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Home ›Cronache degli autoferrotranvieri
Nel mese di dicembre, dopo la lotta di Genova, hanno preso (o ripreso) il via in una serie di città le lotte dei lavoratori autoferrotranvieri delle municipalizzate.
In particolar modo i lavoratori dell'ATAF di Firenze e l'ATAC di Roma sono quelli che sono riusciti a costruire i momenti di mobilitazione più significativi, tentando di dare loro carattere di continuità ed organizzazione al di fuori delle classiche – oramai sputtanatissime – organizzazioni sindacali tradizionali.
Quest'ultimo elemento, seppur importantissimo in quanto ha rimesso al centro la logica delle decisioni assembleari da parte dei lavoratori, non è stato (poiché in sé e per sé non lo poteva essere) capace di dare superamento a tutti i limiti di una lotta di tipo rivendicazionista, motivata cioè dagli interessi economici immediati della categoria.
A Firenze, nelle giornate del 5 e 6 dicembre, i lavoratori hanno effettuato il decimo sciopero contro lo spacchettamento aziendale e la disdetta unilaterale degli integrativi da parte dell'ATAF: effetti della privatizzazione del servizio voluta dal sindaco Renzi.
Come a Genova, i lavoratori, per far pesare la loro forza, hanno dovuto superare tutti i lacci e lacciuoli delle varie normative antisciopero; il 7 dicembre, nonostante le intimidazioni dell'azienda, si è aperto un tavolo di trattativa attraverso la RSU aziendale, delegata e controllata dall'assemblea dei lavoratori. I sindacati di categoria erano totalmente fuori dal tavolo negoziale.
L'accordo raggiunto, “di tregua”, rispecchia tutti i limiti di una azione “sindacale” seppur costruita dal basso: l'operazione di spacchettamento aziendale viene momentaneamente sospesa, l'azienda revoca la disdetta degli accordi integrativi, si apre un tavolo di trattativa su nuovi orari e nuovi turni, del premio di produzione 2013 ne sarà versata solo la metà e, ultimo ma non per importanza, se entro il 31 gennaio 2014 non si arriverà ad un accordo, l'azienda proseguirà nel suo processo di ristrutturazione come deciso antecedentemente.
Si capisce benissimo che è solo un accordicchio finalizzato al far sbollire la situazione ma che, sopratutto, lascia aperti dei varchi al gioco aziendale che comunque pone le sue priorità al centro della trattativa: un arretramento nella forma, ma non nella sostanza, quello dell'ATAF.
Intanto i lavoratori fanno i conti con più di 1000 contestazioni disciplinari per il mancato rispetto delle fasce di garanzia e con quasi altrettante denunce per interruzione di pubblico servizio, dovute al fatto di non essersi conformati alla precettazione prefettizia.
A Roma la situazione per certi versi è ancor più paradossale. Le varie giunte capitoline, oramai da anni puntano a quello che è stato definito un “fallimento programmato” dell'ATAC, fallimento finalizzato al mettere in piedi il processo di dimissione e ristrutturazione aziendale. La situazione delle condizioni di lavoro e salariali per i lavoratori, nel frattempo, è notevolmente peggiorata, basti pensare che il 40% del servizio si basa su straordinari in larga parte messi a recupero e non remunerati.
Nella prima stesura del decreto “salva-Roma”, si è di fatto aperta la strada al commissariamento governativo della capitale, nello scambio fra finanziamento al comune da parte del governo e obbligo di dismissione delle principali municipalizzate, prevedendo il licenziamento dei lavoratori delle aziende in perdita finanziaria, e ATAC è la prima tra queste.
La lotta dei lavoratori e l'aprirsi di una serie di problemi nel fronte interborghese, hanno per il momento fatto accantonare il progetto, ma rendono comunque chiaro quale è l'intendimento tracciato.
Anche nella lotta dei lavoratori romani, il sindacato tradizionale è stato completamente messo ai margini dalle dinamiche degli eventi vi è stato invece il corrispondente, sebbene embrionale, strutturarsi di organismi rivendicativi che hanno teso a diventare i rappresentanti della protesta. Per come ci è dato di capire la situazione, a Roma la situazione appare più fluida da questo versante.
In sintesi siamo di fronte ad un settore in lotta che, di fronte ai processi di ristrutturazione e al conseguente peggioramento delle proprie condizioni di lavoro, si pone su un terreno della resistenza e della difesa dagli attacchi del capitale. In questo tentativo di difesa, il movimento è costretto a superare (l'esperienza dei lavoratori genovesi insegna) i limiti stessi che il capitale impone alle lotte, sia sotto forma di gabbie sanzionatorie sia attraverso il controllo dei vecchi sindacati tradizionali, i quali sono stati “oggettivamente” scavalcati, anche in virtù del fatto che oramai questi ultimi giocano completamente il loro ruolo all'interno degli assetti neocorporativi del rapporto capitale-lavoro e quindi lì dove si aprono delle crepe più difficile è per loro l'azione di recupero e sterilizzazione della lotta, anche perché i lavoratori stessi sono memori di quante sconfitte hanno subito “grazie” a questi sindacati.
D'altra parte, come il corso della lotta di classe ci insegna, di per sé una lotta che non sa superare i suoi stessi limiti, che rimane quindi ancorata ai motivi che l'hanno prodotta, rischia sempre di rifluire dentro il sistema, riproducendo sotto altra forma quella logica economicista ed immediatista che la ha generata, quale spinta primaria e oggettivamente naturale, ma al contempo suo ostacolo invalicabile.
Come abbiamo sempre indicato, il passaggio di una lotta dal piano immediato a quello generale, non solo rende necessario il superamento di una logica di categoria, ma anche la costruzione di un processo di unità con gli altri spezzoni di classe che si pongono sul terreno di lotta.
Ma questa condizione necessaria impone il farsi carico, nella lotta, della dimensione politica del conflitto di classe, carico che può essere appannaggio solo degli strati più maturi, capaci di portare su un piano più avanzato la lotta e che, indipendentemente dai suoi esiti, sappiano sedimentare organizzazione rivoluzionaria.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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