe nelle solite infantilità idealistiche del “tutto subito o... niente”.
Fatte queste dovute precisazioni, si tratta ora di riprendere la trattazione dei caratteri generali dell'affermazione rivoluzionaria. Nel dettaglio affronteremo alcuni temi come il controllo operaio, le funzioni di pianificazione e produzione del semi-Stato proletario, il buono-lavoro e la proprietà nel socialismo.
Il controllo operaio
... noi vogliamo la rivoluzione socialista con gli uomini quali sono oggi, e che non potranno fare a meno né di subordinazione, né di controllo, né di “sorveglianti, né di contabili” (5).
Se il sistema dei consigli esprime il potere politico della classe lavoratrice e, al contempo, centralizza nei suoi organismi la pianificazione e l'amministrazione generale della produzione e della distribuzione socialista, è ai comitati dei lavoratori in ogni singolo luogo di lavoro, che spetta il ruolo del controllo capillare sull'andamento dell'attività lavorativa, l'applicazione delle decisioni stabilite nei consigli, il controllo sulla disciplina del lavoro, sull'applicazione della sicurezza, etc.
In questo senso il “controllo operaio”, prima di essere un organismo, è un principio: una volta conquistato il potere politico è dal basso, in ogni luogo di lavoro, in ogni settore, che i lavoratori devono collettivamente impadronirsi dei mezzi di produzione. I delegati al controllo operaio (eletti con diritto di revoca ed uguale compenso) svolgeranno le loro funzioni senza il diritto ad alcun privilegio, queste funzioni dovranno, quanto più possibile, essere svolte a turno. Il controllo operaio, su base aziendale, è l'organo di gestione della singola attività lavorativa nell'ambito dell'economia socializzata così come il sistema dei consigli, su base territoriale, è l'organo della pianificazione e amministrazione centralizzata dell'intero piano produttivo. (6)
I comitati del controllo operaio sono organi della partecipazione dei lavoratori a livello di singola unità produttiva, si confrontano a livello territoriale al fine di condividere esperienze, buone pratiche, efficaci strategie di risoluzione dei problemi, etc. è in essi che cresce la consapevolezza del lavoratore rispetto al processo produttivo, la sua capacità di controllo su di esso. Nelle strutture socializzate potrebbero forse essere gli stessi organismi del controllo operaio a certificare il lavoro effettivamente svolto e, quindi, a garantire il diritto al buono-lavoro per il singolo lavoratore.
Contraddizioni nell'ambito del controllo operaio. Di fatto il controllo operaio è tale nei luoghi di lavoro ma, generalizzandosi, diventa una funzione essenziale per tutta la società post-rivoluzionaria: potrebbe diventare una sorta di elemento complementare al potere proletario espresso dal sistema dei consigli. Precisiamo.
Non è un caso che Lenin, poco prima di morire, profondamente tormentato dalle sorti della rivoluzione (ormai compromessa) e fortemente debilitato dalla malattia, spese gran parte dei suoi ultimi mesi a lavorare ad un decreto per il massiccio rilancio del controllo operaio, per lui questa era l'unica medicina per guarire il morbo della degenerazione che già da tempo aveva infettato la Russia rivoluzionaria (7). Non è ugualmente un caso che, sotto lo stalinismo, i Soviet, formalmente, rimasero in piedi, il controllo operaio no.
La dittatura del proletariato non potrebbe esistere senza il controllo operaio, e viceversa (NB!). Se infatti il potere proletario ha una valenza politica (possibilità di usare mezzi autoritari per garantire l'affermazione rivoluzionaria), il che lo rende, per definizione, pericoloso, il controllo operaio è già interamente nell'ambito puro e semplice della gestione dell'attività di produzione e distribuzione. Ma, a sua volta, il controllo operaio, con i suoi comitati eletti in base al luogo di lavoro, può peccare di “aziendalismo”, del localismo insito nell'essere i comitati limitati al proprio ambito lavorativo.
Potrebbe far capolino la tentazione di affidare l'amministrazione della singola unità produttiva ai relativi comitati, in un quadro di aziende autonome e autogestite, il che è tratto programmatico di certo anarchismo: “tante piccole comunità” dove ognuno amministra in proprio la sua attività e che poi scambiano i loro prodotti. Ma questo vorrebbe dire tornare indietro, al capitalismo delle origini! È una posizione che deve essere rigettata.
Il sistema dei consigli, internazionale per definizione, definisce il ruolo delle singole attività produttive nell'ambito degli interessi globali del proletariato e dell'umanità, così facendo riequilibra, a sua volta, i rischi localistici ai quali si espongono i comitati di fabbrica (o di altro luogo lavorativo). In questo ambito è centrale il ruolo del Partito il quale sintetizza, nella sua piattaforma, tattica e strategia, gli interessi generali del proletariato e agisce, quindi, affinché le spinte localistiche e autoreferenziali si esauriscano in favore della difesa degli interessi complessivi di classe, per il socialismo.
Per i comunisti l'amministrazione rimane centralizzata, nei consigli. I comitati del controllo operaio si limitano ad applicare, nell'ambito produttivo, quanto centralmente è stato disposto, comunicando a loro volta al centro, ai consigli, i problemi contingenti, i consigli per migliorare le attività, etc.
Nei consigli e nei comitati permane un tratto contraddittorio, eredità delle contraddizioni insite nella società capitalista: gli uni sono organi di potere politico, gli altri di gestione particolare. Ma nel divenire del socialismo la funzione dittatoriale dei consigli si estinguerà di pari passo con l'estinzione della contraddizione di classe che la rende necessaria; ugualmente è con l'affermarsi di una coscienza universale degli uomini fondata sulla loro libera associazione che anche la tentazione del localismo verrà meno. Consigli e comitati arriveranno infine a fondersi nella medesima, normale, funzione dell'amministrazione delle cose delle vita, senza più bisogno di esercitare un potere che non sia quello della “responsabilità rispetto agli interessi collettivi”. Quel giorno saremo in prossimità dell'estinzione dello Stato, ovvero dell'affermazione del comunismo completo e l'umanità, finalmente ritrovata, sarà nelle condizioni di dedicarsi esclusivamente ad affrontare i problemi “della vita”.
Il primo atto con cui lo stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo stato non viene “abolito”: “esso si estingue” (8).
le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si trasmuteranno in semplici funzioni amministrative veglianti ai veri interessi sociali (9).
Controllo significa consapevolezza: consapevolezza del processo produttivo, dell'ambito nel quale si è impiegati, delle condizioni generali, delle leggi che regolano il divenire delle cose, della produzione, del rapporto con la natura e via dicendo. Per essere il lavoratore in condizione di esercitare il controllo operaio, si pone immediatamente la necessità di una sua adeguata presa di coscienza e formazione. Affinché sia possibile superare la divisione del lavoro e affinché tutti possano esperire a turno questa o quella attività, affinché tutti possano esercitare le funzioni di controllo ed amministrazione – affinché quindi venga disinnescato il rischio che si formi una categoria speciale di uomini esclusivamente controllori ed amministratori –, è necessario muoversi, da subito, nella direzione della formazione dell'uomo onnilaterale cosciente della sua posizione nella comunità, capace cioè di padroneggiare i principali settori produttivi e di essere veramente padrone di se stesso e del mondo nel quale vive.
... con la divisione del lavoro si dà la possibilità, anzi la realtà, che l'attività spirituale e l'attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino a individui diversi, e la possibilità che essi non entrino in contraddizione sta solo nel tornare ad abolire la divisione del lavoro (10).
Con l'affermarsi della rivoluzione si diffonde un nuovo tipo di coscienza e di partecipazione che dissolve tanto l'attuale frammentazione del sapere in discipline a “tenuta stagna”, tanto la distinzione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, ma lo sviluppo ulteriore di questo ambito di riflessione esula dai limiti del presente lavoro.
Con il suo sviluppo [dell'uomo] si estende il regno della necessità naturale, perché si espandono i bisogni; ma nello stesso tempo si espandono le forze produttive che li soddisfano. La libertà in questo campo può consistere unicamente in ciò, che l'uomo socializzato, i produttori associati, regolino razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo sottopongano al loro controllo collettivo, invece di esserne dominati come da una cieca potenza; lo eseguano col minor dispendio di energie e nelle condizioni più degne della loro natura umana e ad essa più adeguate. Ma questo rimane pur sempre un regno della necessità. Al di là dei suoi confini ha inizio lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso; il vero regno della liberà, che tuttavia può fiorire soltanto sulla base di quel regno della necessità. La riduzione della giornata lavorativa ne è la fondamentale condizione. [Sottolineatura nostra N.d.R.] (11).
Pianificazione e produzione
Pianificazione. Il mercato, anarchico per definizione, è espressione della intima contraddizione capitalista tra l’organizzazione nel singolo ambito produttivo e l’anarchia della produzione nel complesso della società.
Il socialismo supera tale anarchia attraverso la pianificazione dei bisogni. L'associazione dei produttori, ovvero la loro organizzazione nel sistema dei consigli, pone le condizioni affinché la società calcoli in anticipo quanto lavoro, quanti mezzi di produzione, quante e quali materie prime e quanti mezzi di sussistenza possa impiegare nei vari rami della produzione, comprese le attività che pur non fornendo immediatamente mezzi di produzione, né mezzi di sussistenza, sono socialmente prioritarie, come la bonifica dei territori deturpati dall'inquinamento:
Le operazioni di pulizia del pianeta e di riequilibrio fra uomo e natura sono […] fra le possibilità e fra i doveri prioritari del semi-Stato proletario._» (12).
Il principale compito dei consigli è proprio quello di raccogliere i bisogni espressi dalla popolazione nei vari territori per contabilizzare le ore-lavoro necessarie al loro soddisfacimento, al fine di avviare il piano della produzione suddividendo il monte ore complessivo tra tutta la popolazione attiva.
La puntuale determinazione dei bisogni sarà il centro focale della vita produttiva della società futura. Laddove, nel capitalismo, è il bisogno di valorizzazione del capitale a guidare gli investimenti e la produzione, nel socialismo è il piano del consumo a determinare il piano della produzione.
La pianificazione socialista permette una gestione del processo produttivo che rispetti l'equilibrio tra uomo e natura. Solo una società che faccia ingranare armoniosamente le une con le altre le sue forze produttive, a partire dalla valutazione del costo sociale di ogni produzione (13), può permettere all'attività produttiva di organizzarsi e dislocarsi nella maniera più razionale, risparmiando tempo-lavoro, energia e risorse. La soppressione dell'antagonismo tra città e campagna diventata così un'ulteriore necessità. La pianificazione territoriale offre nuove e inedite possibilità di soddisfare i bisogni attraverso una gestione cosciente di spazi e distanze.
Attraverso il piano della produzione guidato dal piano dei bisogni, si afferma una nuova coscienza sociale fondata sulla reale partecipazione alla determinazione dell'interesse collettivo. Gli individui diventano realmente padroni del loro destino.
Produzione. Eliminata la produzione di merci viene eliminato il dominio del prodotto sui produttori, del lavoro morto sulle vive forze sociali, l'anarchia all'interno della produzione sociale viene sostituita dall'organizzazione cosciente della produzione e distribuzione secondo il piano dei bisogni. La rivoluzione è vitalità, è la vita che si riappropria del pianeta, è il lavoro vivo che sottomette il lavoro morto, è l'umanità sana che si libera del parassita borghese.
Nel socialismo viene totalmente ridefinito il rapporto fra produzione, progresso e ambiente, così come il rapporto fra ricerca, formazione, bisogni e lavoro produttivo. Il fatto che molte scuole di pensiero come l'ecologismo e la “decrescita” producano grandi quantità di studi sulla possibilità di una ridefinizione di questi aspetti conferma quello che è il nostro programma, peccato che esse non si rendano conto che tali proclami sono incompatibili con la permanenza del capitalismo e che la priorità oggi è il suo superamento.
La trasformazione dei grandi organismi di produzione e scambio in società per azioni, multinazionali e in proprietà statali, mostra come la borghesia diventi sempre più una classe sociale non necessaria: tutte le funzioni del capitalista sono oggi compiute dai suoi impiegati, i capitalisti non fanno altro che intascare dividendi e giocare in borsa, ma la trasformazione in società per azioni o a proprietà statale non sopprime ancora il carattere capitalistico delle forze produttive, per fare questo è necessaria la totale socializzazione di tutte le forze produttive, la loro appropriazione da parte della totalità dei lavoratori, liberamente associati.
Attraverso la ridefinizione della produzione e dei suoi criteri e la suddivisione del lavoro necessario tra tutte le forze di lavoro attive, si realizza la riduzione della giornata lavorativa per tutti e, quindi, la possibilità per ognuno di dedicarsi allo sviluppo della propria persona e della collettività nella quale vive.
Distribuzione: il buono-lavoro e il possesso dei beni
Sulla base dell'indagine dei bisogni generali viene stabilito il lavoro socialmente necessario a soddisfarli. Una volta stabilito il monte ore socialmente necessario, questo viene diviso tra tutta la popolazione attiva ed ecco che dal conto emerge l'orario di lavoro di ciascuno.
... il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte della giornata di lavoro sociale fornita da lui, la sua partecipazione alla giornata di lavoro sociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra (14).
P. es. se in una data area socialista – al fine di soddisfare la totalità dei bisogni rilevati – fosse necessaria una quantità di ore lavoro quantificabile in 99 mln di ore al giorno, e se la popolazione attiva tra i 18 e i 60 anni fosse di 33 mln di persone, ad ogni individuo toccherebbero 3 ore giornaliere di lavoro necessario. La creatività rivoluzionaria troverà la giusta via per individuare il modo pratico per attuare questo calcolo.
Da queste 3 ore dovranno essere effettuate una serie di detrazioni che, già considerate nel computo generale dei bisogni, non rientrano nella quota del consumo individuale:
- la frazione del tempo socialmente necessario a reintegrare i mezzi di produzione usurati ed una ulteriore quota parte per il loro sviluppo/conversione;
- un fondo di riserva per gli infortuni, le calamità naturali, ecc.;
- una quota parte per il mantenimento dell'apparato amministrativo, la contabilità – che diventano sempre meno onerosi grazie alla centralizzazione e alla razionalizzazione – e per i sevizi pubblici – che invece tendono ad incrementare –, compresi bonifiche e manutenzioni;
- una parte per coprire il consumo degli inabili al lavoro come anziani, disabili e bambini.
Supponiamo che rimangano due ore. Il singolo avrà lavorato un'ora per la comunità e due per se. Questo significa che, nel computo generale dei bisogni, è stato rilevato che 66 mln di ore-lavoro giornaliere sono necessarie per la produzione dei beni e servizi destinati al consumo individuale e 33 mln per il resto (ma potrebbe essere il contrario e non cambierebbe il principio).
Il consiglio territoriale di riferimento registrerà il lavoro svolto su un'apposita tessera, mentre il comitato del controllo operaio della tal postazione potrebbe certificare che il lavoro del singolo è stato effettivamente svolto etc. La tessera nella quale registrare la partecipazione individuale al lavoro sociale potrà essere emessa e controllata dal consiglio centrale, non mancano di certo oggi i mezzi tecnici per realizzare e controllare tale strumento.
Il tempo di lavoro recita in questa ipotesi una doppia parte. La sua distribuzione secondo un piano sociale regola la giusta proporzione tra le diversi funzioni del lavoro e i diversi bisogni, d'altra parte, il tempo di lavoro serve contemporaneamente da misura della partecipazione individuale del produttore al lavoro comune, e perciò anche alla parte individualmente consumabile del prodotto comune. Le relazioni sociali fra gli uomini, i loro lavori e i prodotti del loro lavoro, rimangono qui di una semplicità cristallina sia nella produzione che nella distribuzione (15).
Caratteristiche del buono-lavoro. Il buono-lavoro, qualora le altre categorie economiche capitaliste non fossero già debellate, potrebbe tornare velocemente a svolgere la funzione di denaro, ma sotto mentite spoglie. Onde evitare che questo accada il buono ha due caratteristiche:
- Non è cumulabile: ha la data di scadenza scritta sopra. Essendo un semplice mezzo finalizzato a mediare il ricambio organico tra uomo e natura, un normale mezzo di sostentamento necessario a soddisfare i bisogni immediati, è normale che, come ogni bene di consumo, scada. Dopo una settimana o un mese o altro di permanenza le ore-lavoro presenti sulla tesserina, semplicemente, decadono e non hanno più nessun valore per l'individuo, finiscono nella quota del fondo sociale collettivo.
- Non circola: è personale e non può essere ceduto, può solo essere scambiato contro i prodotti contenuti nel fondo sociale di consumo. Ovviamente sul buono-lavoro di chi ha persone a carico potrebbe venire caricata anche quella parte del fondo sociale a loro destinate, ma le ore-lavoro non potranno essere utilizzate né scambiate al di fuori dei magazzini pubblici che già abbiamo avuto modo di incontrare.
Insomma,
è “denaro” tanto poco come è denaro per es. uno scontrino per il teatro (16).
Nei magazzini i beni disponibili potrebbero avere bene esposto il loro valore in ore di lavoro e, sulla base di quello, il singolo lavoratore potrebbe appropriarsene. Il Gruppo dei Comunisti Internazionali Olandesi, nel 1930, suggeriva (17) che si potesse utilizzare il seguente conto: sommare le ore lavoro necessarie alla produzione delle materie prime, più quelle dell'usura dei mezzi di produzione, più le ore socialmente impiegate in una giornata di una data produzione e quindi dividere la somma oraria ottenuta per il numero di prodotti realizzati in un particolare ambito lavorativo in una giornata. In questo modo si potrebbe conoscere esattamente quante ore-lavoro incorpora ogni singolo prodotto e quindi con quanta frazione del buono-lavoro è possibile scambiarlo. Ma non ci addentreremo oltre in questo discorso, la forza del processo rivoluzionario avrà sicuramente più mezzi e fantasia di noi per risolvere un problema che, in sostanza, è tutto pratico. Quello che in questa sede conta è il principio: la stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, dopo aver operato le dovute detrazioni, la riceve in un'altra forma.
Il problema dei tecnici. Nella prima fase della società nuova potrebbe sussistere un problema che nella Russia del '17 fu molto pressante: la difficoltà di reperire adeguato personale tecnico e specializzato. È vero che l'automazione dei processi produttivi ha fatto si che per svolgere la stragrande maggioranza delle mansioni sia sufficiente un breve periodo di addestramento, ma ci sono comunque delle posizioni che richiedono anni di studio e apprendistato e posizioni che solo con molta difficoltà possono essere rimpiazzate. Saranno questi tecnici disposti a prestare, nell'economia socializzata, la loro opera in cambio di un buono-lavoro equivalente a quello di tutti gli altri lavoratori?
Per noi comunisti è scontato che, domani, il più grande stimolo motivazionale sarà costituito dalla possibilità di realizzare il proprio potenziale umano. L'attività produttiva e intellettuale di ognuno troverà tutti i mezzi per potersi dispiegare, in ciò le mansioni più delicate e importanti verranno ricoperte solamente da chi nutre per esse una reale passione, al posto dei burocrati/tecnici per denaro troveremo chi la medesima funzione la svolge perché naturalmente inclinato verso di essa, perché realmente motivato e desideroso di fare un lavoro gratificante di per sé. Il capitalismo lega la motivazione al guadagno (impresa e meritocrazia), ma così facendo inaridisce quella che è la libera disposizione dell'individuo, la possibilità di realizzare se stesso attraverso la propria attività creativa, nella comunità. La drastica riduzione dell'orario di lavoro e la riorganizzazione della vita sociale che caratterizzano la fase socialista offriranno ad ognuno la possibilità di elevare le proprie capacità e competenze ben al di sopra degli angusti limiti attuali. Per svolgere anche le mansioni più delicate non ci sarà alcun bisogno di uno stimolo abietto come l'attuale accumulazione di ricchezza individuale a discapito della comunità.
Sino a quale grado di padronanza di sé giungerà l'uomo del futuro è difficile prevedere, come è difficile prevedere a quale altezza porterà la propria tecnica. La costruzione sociale e l'autoeducazione psicofisica diverranno i due aspetti di un processo solo. […] L'uomo diverrà incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale; le forme dell'essere acquisteranno una dinamica rappresentatività. La media dell'umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette (18).
Il fatto è che nei tempi convulsi e duri dell'immediato periodo post-rivoluzionario quando, pur di far andare gli impianti, i lavoratori associati potrebbero essere obbligati ad utilizzare anche tecnici controrivoluzionari, potrebbe verificarsi la situazione che pur di garantirsi il loro contributo, venga deciso, a particolari condizioni (nessun maggior potere decisionale, impossibilità di far “carriera”, etc.) di innalzare, a parità di lavoro prestato, la quota di beni loro disponibile. Ma anche questi sono problemi transitori che, sebbene sia giusto enunciare, non avrebbe oggi senso indagare oltre.
Contraddizioni del buono lavoro. Nonostante sia abolita la produzione di merci, nel socialismo continua ad agire la legge del valore (il valore di scambio di un bene è dato dalle ore-lavoro mediamente necessarie alla sua produzione). Tale legge continua ad agire perché qui è ancora in vigore lo scambio “lavoro contro beni” del quale il buono-lavoro ne è il mediatore. Si tratta dell'applicazione di un diritto che, come ogni diritto, può consistere soltanto, per sua natura, nell'applicazione di una uguale misura. Ma gli individui sono di per sé disuguali. Quindi il diritto ad accedere ad eguali quantità di beni di consumo in cambio di eguali quantità di ore lavoro prestate si applica a persone che, per definizione, sono differenti tra loro. Si tratta, di nuovo, di una diseguaglianza di fatto. Questo inconveniente è inevitabile nella fase post-rivoluzionaria quale è uscita, dopo i lunghi travagli del parto, dalla società capitalista.
Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di cose di valore uguale. Contenuto e forma sono mutati, perché cambiate le circostanze, nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perché d'altra parte niente può passare in proprietà del singolo all'infuori dei mezzi di consumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di equivalenti di merci: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità in un'altra (19).
Nonostante, nel socialismo, i beni di consumo vengano scambiati contro ore-lavoro (per mezzo del buono), e nonostante questo scambio avvenga sulla base della legge del valore, questi stessi beni di consumo non sono merci perché:
- non sono prodotti per realizzare un profitto, ma per soddisfare dei bisogni;
- circolano non attraverso il mercato, ma sulla base di un piano distributivo;
- il loro valore non è espresso in denaro (prezzi), ma in quantità di ore-lavoro;
- non sono prodotti attraverso il lavoro salariato, ma per mezzo del lavoro socializzato;
- la forza produttiva non è il capitale, ma l'associazione dei produttori.
Come si vede non vi è più traccia delle categorie fondamentali del capitalismo.
In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita, dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni! (20)
Proprietà e socialismo. La proprietà privata è il rapporto giuridico che corrisponde alla divisione capitalistica del lavoro e sancisce l'appropriazione dei prodotti del lavoro da parte dei proprietari del capitale e dei mezzi di produzione. Abolire la proprietà privata (o la sua forma camuffata nella “proprietà statale” di uno Stato borghese) significa abolire il rapporto giuridico che giustifica e garantisce l'esistenza della classe proprietaria in opposizione alla classe sociale dei nullatenenti: borghesia e proletariato.
Essendo il socialismo un modo di produzione fondato sull'appropriazione collettiva della totalità dei mezzi di produzione da parte della totalità dei lavoratori, essendo un suo elemento caratterizzante il superamento della divisione del lavoro a partire dalla divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, allora esso – al suo affermarsi – instaurerà necessariamente anche una nuova forma di proprietà: il possesso collettivo. Non la proprietà di uno Stato che, rappresentando l'interesse generale, si innalza al di sopra della popolazione, ma la proprietà collettiva esercitata per via diretta attraverso l'organizzazione territoriale dei consigli. I consigli non si limitano a rappresentare l'interesse collettivo, essi ne sono emanazione diretta.
Il modo di appropriazione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, nascenti dal modo di produzione capitalistico, sono la prima negazione della proprietà privata individuale poggiante sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera, con la necessità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. Questa non ristabilisce la proprietà privata, ma la proprietà individuale sulla base della vera conquista dell'era capitalistica: la cooperazione e il possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dallo stesso lavoro (21).
I mezzi di produzione e la terra vengono presi collettivamente in carico, ad ognuno è garantito: un luogo dove abitare adeguato alle proprie esigenze, l'accesso al fondo sociale di consumo per soddisfare i propri bisogni immediati, la possibilità di associarsi con altri per realizzare i “desideri” più grandi e complessi, eppure non vi è traccia di proprietà privata. Se la proprietà privata è la proprietà borghese e se la sua caratteristica è di poter essere scambiata con denaro, venduta, e se nel socialismo questo è impossibile in quanto non vi è né compra-vendita né mercato, allora: ognuno ha diritto al semplice possesso dei suoi beni, alla proprietà individuale di ciò che “è suo”, di goderne ed avvantaggiarsene fintanto che ne ha bisogno, ma senza poterne trarre un mezzo di accumulazione che gli permetta di elevarsi al di sopra di altri uomini per dominarli e sfruttarli. Un vecchio adagio recitava “ognuno ha diritto a tanta terra quanta, e finché, ne può personalmente lavorare”. Questa è la chiave e la soluzione del problema della proprietà nel socialismo.
Al proprietario di schiavi che ha comprato un negro la sua proprietà su quest'ultimo appare acquisita […] grazie alla compravendita di merce. Senonché la vendita non crea il titolo stesso, ma si limita a trasferirlo. […] ciò che lo ha creato, in effetti, sono i rapporti di produzione. Non appena questi sono arrivati a un punto in cui è necessario che cambino pelle, ecco che la fonte materiale di quel titolo e di ogni transazione basata su di esso, la fonte economicamente e storicamente giustificata, derivante dal processo di creazione sociale della vita, viene a cadere. Dal punto di vista di una superiore formazione socio-economica, la proprietà privata di singoli individui sul globo terrestre apparirà non meno assurda della proprietà privata di un uomo su di un altro. Neppure un'intera società, una nazione, anzi tutte le società di una stessa epoca presente assieme, neppure esse sono proprietarie della terra. Ne hanno soltanto il possesso, l'uso frutto, e hanno il dovere, da boni pater familias, di trasmetterla migliorata alle generazioni successive (22).
Per il momento, possiamo fermarci qui.
Lotus(1) Prometeo 9, serie VII, 2013.
(2) Marx, Critica al programma di Gotha, 1875 .
(3) Da qui la necessità della presenza di una solida direzione rivoluzionaria che assume la forma del partito di classe.
(4) K. Marx, Il capitale, vol. I, UTET, 2009, p.117.
(5) Lenin, Stato e rivoluzione, marxists.org
(6) Ricordiamo che stiamo qui affrontando i problemi dell'affermazione del socialismo. Parlare di “controllo operaio” all'interno delle aziende nel capitalismo non ha alcun senso. Il padronato potrebbe concedere piccole forme di “controllo”, come furono i “consigli di fabbrica” o le attuali “RSU”, ma solo in cambio della garanzia di un ridimensionamento dell'autonomia di lotta dei lavoratori. Noi parliamo del controllo operaio nel socialismo .
(7) M. Lewin, L'ultima battaglia di Lenin, ed. Laterza p. 133.
(8) Engels, Antidhuring, opere complete, Ed. Riuniti, vol. XXV, pag. 270.
(9) Engels, Dell'autorità, 1872.
(10) Marx-Engels, L'ideologia tedesca, Opere scelte, Editori Riuniti, 1973, p. 244-245.
(11) K. Marx, Il capitale, vol. III, UTET, 2009, p.1011.
(12) M. Stefanini, Il clima reagisce al capitale, Prometeo 15, serie V, 1998.
Intendiamo per costo sociale di un bene o servizio la somma di: quantità di energia consumata, quantità di materie prime e quantità di lavoro necessarie, impatto degli agenti inquinanti sull'ambiente e dei rifiuti di produzione, impatto sull'ambiente del bene o servizio una volta dismesso come rifiuto.
M. Stefanini, cit.
(14) K. Marx, Critica al programma di Gotha, in Opere scelte, Editori Riuniti, 1973, p. 960 .
(15) K. Marx, Il capitale, Vol. I, UTET, 2009, p.157.
(16) K. Marx, cit. in Engels, Antidhuring, cit. pag 292.
(17) G.I.K.H., Principi fondamentali di produzione e di distribuzione comunista, Jaca Book, 1974, p.83 .
(18) Trotsky, Arte rivoluzionaria e arte socialista, in “Per conoscere Trotsky”, Mondadori 1972, pag. 382.
(19) K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., p. 961 .
(20) K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., p. 962 .
(21) K. Marx, Il capitale, libro I cit., pag. 952 .
(22) K. Marx, _Il capital_e, libro III cit., pag. 958 .
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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