Il movimento leghista e la crisi dei ceti medi

Classi antagoniste e ceti medi

La società capitalista è divisa in due classi: la borghesia, che detiene la proprietà dei mezzi di produzione e il potere dello Stato; il proletariato, che può sopravvivere unicamente vendendo la propria forza-lavoro al capitale.

Gli interessi di queste due classi sono contrapposti e inconciliabili, nonostante gli sforzi compiuti dall'ideologia borghese per negare - secondo una comune cittadinanza - l'esistenza dei contrasti sociali e delle differenze economiche fondamentali. La cittadinanza è infatti presentata come un fatto giuridico, un sistema contrattuale di diritti e di doveri sul quale si regge lo Stato moderno. Lo Stato di tutti i cittadini, e non - come esso è in realtà - il mezzo per garantire l'oppressione di una classe sull'altra; lo strumento per difendere gli interessi economici e sociali legati alla conservazione del capitalismo e dei suoi storici rapporti di produzione.

Fra questi due grandi e antagonistici schieramenti, borghesia e proletariato, sono presenti altri strati sociali, le classi medie, in cui si trovano artigiani e padroncini, contadini proprietari, commercianti e bottegai, lavoratori autonomi e professionisti. Tutti coloro, cioè, i quali non vendono direttamente la loro forza-lavoro, ma un prodotto particolare e privatamente gestito di essa. La loro condizione economica è tendenzialmente instabile, strettamente dipendente dalle vicende del grande capitale, e precipita durante i periodi di crisi economica; la loro posizione fra le due principali classi in lotta è ambigua, nel tentativo di sopravvivere a rimorchio del più forte. Vengono di volta in volta attratte e influenzate dalle ideologie e dalle manovre politiche, conservatrici e spesso reazionarie, della classe predominante. Così accadde con il fascismo.

Origini piccolo borghesi della Lega

Il movimento federalista che fa capo alla Lega Nord di Bossi, è nato e si è sviluppato interpretando il "malessere" delle classi medie in questa fase di acutizzazione della crisi capitalista. E alla Lega si deve la presentazione di un demagogico progetto di mobilitazione "popolare" attorno alla difesa degli affari privati e del portafoglio delle mezze classi al Nord. Va detto però subito che la domanda dal "basso" di un assetto federalistico dello Stato si è presto trasformata nella rivendicazione del Nord Nazione. Ora la Lega si presenta a sua volta con una posizione centralinista e autoritaria, contrapponendo la capitale Mantova e il parlamento del Partito Unico di Bossi alla capitale Roma "ladrona" e al suo parlamento pluralistico. Nell'una come nell'altra situazione, sarebbe pur sempre il capitale a trarre i maggiori vantaggi, trovandosi più che mai libero di agire selvaggiamente per i propri interessi e di circoscrivere e isolare ogni protesta di classe. Sia per gli interessi del governo di Mantova come per quelli del governo di Roma, la lotta di classe - se condotta dal proletariato - non ha diritto di...cittadinanza.

Va sottolineato inoltre come le mezze classi abbiano assunto numericamente (e quindi elettoralmente) una non trascurabile importanza per la condotta politica della classe borghese e delle sue appendici di destra e di sinistra. E proprio la sinistra borghese, socialdemocratica e interclassista, ha corteggiato a lungo le varie corporazioni dei ceti medi. È stata costretta ad abdicare al ruolo esclusivo di sostenitrice della piccola borghesia quando la crisi ha scoperto le carte false di un programma di illusioni economiche e sociali. La realtà dei fatti non consentiva più di sostenere le promesse per anni agitate davanti a bottegai, artigiani, professionisti, tecnici, eccetera. Le categorie sociali che addirittura erano state indicate come possibili forze motrici nella lotta contro il monopolio, industriale e finanziario, si disgregavano di fronte alle nuove centralizzazioni e concentrazioni capitalistiche. Basti accennare allo sviluppo della grande distribuzione commerciale (supermarket, self-service, discount). L'incubo della proletarizzazione si abbatteva ancora una volta sui ceti medi.

Con le brevi fasi di ripresa economica avutesi in Italia durante gli anni Ottanta, una parte della piccola e media borghesia delle più ricche aree settentrionali cominciò ad alzare la testa, riprendendosi dalle difficoltà e dalle paure subite per tutto il precedente decennio. Il "comunismo" stava crollando, la piccola imprenditoria privata cresceva soprattutto con le esportazioni: l'espansione della ricchezza sembrava ancora trovare un unico ostacolo nel potere e negli intrallazzi statali del capitale monopolistico e nel peso finanziario esercitato dalle Banche. L'evasione fiscale e il lavoro nero, largamente praticati dalle medie classi, non bastavano a neutralizzare i lacci e laccioli imposti dai politicanti e dai burocrati di Roma, anche perché la crisi economica riprendeva il suo corso allarmante.

La classe operaia aveva intanto subito continue sconfitte sindacali e vedeva sconvolta la propria identità a seguito delle ristrutturazioni aziendali e delle frammentazioni di molti processi produttivi. Alle grandi concentrazioni industriali subentrava (controllate sempre dalle stesse) una miriade di piccole aziende dove l'altissimo sfruttamento della forza-lavoro dava anche a molti salariati l'illusione di maggiori guadagni (straordinari e fuori busta) e migliori prospettive (attività in proprio).

Ma le speranze in un futuro sempre più roseo, entro le quali cominciavano a cullarsi le classi medie e strati dell'aristocrazia operaia, dovevano presto lasciare il posto a nuove frustrazioni e timori. I colpi martellanti della crisi economica, e le difficoltà per il mantenimento di una competitività esasperata, lasciavano il segno. Le "fortune" delle piccole e medie industrie erano pur sempre legate a settori come quelli del tessile, meccanica leggera, calzature, eccetera, dove il basso costo e gli alti ritmi del lavoro sono la condizione essenziale per resistere alla concorrenza internazionale.

I "laboriosi Brambilla" che in prima persona si vantavano di una presenza in azienda di dodici ore giornaliere, festività comprese (la cultura nordista del lavoro), individuarono il loro principale nemico nel parassitario potere statale centralizzato, nell'assistenzialismo clientelare che esso alimentava - coi soldi estorti al Nord produttivo - verso il Sud atavicamente pigro e mafioso. Conclusioni scontate per chi non poteva che ignorare una analisi critica della fase storica attraversata dal capitalismo decadente.

La crisi del modo di produzione e dell'accumulazione capitalistica, scatenatasi all'inizio degli anni Settanta, ha la sua origine nella contraddizione principale del sistema: quella fra lo sviluppo gigantesco delle forze produttive e la ristrettezza dei rapporti economici e sociali. La mondializzazione dei mercati, dell'industria, della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche, delle comunicazioni e dell'informatica, urta contro i confini dei singoli Stati, costretti a riunirsi in blocchi commerciali internazionali. La competitività diventa una questione di vita o morte per tutti, e tormenta alleati e avversari.

Non di pacifici commerci ma di scontri feroci sui mercati è fatta la realtà del capitalismo. Le grandi potenze industriali e finanziarie, che dispongono delle più avanzate tecnologie, controllano i settori chiave e si contendono l'accesso sui mercati, compresi quelli della manodopera al più basso costo e alto sfruttamento. A scala internazionale, ma anche in campo nazionale, le zone sviluppate si contrappongono e soffocano quelle arretrate; le seconde sono la conseguenza, e la condizione, delle prime.

In questa situazione, gli equilibri economici e le armonie sociali - sui quali teoricamente si dovrebbe reggere la società capitalista - si avviano verso un inarrestabile processo di disgregazione e frammentazione. Si tratta di una fase di decadenza dalla quale nessuno si salverà e che potrà solo moltiplicare gli effetti di oppressione parassitaria, burocratizzazione e corruzione provenienti dai poteri centrali e statali sotto la spinta della crisi che sconvolge il capitalismo.

Grande e piccolo capitale contro il proletariato

I piccoli borghesi inseguono:

il sogno di una trasformazione delle condizioni sociali, per cui la società attuale diventi per loro quanto più è possibile tollerabile e comoda. Perciò essi reclamano innanzitutto una diminuzione delle spese dello Stato, mediante una limitazione della burocrazia e facendo cadere il peso delle imposte sui grossi proprietari fondiari e sui grossi borghesi. Essi reclamano inoltre la eliminazione della gestione del grande capitale sul piccolo [...] fino a una costituzione democratica dei comuni che dia loro il controllo diretto della proprietà comunale e metta in loro mano una serie di funzioni esercitate dalla burocrazia.

Marx-Engels, "Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei comunisti"

Ma la realtà storica del modo di produzione capitalistico è costituita dall'unificazione del potere economico e di quello politico. Lo Stato moderno, costituzionale e rappresentativo, è l'espressione ufficiale del potere esclusivo della borghesia; è il riconoscimento politico del particolare interesse borghese, non certo dell'universale interesse popolare. È lo Stato che si adegua alla società civile e agli interessi che in essa vi dominano, e non viceversa. Nella classe borghese si muovono diverse fazioni, ma...

la sola forma possibile del loro potere riunito, la forma più solida e più completa del loro dominio di classe, è la repubblica costituzionale.

Marx, "Le lotte di classe in Francia"

Scriveva ancora Marx quasi un secolo e mezzo fa:

L'imposta può favorire singole classi e premerne altre in modo particolare, come vediamo ad esempio sotto il dominio dell'aristocrazia finanziaria. Essa rovina soltanto gli strati intermedi della società fra borghesia e proletariato, i ceti medi industriali e commerciali e i contadini, la cui posizione non permette loro di addossare il peso della imposta a un'altra classe.

A loro volta spremute e tartassate da una borghesia che si vede costretta a rastrellare ovunque maggiori quote di plusvalore, le classi medie si aggrappano a istanze e valori del più meschino conservatorismo e opportunismo piccolo borghese. Abbandonate a se stesse e col terrore di una incombente proletarizzazione, reagiscono all'autoritarismo e al corrotto centralismo statale con idealistici progetti del "fai da te" economico e sociale: federalismo, autonomie locali, diminuzione della pressione fiscale, trasparenza amministrativa. Richieste che potrebbero trasformarsi in tendenze centrifughe incontrollabili, rispetto non solo allo Stato unitario ma anche agli stessi movimenti regionali. Unica prospettiva: la guerra di tutti contro tutti. E l'oggetto del contendere è la pubblica Cassa, mentre a Pontida i moderni guerrieri della Lega Lombarda acclamano i valori propagandati dal filosofo idealista E. Kant: il progresso umano si fonda sulla "insocievole socievolezza" dell'uomo...

Dietro l'etichetta ipocrita di un Federalismo solidaristico, o dietro quella selvaggia di un Federalismo competitivo, uno dei principali obiettivi è realizzare la diminuzione della pressione fiscale sui redditi delle classi medie e la detassazione dei profitti della piccola e media imprenditoria. Un altro obiettivo è la liberalizzazione regionale dei vincoli di spesa per arrivare a una consistente diminuzione di quella sociale. Infine, la possibilità concreta che esalta gli strati dirigenti del movimento è quella di una riduzione del costo del lavoro attraverso la diminuzione dei salari, l'aumento degli orari e l'aperta concorrenza fra occupati e disoccupati. E quando si parla di gabbie salariali, è evidente che l'imposizione di bassi salari al Sud significa anche una conseguente diminuzione salariale al Nord.

La filosofia economica della Lega si rifà senza mezzi termini a un pragmatismo e liberismo sfrenato: competitività o morte, sovvenzioni agli imprenditori, salari legati ai risultati delle aziende coinvolgendo gli operai nella loro gestione, eccetera. Le stangate sulla classe operaia sono assicurate, secondo le ricette in uso nella economia capitalistica. E alla realtà e alla libera attuazione delle leggi di questa, si appella la piccola e media borghesia imprenditoriale, senza rendersi conto che sono proprio le leggi di movimento del capitale, e quindi le sue intrinseche contraddizioni, a determinare il costante peggioramento delle condizioni di sopravvivenza dei ceti medi.

Il risultato di una operazione federalista, fra il cosiddetto peso morto del Sud e quello che si pretende trainante del Nord, sarà comunque una accentuazione delle già preoccupanti disarticolazioni e disomogeneità in cui lo sviluppo del capitalismo e delle sue esigenze di valorizzazione hanno precipitato le varie realtà territoriali, non solo italiane ma di tutti gli Stati, in Europa e nel mondo.

Intanto, il trasferimento a Comuni e Regioni della riscossione di alcune imposte statali (attualmente già realizzatosi per circa 15 mila miliardi) sta avviando la ufficiale e graduale riforma fiscale in senso federalista. Lo stesso avviene nei maggiori Stati, dagli USA alla Germania; uno specchietto per le allodole, che consente alla classe borghese di attuare nuove detassazioni sui suoi profitti e altri tagli alle spese sociali. Ecco perché anche in Italia la borghesia è diventata sensibile ai progetti di una autonomia impositiva e di un accentuato regionalismo propagandato da tutti i partiti dello schieramento costituzionale. E il grande capitale (Fondazione Agnelli) negli anni Ottanta aveva già elaborato un progetto di federalismo moderato.

Le entrate fiscali dirette sostituirebbero gli attuali trasferimenti dello Stato alle regioni. Queste saranno obbligate al pareggio di bilancio e non potranno più scaricare sullo Stato il proprio deficit. Si avranno quindi nuovi tagli alle spese sociali locali e un peggioramento delle condizioni di vita del proletariato sul territorio, soprattutto là dove il grado di sviluppo produttivo e il reddito pro capite sono più bassi. La distribuzione sociale della ricchezza - tanto cara ai socialdemocratici - sarà sempre più iniqua. Le regioni povere saranno sempre più povere (anche con la costituzione di un fondo perequativo) e quelle ricche saranno più ricche, sì, ma soltanto per la classe borghese: il proletariato era tartassato prima e ancor più strapazzato sarà poi. E, come osservava il nostro Marx:

la piccola borghesia crede che le condizioni particolari della sua liberazione siano le condizioni generali, entro le quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata.

"Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte"

Una classe operaia quanto mai confusa, smarrita e inerte come quella dei nostri giorni, subisce purtroppo con gravi danni materiali e ideali questi tentativi borghesi di riassestare la scricchiolante gestione amministrativa della società, e quindi di rafforzare lo sfruttamento e l'oppressione del proletariato. Il nostro compito è quello di difendere e diffondere con tutti i mezzi possibili i principi elementari della lotta di classe e il programma del comunismo. L'obiettivo principale è la costruzione di una adeguata organizzazione politica del proletariato, senza la quale sarebbe impossibile respingere gli attacchi del capitale, grande e piccolo, e del suo Stato unitario o dei suoi centri federali. Senza una organizzazione politica di classe non riusciremo mai a distruggere le illusioni piccolo borghesi di un risanamento economico basato sui decentramenti e le autonomie regionali; a smascherare gli inganni di un più funzionale ordine sociale fondato sulle frammentazioni territoriali e le divisioni di etnie e razze.

Occorre aiutare concretamente la classe operaia a rompere la tenaglia del nazionalismo e del federalismo, a uscire dalle trappole dell'unità statale e del secessionismo. Dietro queste bandiere, la borghesia ha sempre rafforzato il suo dominio, ha sfruttato generazioni di proletari arricchendosi sulla loro miseria, ha condotto al macello milioni di uomini costringendo i sopravvissuti ai più inumani sacrifici.

Ma i proletari non hanno una patria da difendere. Hanno un mondo da conquistare. Alle separazioni federali e agli antagonismi nazionali della borghesia, la classe operaia può solo rispondere con la solidarietà e la lotta dell'internazionalismo comunista.

Davide Casartelli

Prometeo

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