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Home ›Siria: quanti morti, quante illusioni da sfatare
La rivolta
Dal mese di marzo la Siria è teatro di massacri. Più di 1300 persone, tra cui molti bambini, sono morti (contro gli 800 morti che furono necessari in Egitto prima della rimozione di Mubarak ad opera dell’esercito) e mentre scriviamo si succedono i massacri compiuti dalle forze del regime, a cominciare da quello di Hama, che ha lasciato a terra almeno 70 morti dopo un altro venerdì di protesta. La risposta della “comunità internazionale” è stata notevole per la sua debolezza. Per decenni la Siria è stata definita “stato sponsor del terrorismo” da parte degli Stati Uniti ed è già sottoposta ad un regime di sanzioni, ma non vi è stato nessun invito ad andarsene al regime di Assad da parte degli Stati Uniti. È significativo che contro la Siria non sia stata presentata nessuna risoluzione delle Nazioni Unite, non ci sia stato nessun tentativo di intervenire militarmente come in Libia, ma solo una debole condanna verbale da perte di Obama e gli altri. È chiaro che la tragedia per i manifestanti siriani è che in questione non ci siano petrodollari o forniture di petrolio. Ed è chiaro che l’Occidente o Israele non necessariamente salutino con favore un “cambio di regime” in Siria, in quanto ciò getterebbe più che mai il Medio Oriente nel caos. Al regime di Assad, sostenuto dai suoi alleati imperialisti in Iran (che hanno inviato consulenti per affrontare i disordini di strada - una pratica in cui hanno una lunga esperienza), Russia e Cina, è stata lasciata mano libera per reprimere brutalmente tutte le manifestazioni a partire dal marzo. In sintesi: Europa e Usa non hanno forzato la mano per non mettere in moto la reazione di Russia, Cina e Iran. Al contrario di quanto sta avvenendo nello Yemen, dove Iran e Arabia Saudita, con l’ausilio degli Usa, si confrontano anche militarmente sulla permanenza di Saleh al potere. L’equilibrio politico nella penisola arabica (petrolio e non solo) è ben più importante delle vicende siriane.
Queste vicende ricordano un altro episodio brutale nella storia recente della Siria.
In febbraio 1982, la Fratellanza Musulmana organizzò una sollevazione di 5000 uomini armati contro il padre dell’attuale Assad, Hafez, nella città di Hama. In risposta, l’esercito circondò la città, la privò di acqua, elettricità e linee di telecomunicazione, e cominciò a bombardarla. Non una sola persona sarebbe potuta sfuggire e viene riportato che infatti l’esercito uccise perfino sostenitori del regime. Ben 20.000 persone potrebbero essere morte in quella strage. Il messaggio era chiaro e fu compreso. Ogni resistenza sarebbe stata trattata senza pietà. Da allora, fino a questo marzo, ci sono state solo voci intellettuali a sollevarsi in segno di protesta contro la corruzione del regime e la stagnazione dell’economia. Gli attuali moti in luoghi diversi sono scoppiati quando il regime ha arrestato una decina di bambini per aver disegnato graffiti anti-regime a Daraa.
Tuttavia l’ispirazione per le attuali “insurrezioni” deriva, ovviamente, dagli esempi di Tunisia, Egitto e di altri paesi del mondo arabo. Come altrove, i partecipanti sono in gran parte dei giovani lavoratori, lavoratori occasionali o disoccupati, assieme ad elementi della classe media che hanno ricevuto una formazione universitaria, ma almeno il 20% dei quali sono disoccupati. Come i loro omologhi in altri paesi (compresi i paesi più ricchi di capitale) non hanno alcuna speranza in un futuro. Non riescono a sposarsi o a trovare un lavoro retribuito significativo e la maggior parte vive con i genitori. La classe operaia industriale nel suo complesso non ha ancora aderito in massa alle manifestazioni, e non in termini di classe, ma solo individualmente. Come per altre rivolte della “primavera araba”, le richieste principali sono la fine del governo dell’attuale casta dominante e l’introduzione della “democrazia”. Principalmente, chiedono la cancellazione dell'articolo 8 della Costituzione, che mette la direzione dello stato nelle mani del “partito socialista arabo Baath”, oltre al termine di un non meglio definito “fronte nazionalista e progressista” e al rovesciamento del regime di Assad. Lo slogan principale di ogni manifestazione è stato semplicemente di porre fine al regime di Assad. La rivolta tuttavia non è integrata come in Tunisia e in Egitto e fino ad ora si compone di movimenti separati in questa o quella città o villaggio.
Cenni storici
A prima vista il regime sembra trovarsi in una posizione pericolosa. Dopo tutto si basa unicamente sulla minoranza musulmana siriana, i Nusayri (1) che poi hanno preso il nome di alawiti su insistenza dei colonialisti francesi, loro promotori dopo il 1919. Alla Francia fu affidato il “mandato” per amministrare la Siria e il Libano, anch'esso strappato agli Ottomani con il Trattato di Sèvres, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Questo doveva durare fino a quando i siriani (che non erano mai esistiti come nazione) non fossero stati “in grado di governarsi da soli”, come all'epoca ci si esprimeva con condiscendenza nei circoli imperialisti. Gli alawiti sono una corrente bizzarra di musulmani, con regole assai poco ortodosse, tra cui: nessuna condanna dell'alcol, mancato rispetto di molti principi di base del culto islamico, come la frequentazione della moschea, e venerazione dei santi cristiani. Da solito vengono erroneamente definiti sciiti, poiché professano fedeltà anche ad Ali, il quarto Califfo venerato da tutti gli sciiti, ma in Siria sono una minoranza di meno del 7% (non si sa esattamente dato che i censimenti siriani evitane le questioni di denominazione religiosa) in un paese costituito da minoranze, sia religiose che laiche, tra curdi, musulmani, drusi e cristiani, ma che ha una enorme maggioranza enorme sunnita (stimata al 75%).
Sotto i francesi, gli alawiti, insieme ad altre minoranze, per la prima volta ottennero sussidi, diritti di legge e tasse più basse rispetto ai loro connazionali sunniti e furono sostenuti come contrappeso ai sunniti filo-ottomano. In particolare, gli alawiti prosperarono nell'esercito. Essendo gli alawiti principalmente contadini rurali, trovarono nell'esercito un utile strumento di mobilità sociale. Dato che dopo il 1946 non riuscivano più a pagare la tassa di esenzione, altri Alawiti andarono sotto le armi, a livello superiore rispetto alla loro presenza nella società. Questo fatto fu trascurato dai sunniti, che tornarono a dominare la Siria dopo la scadenza del mandato francese nel 1946. Gli alawiti furono estromessi dagli affari di governo, dalle professioni legali e dai servizi civili, ma non dalle forze armate. Gli alawiti (che a loro volta sono suddivisi in 4 clan rivali) trovarono un veicolo di unificazione nel Partito Baath (Rinascimento) (fondato nel 1947). Con la sua ideologia laica e di “socialismo arabo” (2), divise i sunniti ma fu apprezzato dalla maggior parte degli alawiti. Non pose fine alle loro rivalità, ma divenne un veicolo della loro ascesa al potere. Dopo una serie di colpi di stato militari, il partito Baath arrivò al potere nel 1963. Nel 1970, il colpo di stato incruento dell'allora ministro della Difesa - Hafez al-Assad, padre dell'attuale presidente Bashar al-Assad - non solo portò al potere i baathisti, ma unificò anche i clan alawiti. Questa è stata la roccia sulla quale il regime si è insediato, dando favori ad altre minoranze religiose, e ad alcuni sunniti accuratamente selezionati, al fine di mantenere una base di potere abbastanza ampia.
Il regime ha dovuto affrontare una serie di crisi (l'assassinio del presidente libanese Hariri e il conseguente ritiro siriano dal Libano nel 2005, l'incidente di Hama già citato ecc), ma la più grave crisi che il regime ha affrontato finora è stata la morte di Hafez al-Assad nel 2000. A ciò fece seguito l'ascesa del tirocinante oculista Bashar al-Assad. Bashar dovette abbandonare la carriera scelta nel 1994, alla morte del fratello maggiore Basil. Dopo essere stato frettolosamente arruolato nell'esercito, ottenne una rapida promozione a colonnello. Quando infine suo padre morì, la Costituzione fu cambiata (lui aveva 34 anni, mentre serviva averne 40 per diventare presidente) per consentirgli di assumere la carica. Tutto fu architettato in maniera tale che la guardia Ba-athist vecchio, l'elite alawita e soprattutto la famiglia Assad potesse continuare a tenere in mano le redini del paese. Mentre i cugini, gli zii e il fratello minore controllavano i servizi segreti militari, gli affari erano dominio della famiglia di sua madre, la Makhloufs (un dominio tanto forte, che spesso la Siria viene ironicamente definita come “Makhloufistan”). Inutile dire che la corruzione opera, come ha fatto in Egitto e Tunisia, ad ogni livello dello Stato e che i servizi di intelligence sono dappertutto.
Jisr al-Sughour
Dato che alla Siria non mancano, come abbiamo visto, amici internazionali, il regime di Assad (a differenza di Gheddafi) non si trova in una situazione disperata. La sua debolezza può risiedere nel fatto che, sebbene le truppe d’élite nell’esercito siriano siano alawite (pari a circa 200.000 soldati), i coscritti sono sunniti (300.000). Nella repressione corrente, i responsabili principali sono le truppe di altre minoranze (curdi, drusi ecc.) (2), ma la situazione in Jisr al-Sughour suggerisce che si stiano aprendo le prime crepe nelle forze armate. Le informazioni sono scarse e non verificate, ma con il governo che sostiene che 120 membri delle forze di sicurezza siano stati uccisi, il suggerimento è che questi erano in rivolta contro le azioni del governo. Questo fatto non può essere confermato, ma il prossimo bagno di sangue è già in preparazione. Mentre scriviamo 30.000 truppe governative hanno circondato la città e hanno bruciato i raccolti nei campi circostanti. Tutti coloro che potevano sono già fuggiti, sia verso la Turchia, dove la Mezzaluna Rossa hanno istituito dei campi (con le truppe turche che impediscono l’accesso alla stampa internazionale), o verso le città costiere della Siria. Alcuni hanno suggerito che la città sia già una città fantasma, in cui sarebbero rimasti solo quelli “troppo poveri” per andarsene. Elettricità e acqua sono state tagliate previsione di un assalto dalle truppe governative. C’è odore di Hama -1982.
Finora, la situazione vede un movimento composto in gran parte da civili disarmati che chiedono “diritti democratici”, mentre il mondo “democratico” guarda senza alzare un dito. Le guerre civili, in Siria e negli altri paesi, sono presentate spesso come guerre tribali per la lotta per il potere, ma va detto anche che queste sono delle vere e proprie frange borghesi che lottano tra di loro facendo leva sulla vecchia struttura tribale. Queste borghesie si scontrano per nuovi interessi economici (molto spesso per la rendita petrolifera) usufruendo delle vecchie strutture sociali che ancora, in parte, sono operanti. Non è il vecchio medio evo arabo che ritorna, ma il moderno imperialismo che di questo si serve per raggiungere i propri obiettivi in una data situazione di composizione sociale e di alcune reminiscenze tribali.
La situazione dimostra non solo la bestialità del regime di Assad, ma anche il fallimento del sistema sociale decadente che è il capitalismo moderno. E la tragedia è che quelle persone, come quelle nel resto del mondo arabo, che stanno protestando e morendo per la “democrazia”, dovranno imparare sulle loro stesse gravi sofferenze e ferite che il culto della democrazia capitalista è il mezzo migliore per il loro ulteriore sfruttamento vizioso (sia pure in una veste più “civilizzata”). Nessuno e nessuna parola può convincerli ad altro. Dovranno imparare attraverso la propria amara esperienza - cioè, se ciò gli sarà consentito…
Jock, 2011-06-13(1) Da Ibn Nusayri, fondatore della setta nel nono secolo.
(2) Tuttavia le notizie riportate sono contraddittorie. Dato che ai giornalisti stranieri non è permesso operare nel paese, molti dei fatti da loro citati devono esere presi come provvisori. Alcuni riportano che la maggior parte delle repressioni sia stata eseguita dalla 4a divisione corazzata guidata dal fratello più giovane del presidente, Maher.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #07
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