La guerra in Spagna

Introduzione - Un articolo da Bilan

Il saggio che qui presentiamo venne scritto da Melis (pseudonimi: Mitchell e Jehan), un compagno della Frazione Belga della Sinistra Comunista Internazionale, in polemica con la Ligue des Communistes Internationalistes (LCI) - di cui fino ad allora aveva fatto parte - guidata da A. Hennaut, il "compagno H..." richiamato più volte nel testo.

Questo documento servì come base per la scissione della minoranza della LCI, che subito dopo formò, appunto, la Frazione Belga, sulle stesse posizioni dei nostri compagni della Frazione Italiana. (1)

È stato scritto prima dei fatti del maggio 1937, quando, a Barcellona, il governo Companys scatena una sanguinosa repressione contro i proletari catalani, in buona parte militanti anarchici e del POUM, assassinando, tra gli altri, Berneri, Ascaso, Nin: la politica improntata alla collaborazione di classe, spietatamente denunciata come tale dai nostri compagni, aveva dato i tragici risultati da essi previsti. Non per questo, però, la CNT e la FAI ritirano il loro appoggio politico al governo "antifascista", portando in tal modo a compimento il tradimento di classe avviato con la loro adesione alla guerra antifranchista - ma non anticapitalista - e ai governi repubblicani borghesi, per non parlare del mancato appoggio, da parte della CNT, ai minatori asturiani nel 1934.

La guerra di Spagna risulta così la pietra tombale dell'anarchismo e di tutte le altre correnti sedicenti rivoluzionarie, le quali hanno recitato fedelmente lo stesso copione anticapitalista a parole, borghese nei fatti, durante la seconda guerra mondiale e nei decenni successivi, fino a oggi. Non basta, infatti, dirsi antistalinisti per essere anticapitalisti: è il caso del trotzkismo in tutte le sue varianti e, forse ancor di più, dell'anarchismo, i quali quest'anno si sono lanciati in un'orgia di commemorazioni della "Spagna '36" per esibire la loro verginità antistalinista e antagonista. Così come nel 1936 accettarono "l'aiuto" tutt'altro che disinteressato di Stalin - nel frattempo impegnato a fucilare la vecchia guardia bolscevica - e, soprattutto, parteciparono a governi borghesi fornendo la classica copertura "a sinistra" alla borghesia, oggi anarchici e antagonisti vari amoreggiano qui e là con Rifondazione Comunista, condividendone gran parte del programma politico: dal lavorare meno/lavorare tutti, ai lavori socialmente utili, al Chiapas per finire alla lotta contro la Destra, in nome, naturalmente, di un antifascismo genericamente inteso, ma sempre senza mettere in discussione le leggi fondamentali del modo di produzione capitalistico e del suo Stato (democratico) se non, quando "va bene", in un futuro non meglio precisato, purché molto lontano.

Il saggio di Jehan venne pubblicato per la prima volta nel 1946 sulla rivista della Frazione Belga "Entre deux mondes". Com'è scritto nella prefazione (pag. 18):

Senza dubbio, se fosse vissuto, il nostro compagno oggi l'avrebbe presentato non più in uno stile polemico, ma sotto una forma più diretta e più accessibile. Ma egli è caduto, vittima dei campi di sterminio della borghesia tedesca. Così, è come omaggio alla sua memoria [e a quella di tutti i compagni di allora - ndr] che noi la pubblichiamo adesso nella sua forma originale.

Durante la seconda guerra mondiale Jehan venne arrestato, con suo figlio, dalla Gestapo e scomparve nel campo di sterminio di Buchenwald.

Prometeo, 1996

1. I termini del problema

Non possiamo capire gli avvenimenti di Spagna se non li collochiamo nella realtà storica che si traduce, da una parte, nella decadenza del capitalismo e, dall'altra, nella profonda depressione del movimento operaio internazionale.

Vediamo rapidamente di cosa si tratta.

A proposito della Spagna si è parlato molto a vanvera sulla "rivoluzione borghese", "dimenticando" che si tratta di una nozione anacronistica spazzata via dall'evoluzione capitalistica e che si rapporta a un'epoca storica ormai completamente superata.

Le rivoluzioni borghesi che si succedono per due secoli a partire dalla metà del XVII secolo, esprimono lo schiudersi della nuova società che germinò nel seno del feudalesimo.

Di contro, nell'epoca dell'Imperialismo decadente, la Rivoluzione borghese perde significato storico poiché sono sorte le condizioni obiettive per la scomparsa del capitalismo. Si può solamente parlare di Rivoluzione borghese come compito particolare del proletariato là dove le condizioni storiche hanno frapposto ostacoli al completo sviluppo dell'organizzazione borghese. Fu, questo, il caso della Russia, dove la prima fase della rivoluzione proletaria dall'Ottobre 1917 all'autunno 1918 portò a compimento la rivoluzione borghese. Questo può essere anche il caso della Spagna. Evocare, qui, la rivoluzione borghese come compito della classe borghese spagnola è tanto assurdo quanto affermare che la sua ascesa al potere data dalla proclamazione della Repubblica nell'aprile 1931. È un'ironia della storia che la borghesia di Spagna non sia mai giunta a completare la sua opera economico-sociale quando essa figura tra le più vecchie borghesie d'Europa: è uno degli agenti attivi dell'accumulazione primitiva così come si può appoggiare fin dal XIII secolo, prima di altre nazioni, su una forma primitiva di parlamento: le Cortes.

Ma è proprio la sua potenza prematura che ha fatto della Spagna il paese arretrato di oggi. Attingendo a piene mani nelle sue ricchezze coloniali, ebbra della sua ascesa vertiginosa, fu incapace di adattarsi alle trasformazioni che agirono sulla struttura economica dell'Europa nel XVI e XVII secolo, fino all'epoca in cui precipita nella sua decadenza. Mentre "nazioni" moderne, basi del capitalismo, si costituiscono in Inghilterra, Francia, Olanda, sotto la spinta del centralismo statale, la Spagna, su uno sfondo di stagnazione economica, non riuscì a vincere la forza disgregatrice delle tendenze separatiste. L'autonomismo spagnolo, che è ben più un prodotto storico che geografico, invece di diluirsi nella "Nazione", come avvenne soprattutto in Francia, trovò nuovo alimento nel parassitismo delle classi dominanti che incancreniva tutto l'organismo sociale, paralizzava l'attività e l'iniziativa della borghesia delle città e la fece ripiegare su se stessa. È questo che fa sì che oggi in Spagna lo spirito separatista sia dominante e che domani vi complicherà in misura notevole i compiti della rivoluzione proletaria, tanto più che le correnti agenti dentro la lasse operaia, lungi dal sottolineare la necessità di una lotta centralizzata contro il capitalismo, favoriscono la vitalità delle tendenze autonomistiche. (2)

La società spagnola, nella sua forma incompiuta, metà feudale metà borghese, non poté tuttavia evitare di diventare un ingranaggio del sistema borghese di produzione, acquisendo perciò una natura e un contenuto borghesi. Il capitalismo mondiale si appoggiò su di un amalgama di classi parassite formato da una minoranza specificamente borghese affiancata da feudali "imborghesiti", nobili terrieri, congregazioni religiose, per accaparrarsi all'ingrosso le risorse nazionali attraverso un feroce sfruttamento delle masse operaie e contadine. Fino allora lo strumento di questo sfruttamento fu, in mancanza di un apparato statale potentemente centralizzato al servizio di una borghesia politicamente forte, una monarchia burocratico-militare, vivente sulla lenta decomposizione delle classi dominanti, che salvaguardava la loro esistenza: un rapporto sociale analogo, globalmente, a quello che esisteva in Russia sotto lo zarismo.

Intanto, nei fatti, il capitalismo spagnolo soffriva da tempo allo stato endemico di una crisi sociale profonda che lo scuoteva periodicamente fin nelle fondamenta e questa era il frutto amaro della sua eterogenea composizione, della natura ibrida della sua struttura economica e politica. Ma questa crisi non era affatto il risultato dello scontro tra il feudalesimo e le forze nuove di una borghesia rivoluzionaria; essa era circoscritta in seno alle classi dominanti in quanto lotta di minoranze che si contendevano il potere e le prebende, una lotta nella quale il proletariato non arrivava mai a intervenire come forza politica indipendente. Tuttavia, l'asse delle lotte si spostò quando il proletariato industriale e agricolo accrebbe il suo peso specifico nell'economia. Sappiamo che la neutralità della Spagna [durante la prima guerra mondiale n.d.r.] favorì un certo sviluppo economico, al quale contribuì anche un intervento più massiccio del capitale straniero nello sfruttamento delle miniere e delle industrie. Ma questa prosperità effimera e del tutto relativa non fece altro che accelerare in seguito il processo di decomposizione della società spagnola, quando la crisi mondiale ebbe di nuovo brutalmente svelato la realtà della decadenza irreversibile del capitalismo (già mostrata dalla guerra imperialista).

In un clima storico che escludeva una nuova espansione delle forze produttive nella sua forma capitalistica, per la borghesia spagnola non poteva più porsi il problema di completare quella rivoluzione industriale che non era stata capace di realizzare precedentemente. Lungi dal poter pensare di associare il "suo" proletariato a un'utopica prosperità (non ci pensava affatto), al contrario il suo fine era quello di asservirlo completamente e dissanguarlo se soltanto voleva salvaguardare il suo dominio. Insomma, doveva risolvere quello stesso problema che si poneva davanti alla borghesia mondiale, ma disponendo di mezzi molto più ridotti che non, per esempio, gli Stati capitalisti democratici. Se dal 1931 al 1936 essa fallì nel suo tentativo di giocare la carta "democratica", ciò è dovuto alla sua debolezza "congenita" e non perché i rapporti di classe le sarebbero stati sfavorevoli, il che è in contraddizione con la realtà delle cose. Infatti, come vedremo nel capitolo seguente, la repubblica democratica, ben lungi dall'aver favorito lo sviluppo ideologico e politico del proletariato e, di conseguenza, la costruzione del suo partito di classe, ha contribuito al rafforzamento delle forze controrivoluzionarie agenti nelle masse socialiste, staliniste, anarco-sindacaliste, corrompendo i deboli nuclei comunisti salvatisi dallo sfacelo della III Internazionale.

In Spagna si assiste in una forma condensata a quello che era avvenuto negli altri paesi capitalisti durante l'epoca del "rinnovamento" democratico che seguì la guerra imperialista.

Se il criterio internazionalista significa qualcosa, bisogna affermare che sotto il segno di una crescita della controrivoluzione sull'arena mondiale, l'orientamento politico in Spagna dal 1931 al 1936 non poteva che seguire una direzione parallela e non il corso inverso di uno sviluppo rivoluzionario.

Dobbiamo avere tutto ciò ben presente se vogliamo trarre un insegnamento positivo dagli avvenimenti di Spagna dopo il luglio 1936. Inoltre, siamo dell'opinione che una lotta proletaria nazionale può crescere fino a raggiungere i suoi scopi finali e di riflesso sconvolgere la situazione internazionale solo se quest'ultima contiene già dentro di sé gli elementi di maturità rivoluzionaria. Considerando il problema da un altro verso, tutto ciò significa che, nel quadro nazionale, la rivoluzione non può scoppiare che come prodotto di una situazione rivoluzionaria a scala internazionale. È solo su questa base che possiamo spiegare tanto le sconfitte della Comune di Parigi e della Comune russa del 1905, quanto la vittoria del proletariato russo nell'ottobre del 1917.

È un fatto incontestabile che la specifica evoluzione del capitalismo spagnolo ha favorito lo sviluppo di poderosi fattori obiettivi della Rivoluzione: in primo luogo, una borghesia priva di un potere centrale solidamente costituito, debolmente organizzata e il cui campo di manovra politico era strettamente limitato; in secondo luogo, una maturazione molto spinta dei contrasti sociali esprimenti la povertà economica della Spagna; e, in terzo luogo, la capacità combattiva dei proletari e dei contadini temprati al fuoco di lotte sparse che punteggiano la loro esistenza miserabile. Non è men vero che il proletariato spagnolo è sprofondato in questa tragica situazione che, essendo esattamente l'opposto di un "anello debole" del capitalismo mondiale, egli lotta nelle peggiori condizioni perché è privato degli strumenti della sua emancipazione: il partito di classe e il programma della Rivoluzione. Se ci fosse ancora il minimo dubbio sul ruolo fondamentale del partito nella Rivoluzione, l'esperienza spagnola dopo il luglio 1936 sarebbe sufficiente a spazzarlo via definitivamente. Anche assimilando l'attacco di Franco all'avventura di Kornilov nell'agosto 1917 (il che è falso storicamente e politicamente) il contrasto fra lo svolgimento dei due eventi rimane nettissimo. Uno, in Spagna, determina una progressione della collaborazione di classe fino all'Unione Sacra di tutte le forze politiche; l'altra, in Russia, si orienta verso un innalzamento della lotta di classe che sfocia nell'insurrezione vittoriosa, sotto il controllo vigile del partito bolscevico, temprato da quindici anni di lotte con la critica e con le armi.

Ci sarebbe voluto un miracolo perché il proletariato spagnolo potesse "lui stesso" aprirsi il suo cammino di classe. Ma sappiamo che i miracoli "sociali" non si conciliano con la dialettica materialista.

2. L'origine degli avvenimenti di luglio

Viste le condizioni sociali che la fecero nascere, la Repubblica democratica del 1931 non significava affatto l'avvento di una borghesia facente tabula rasa delle ultime vestigia feudali. Abbiamo detto del perché non poteva porsi la questione di realizzare il programma integrale della rivoluzione borghese. In realtà, la "Rivoluzione" dell'aprile 1931, nata sotto la spinta di una serie di scioperi che non avevano fatto altro che svilupparsi dopo la caduta di Primo de Rivera [il dittatore che governò dal 1923 al 1930 - ndr] un anno prima, si limitò a sostituire la forma repubblicana del dominio capitalista a un'altra forma di dominio capitalista divenuta insostenibile: la fradicia monarchia di Alfonso XIII. Ma lasciò intatto l'apparato oppressivo dello stato borghese: la burocrazia, la polizia, il militarismo. Fu modificato solamente il personale politico, leggermente venato di radicalismo e socialismo. Il Governo provvisorio, una vera arlecchinata, rivelò tuttavia la sua omogeneità nel fatto di essere composto da nemici irriducibili del proletariato, a cominciare dai repubblicani di destra di Zamora, monarchici pentiti, fino alla sinistra socialista di Caballero (ex consigliere di Primo de Rivera), a Prieto, a de los Rios [esponenti socialisti - ndr], passando attraverso il centro radicale che va da Lerroux ad Azana. Per opportunismo politico, la "repubblica dei lavoratori" gettò in pasto agli operai e ai contadini un programma di miglioramento economico e la riforma agraria che avevano per obiettivo quello di distoglierli dalla lotta diretta contro il capitalismo, ma non erano per niente destinati ad essere tradotti in realizzazioni concrete.

La borghesia "repubblicana" esattamente come prima, quando era monarchica, non poteva pensare di risolvere i complessi problemi economici posti di fronte ad essa, sviluppare il suo apparto industriale, rivitalizzare la sua economia agricola dotandola di una rete idrica e apparecchiature moderne, di procurare del pane alle masse proletarie e contadine. Insomma, non si trattava di porre le basi di un'intensa accumulazione di profitti e di mezzi di produzione in un clima storico che soffocava ogni possibilità di espansione, ma bisognava fronteggiare una crisi economica che esasperava ulteriormente i contrasti sociali, sollevando i problemi strutturali che il capitalismo spagnolo sperava di poter risolvere puntando sul tavolo della "Democrazia".

Ci si può immaginare fino a quale punto la depressione mondiale, che aveva dissestato i più potenti Stati capitalisti, avesse allargato le numerose crepe dell'arretrata economia spagnola. Il suo centro vitale, il settore agricolo, era stato particolarmente intaccato da un crollo, in volume e in prezzi, delle esportazioni che prima costituivano i 2/3 delle esportazioni totali. La profondità di questo disastro può essere valutato in rapporto alle specificità strutturali dell'agricoltura spagnola. Questa, dal punto di vista sociale, determina infatti la sorte del 70% della popolazione totale - su cinque milioni di lavoratori (escluse le loro famiglie), tre milioni e mezzo non possiedono neppure un fazzoletto di terra in proprio; fra essi, ci sono due milioni di proletari (pressappoco la cifra del proletariato industriale) che rimangono disoccupati per metà dell'anno, il cui reddito annuale sorpassa di poco un milione di franchi belgi. In specifico, l'85% del totale dei lavoratori dispone solo del 13% delle terre arabili; un 14% di contadini agiati possiede il 35% e un 1%, formato da grandi proprietari e congregazioni religiose possiede più della metà delle terre. Inoltre, i 3/4 dei fondi hanno un'estensione inferiore all'ettaro. La disoccupazione endemica, le imposte schiaccianti di contro alla precarietà delle entrate, la decima dovuta alla chiesa, non scomparsa, il prezzo elevato dei prodotti fanno sì che i 4/5 della popolazione agricola viva una situazione di fame permanente e di indigenza indescrivibile.

Due, le caratteristiche essenziali dal punto di vista economico: un impianto tecnologico mediocre e una penuria d'acqua che in certe regioni è grave al punto che esiste la proprietà privata sull'acqua stessa.

Siffatte condizioni economico-sociali spiegano la penetrazione dell'ideologia piccolo borghese degli anarchici nella testa di milioni di contadini-proletari ossessionati dal possesso della terra e nello stesso tempo l'ardente combattività del contadiname. Questo non vuol dire che il problema agrario si porrà al proletariato spagnolo dallo stesso angolo visuale in cui si è posto in Russia. Noi pensiamo che le condizioni geografiche (minor estensione e problema dell'irrigazione) giustapposto all'esistenza di un proletariato agricolo molto denso, faranno sì che la produzione collettiva dovrà sopravanzare la parola d'ordine borghese della divisione della terra, sulla base della nazionalizzazione integrale del suolo in quanto compimento della rivoluzione borghese.

In rapporto all'economia agricola, il settore industriale occupa un posto secondario; ma, in analogia con la struttura della Russia zarista, il proletariato - potentemente concentrato in alcune regioni - occupa nella produzione una posizione che, dal punto di vista storico, ne fa necessariamente la sola classe rivoluzionaria. Di conseguenza, il suo dinamismo alleato a quello dei contadini complicava di molto il compito della Repubblica democratica la quale aveva come obiettivo essenziale quello di contenere i contrasti di classe e distruggere ogni possibile sviluppo della coscienza proletaria. Da questo punto di vista il disegno del capitale è perfettamente riuscito. Non perché le masse siano rimaste inattive, al contrario. Con l'avvento della Repubblica, l'azione operaia si è amplificata. I cinque anni di idillio democratico sono punteggiati da scioperi locali e generali, sommosse, "rivolte" contadine che fanno da corona al movimento insurrezionale dell'ottobre 1934.

Ma ogni volta le masse sono rimaste sotto l'influenza del programma democratico borghese e delle forze politiche che se ne facevano portatrici, perché le masse nel fuoco delle loro lotte non giungevano mai a opporre alla borghesia il programma della rivoluzione proletaria e gli organi capaci di realizzarla. Non soltanto la repubblica si incorporò i partiti socialista, staliniano e l'UGT [il sindacato prevalentemente socialista - ndr], ma beneficiò ancor più largamente di prima del confusionismo anarcosindacalista della CNT. Di più, giunse fino a impedire ogni chiarificazione all'interno dei debolissimi nuclei comunisti che vivacchiavano, e di conseguenza soffocò ogni possibilità di creare le basi per la fondazione del partito di classe. Ogni volta che le masse ricorrevano all'azione diretta e minacciavano i privilegi capitalisti, la Repubblica rispondeva col piombo.

Queste prime conclusioni possono essere tratte da una breve analisi del periodo che va dall'agosto 1931 al luglio 1936. Già immediatamente dopo l'instaurazione del regime "democratico", le agitazioni e gli scioperi presero proporzioni tali che l'UGT e il partito socialista dovettero "esortare" gli operai a riprendere il lavoro assicurando il Governo sulla loro volontà di difendere la repubblica. Dopo le elezioni alle Cortes costituenti di giugno, che assicurarono una maggioranza repubblicano-socialista, gli scioperi si riaccendono e a Siviglia (dove la CNT aveva proclamato lo sciopero generale) si spara sui proletari. L'ondata di scioperi si estende fino ad ottobre, a quel punto, il governo si "radicalizza". Zamora lascia il posto ad Azana che esclude la destra pur mantenendo l'avventuriero Lerroux, radical centrista.

Azana si affretta a far votare la legge di difesa della repubblica che ha lo scopo di impedire gli scioperi imponendo il preavviso, instaura l'arbitrato obbligatorio e le commissioni paritarie. Inoltre, dichiara illegali i sindacati che non rispettano l'obbligo del preavviso.

In dicembre, nuovo scivolamento a sinistra con il gabinetto Azana-Caballero e l'esclusione di Lerroux, che si limita ad una radicalizzazione verbale del programma iniziale, specialmente della questione agraria. Poco dopo, passa alla repressione del tentativo anarchico di instaurare le comuni libertarie nella regione di Barcellona. In compenso, si progetta di espropriare le terre "mal coltivate".

Nell'agosto 1932, la Destra tasta il terreno sferrando un attacco militare a Madrid e a Siviglia (Sanjurjo) che fallisce.

In settembre, le Cortes votano la "riforma" agraria consistente nella vendita a riscatto delle terre peggiori ai contadini !

All'inizio del 1933, nuova ondata di scioperi culminati nel massacro a Casas Viejas (Cadice) di operai disarmati e prigionieri e nella feroce repressione delle "occupazioni" delle terre.

L'autunno del 1933 segna una conversione politica a destra con l'eliminazione di Azana da parte di Barrios e la creazione del partito cattolico populista di Gil Robles. Le elezioni alle Cortes, a cui sono state chiamate le donne, confermano il nuovo orientamento con il trionfo degli agrari e dei radicali di Lerroux.

Una reazione operaia generale di ispirazione anarcosindacalista, provoca il sabotaggio da parte dell'UGT e dei socialisti, fedeli cani da guardia della Repubblica e la violenta repressione di Barrios.

Poi si succedono i gabinetti Lerroux, che si sposta sempre più a destra fino a ricevere l'appoggio aperto di Gil Robles, mentre il partito socialista fa del "sinistrismo" su ispirazione di Caballero, al fine, in prospettiva, di poter strangolare meglio le lotte operaie.

Sopraggiungono gli avvenimenti dell'ottobre 1934 quando, nelle Asturie, socialisti e staliniani giungono a dirigere l'insurrezione verso il massacro, mentre in Catalogna lo sciopero generale, che scoppia spontaneamente a dispetto dell'astensionismo raccomandato dagli anarchici, è rapidamente spento dalla CNT medesima che, oltre a ciò, ne aveva impedito lo scatenamento in Andalusia, Estremadura, Valencia e Aragona.

Gli avvenimenti seguenti mostrano che la situazione politica evolve verso uno stallo. Infatti, i gabinetti del centro-destra, nei quali finalmente partecipa Gil Robles in persona, non riescono ad affrontare i complessi problemi che sono sul tappeto e, nel dicembre 1935, c'è la crisi e lo scioglimento delle Cortes seguito dal trionfo elettorale del Fronte Popolare.

La composizione stessa di questo Fronte Popolare rivela già fino a qual punto era progredita la decomposizione del movimento operaio dall'aprile del 1931. Infatti, il Fronte va dai repubblicani "tiepidi" di Barrios al POUM, "avanguardia proletaria", passando attraverso la sinistra catalana, quella di Azana, i socialisti, gli staliniani e i sindacalisti indipendenti di Pestana. Anche l'anarco-sindacalismo contribuì alla sua vittoria. Per altro, tutte queste forze dagli avvenimenti di luglio rivelarono brutalmente la loro funzione capitalistica. In realtà, la corta gestione del Fronte Popolare non fece altro che preparare gli elementi dell'attacco che dava il via alla nuova politica di violenza del capitalismo. Da una parte, quegli stessi che stavano per scatenare il "complotto", i Franco, Mola, Caballero [quest'ultimo, come gli altri, era un generale e non l'omonimo Caballero socialista - ndr] Sanjurjo ricevettero l'investitura dalla repubblica del Fronte Popolare; dall'altra, fu proseguito il sabotaggio delle lotte operaie da parte dell'UGT e degli staliniani, denunciando i "provocatori" anarchici e gli scioperi "indisciplinati".

Inoltre, l'impotenza borghese, ulteriormente accresciuta, a realizzare le riforme "democratiche" sovrapposta all'aggravamento dei contrasti sociali, e messa in rilievo dalla "vittoria" del Fronte Popolare, faceva precipitare gli avvenimenti.

Alla vigilia del luglio, abbandonati a se stessi, gli operai si apprestavano a ingaggiare nuove battaglie senza via d'uscita. Già da giugno era un corso a Madrid un grande sciopero dei muratori, dichiarato illegale dal governo Quiroga.

3. Guerra antifascista o guerra di classe?

Il compagno H... alla fine del suo rapporto, considera che una politica proletaria deve essere basata su ciò che esiste, per esempio sul fatto che gli operai spagnoli, dal luglio del 1936, si sono fatti sfuggire il potere CHE, gli pare, essi avevano in pugno. Ma un'analisi marxista, evidentemente, non può accontentarsi della semplice registrazione dei fatti. Da questa base, deve coglierne la reale natura e le cause se vuole trarre utili conclusioni dall'esperienza della lotta di classe. Ricercare perché, il proletariato spagnolo, malgrado il suo eroismo e il suo potente istinto di classe non abbia raggiunto quella coscienza rivoluzionaria che gli avrebbe permesso di completare la sua vittoria iniziale su Franco, spazzando via l'insieme della classe capitalista, così come di denunciare le forze politiche che gli hanno sbarrato la strada del potere, non vuol dire disprezzarne la capacità combattiva dispiegata.

Costruire una politica proletaria sulla realtà dei fatti è necessario, ma essa è valida solo in quanto non si snaturi quei fatti, ossia li si valuti correttamente in funzione dei rapporti di classe che essi esprimono, rapporti che devono essere misurati tanto a scala internazionale che nazionale. Di più, questa politica, per non cadere nell'empirismo volgare, deve assolutamente ispirarsi ai principi già precedentemente elaborati al fuoco delle esperienze storiche, quali la concezione del Partito e dello Stato.

Per quanto riguarda gli avvenimenti che si succedono nelle prime settimane dopo il 19 luglio [data della risposta proletaria alla sollevazione militare - ndr], si potrebbe, basandosi sulle apparenze, attribuire loro il significato di una rivoluzione proletaria in marcia, quando, al contrario, le premesse politiche presenti nella realtà contraddicevano tale ipotesi. È vero che i membri del POUM successivamente ci hanno risposto che:

Gli operai hanno abbattuto il fascismo e si battono per il socialismo.

Nin, il 6 - 9 -'36

O anche che:

bisogna fare la rivoluzione proletaria.

In Catalogna la dittatura del proletariato esiste già.

Nin

O ancora:

Assistiamo in Spagna a una profonda Rivoluzione sociale; la nostra Rivoluzione è ancora più profonda di quella che ha travolto la Russia nel 1917.

Per quanto riguarda la concezione del Partito, essi aggiungono:

La dittatura del proletariato non può essere esercitata da un solo settore del proletariato, ma da tutti i settori, senza eccezione alcuna. Nessun partito operaio, nessuna centrale sindacale ha il diritto di esercitare nessuna dittatura (!).

Tale era la concezione "rivoluzionaria" di quelli che si piccavano di essere all'avanguardia del proletariato spagnolo. (3)

Conosciamo già la tesi opposta, del campo socialista e staliniano, dei difensori dello "ordine repubblicano nel rispetto della proprietà", della "Spagna democratica e libera" i quali ritengono che l'obiettivo non sia lo scontro tra le due classi fondamentali della società capitalista, Borghesia e Proletariato, ma la lotta tra Fascismo e Democrazia.

Qua si pone una seconda domanda: in che modo si è resa possibile questa Unione Sacra? La si deve spiegare unicamente con l'attività delle correnti agenti in seno al proletariato che dirigono la lotta antifascista in una direzione controrivoluzionaria; oppure bisogna ricercarne le radici nella fase iniziale di trasformazione della lotta proletaria in questa stessa lotta antifascista? Una terza questione si ricollega alla precedente: la guerra antifascista unilaterale è espressione della volontà degli operai o il prodotto di una manovra politica della borghesia democratica?

Sottolineiamo immediatamente questo: da una parte, l'attacco di Franco non rappresenta un colpo di Stato militare, un pronunciamento che si aggiunge alla serie dei pronunciamentos precedenti, ma si tratta incontestabilmente di una offensiva del capitalismo spagnolo nel suo insieme, come ne consegue dall'analisi che precede, tanto più che il "complotto" si organizzò con la tacita complicità della Repubblica del Fronte Popolare. Dall'altra parte, la risposta operaia è assolutamente spontanea e irresistibile, al punto che riesce a spazzare via la passività delle correnti "operaie" e la sorda ostilità della borghesia "repubblicana" di cui Zamora, più tardi, potrà dire che non avrebbe affatto pensato di resistere a Franco se non fosse stata spinta dalle masse. L'adattamento capitalista a una situazione dominata dall'iniziativa e dallo slancio degli operai è flagrante. La Storia, d'altronde, non abbonda forse di esempi che illustrano la duttilità politica della borghesia e la sua capacità di raddrizzare una situazione compromessa, purché sia salvaguardato nei suoi aspetti fondamentali, se non nelle forme, il suo Stato, condizione del suo potere politico ed economico? Perché il problema è proprio qui, e vi ritorneremo nel capitolo successivo. Ciò che all'occorrenza deve richiamare la nostra attenzione, non sono dunque gli aspetti contingenti della lotta, ma l'alterazione del contenuto di questa lotta, allorché il proletariato, ingannato sul valore politico dei repubblicani borghesi di Madrid e Barcellona, si astiene dal dirigere i suoi colpi contro di essi, allo stesso modo che contro Franco, e si lascia in tal modo illudere sul significato del suo successo immediato.

A riguardo, i fatti parlano chiaro. È precisamente dopo il 19 luglio che il proletariato (pensiamo soprattutto a quello di Barcellona) coniugando la lotta armata con lo sciopero generale (essendo la prima condizionata dal secondo) raggiunse il punto più avanzato nel cammino rivoluzionario, acquisì il massimo di coscienza politica compatibile con la sua immaturità ideologica, portò la lotta sociale ad un grado di tensione massimo. Qui, il compagno H... si mette in evidente contraddizione con la realtà quando afferma che “lo sciopero economico generale è impossibile sotto la minaccia dei fucili", perché, al contrario, esso contribuì alla sconfitta di Franco, proseguì ancora per più di una settimana e non furono gli operai che vi misero fine "coscientemente", ma le organizzazioni che li dominavano: CNT, UGT, POUM. D'altra parte, per un marxista non può porsi il problema di opporre astrattamente lo sciopero generale all'insurrezione, come fa il compagno H..., ma di collegare il primo con la seconda, di fondere le due lotte nella battaglia decisiva contro il capitalismo. È ciò che nel primo momento si realizzò in Spagna e soprattutto in Catalogna. Lo sciopero generale si innalzò subito sul piano politico e insurrezionale nello stesso momento in cui gli operai ponevano le loro rivendicazioni materiali: la settimana di 36 ore, l'aumento dei salari, l'espropriazione delle imprese senza tuttavia pervenire - in assenza del partito di classe - a percepire la necessità fondamentale della distruzione dello Stato capitalista. Ma questa visione potevano acquisirla in seguito, nel corso del processo di formazione del partito, a condizione di mantenersi su una base di lotta per i loro interessi di classe, per le loro condizioni materiali, la sola che poteva opporli direttamente all'insieme della classe capitalista.

Avvenne esattamente il contrario, a causa delle condizioni storiche in cui si trova il proletariato spagnolo, a causa della contraddizione insolubile in cui si trovò immerso, cioè quella di dover risolvere il problema del potere senza detenere il programma della Rivoluzione. Infatti, lo sciopero di classe iniziale molto rapidamente si trasformò in una guerra che oppone operai ad altri operai, contadini ad altri contadini, ma tutti sotto l'esclusivo controllo della borghesia, di Franco e di Azana, il cui potere era stato scosso ma non annientato. (4)

Affinché questo potere rimanesse in piedi, la Generalità di Catalogna [il governo autonomo - ndr] poteva tranquillamente legalizzare gli atti degli operai sul terreno economico, entrare nel "coro" delle correnti "operaie", che, tutte, indistintamente, illudevano gli operai sulle espropriazioni, il controllo operaio, la divisione delle terre, l'epurazione dell'esercito e della polizia, ecc., ma mantenevano un silenzio criminale sulla realtà terribilmente concreta, anche se non appariscente, dell'esistenza dello Stato capitalista.

Dunque, di conseguenza, è importante cogliere dall'inizio il significato reale degli avvenimenti, che sono di fondamentale importanza perché riteniamo che il loro contenuto politico sia stato il fattore determinante dell'evoluzione successiva degli eventi.

Le milizie proletarie, spontaneamente sorte dal fermento sociale, furono molto presto piazzate sotto il controllo del Comitato Centrale delle Milizie, amalgama politico a predominanza capitalista, perché i partiti socialista e staliniano avevano la maggioranza dei delegati.

Ma a nostro avviso, e vi torneremo sopra, il fattore decisivo che sconvolse la situazione da cima a fondo, fu lo spostamento d'asse della politica proletaria. All'obiettivo di classe si sostituì l'obiettivo antifascista. Le naturali rivendicazioni degli operai sono subordinate alla "necessità" della vittoria contro Franco. Il fronte militare prende il posto del fronte di classe. L'orientamento degli avvenimenti è ormai modificato di 180 gradi, non perché le forze capitaliste ne abbiano ripreso la direzione, ma perché essi hanno cambiato sostanza.

Il compagno H... negherà che la guerra sui fronti militari ha spento la lotta di classe e ne scopre la prova nel possesso e nell'amministrazione delle imprese da parte degli operai di Barcellona; ci sembra che il compagno H... si lasci troppo guidare dagli aspetti esteriori degli atti operai senza soffermarsi sul loro significato politico e senza collegarli ai reali rapporti di classe, il solo criterio marxista, in definitiva, da considerare. Il compagno H... non ha tenuto in alcun conto una serie di manifestazioni strettamente intrecciate tra di loro che ci forniscono la prova che la lotta militare contro Franco non poteva derivare dalla "volontà" operaia, sebbene venga attuata con il loro [degli operai - ndr] "consenso" (ma che vale questo consenso in assenza del partito di classe?), ma dalla manovra capitalista di strangolamento della rivoluzione proletaria.

All'incirca già dal 24 di luglio, l'UGT e la CNT (il POUM rimaneva in aspettativa) potevano intervenire per spegnere la lotta rivendicativa, in maniera tanto più agevole in quanto la Generalità di Companys [il capo del governo catalano - ndr], così come aveva legalizzato le milizie e il loro Comitato Centrale, aveva preso il toro per le corna e decretato la settimana di 40 ore, un aumento del 15% sui salari, assicurato la retribuzione completa degli operai in lotta e di conseguenza ristabilito un certo equilibrio sociale, il che vuol dire il ritorno all' "ordine" nelle piazze. La CNT, organismo maggioritario a Barcellona, può allora raccomandare la ripresa del lavoro nelle industrie alimentari, nei servizi pubblici e in quelle industrie che possono "appoggiare" la lotta antifascista. Due giorni dopo il POUM fa lo stesso al fine, dirà, di assicurare la fabbricazione di bombe, blindature ecc. ! Non è un prodotto del caso se, nello stesso tempo, gli obiettivi proletari sono offuscati e se gli operai sono allontanati dai centri vitali del capitalismo, Barcellona, Valencia e Madrid e sparpagliati nella campagna spagnola di Huesca, Teruel, Saragozza, Guadarrama, al fine di distruggere gli "ultimi covi fascisti", irrigiditi in seguito sui fronti militari e immersi, in fin dei conti, nell'asfissiante atmosfera della guerra che dissipa le ultime briciole di coscienza rimaste. Con la completa estinzione dello sciopero generale, verso il 28 luglio, il pericolo proletario era completamente allontanato, il dominio borghese tutelato e questo spiega perché gli operai potevano essere perfettamente lasciati alla loro illusione di detenere il potere economico, poiché quest'ultimo non poteva esercitarsi che per i bisogni della guerra antifascista e non servire d'appoggio alla conquista del potere politico.

A nostro parere la tesi del compagno H... ha un vizio di fondo, perché non contiene la critica fondamentale della guerra imperialista in sé. Per noi, è per la sua natura capitalista che porta dentro di sé la disfatta proletaria. Per il compagno H... porta alla sconfitta perché essa è diretta dai "conciliatori". Ecco la divergenza essenziale. E qua si impone la massima chiarezza.

Il compagno H... comincia col respingere la tesi della lotta unilaterale contro il fascismo:

una lotta reale contro il fascismo non può essere condotta che dal proletariato che lotta per il socialismo.

pag. 10

Ma porre la questione del socialismo, è porre la questione della conquista del potere e quella della distruzione dello Stato capitalista e allora non si può più dissociare il Fascismo dal capitalismo. La lotta di classe si identifica totalmente con la lotta rivoluzionaria in vista dell'abbattimento del capitalismo. Essa, evidentemente, si sviluppa contro l'insieme della classe borghese, contro Franco come contro Azana e Companys. Non può svolgersi su due piani divergenti, non può essere condotta allo stesso tempo su un fronte militare e sul fronte di classe, perché il primo unisce le classi (e non può mai essere diversamente) mentre il secondo le oppone irriducibilmente. Per il compagno H...:

la lotta contro i conciliatori non è in opposizione alla lotta contro il fascismo; essa è tutt'uno con quest'ultima. Il fronte dei conciliatori è un fronte che unisce, per il momento con il consenso della classe operaia - è molto importante - più classi.

Pag. 27

Così il compagno H..., sebbene ammetta che la lotta antifascista vada avanti sotto il regime della collaborazione di classe e della difesa degli interessi capitalistici, tuttavia si rifiuta di riconoscerne il contenuto imperialista e continua ad affermare che:

la lotta contro Franco era una condizione di vita e di morte per il proletariato spagnolo.

Pag. 26

Tutto ciò equivale, che lo voglia o no, a una posizione di "difesa nazionale" assimilabile a quella presa nel '14 dai socialisti belgi e francesi che difendevano le "libertà democratiche" contro il "militarismo prussiano". Prudentemente, egli aveva detto (pag. 22), che il fatto d'aver messo in primo piano la difesa militare ha "ritardato la differenziazione sociale nel campo antifascista" e che ciò ebbe come effetto quello di "inchiodare di nuovo il proletariato spagnolo alla difesa del sistema capitalista, grazie al governo d'Unione Sacra. Ma, d'altra parte, è falso affermare che i rovesci militari hanno fermato la lotta rivoluzionaria" (pag. 21), quando, al contrario, i fatti dimostrano che la guerra di classe è stata soffocata dalla guerra antifascista. Anche "vittoriosa", la lotta antifascista doveva rappresentare una disfatta proletaria, così come la vittoria sul militarismo prussiano, nel '18, ha riaffermato il dominio delle borghesie "democratiche".

A rigore, si potrebbe considerare che nelle sue manifestazioni la guerra in Spagna non è assolutamente assimilabile alla guerra imperialista perché questa oppone direttamente due clan borghesi antagonisti, mentre la prima oppone la borghesia al proletariato, non sotto l'aspetto della democrazia contro il fascismo, ma sotto quello di una lotta in cui il proletariato non gioca alcun ruolo indipendente, in cui si fa massacrare a profitto di una stessa borghesia che gioca su due tavoli: il fronte fascista e il fronte antifascista, insomma sotto l'aspetto di una "guerra di classe" dove il proletariato è assente in quanto classe cosciente dei suoi interessi e dei suoi fini; è questo che ci riporta, dopo tutto, alle caratteristiche fondamentali della guerra imperialista. D'altronde, non vediamo la Spagna apparire sempre di più come un potente brodo di coltura dei contrasti imperialisti che il capitalismo mondiale riesce ancora a circoscrivere ma che, domani, possono accendere il conflitto generale?

Oggi che, sotto l'evidenza dei fatti, il compagno H... sembrerebbe orientarsi verso il "disfattismo" nei confronti dello scontro militare in Spagna, gli chiediamo anche di ammettere che l'antifascismo doveva condurre allo stallo attuale.

4. Stato capitalista o stato proletario

L'aspetto esteriore degli avvenimenti che si sono succeduti dopo il 19 luglio (soprattutto in Catalogna) ha fatto singolarmente relegare in secondo piano le due concezioni centrali del marxismo: quella sullo Stato e quella sul Partito - quando lo rivoluzione dell'ottobre 1917 le aveva luminosamente messe in evidenza, distruggendo lo Stato capitalista e sostituendo al potere della borghesia quello del proletariato che si esprimeva attraverso il suo partito.

Per quanto riguarda la Spagna, si è molto evocato la Rivoluzione proletaria "in marcia", parlato a vanvera sul dualismo di potere, sul potere "effettivo" degli operai, sulla gestione "socialista", sulla "collettivizzazione" delle fabbriche e delle terre, ma in nessun momento il problema dello Stato, come quello del partito, sono stati posti su basi marxiste. Al contrario, l'equivoco vi ha trionfato su tutta la linea in quanto espressione della confusione ideologica che impregna tutti coloro che si dicono dirigenti della Rivoluzione: la CNT e il POUM.

È vero che i fattori rivoluzionari oggettivi, di cui abbiamo parlato all'inizio: dinamismo delle masse basato su fortissimi contrasti sociali attivamente interagenti in una situazione limite, hanno potuto per un attimo falsare la valutazione della realtà; ma, di contro, quegli stessi fattori hanno rivelato il loro lato negativo in assenza del fattore soggettivo: il partito, il solo capace, appoggiandosi alle masse, di associare i fattori oggettivi alla realizzazione del programma della Rivoluzione, di porre concretamente il problema della distruzione completa dell'apparato statale borghese quale condizione della rivoluzione sociale. A questo problema fondamentale si è sostituito quello della distruzione delle "bande fasciste", e lo Stato borghese è rimasto in piedi pur prendendo una parvenza "proletaria". Ma si è lasciato aleggiare l'equivoco della sua distruzione parziale e dell'esistenza di un "potere operaio reale", giustapposto al "potere di facciata" della Borghesia, che si sarebbe concretizzato in due organismi "proletari", il Comitato delle Milizie antifasciste e il Consiglio dell'Economia. Nello stesso tempo in cui si riconosceva un solo potere effettivo: quello degli operai, si parlava di dualismo di potere, passando oltre la contraddizione così grossolanamente palesata, perché il dualismo di potere vuol dire coesistenza solamente temporanea di due poteri reali, in quanto il dualismo deve inevitabilmente fondersi nell'unità del potere, a profitto esclusivo della borghesia o a profitto esclusivo del proletariato.

Sappiamo che la realtà fu completamente diversa e che non espresse né il potere unico degli operai e nemmeno il dualismo di potere perché mai la borghesia si vide opporre il programma della rivoluzione proletaria, e che la sostanza politica del potere restò totalmente borghese. Perché è questa la questione di fondo. Un dualismo di potere mette faccia a faccia due organismi di governo opposti per la base, il programma e la politica di classe. La prima e unica esperienza di dualismo di potere fu, fino ad oggi, quella apportata dalla rivoluzione russa dal febbraio all'ottobre 1917. Lenin non mancò mai i sottolineare che durante quel periodo il potere proletario, benché fondato sui soviet, potente organizzazione di massa, non era che un potere embrionale, il quale non esisteva effettivamente che nella misura in cui i Soviet esercitavano il potere; il che per lui voleva dire nella misura in cui il partito di classe estendeva la sua influenza in seno ai Soviet, nella misura in cui i comunisti, armati del programma della Rivoluzione, liberavano i proletari dall'ideologia borghese e dirigevano l'iniziativa delle masse. E Lenin aggiungeva che il potere borghese esisteva in maniera tanto più effettiva "in quanto si appoggiava su un accordo diretto e indiretto, formale e informale con i Soviet" e questo a causa della mancanza di coscienza del proletariato. Ma la lotta di classe via via crescente e il rafforzamento del partito bolscevico sconvolsero quel rapporto di forza e generarono l'ottobre '17.

In Spagna, dopo il 19 luglio 1936, da nessuna parte si trovò traccia di organizzazioni di massa che potevano assomigliare ai Soviet, né dell'opposizione di due politiche di classe da cui poteva uscire un "ottobre" spagnolo. Non ci fu potere proletario embrionale perché non ebbe nemmeno il tempo di sorgere dall'effervescenza iniziale.

E le Milizie antifasciste? si dirà. E il Consiglio dell'Economia? Benché le milizie sembrino essere state una creazione spontanea delle masse, in risposta a Franco, queste masse, sfortunatamente, non ebbero la possibilità di farne delle organizzazioni di massa che avrebbero potuto diventare l'embrione del potere proletario quanto, nello stesso tempo, un potente strumento di guerra civile. Essi e le loro milizie furono immediatamente agguantati dai partiti "operai" e posti sotto la direzione di quel famoso Comitato delle Milizie che imprimendo un carattere paritario alle milizie, toglieva loro la possibilità di diventare un organismo unitario e di conseguenza scavava la fossa della Rivoluzione proletaria. Dalla dichiarazione stessa del POUM, la composizione del Comitato escludeva ogni preponderanza proletaria. Ma d'altra parte era anche escluso ogni lavoro di penetrazione comunista in seno alle Milizie, a causa della dispersione esterna sui fronti e la tensione interna delle energie operaie verso la minaccia fascista. La minaccia che per qualche giorno aveva aleggiato sul potere borghese scomparve rapidamente e quest'ultimo non dovette fare altro che adattarsi temporaneamente alla situazione che, per lui, non poteva che evolvere favorevolmente, poiché con la creazione del Comitato centrale delle Milizie e del Consiglio dell'Economia - organismi innestati sullo Stato capitalista - erano state poste le basi dell'Unione Sacra che andava a presiedere al massacro dei proletari.

Gli ingranaggi essenziali dello Stato restarono intatti:

L'esercito (non era molto importante) prese altre forme - diventando la milizia - ma conservò il suo contenuto borghese difendendo gli interessi capitalisti nella guerra borghese.

La polizia, formata dalle guardie d'assalto e dalla guardia civile, non fu dispersa ma si eclissò per qualche tempo (nelle caserme) per riapparire al momento opportuno.

La burocrazia del potere centrale continuò a funzionare ed estese le sue ramificazioni dentro il Comitato delle Milizie e il Consiglio dell'Economia di cui non divenne affatto l'agente esecutivo, ma a cui, al contrario, ispirò le direttive conformi agli interessi capitalisti.

Della politica economica sviluppata da questi organismi in unione con il Governo della Generalità, "L'Information" di Parigi può dire dai primi d'agosto [1936 - ndr] che non usciva dal quadro capitalistico. I decreti sulla collettivizzazione - usciti alla fine d'ottobre - malgrado la loro formulazione radicale, difficilmente possono rappresentare un progresso "socialista" rispetto al mese d'agosto, quando la situazione di classe evolve non verso la rivoluzione proletaria, ma verso la riaffermazione del dominio borghese. Il significato sociale delle misure di collettivizzazione risulta chiaramente dal contenuto del patto concluso il 22 ottobre (i decreti sono del 24) tra gli anarchici e i social-staliniani (con l'esclusione del POUM) nel quale è decisa la collettivizzazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della guerra. L'esperienza storica ci mostra in abbondanza che non si può porre seriamente la questione della collettivizzazione, del controllo operaio, della rivoluzione socialista prima dell'abolizione del potere politico della borghesia. Il compagno H..., nel suo rapporto, ha fatto l'inverso, e bisogna ben constatare che il metodo adottato falsa la sua analisi.

Egli comincia col dimostrare (pag. 11) l'ampiezza della "rivoluzione socialista" in base ai decreti sulla collettivizzazione, di cui abbiamo appena parlato, e che, per lui, segnano un profondo sconvolgimento dei rapporti di classe e del regime della proprietà privata (in ottobre). Ma nel capitolo seguente (pag. 14), quando affronta l'aspetto politico del problema, deve prima di tutto ammettere che, poiché la conquista del potere non è stata posta, non c'è, oggi, rivoluzione socialista in Spagna. Per H..., come per noi, è chiaro che lo stato borghese non è stato distrutto e che ha solamente ammorbidito i suoi metodi di dominio sotto l'imperio della situazione. Anche per H..., gli organi del potere proletario, gli organismi unitari dove le masse avrebbero potuto sviluppare la loro coscienza politica, non sono stati creati, nemmeno allo stato embrionale. Per noi, in sovrappiù, il potere operaio non esistette neanche un giorno (questa non è l'opinione di H...) perché i due presupposti che deve implicare erano assenti: gli organi e la coscienza proletaria che li anima, non potendo, quest'ultima, sorgere spontaneamente, ma solo attraverso un processo di chiarificazione politica.

Per quanto riguarda le misure di collettivizzazione, il compagno H..., dopo averle, a nostro avviso, valorizzate all'eccesso, ammette che esse corrispondono a una manovra politica della borghesia piegatasi a una necessità di fatto e che non hanno dunque valore in sé: " che importa infatti al proletariato che i governi Caballero e Companys ratifichino tutte la espropriazioni compiute dal proletariato, se conducono la rivoluzione proletaria alla rovina, se conducono la guerra in modo tale che deve portare alla vittoria del fascismo?". È anche la nostra opinione, ma con questa differenza, che la guerra antifascista posta inevitabilmente sotto il segno degli interessi capitalisti, è all'origine della disfatta proletaria che viene.

5. L'Unione Sacra

Come abbiamo dimostrato, immediatamente dopo il 19 luglio gli operai spagnoli si sono visti sbarrare la strada della rivoluzione. L'effervescenza di carattere rivoluzionario è canalizzata verso la lotta antifascista. Questa conversione si traduce in una trasformazione della natura della situazione. All'agitazione operaia è impresso nuovamente un orientamento capitalistico è ciò è provato dall'impossibilità in cui si trovano i proletari di creare delle organizzazioni di massa da cui poteva sorgere il partito rivoluzionario. Tutto questo il compagno H... lo percepisce perfettamente, ma non ne trae le conclusioni politiche o, piuttosto, non ne deduce un ribaltamento del rapporto di classe. Per lui, la lotta antifascista non volta le spalle alla Rivoluzione, ma ne costituisce una fase necessaria, integrantesi alla lotta rivoluzionaria d'insieme. Noi vediamo un'incompatibilità tra le due lotte. La guerra antifascista è il prodotto, da un lato, del permanere del dominio capitalista e, dall'altro, dell'assenza di un partito rivoluzionario. Il suo scatenamento costituisce già una disfatta per il proletariato. Sul terreno di classe ha lo stesso significato della guerra imperialista, e genera in modo del tutto naturale l'Unione Sacra, che il compagno H... deve limitarsi a registrare senza spiegarla. La guerra antifascista in Spagna non può essere allo stesso tempo capitalista e proletaria. Non potrebbe cambiare natura che sotto la direzione di un proletariato erettosi in classe dominante, in quanto prolungamento della guerra civile come è avvenuto in Russia dopo l'ottobre del 1917. Aderirvi prima della presa del potere, vorrebbe dire collocarsi in una posizione di difensismo nazionale che Lenin denunciò quando rifiutò il blocco con i socialisti rivoluzionari per combattere Kornilov nell'agosto 1917. In Spagna il proletariato doveva rifiutarsi di combattere Franco sotto la bandiera capitalista dell'antifascismo e doveva concentrarsi sul fronte di lotta contro la borghesia spagnola di Companys, di Giral e di Franco. La via dell'insurrezione proletaria non poteva passare per quella della guerra militare, ma per quella della guerra civile.

Abbiamo già sottolineato precedentemente che in Catalogna l'Unione Sacra trovò la sua organica espressione nella costituzione del Comitato delle Milizie e del Consiglio dell'Economia, mentre questi furono presentati come organi del potere proletario, come espressione della dittatura del proletariato (POUM). A Madrid lo strumento della collaborazione bellica fu il Fronte Popolare. Sotto la direzione simultanea di queste forze capitaliste, assisteremo allora a un'evoluzione in cui la guerra antifascista, capitalista per natura, prenderà sempre di più la forma della guerra moderna, parallelamente alla comparsa via via più elevata della collaborazione di classe.

E non sono questi dei fenomeni che la prima guerra imperialista ci ha già mostrato?

All'inizio, il verbalismo rivoluzionario ha il sopravvento, particolarmente in Catalogna dove dominano il POUM e la CNT. Ma il mito della guerra antifascista sommergerà rapidamente ogni preoccupazione di classe sotto l'impulso di quelle stesse correnti. A Madrid, sulla fiducia di Giral, gli staliniani diventano uomini d'ordine. A Barcellona, Companys dirà della CNT "che assume il ruolo abbandonato dall'esercito ribelle di controllare e di proteggere la società e che è diventata uno strumento nelle mani del governo democratico". Le "espropriazioni" compiute dagli operai sono integrate nel quadro di un capitalismo di stato, che rimane sotto il controllo borghese, per "i bisogni della guerra" con il concorso delle organizzazioni sindacali e i sedicenti "organi del potere proletario". Parallelamente, dietro, si realizzò il disarmo progressivo degli operai e la militarizzazione di tutta la società. Alla fine d'agosto [1936 - ndr], l' "Information" di Parigi potrà constatare con soddisfazione che a Madrid e a Barcellona "Le autorità competenti fanno degli sforzi 'diplomatici' per ottenere il disarmo delle masse operaie non arruolate nelle milizie antifasciste e la militarizzazione di queste". Il Comitato Centrale delle Milizie coopererà a questi sforzi. E gli scacchi militari che si succederanno avranno come effetto quello di stimolare e accelerare il disarmo sociale e l'armamento ideologico e materiale per la guerra.

Il massacro di Badajoz, seguito dalla resa di Irun e dalla marcia su Toledo e Madrid [da parte dei franchisti - ndr] determinarono una conversione "a sinistra" del governo Caballero, salutato come "progressista" dagli anarchici e dai POUMisti. Il suo programma si riassunse nell'organizzazione delle milizie, nel rafforzamento della disciplina civile e militare nel "rispetto" della legalità repubblicana. Per appoggiarla, la CNT proporrà la formazione di un Consiglio Nazionale di Difesa, dove avrebbe inviato dei delegati "tecnici", così come la creazione delle milizie di guerra con una direzione militare unica sotto il controllo di un commissariato della Guerra. In Catalogna, la Generalità si annetterà il famoso Comitato delle Milizie come servizio del Ministero della Difesa, per la preoccupazione di conservarsi una parvenza d'autorità nei confronti dell' "opinione internazionale".

Il POUM dirà che il governo di "facciata" di Companys non farà altro che coprire meglio, in questa maniera, il reale potere degli operai. Ecco un modo, che più criminale non si può, di violentare la realtà storica, ma gli "avanguardisti" non si fermeranno lì. Qualche giorno più tardi si realizzerà apertamente l'Unione Sacra governativa, che si chiamerà "Consiglio" della Generalità per non urtare la suscettibilità degli anarchici. CNT, POUM, UGT, staliniani, socialisti e borghesia catalana uniranno i loro sforzi per la causa dell'antifascismo. Gli anarchici, che si erano già convertiti al "centralismo", diverranno degli "autoritari" convinti, perché, si giustificheranno: "La Rivoluzione ha le sue esigenze... Il dualismo di potere non poteva continuare... Dovevamo occupare il posto corrispondente alle nostre forze". Ciò non impedì loro di avere tre delegati su dodici, quando pretendevano di rappresentare la maggioranza del proletariato catalano. Il POUM dirà che si trattava di una "tappa di transizione", mentre precedentemente aveva parlato di dittatura del proletariato sotto l'egida di tutti i partiti "operai"

Il programma di governo sarà dominato dai problemi posti dalla guerra. Si tratterà di stabilire "l'ordine rivoluzionario" e di seguire le orme del governo Caballero: disciplina, comando unico, coscrizione obbligatoria (il POUM parlerà di Esercito Rosso), proclamazione del diritto dei popoli all'autonomia. Immediatamente il Comitato delle Milizie, "solo potere reale", scomparirà definitivamente. Le municipalità riprenderanno il ruolo dei Comitati antifascisti che si erano assimilati ai Soviet. L'atmosfera diventerà pesante e l'organizzazione del massacro degli operai si sviluppa. A Madrid, e in seguito a Barcellona, sono emanati dei decreti di mobilitazione generale che trasformano le milizie in esercito regolare. Nello stesso tempo, la CNT lancia le sue "consegna sindacali" al proletariato catalano (non commentate dal POUM): "Lavorare, produrre e vincere. Niente rivendicazioni salariali, né di altro tipo. Tutto deve essere subordinato alla produzione di guerra". Insomma, tutto per il fronte antifascista: tregua della lotta di classe; linguaggio di guerra dei social-patrioti del 1914 - 18 ripreso dai "libertari" del 1936. Il "Patto di unificazione rivoluzionaria", tra tutti i partiti e sindacati di Catalogna (ad eccezione del POUM) sigillerà questo "contratto sociale" d'Unione Sacra. Il primo punto includerà l'impegno formale di "eseguire le decisioni e i decreti del Consiglio della Generalità mettendo al servizio della loro applicazione tutta la nostra influenza e il nostro apparato organico". Dopo la presa di Toledo e l'avanzata su Madrid [dei franchisti - ndr] l'Unione Sacra sarà completata a Madrid con l'entrata degli anarchici nel governo Caballero che si chiamerà Consiglio di difesa della Repubblica. Il capitalismo spagnolo e internazionale sarà ben servito.

6. La guerra di Spagna e il proletariato internazionale

Oggi i fatti parlano brutalmente. Non si tratta più di Rivoluzione, ma di guerra capitalista. La lotta in Spagna oppone effettivamente la borghesia al proletariato, ma in una situazione in cui quest'ultimo acconsente alla propria distruzione a profitto del capitalismo, esattamente come durante la guerra mondiale del 1914 - 1918 acconsentiva di morire per "l'avvenire del socialismo" che bisognava preservare dalla "barbarie pangermanista". Oggi nessuno nega più che la Spagna è diventata arena delle competizioni imperialiste. Già in settembre a Ginevra, il Ministro socialista (di sinistra) degli Affari Esteri di Spagna, Del Vayo, poteva dichiarare abbastanza giustamente che "sotto i nostri occhi, i campi insanguinati di Spagna sono già di fatto i campi di battaglia della Guerra Mondiale. Questa lotta, uno volta incominciata, si è immediatamente trasformata in questione internazionale". Evidentemente, per Del Vayo, come per i suoi confratelli socialisti e staliniani, la prossima guerra prenderà l'aspetto di un conflitto tra due ideologie "opposte": Democrazia - Fascismo. Tuttavia, sappiamo che finora la solidarietà tacita, benché terribilmente effettiva, degli Stati democratici e fascisti non ha cessato di esercitarsi contro il proletariato spagnolo con l'appoggio inconscio del proletariato internazionale. È col pretesto della farsa del non intervento dovuta all'iniziativa del Fronte Popolare di Blum che questa solidarietà si realizzò nel modo più efficace immobilizzando i proletari di Francia, Inghilterra, Belgio contenendo e frenando lo sviluppo dei contrasti imperialistici. Perché Blum diceva il vero quando invocava la prospettiva di una guerra mondiale in seguito ad un intervento più deciso degli Stati democratici negli avvenimenti spagnoli. Tuttavia, questo non impediva loro di favorire tacitamente il reclutamento di volontari per il massacro sotto il segno del Fronte Popolare di Spagna. Dall'altro lato, gli Stati fascisti potevano intervenire apertamente con materiale e uomini, protetti dall'atteggiamento "neutrale" delle democrazie, che corrispondeva alla "volontà" di queste ultime di frenare l'evoluzione verso la guerra imperialista generalizzata: Y. Delbos, ministro francese degli Affari Esteri, non aveva detto in ottobre che bisognava ad ogni costo evitare una crisi internazionale acuta che avrebbe potuto evolvere, secondo la sua espressione, in una "guerra di secessione" in Europa? Ma per il proletariato internazionale, il problema di classe poteva presentarsi sotto l'angolo visuale dell'intervento o del non intervento, tutti e due di natura capitalista? A questo proposito, il rapporto del compagno H... è equivoco. Egli respinge l'affermazione con la quale Blum giustificò il non intervento. Tuttavia, quando considera falso "che una politica di sostegno alla Rivoluzione porterà a una guerra mondiale" (pag. 23), che cosa intende con "politica di sostegno"? Qui la chiarezza è d'obbligo. Crede che il sostegno al Fronte Popolare Spagnolo, controllato dal capitalismo, fosse di natura tale da favorire lo sviluppo della Rivoluzione in Spagna? In altri termini, il proletariato internazionale, lottando per la "soppressione del blocco" [di armi e di mezzi, decretato dalle potenze democratiche - ndr], per "obbligare" Blum, Eden [ministro degli esteri inglese - ndr], Stalin a scegliere l'intervento, avrebbe aiutato il proletariato spagnolo? Innanzi tutto, se gli Stati democratici non risposero ai maneggi di Hitler e Mussolini con un altro aperto intervento, non è per la paura che un aiuto materiale massiccio avrebbe potuto contribuire a rafforzare le posizioni di classe degli operai spagnoli, a elevare la loro coscienza rivoluzionaria, ad impedire il processo di Unione Sacra. Una tale ipotesi resta da dimostrare. Da una parte, la guerra antifascista con l'appoggio diretto degli Stati fascisti e l'appoggio indiretto degli Stati antifascisti appariva come il perfetto strumento d'asservimento del proletariato spagnolo agli interessi capitalisti. Ma dall'altra, è certo che nel caso in cui una potente effervescenza operaia dovesse debordare il quadro dell'Unione Sacra e minacciare la borghesia spagnola, si assisterebbe a una congiunzione immediata delle forze "democratiche" di Spagna, Francia, Inghilterra, Belgio e Russia, in vista dell'annientamento degli operai e dei contadini di Spagna.

Ma in assenza di una tale prospettiva, non abbiamo forse già assistito all'appoggio aperto dell'URSS al campo antifascista, che lo attua in un momento in cui, come lo constata il compagno H..., "il proletariato spagnolo si trova di nuovo inchiodato alla difesa del sistema capitalista"? È evidente che l'Urss agiva così non per sostenere il proletariato spagnolo, ma per difendere la propria posizione particolare nel concerto dell'imperialismo mondiale.

Nondimeno, il compagno H... ritiene che il sostegno al proletariato in uomini e armi si imponga. Ma poiché lui stesso ammette che questo sostegno non si realizza, praticamente, che per dei fini capitalistici, secondo l'esempio dell'URSS, come crede che il proletariato spagnolo possa sfuggire all'influenza borghese mettendosi sul terreno dell'intervento armato? Il tentativo del compagno H... di stabilire una distinzione in questo campo tra l'aiuto proletario e l'aiuto capitalista è puramente astratto, perché non tiene conto delle posizioni delle classi in lotta. Il compagno H... se ne rende, del resto, ben conto quando dice che:

l'invio di uomini e munizioni in Spagna è il metodo più appariscente, ma non il più efficace, di sostenere la Rivoluzione... e che la presenza qui [in Belgio e in genere nei "propri" stati - ndr] degli operai socialisti e comunisti mandati in Spagna sarebbe mille volte più preziosa della loro presenza in Spagna.

Pag. 23

Ma il compagno H... deve sapere che se questa forma di sostegno è rivendicata dai traditori socialisti e staliniani (ai quali si sono aggiunti recentemente gli anarchici, il POUM e i trotzkisti) è proprio perché ha un ruolo controrivoluzionario e non perché può contribuire allo sviluppo della Rivoluzione spagnola. D'altronde, non nota lui stesso che il sostegno armato "non ha preso una reale ampiezza che con l'arretramento del proletariato spagnolo nella Rivoluzione, arretramento sottolineato dall'entrata degli anarchici e del POUM nell'Unione Sacra"? E la sua conclusione non è che ciascun proletario deve innanzi tutto manifestare la sua solidarietà al proletariato spagnolo combattendo la propria borghesia? Ma si può combattere quest'ultima e nello stesso tempo sostenere la borghesia "repubblicana" di Spagna inviandole dei proletari in olocausto? La posizione del compagno H... torna a rispondere affermativamente, perché se è vero che, nelle intenzioni, si pronuncia per l'aiuto al proletariato spagnolo e non per l'aiuto al capitalismo, nei fatti la sua adesione alla guerra disarma ideologicamente gli operai di Spagna e degli altri paesi.

In Spagna, oggi, non c'è Rivoluzione, ma guerra. Una guerra che è sotto l'influenza del dominio capitalista è una guerra capitalista. Questo è un assioma marxista. Il proletariato può essere impotente a opporvisi. Non la può accettare. Non può dimenticare la lezione del 1914, che è definitiva. Alla guerra deve opporre la propria guerra civile per l'abolizione dello Stato capitalista, qualunque siano le ripercussioni militari che ne possono derivare.

Gli operai e i contadini di Spagna, facendosi massacrare sotto la bandiera dell'antifascismo non lottano per il socialismo ma per il trionfo del capitalismo. La guerra antifascista non è diretta contro il capitalismo, ma contro il proletariato. O il proletariato riuscirà a sganciarsi dai fronti militari, a forgiare i propri organi di lotta e il suo Partito, a instaurare il proprio dominio oppure sarà schiacciato, anche se batte Franco.

Il proletariato può sostenere gli operai spagnoli unicamente per mezzo di azioni di classe dirette contro l'apparato economico e politico del capitalismo.

L'azione internazionale di ogni proletariato non consiste in altro che in una lotta di classe decisiva sul terreno nazionale. Per questo, l'aiuto effettivo alla Spagna rivoluzionaria risiede unicamente nello sconvolgimento mondiale dei rapporti di classe.

Jehan, Gennaio 1937

(1) (*) Per una rapida ricostruzione e una valutazione dell'attività della Frazione Italiana e Belga, cfr. A. G. Iborra, "I bordighisti nella guerra civile spagnola", Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso, n. 27, aprile 1993; "La Sinistra Italiana e la guerra civile in Spagna", Prometeo, n. 5, V serie, 1993.

(2) (*) Evidentemente, in questa polemica per "settore del proletariato" s'intende settore politico e non sociale. Per togliere ogni dubbio, riportiamo questo passo di Jehan tratto dal "Bulletin de la Ligue des Communistes Internationalistes" dell'ottobre 1936: "Proletari industriali e agricoli, contadini poveri devono unirsi sul terreno dei loro specifici interessi di classe, il solo che può fecondare la guida indispensabile per condurli alla Rivoluzione proletaria". Cfr "Bilan". Contre-revolution en Espagne. 1936/1939, U.G.E.,1979, pag.360.

(3) Il POUM ("Rivoluzione Spagnola" del 21-10-1936) commentando lo statuto d'autonomia del paese basco, votato alle Cortes fantasma il 1o ottobre, lo considera "un contributo alla lotta contro il fascismo e per una nuova società".

(4) Citeremo come promemoria una "fantasia" de l'Union Communiste di Parigi la quale ritiene che la guerra antifascista sia una guerra di classe che vede opposti due eserciti di classe (!), l'uno, dalla parte di Franco, composto da ufficiali, falangisti, requetés [i militanti più fanatizzati del carlismo, corrente cattolico-reazionaria - ndr] e altri carlisti, tutti elementi borghesi o piccolo borghesi, e da mercenari marocchini; l'altro, quello "repubblicano", da milizie operaie a contenuto proletario.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.