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"Il centrismo ha ucciso in Mario Acquaviva, come la socialdemocrazia in Karl Liebnecht, il campione della lotta contro la guerra e della rivoluzione proletaria". Così titolavamo il n. 4 di Battaglia comunista del 28 luglio 1945, che annunciava l'assassinio del nostro compagno di Asti da parte di "ignoti", e a "conclusione di una campagna di denigrazione, di minaccia e di istigazione condotta contro la Sinistra comunista".
dall'Atto di accusa più avanti pubblicato
I documenti che qui ripubblichiamo così come apparvero sulla nostra stampa negli anni 1945-46 in riferimento a quell'assassinio, testimoniano ulteriormente il dato di fondo che oggi ancora riaffermiamo con forza: Mario Acquaviva non era altro che un comunista. Da comunista si batté contro la guerra imperialista sotto qualunque maschera si presentasse; da comunista propagandò i principi dell'autonomia di classe e politica del proletariato di fronte e contro la borghesia e il suo Stato, fascista o democratico che fosse; da comunista operò per lo "sbloccamento delle forze proletarie dal pantano controrivoluzionario dello stalinismo, verso la sinistra". Egli fu ucciso perché comunista da chi, nonostante il nome, era ed è nemico giurato del comunismo e della rivoluzione proletaria.
Chi fosse Mario Acquaviva e quale fosse la sua biografia politica risulterà più chiaro dal contenuto stesso della raccolta di documenti che pubblichiamo.
Qui sottolineiamo alcuni punti.
- Il vezzo antico delle classi oppressive di "trasformare in icone inoffensive, di canonizzare, di cingere di una certa aureola di gloria il nome dei rivoluzionari" dopo averli "incessantemente perseguitati in vita" (Lenin, in Stato e Rivoluzione), si è trasmesso alla democrazia borghese e in particolare alla neo-socialdemocrazia in modo, come spesso accade, peggiorato. La socialdemocrazia e i suoi portabandiera, come il Pci, passano a incensare, a canonizzare quegli stessi che hanno ucciso. È un caso che i più biechi socialdemocratici arrivino alla sfrontatezza di usare il nome della Luxemburg, assassinata nel 1919 dalle forze socialdemocratiche del governo di Noske e Sheidemann, per la loro eterna campagna anticomunista? No, è...prassi comune.
Così non ci scandalizziamo del fatto che la neo-socialdemocrazia picista, dopo aver ucciso Mario Acquaviva, abbia successivamente tentato di commemorarlo. I documenti che qui ripubblichiamo mostrano quanto sia demagogica e mistificante la successiva campagna picista contro la violenza terrorista. Furono ben due funzionari del Pci (Scamuzzi e Navazzotti della Federazione di Casale) a dire a Mario, dieci giorni prima dell'assassinio: "Abbiamo dei tribunali segreti e siamo pronti a farti la pelle". Furono ben i sicari istruiti e organizzati dal Pci a uccidere decine e decine di oppositori, solo perché "trotzkisti o internazionalisti". E possiamo star certi che le forze della socialdemocrazia in generale sapranno ben usare la violenza terroristica contro i comunisti rivoluzionari, se questi non riusciranno nel tentativo di impossessarsi delle leve di governo dello Stato borghese e delle sue forze repressive legali. - L'assassinio della Luxembourg e di Liebnecht, come quello di Acquaviva, maturarono nel clima incandescente del dopoguerra. Da cosa sono caratterizzati? Il proletariato, condotto da tutte le forze politiche della borghesia al macello mondiale, subisce subito dopo il peso altrettanto gravoso della ricostruzione. Le promesse della guerra come riparatrice dei problemi e dei guasti creati dalla cattiveria dei nemici, si rivelano naturalmente false. Disoccupazione, miseria e supersfruttamento degli occupati dissolvono le illusorie speranze di un futuro migliore.
Strati consistenti del proletariato si orientano all'unica vera soluzione, ritrovando il contatto con le forze politiche di classe e con il programma e la strategia della rivoluzione comunista. Allora si dispiega appieno tutto il potenziale repressivo della borghesia e del suo Stato. Partiti e organizzazioni borghesi mobilitano tutti i propri mezzi, legali o meno palesi e occulti, per distruggere i punti di riferimento politici della classe, allontanando così il pericolo di un suo riemergere a protagonista della propria storia. L'assassinio dei militanti rivoluzionari, degli agitatori e degli organizzatori comunisti rientra fra questi mezzi. Fra questi mezzi rientra pure la campagna di menzogne e di calunnie per diffamare, non importa come, uomini e organizzazioni rivoluzionarie. E il caso della vicenda di Schio, intrecciatasi anche nei documenti qui raccolti con l'omicidio di Asti. Il compagno Riccardo Salvador era stato accusato di aver compiuto una strage di elementi fascisti rinchiusi nel carcere di Schio. Ciò nei piani del Pci - che per primo sollevò la calunnia sull'Unità - doveva servire a gettare discredito sulla nostra organizzazione nel Veneto e su scala nazionale. E "il bello è" che la cosa continuò nel tempo: a intervalli quasi regolari qualche zelante pennivendolo del partitone si è preoccupato di ricordare il "caso" che non fu mai chiuso e i veri responsabili non furono mai trovati. Non per niente, ministro di Grazia e Giustizia era allora Palmiro Togliatti. È una legge della storia, è una legge della lotta che le classi sfruttatrici oppongono all'emancipazione delle classi sfruttate. Per questo non ci scandalizza, per questo sappiamo che si ripeterà. - Il sacrificio di Mario Acquaviva, che qui ricordiamo senza dimenticare peraltro il compagno Fausto Atti ucciso in analoghe circostanze, e dalle medesime forze politiche oltre che nello stesso periodo, deve oggi far riflettere su quanto si sta preparando. La III Guerra Mondiale è ormai l'unica soluzione che la borghesia può prospettare alla propria crisi, e sarà nuovamente una realtà se il proletariato non saprà opporre la sua rivoluzione, la distruzione del modo di produzione capitalistico, che delle guerre è l'unico vero generatore, e instaurare nuovi rapporti di produzione che per brevità definiamo da sempre socialisti e che sono tutt'altra cosa del "capitalismo di stato" (russo o cinese) che la borghesia internazionale ha spacciato per "socialismo reale".
In questa prospettiva la borghesia si sta già muovendo, con le sue fazioni di destra, centro e sinistra socialdemocratica, mobilitando tutte le sue risorse contro il comunismo e i principi rivoluzionari del marxismo (che non sono affatto morti, ma più vivi che mai). È anche questa una costante della storia. Prima del II Conflitto mondiale, lo stalinismo, padre legittimo della neo-socialdemocrazia, stravolse e mistificò ogni residuo principio rivoluzionario al quale il proletariato potesse fare riferimento, e perseguitò fisicamente e uccise tutti quanti si opponevano o minacciavano di opporsi alla linea controrivoluzionaria dettata dal Cremlino nel suo ruolo di nuova centrale imperialista. Anche allora la democrazia contro il fascismo, i fronti popolari contro il "settarismo", come veniva definita l'autonomia politica del proletariato, preparavano il terreno alla chiamata diretta alle armi contro il fronte imperialista Roma-Berlino-Tokyo, a favore del fronte altrettanto imperialista Mosca-Londra-Washington.
La chiamata alle armi della Resistenza, nel moto partigiano, non ebbe altro significato che questo: Mario Acquaviva fu ucciso perché, da comunista, propagandava questa verità fra i proletari e - quale ardire! - fra gli stessi partigiani. I briganti che a Yalta si spartirono il mondo, si apprestano nuovamente a contenderselo, assieme ai vinti di allora. Nuove alleanze, nuovi schieramenti si realizzeranno, e renderanno ancor più vasta la tragedia che vedrà contrapposti i maggiori giganti dell'imperialismo.
Le forze della borghesia, politiche e ideologiche, la loro grande stampa, radio e televisione, sono già impegnate nella preparazione psicologica alla guerra e si preparano a mobilitare tutte le proprie zone di influenza, e in particolare la classe operaia, in funzione della guerra.
Noi, in nome della Luxembourg, di Liebnecht, di Acquaviva, di Atti, ci battiamo contro la III guerra imperialista, preparando le condizioni che competono alla nostra responsabilità per una soluzione rivoluzionaria. Non possiamo noi, minoranza rivoluzionaria, decidere se la guerra si farà o se si farà la rivoluzione. Ai rivoluzionari spetta comunque l'enorme responsabilità di approntare lo strumento di cui il proletariato si dovrà servire perché la sua opposizione alla guerra sia vittoriosa nella rivoluzione comunista.
Questo strumento è il partito, quel partito per il quale Acquaviva si batté e morì. L'atto di accusa che noi oggi ripetiamo di fronte a tutte le forze della conservazione borghese, vuole avere questo significato: riaffermare la necessità che i rivoluzionari si saldino alla piattaforma e al programma della rivoluzione comunista, in una organizzazione capace di radicarsi nella classe e di guidarla politicamente all'assalto, capace di lavorare come Acquaviva sapeva si dovesse lavorare.
Documenti
Sul n. 4 del 28 luglio 1945 di Battaglia comunista si annunciava in testata la morte di Mario Acquaviva con il titolo: "Il centrismo ha ucciso in Mario Acquaviva, come la socialdemocrazia tedesca in Karl Liebnecht, il campione della lotta contro la guerra e della rivoluzione proletaria". Seguiva l'articolo che riproduciamo.
Il 14 luglio un laconico telegramma da Torino ci avvertiva che Mario Acquaviva era stato colpito gravemente a Casale. Lo stesso giorno, l'edizione torinese dell'Avanti! recava:
Casale, 13 luglio. Si è diffusa ieri improvvisamente la grave notizia di un altro efferato delitto compiuto da sconosciuti a Casale, notizia che ha prodotto in tutta la cittadinanza la più viva emozione: il rag. Mario Acquaviva è stato assassinato con sei colpi di rivoltella. Pur non militando nelle nostre file, egli aveva diviso con noi tormenti e persecuzioni durante i 22 anni di dominazione fascista e aveva subito dal Tribunale Speciale una condanna a otto anni, interamente scontata per non aver voluto firmare una domanda di grazia. Apparteneva ai comunisti dissidenti, rimasti fedeli alla concezione sostenuta al Congresso di Livorno, ma era da tutti gli astigiani, senza distinzione di partito, stimato per la sua dirittura morale e politica.
I fatti si erano svolti così. Mario Acquaviva rientrava poco dopo le 18 dalla Società Prodotti Chimici Tazzetti (di cui era direttore), quando era avvicinato da un giovane in bicicletta che gli sparava a bruciapelo sei colpi di rivoltella, di cui tre lo colpivano all'addome, e si dileguava poi rapidamente gridando: "È un fascista! È un fascista!" Immediatamente riconosciuto dagli accorsi, il ferito veniva portato alla vicina stazione e di qui all'ospedale, dove i medici riscontravano immediatamente la gravità del caso: gli organi vitali erano stati colpiti e un solo filo di speranza restava, quello della resistenza eccezionale della sua fibra.
Purtroppo, nel corso della serata questa speranza dileguava. Rimasto cosciente e ammirevolmente sereno fino all'ultimo, Mario Acquaviva poté rivedere per l'ultima volta la moglie accorsa da Asti, qualche amico, ripetere ai presenti: "Ecco di che cosa sono capaci i centristi!", dire ai compagni: "Lavorate, è il momento!", rispondere al medico che gli faceva coraggio: "Coraggio ce ne vuole per vivere, non per morire!", pregare la moglie di consegnarci un pacco di documenti, e chiudere serenamente gli occhi.
La notizia, diffusasi rapidamente a Casale e ad Asti (dove Mario Acquaviva abitava da molti anni) destò enorme impressione. Il Compagno era conosciuto da tutti come il Combattente senza macchia e senza paura, come l'Uomo che aveva subito senza piegare le persecuzioni fasciste, e che non aveva mai esitato, in nessuna occasione, ad affermare a fronte alta le sue idee: gli operai lo conoscevano come quegli che aveva fatto sua fin da giovane la loro causa; gli avversari politici non potevano nascondere una profonda ammirazione per la sua natura adamantina di lottatore.
Le indagini, iniziate dalla polizia di Casale Monferrato, non approdavano tuttavia a nulla, per quanto, sia a Casale che ad Asti, si polarizzassero soprattutto sull'ambiente del Partito Comunista Italiano. L'assassino (che era assistito da un altro sconosciuto) si era dileguato senza lasciar traccia: ma si sapeva che, come aveva già documentato il 6 luglio il nostro giornale, Mario Acquaviva era stato impedito di parlare nella zona di Valenza e "minacciato di gravi rappresaglie qualora continuasse la sua attività"; e che, essendo stato sollecitato poco dopo a rientrare nel partito centrista come uno degli elementi più capaci e più onesti (come si vede, noi siamo per il Pci, a seconda della convenienza, delle canaglie fasciste o dei puri!), e avendo rifiutato energicamente di prestarsi al gioco, due dirigenti della Sezione del Pci di Casale Monferrato, Scamuzzi e Navazzotti, gli avevano ricordato come il partito abbia i suoi Tribunali segreti e che le loro sentenze sono senza appello - al che Mario Acquaviva aveva risposto, sorridendo e scrollando le spalle:
Così avrete una buona occasione di dire che aveste ammazzato un fascista.
Si sapeva anche ad Asti, che un anno prima la Federazione astigiana del Pci aveva diffuso nelle fabbriche e negli ambienti operai un volantino in cui si denunciava pubblicamente l'intensa attività internazionalista svolta da Acquaviva e, nel contempo, lo si accusava d'essere una spia al soldo dei nazifascisti, non trascurando, nel finale del ripugnante libello, la solita minaccia di morte. Né si ignorava che le stesse accuse, le stesse calunnie, le stesse minacce erano state periodicamente lanciate in diverse occasioni contro il nostro Partito e contro i suoi uomini migliori. La responsabilità era chiara; e andava molto oltre le responsabilità specifiche dell'esecutore, investendo i metodi di lotta di tutto un partito.
E tuttavia, le indagini si sono disperse, e una specie di congiura del silenzio si è creata nei giornali della "coalizione democratica" su uno dei più foschi e nello stesso tempo scoperti delitti della reazione antiproletaria. La stampa borghese e pseudo-operaia, che versa fiumi di lacrime sugli episodi di violenza scatenata da masse in tumulto contro fascisti protetti e coccolati dalla "giustizia", ha relegato in secondo piano (o, fuori del Piemonte, ha addirittura taciuto) l'assassinio di un Combattente comunista, di quello che un oratore socialista commemorava come il "Cavaliere dell'onestà". E si tollerava in sede di riunione del CLN di Asti che intervenisse nella commemorazione, con alte parole di elogio, proprio l'avv. Platone, uno dei dirigenti di quella Federazione astigiana del Pci alla quale (come fece rilevare in un'appassionata protesta la vedova di Mario Acquaviva) risale l'ingiurioso libello cui abbiamo accennato; quello stesso Platone che, in un articolo pubblicato nell'aprile 1945 sulla rivista di Togliatti, Rinascita, riunendo sotto il nome generico di "trotskisti" tutti i comunisti non ligi alla politica del centrismo, risolveva il problema di questi movimenti dissidenti:
più apparentati con la malavita che con la politica e nei quali si fondano vecchi e nuovi trotskisti tenitori di Tabarins e di bische clandestine, speculatori del mercato nero ed eroi del brigantaggio notturno [in un...] problema di polizia.
Intanto, all'ora dei funerali di Mario Acquaviva, gli operai di Asti sospendevano per 10 minuti il lavoro: lo sospendevano per l'Uomo in cui i dirigenti della Federazione Astigiana del Pci e i responsabili massimi del Partito di Togliatti avevano additato pubblicamente una "spia fascista", un "agente provocatore", un "emissario della Gestapo". E, nello spazio di pochi giorni, la cosa, in omaggio alla santa alleanza di tutti i partiti antifascisti, sarà archiviata. Un comunista di meno, dopo tutto!
Le testimonianze dei compagni, da Casale Monferrato
Da Battaglia comunista n. 6 - 14 agosto 1945
"Il compagno Acquaviva?" L'interpellato annuisce frenando la bicicletta a due passi dallo sconosciuto, alto, biondo, tra i venti e venticinque anni. Questi estrae rapidamente la rivoltella e fa fuoco, poi preme il pedale della sua bicicletta e fugge per la salita che porta al cavalcavia e di lì fuori città, al sicuro.
Qualche persona si è alzata, al rumore dei colpi, dalle panchine dei giardini pubblici, ma nessuno tenta di frenare l'assassino. Impugna ancora la rivoltella e fugge gridando: "È una spia fascista!"
Questa la sintesi della tragedia.
Il colpito si è accasciato con una invocazione tragica e suprema: "Mamma!" Ma la formidabile volontà che lo ha sorretto nei lunghi anni di lotta domina imperiosa l'istinto, domina il dolore, dominerà anche la morte. Ai primi accorsi che, mentre lo portano alla vicina stazione ferroviaria, chiedono confusamente chi sia l'assassino, risponde calmo: "Non lo conosco". A un compagno, operaio nello stabilimento ch'egli dirige, aggiunge poco dopo: "Sono i centristi; mi avevano avvertito". È ormai completamente tranquillo e sereno. Sente che l'ultima ora è venuta e accetta serenamente la prova suprema.
Il corteo giunge alla stazione. Un ferroviere si avvicina con una chiave inglese in mano, ode i commenti sulla "spia fascista", ma, appena riconosce il ferito, scaglia rabbiosamente a terra la chiave e rettifica in monferrino: "È un comunista, ma un comunista vero, non di quelli che gridano soltanto; altro che fascista!" E si prodiga anch'egli come può per il ferito. Questi chiede aria. Si sente soffocare. L'emorragia interna prodotta dalle pallottole è in atto.
Mario è tuttavia sereno. Dà l'indirizzo della moglie perché la si avverta. Intanto, si è telefonato per l'autoambulanza: ma questa tarda ad arrivare. Quando si è ormai deciso di trasportarlo in barella, finalmente eccola: sono le 19,30 circa.
All'ospedale accorrono due poliziotti: vogliono interrogarlo sul fatto. Il ferito risponde a una o due domande, poi ha un ultimo scatto d'ira: "L'ho già detto, non conosco l'assassino; il movente è politico, i centristi sono i responsabili. E ora, lasciatemi in pace". Si intromette un compagno che, persuasi i poliziotti ad andarsene, chiede al ferito: "E noi, Mario, che dobbiamo fare?". "Dite a mia moglie che non se la prenda, e voialtri continuate a lavorare anche se non ci sono più io".
Intanto, lo si trasporta nella camera operatoria (il primario - sia detto a sua lode - è immediatamente accorso). Si tenta la trasfusione del sangue. (Particolare pietoso, Mario era donatore di sangue...) Il compagno cerca di incoraggiare il ferito sperando che si salvi. Ma il ferito non spera: "È finita per me!" - dice - "Tenteranno, ma io sento che non ce la faccio più". E ripete: "Dite a mia moglie che non se la prenda e continuate a lavorare".
È giunto un altro compagno, ma non vede il ferito, ode solo i suoi gemiti, sempre più radi. Vede entrare il prete e uscire immediatamente, rifiutato dal moribondo; vede un'infermiera cercare febbrilmente qualcosa in un'altra camera; vede infine un assistente uscire e dichiarare che ogni speranza è perduta. Il compagno lo tocca sulla fronte ancora calda, e impulsivamente lo bacia. Sarà, compagno Acquaviva, l'ultimo bacio che ti dà il proletariato che tu hai difeso; i reietti che tu hai amato, i poveri, gli oppressi, tutti gli oppressi di un mondo assurdo e feroce che trovavano in te uno dei compagni migliori, un compagno che per 25 anni ha lottato sempre, ha subito lunghi anni di carcere per non chiedere grazia ai nemici che combatteva, ha rifiutato cariche e onori dai falsi amici che l'hanno fatto assassinare, ha preferito agli agi della vita comoda i disagi della vita clandestina.
Questo ha pensato il compagno baciandoti. E un'altra cosa tragicamente ironica e amara: il tuo assassino che grida: "È una spia fascista!". Tu davi a un ideale di giustizia umana tutto, anche la vita: lui ti lanciava un'ultima ingiuria.
Questo è il mondo in cui il proletariato deve combattere e vincere, poiché altri campioni come te usciranno dalle sue file, Mario Acquaviva, a riprendere il tuo lavoro interrotto, finché tra gli uomini non vi sia realmente Giustizia.
Un gruppo di amici
Dalla lettera aperta, "In difesa di un Comunista", diffusa a ciclostile, nel settembre 1944, da un gruppo di amici politici di Mario Acquaviva in risposta a un libello centrista contro di lui.
Un ultima considerazione circa la minaccia di morte. Avendo rimpiazzato il fascismo nella difesa degli interessi capitalistici, è inevitabile che il centrismo spinga il suo zelo fino a ricorrere alla violenza contro chi dedica la sua vita agli interessi del proletariato. Ma se i centristi l'avessero dimenticato, ricordiamo loro che Acquaviva non ha mai temuto né teme le minacce.
Altre minacce
Altre minacce a Mario Acquaviva furono denunciate sul n. 2 di Battaglia comunista del 6 luglio 1945, in una corrispondenza di "Vita Operaia" dal Piemonte. Mentre crescevano le attività del Partito e le adesioni ad esso, cresceva anche la rabbia del Pci contro tutto ciò che andava a minacciare la sua politica controrivoluzionaria.
Casale Monferrato - La nostra propaganda si è estesa ai paesi agricoli vicini e in molte località i nostri compagni sono stati invitati a illustrare la posizione politica del Partito da elementi centristi, malcontenti dell'attività palesemente opportunistica del partito in cui militano.
I centristi, in mancanza di argomenti polemici, hanno inscenato una gazzarra in una riunione tenutasi a Ritirata, frazione di Valmacca, dove si è impedito al compagno Acquaviva di parlare.
Successivamente il nostro compagno è stato minacciato di gravi rappresaglie qualora continuasse la sua attività.
Atto di Accusa
Sullo stesso numero 4 di Battaglia comunista, luglio 1945, sotto il titolo "atto di Accusa" compariva una lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista Internazionalista alla Segreteria della Confederazione Generale del Lavoro, ai partiti a essa aderenti e per conoscenza alle Camere del Lavoro, alle Leghe di Mestiere e alle Federazioni dei suddetti partiti. L'Atto di accusa è stato ripubblicato sul n. 3 di Battaglia comunista del 1979.
Una specie di congiura del silenzio ha impedito che si diffondesse oltre i confini del Piemonte la tragica notizia dell'assassinio di uno dei più generosi combattenti della causa proletaria, Mario Acquaviva. Solo l'edizione torinese dell'Avanti! vi si diffondeva nel numero del 14 luglio u.s. col commento che riproduciamo:
Casale, 13 luglio. Si è diffusa improvvisamente ieri la grave notizia di un altro efferato delitto compiuto da sconosciuti a Casale, notizia che ha prodotto in tutta la cittadinanza la più viva emozione: il rag. Mario Acquaviva è stato assassinato con sei colpi di rivoltella. Pur non militando nelle nostre file, egli aveva diviso con noi tormenti e persecuzioni durante i 22 anni di dominazione fascista, e aveva subito dal Tribunale Speciale una condanna a otto anni interamente scontata per non aver voluto firmare una domanda di grazia. Apparteneva ai comunisti dissidenti, rimasti fedeli alla concezione sostenuta al Congresso di Livorno, ma era da tutti gli astigiani, senza distinzione di partito, stimato per la sua dirittura morale e politica.
Da allora le indagini della polizia non hanno fatto un passo avanti, né probabilmente lo faranno. Ed è proprio per questo che il nostro Partito, che contava Acquaviva fra i suoi animatori e dirigenti, ha il dovere di sollevare di fronte alla coscienza proletaria il velo di cui si è coperto questo efferato delitto.
In realtà l'assassinio di Mario Acquaviva è la conclusione tecnica di una campagna di denigrazione, di minaccia e di istigazione condotta contro la Sinistra comunista in generale e contro di lui in particolare da un partito politico che nasconde dietro una facciata ipocrita di democrazia la sostanza della più feroce e spregiudicata dittatura: il Pci.
Una decina di giorni prima dell'assassinio, Mario Acquaviva era stato impedito di parlare a una riunione nei pressi di Valenza. Dando relazione del fatto, il nostro giornale, Battaglia comunista del 6 luglio u.s., aggiungeva: "Successivamente il compagno Acquaviva è stato minacciato di gravi rappresaglie qualora continuasse la sua attività". Taceva, perché non è nostro costume l'attacco personale e la denuncia, che poco dopo la predetta riunione Acquaviva era stato chiamato alla Sezione casalese del Pci, dove due piccoli ras del centrismo locale lo avevano, con mille elogi e blandizie, invitato a rientrare nei ranghi del Partito e a favorire il reingresso anche dei suoi compagni. Avendo l'Acquaviva sdegnosamente rifiutato, i due funzionari, Scamuzzi e Navazzotti, troncavano la discussione ricordandogli "che abbiamo dei tribunali segreti e siamo pronti a farti la pelle". La minaccia, questa volta, è stata rapidamente messa in atto.
E non era la prima. Nell'estate 1944, la Federazione astigiana del Pci diffondeva tra le masse un volantino in cui, mentre denunciava all'autorità di polizia l'intensa attività svolta da Mario Acquaviva per il Partito Comunista Internazionalista, lo dipingeva agli operai e agli astigiani come agente dell'Ovra e della Gestapo e lo minacciava della morte che un provocatore merita. Si voleva eliminare un avversario attivo, irriducibile, pericoloso, che un dirigente della stessa Federazione astigiana (Gallo) dichiarava poco tempo addietro di essere pronto a uccidere come un cane se gli avesse tagliata la strada.
L'atmosfera dell'assassinio di Mario Acquaviva era dunque andata gradatamente preparandosi in un ambiente di miseria morale e politica e di cinismo, veramente degno di fascisti. Né il caso riguardava soltanto Acquaviva. Da anni il Pci accusa il nostro Partito di essere finanziato dai fascisti, denuncia come spie e provocatori i nostri compagni, istiga i partigiani a "epurarci" (per usare il termine di una circolare della Federazione milanese del Pci, dedicata esplicitamente a noi) e gli operai a "romperci il grugno" (per usare il termine di una lettera del VII settore della stessa Federazione indirizzata ai "cari compagni della Falck"). Da anni, sulla stampa del Pci, circolano le più volgari accuse contro i comunisti non ligi al verbo di Stalin e Togliatti, e recentemente, sull'Unità, la campagna di menzogne e di calunnie è giunta ad attribuire a noi, definiti provocatori trotzkisti, il massacro di Schio (dal che si conclude che, fascisti, noi ci divertiamo a scannare...fascisti).
Morendo, Acquaviva ha detto: "Ecco di che cosa sono capaci i centristi!". Dileguandosi, l'assassino ha gridato: "È un fascista!". Una campagna di diffamazione condotta con la più totale assenza di scrupoli in un momento di sovreccitazione degli spiriti e di pauroso sbandamento delle coscienze, non poteva che portare i suoi frutti. I funzionari di turno e il gregario di ultimo piano non hanno fatto che applicare le direttive del Partito. Intanto, nelle fabbriche, i nostri militanti sono braccati, minacciati, pedinati, impediti di distribuire la nostra stampa; ci si vuol provocare a una lotta a coltello, a una specie di guerriglia. Noi denunciamo questa manovra.
Da quanto esposto (e che ci riserviamo di completare con testimonianze e materiale probatorio) risulta in modo inconfutabile che la responsabilità morale e politica dell'assassinio di Mario Acquaviva ricade sul Pci. Noi vogliamo sperare che la solidarietà proletaria verso una delle vittime più pure ed eroiche del proletariato induca gli organismi operai cui ci rivolgiamo a raccogliere la nostra accusa, e chiediamo:
- che si costituisca un giurì proletario composto di operai aderenti ai partiti di massa;
- che questo giurì esamini i documenti relativi al delitto Acquaviva e all'offensiva centrista in atto contro un Partito proletario;
- che il verdetto di questo giurì sia portato a conoscenza della massa operaia.
È un vostro dovere verso un Compagno ucciso; è un vostro dovere verso i Compagni che cadrebbero in una atroce guerra fratricida ove non si ponesse termine a metodi di lotta degni soltanto di guerriglieri balcanici. Se la giustizia borghese è interessata a nascondere la verità, non può esserlo la giustizia proletaria!
Alla lettera del nostro Comitato Centrale, la Federazione picista di Bari rispondeva con la lettera riprodotta in fac simile e commentata sul n. 9 di Battaglia comunista del 10 settembre 1945.
Immondezzaio
spazio per fac-simile lettera v. vecchio opuscolino
La lettera che sopra riportiamo in fac-simile è un ennesimo documento dei "metodi" usati dal centrismo contro chi continua la via additata da Marx e da Lenin. Tanta è la miseria del suo contenuto che non varrebbe la pena di pubblicarla, se essa non costituisse una nuova, significativa prova della diretta responsabilità del Pci nell'assassinio di Mario Acquaviva.
La lettera si riferisce alla nostra circolare del 21 u.s. che fu, come è noto, indirizzata a tutti i partiti a base proletaria e a tutte le sezioni della Camera del Lavoro (e successivamente pubblicata su Battaglia comunista del 28 luglio 1945) per la costituzione di un giurì proletario, il solo idoneo a esaminare il nostro atto d'accusa e i documenti inerenti al delitto Acquaviva.
Era logico che la circolare non venisse inviata al Pci, parte in causa. Come mai la Federazione di Bari di questo degno partito ci invia la lettera sopra riprodotta, come se si trattasse di una risposta?
Evidentemente i signori centristi di Bari si sentono "padroni" alla Camera del Lavoro e si arrogano il diritto di risponderci direttamente, con un frasario degno dei più stupidi gerarchetti di provincia del periodo mussoliniano.
Non più le sottili calunnie che volano nell'aria, le accuse generiche contro il nostro partito, la subdola provocazione, le minacce ai singoli compagni e il silenzio "ufficiale" intorno al Partito Comunista Internazionalista. Il centrismo non esita ad assumere atteggiamenti dittatoriali e ci dona, grazie all'incoscienza di uno dei suoi piccoli funzionari, la "dichiarazione scritta" con la quale si riconosce implicitamente responsabile dell'assassinio politico di Mario Acquaviva: Siete dei traditori e come tali bisogna trattarvi.
Si calmino dunque i "compagni" della Federazione di Casale del Pci: se essi strisciano gesuiticamente per scaricarsi ogni responsabilità di "mandanti" nell'assassinio di Acquaviva, i loro confratelli hanno la faccia e il coraggio di assumersela.
Eccellenza Togliatti, attenzione a certi vostri servitori troppo zelanti e... troppo imprudenti!
"Paolo"
Da Battaglia comunista
Ci sono uomini che si possono scomporre nei loro elementi per analizzarne pregi e difetti, virtù e ed errori: non "Paolo" (come noi chiamavamo abitualmente Mario Acquaviva). Paolo era tutto d'un pezzo, da prendere o da rigettare in blocco, da amare o da temere, inattaccabile. Era, dietro la corazza esteriore di una grande, severa rigidezza, semplice e limpido come un fanciullo, aperto come un libro. Era facile leggere nell'anima di Paolo.
Ci sono uomini - la quasi totalità degli uomini - che il tempo modifica, che la lotta sfianca, che il successo deforma. Paolo, noi lo ricordiamo l'ultima volta che lo abbiamo visto come la prima, uguale a se stesso, ora burbero e severo ora espansivo, come fuori dal tempo. Paolo era il Partito.
Chi l'ha mai visto stanco, sfiduciato, perplesso? Non conosceva le crisi periodiche dell'uomo comune, le incertezze del debole o del malato, la pigra acquiescenza del vile, di quel tanto di vile e di acquiescente ch'è in ciascuno di noi: o almeno non le rivelava, tanta era la forza che veniva da lui e che imponeva a se stesso e agli altri. Era nato, lui così semplice, per dominare.
Eppure, dietro la scorza dura di quest'uomo tutto vibrante di energia e di volontà d'azione, c'era una sensibilità delicata, una enorme capacità di affetto. La scorza se l'era creata lui, se l'era formata in lunghi e durissimi anni di lotta, a difesa da quella perenne minaccia, da quella debolezza che sono i sentimenti. Era duro per eccesso di bontà; per questo imponeva. Pochi come lui hanno saputo ottenere dagli altri quello che desideravano, solo perché chiedevano prima di tutto a se stessi.
Non l'abbiamo mai sentito lamentarsi se non per ischerzo, lui che accettava qualunque missione, che era sempre dovunque era necessario che fosse. Incuteva qualcosa di simile alla paura, Paolo, ed era soltanto rispetto, un enorme rispetto per la sua dirittura morale, per la sua incapacità di seguire le vie di mezzo, per la sua ripugnanza al compromesso. Si accettavano le sue sfuriate perché non lo si vedeva mai soddisfatto neppure di sé; si arrossiva di chiedere qualcosa perché si sapeva che per sé non avrebbe mai chiesto nulla.
Questo era il fascino di Paolo: una assoluta semplicità, un disinteresse spontaneo, una vitalità incoercibile. E ci voleva proprio la bestialità dell'avversario per lanciare contro di lui l'arma spuntata della calunnia. Solo il piombo poteva ferirlo.
Quante volte abbiamo sentito ricorrere nelle parole di quest'uomo che parlava così poco di sé, la parola morte. Era come una sfida, uno scherzo buttato là senza intenzione. Sapeva che, nei gioco del suo destino, la posta era quella. Non c'era compromesso possibile, per lui, neanche con le forze che reggono il destino dell'uomo. E, senza spavalderia come senza incertezza, pronto a rischiare il necessario, irruente e lucido a un tempo, si è gettato contro la morte. Era un raro impasto di lucidità e di impeto, di passionalità e di freddezza, di prudenza e di audacia. Non ha mai rischiato a vuoto, ma ha rischiato.
A guardarlo così, c'è veramente una grandezza eroica, in quest'uomo semplice e modesto, attaccato alla sua piccola zona, troppo piccola per le sue inestinguibili riserve d'energia e d'intelligenza, privo d'ambizioni personali, più affezionato all'umile e paziente lavoro di base che al lavoro direttivo di membro del Comitato Centrale; in quest'uomo che sa di rischiare rimanendo nei luoghi che hanno visto il crescere rapido della sua opera, ma vi rimane; che prevede la vendetta, ma l'affronta. Era incapace di diserzione, Paolo.
A noi che gli siamo stati vicini in questi anni di faticosa vigilia non pare, ancor oggi, possibile che una mano assassina ce l'abbia strappato. Quando discutiamo lo vediamo tra noi, sentiamo la sua voce; quando lavoriamo la sua parola ci aiuta e ci guida. Ma c'è un grande vuoto fra noi, un incolmabile vuoto. Possa il suo ricordo aiutarci a colmarlo - lavorando, lavorando, lavorando come ci ha raccomandato lui prima di chiudere gli occhi su un mondo che voleva migliore.
Sia questa, compagni, la nostra divisa, la nostra unica ragione di conforto.
L'uomo, il capo
Da Battaglia comunista
Nato quarantacinque anni fa, nel 1900, ad Acquapendente da antica famiglia napoletana, Mario Acquaviva era entrato nella Federazione giovanile comunista a Livorno. Dotato di un temperamento ardente, volitivo, appassionato e, nello stesso tempo, di una intelligenza lucida e precisa, Egli aveva subito rivelato quelle qualità di condottiero che dovevano, passato nei ranghi del Partito, dargli in mano le leve di comando della Federazione di Asti. E s'era gettato a capofitto nella lotta, com'era nel suo temperamento, proprio nel periodo della diserzione in massa, quando, sotto i colpi della reazione fascista, i quadri ancora giovani del Partito minacciavano di cedere all'urto.
Facendo leva su pochissimi elementi giovani che lo coadiuvarono volonterosamente, con un tenace e minuto lavoro propagandistico fra la massa operaia e contadina, Egli riuscì a creare nell'Astigiano una Federazione agguerrita, organizzata, efficiente; e ne fu, per riconoscimento generale, il capo, ma occorre subito dire che, per lui, essere capo significava essere il più attivo, il più all'avanguardia, il più pronto ad affrontare il rischio.
Arrestato con altri compagni nel 1926 e condannato nel settembre del 1927 dal Tribunale Speciale a otto anni e sei mesi di detenzione, ne passò sei in diverse galere (Avellino, Finalborgo, Saluzzo, ecc.) uscendone solo con "l'amnistia del decennale" (poiché si era rifiutato di avanzare domanda di grazia), e distinguendosi in tutta questa odissea per l'incrollabile fermezza d'animo e la costante serenità morale. Erano gli anni che Mario Acquaviva amava ricordare come quelli della sua definitiva maturazione ideologica e della sua netta presa di posizione contro la degenerazione centrista; gli anni in cui, non assillato dal lavoro quotidiano di organizzazione, aveva potuto orientarsi sulla politica nazionale e internazionale del Partito e, lui che era stato ferreamente ligio alla disciplina nelle prime lotte sostenute dal centro contro la sinistra, optare proprio per questa. (Nel 1931, ancora detenuto nel carcere di Pallanza, Acquaviva aveva rassegnato nelle mani di Giovanni Roveda le sue dimissioni dal Pci, protestando contro quanto cominciava ad accadere nella Unione Sovietica.) La Frazione, dispersa dall'ondata reazionaria nelle galere e nei confini, vi gettava il suo seme, e Mario Acquaviva rientrava nella vita sociale più agguerrito, deciso a non transigere neanche a costo di rimanere solo.
Ma non rimase solo. Battagliero, intransigente, incapace di manovre e di compromessi, cominciò un paziente lavoro di diffusione delle sue idee e di chiarificazione ideologica nel clima avvelenato del fronte-popolarismo e venne così, a poco a poco, costituendo un piccolo nucleo di compagni preparati, saldi e decisi, attendendo con l'abituale serenità e con la sua tipica sicurezza interiore che il cerchio dell'isolamento si rompesse, e il suo manipolo si saldasse a quelli che, Egli non ne dubitava, si sarebbero formati altrove.
E venne, nel gennaio 1943, il primo contatto con noi; contatto pieno e totale, che non richiese preamboli e si risolse nella completa adesione al Partito. Da allora, la storia sua si è confusa con quella del Partito: chiamato immediatamente a far parte del Comitato Centrale, nominato segretario regionale per il Piemonte, Egli è da allora l'anima non solo della Federazione astigiana e della Sezione casalese, ma di tutto il movimento nel Piemonte e, in generale, nell'Alta Italia. Arrestato in periodo repubblicano con altri esponenti dell'antifascismo locale e, come questi, rilasciato, fu, dall'ottobre del 1944 al 25 aprile 1945, costretto a darsi alla macchia perché nuovamente ricercato, ma continuò la sua fervida attività di propaganda e di animatore nel Piemonte e di membro della Direzione del Partito, viaggiando instancabile fra Torino, Asti, Casale, Milano, Piombino e portando dovunque l'inestimabile contributo della sua energia di lottatore e della sua chiarezza ideologica (a Casale, nello stabilimento dove Acquaviva lavorava, la Commissione Interna era composta da cinque internazionalisti e da tre nazionalcomunisti).
È caduto mentre stava raccogliendo i frutti del suo tenace e intelligente lavoro, mentre si svolgeva quel processo di sbloccamento delle forze proletarie verso la Sinistra, ch'Egli aveva atteso e preparato. Era, per la nuova reazione centrista, un avversario pericoloso, un "concorrente" difficile da battere sul terreno della lotta politica aperta, uno di quegli uomini che non conoscono il compromesso e non temono la minaccia. È caduto mentre, con la saldatura del nostro movimento nel Nord e nel Sud, con l'afflusso di elementi della Frazione all'estero, con lo spostamento sempre più forte degli strati d'avanguardia della classe operaia verso di noi, il Partito usciva dal chiuso dei duri anni della lotta su due fronti e vedeva nuovi orizzonti aprirglisi dinnanzi. È caduto perché era, in tutte le sue fibre, un rivoluzionario.
L'avversario lo sapeva, e gli ha teso l'agguato.
Identità di sistemi
Da Battaglia comunista, n. 7 - 27 agosto 1945
Nel numero 90 dell'organo dei neo-nazionalisti italiani (Unità dell'edizione torinese del 28 luglio 1945) un piccolo articoletto intitolato "Provocatori" riapre la campagna diffamatoria e velenosa contro noi internazionalisti. La retorica sconclusionata e velenosa dello scriba prezzolato non è in sostanza che una ripetizione del basso vocabolario "centrista", che rispecchia fedelmente la mentalità del servo sciocco, o del parvenu dell'ultima ora, che tiene a farsi vedere nei confronti del padrone, il quale paga profumatamente i servizi resi.
Curiosa coincidenza: Vito Pandolfi, che ha sputato per conto dei suoi padroni su un compagno e sul nostro Partito, era un esimio frequentatore dei Guf fascisti; "Ulisse" (Davide Laiolo, astigiano di nascita e autore dell'erticolo di cui sopra) è stato redattore della "Sentinella Adriatica" e facente funzione di vice-federale del PNF ad Ancona. Avessero almeno il pudore di tacere, questi antifascisti riverginatisi dopo l'8 settembre, e che si dilettano ad accusare di "fascismo" proprio noi!
Su tali manifestazioni non varrebbe la pena di soffermarsi se non ci fosse di mezzo la salma ancora calda del compagno Acquaviva come conseguenza di metodi terroristici che si imparentano con la forma più bestiale di dominazione capitalistica, il fascismo.
Sono proprio questi paladini della socialdemocrazia, per giunta integrale, che cercano di ripristinare i metodi mussoliniani contro i compagni di ieri i quali hanno il torto di non aver tradito gli interessi storici e immediati della classe degli sfruttati. L'odio che riversano su di noi è dello stesso contenuto di quello di Benito, l'odio che spinge i neo-nazionalisti dell'Unità all'apologia dell'assassinio politico nel nome sacrosanto della difesa della patria minacciata dalle orde del bolscevismo internazionalista e rivoluzionario. Esattamente come nel periodo del 1920-23, quando le squadracce nere operavano la soppressione dei capi responsabili del giovane movimento comunista formatosi all'esempio del proletariato russo vittorioso.
Poche settimane dopo la fondazione del Partito comunista d'Italia (gennaio 1921) il compagno Spartaco Lavagnini cadeva vigliaccamente assassinato da un gruppo di assoldati al fascismo. Coincidenza storica e fatale, nel 1921 il proletariato tradito dalla socialdemocrazia, assalito dalle prime formazioni del fascio, vedeva le sue rivendicazioni, acquisite a prezzo di tante lotte, strappate dalle forze della controrivoluzione patriottarda, in nome dell'ordine e della dominazione capitalista. Nel 1945, la fine della guerra e del fascismo ritrova al suo posto le forze riunite del capitalismo, arricchite di nuovi trafugati del proletariato che non solamente riprendono (ammantati sotto la democrazia) il programma del nazionalismo nella forma esasperata e brutale del fascismo, ma applicano contro l'avanguardia proletaria gli stessi metodi di repressione.
Mario Acquaviva è la vittima di questa nuova espressione reazionaria che vorrebbe ancora una volta impedire l'ascesa del proletariato italiano sulla via della lotta per la rivoluzione comunista. E gli operai che attendevano dall'insurrezione dell'aprile una nuova era e che hanno creduto alle promesse lusinghiere del neo-nazionalismo italiano, si accorgono che tutto il rumore che si è fatto non è che volgare inganno.
Questi operai disillusi si raggruppano ogni giorno più intorno al nostro "sparuto e fazioso gruppetto" creando così le premesse per l'azione unitaria di classe del proletariato contro il capitalismo che affama e opprime le masse lavoratrici. Ed è per questo che i bonzi ben retribuiti dell'Unità sputano il loro veleno contro i proletari internazionalisti e il loro Partito, il Partito di Lenin, di Spartaco Lavagnini e di Mario Acquaviva.
Ma coloro che pensano di arrestare la nostra marcia, radicata nelle sofferenze delle masse e nello sfascio del regime capitalista, si sbagliano. Noi percorreremo la via tracciata senza esitazioni né debolezze, fino alla vittoria!
Due richieste al compagno numero uno
Da Battaglia comunista, n. 9-10 settembre 1945
Con questo titolo, "Il partigiano" - settimanale politico dei Partigiani della libertà che si pubblica a Roma (Anno III, n. 52) - riproduce in prima pagina, in neretto, il resoconto dell'assassinio di Mario Acquaviva pubblicato su Battaglia comunista (28 luglio 1945) e commenta:
Noi pur dissentendo dalle ideologie e dalla tattica del partito nel quale l'Acquaviva militava, tuttavia per il rispetto della 'legalità nella libertà' a cui la lotta politica deve ispirarsi, chiediamo al Capo del gerarchicamente inquadrato Pci di procedere contro la sezione mandante dell'assassinio e contro quelli tra gli iscritti che ne sono stati gli esecutori materiali. Chiediamo inoltre al Ministro della Giustizia (Palmiro Togliatti) di “permettere” che i tribunali italiani procedano anche contro le sezioni e gli iscritti al “suo” partito.
Quantunque senza nessun rapporto con tutto ciò ci torna a mente, e non possiamo non rammemorare, quanto per caso ci è accaduto di leggere in un trafiletto sotto il titolo “Avviso a chi tocca”, nel giornale Montagna, pubblicato da “Un gruppo di partigiani del Nord”: - Alcuni nostri compagni che come noi considerano la “tattica” del partito comunista come un autentico tradimento ai danni dei lavoratori italiani, sono stati oggetto di minacce da parte di agenti togliattiani. Teniamo ad avvertire questi signori e i loro padroni che noi “non spareremo per primi”, ma che qualsiasi colpo dovesse essere inflitto a uno dei nostri verrà restituito con gli interessi personalmente ai “mandanti”, cioè ai dirigenti del Pci.
E il commento termina con queste ironiche parole:
Ma, evidentemente, questo trafiletto non ha alcun rapporto con fatti e circostanze presenti e come tutte le cose remote è completamente sprovvisto di interesse.
Come si vede, in un clima di "libertà" nel quale su certi fatti, come questo dell'assassinio di Acquaviva, "tutti sanno ma nessuno osa parlare", come ai bei tempi del fascismo, e tanto meno scrivere sui giornali la verità, né ascoltare chi può documentarla, in questo clima chi mostra ancora di non aver perso il senso dell'onestà è il partigiano, questo leale proletaria che ha pagato col sangue la guerra delle democrazie sul fronte interno, illuso - nella maggior parte dei casi - che l'imbracciare il fucile mitragliatore e rifugiarsi sulle montagne, dietro la spinta del CLN, volesse e potesse significare difendere i propri interessi di classe, per la causa del proletariato.
Ai compagni del "Partigiano", che per primi si affiancano a noi nel denunciare un delitto abominevole, va tutta la nostra simpatia e il nostro riconoscimento.
Commemorando a un anno di distanza, l'assassinio di Mario Acquaviva
Da Battaglia comunista, n. 21-20 luglio 1946
Compagni proletari!
Un anno è trascorso dall'assassinio di Mario Acquaviva, e in un anno la magistratura borghese, la indipendente magistratura della democrazia, sotto la guida e la responsabilità di Palmiro Togliatti, non ha trovato né il tempo né i mezzi né la dignità di far luce su questo delitto. Ma per noi, per il Partito di Mario Acquaviva, se ciò è fatto trascurabile, costituisce nel contempo la riprova evidente che l'individuazione del mandante era stata fatta con sicurezza, senza possibilità di equivoco.
Noi, infatti, avevamo puntato il dito sull'autore morale dell'assassinio, sul Partito Comunista Italiano, sapendo di non sbagliare non tanto per le prove che erano a nostra conoscenza, quanto per la considerazione che solo questo partito aveva dimostrato di avere interesse diretto a sopprimere un combattente della forza morale e politica di Acquaviva e a spegnere per sempre la sua voce.
Di fronte a questa nostra pubblica accusa il Partito Comunista Italiano non ha risposto, e non rispondendo e non difendendosi ha provato la legittimità e la fondatezza dell'accusa.
Il C.C. del nostro Partito si era quindi rivolto agli organi dirigenti dei partiti consociati a quello comunista nel CLN, i quali fecero cadere nel silenzio la nostra proposta per una giuria che vagliasse il nostro materiale di accusa: si preferiva evidentemente il mantenimento dell'unità formale delle forze democratiche piuttosto che metterla in pericolo con la precisazione di responsabilità per un assassinio politico che doveva ricondurci ai momenti più bui e più feroci del fascismo.
Compagni proletari!
Per il movente che lo ha determinato e per le forze che lo hanno ordito, il sacrificio di Mario Acquaviva è situato bene in alto nella scala del martirologio proletario.
Se Lavagnini e Di Vagno e Matteotti e tanti altri sono caduti sotto il piombo degli scherani fascisti, Acquaviva è caduto sotto il piombo dei suoi compagni di ieri, sotto la logica cioè della stessa dialettica storica, poiché fascismo e stalinismo centrista sono due momenti dello stesso processo reazionario del capitalismo.
Per i comunisti staliniani Acquaviva era responsabile:
- Di essere uscito dal loro partito dissociandosi apertamente dalla sua politica opportunista e da quegli esponenti che se ne erano fatti assertori imponendola dall'alto al partito.
- Di aver dato tutta l'inesauribile ricchezza delle sue energie morali, intellettuali e politiche alla ricostruzione dei quadri di quei combattenti che, non usi a tradire, attendevano nella tormenta della guerra e del fascismo di poter essere ancora inquadrati in un vasto e saldo organismo di partito. Acquaviva fu infatti tra i fondatori del Partito Comunista Internazionalista.
- Di avere ideologicamente e politicamente sabotato la guerra in tutti i suoi aspetti, e tentato di disintegrarne le forze per una soluzione non imperialista, ma rivoluzionaria del conflitto.
Ce n'era abbastanza per una esecuzione sommaria, e qualunque relitto morale si sarebbe prestato, come infatti si è prestato, alla bisogna.
Compagni proletari!
Il sangue generoso dei combattenti è sempre fecondo: quello versato da Mario Acquaviva ha consentito che il nostro Partito iniziasse la sua ascesa proprio nel momento in cui i suoi avversari pensavano di liquidarlo, anche fisicamente, con un atto di forza.
Ormai la strada è aperta davanti al nostro Partito, strada che sarà aspra e dura da percorrere; ma nessuna forza potrà impedirgli di andare fino in fondo nel compito storico di guida del proletariato rivoluzionario.
Viva Mario Acquaviva! Viva il comunismo!
11 luglio 1946 - Il Partito Comunista InternazionalistaCommemorando l'assassinio di Mario Acquaviva
Da Battaglia comunista, n. 21 - 20 luglio 1946
Dopo un anno che il compagno Mario Acquaviva non è più fisicamente nelle file del Partito, una domanda assale chi, come il sottoscritto, ha vissuto al suo fianco le lotte dell'ultimo periodo della guerra: com'è possibile che il Partito abbia potuto non solo resistere al durissimo colpo dell'11 luglio 1945, ma avanzare e rafforzarsi?
Quando l'incredibile notizia, partendo da Casale Monferrato, giunse ad Asti e di qui a Torino, per essere trasmessa telegraficamente a Milano, tutto parve crollare; fu come se il colpo dovesse schiantarci e il dolore dominare il Partito con la sua forza annientatrice come l'unico sentimento capace di sopravvivergli.
Ma quell'attimo, pur traducendo una normale reazione umana, non poteva chiudere in sé il frutto concreto germogliato dal sangue di Mario. Quando cade un gigante della lotta, un animo nobile, un aristocratico dell'idea, altri sentimenti, altri impulsi di volontà, di azione e di sacrificio si sprigionano, prima timidamente, poi con maggiore concretezza, per divenire infine irresistibili, e tradursi in realtà organizzativa e fermento intellettuale, cioè nelle due qualità fondamentali di un partito rivoluzionario.
Oggi possiamo affermare che il sangue del lottatore che nel corso della guerra aveva con chiarezza adamantina indicato ai proletari la via della diserzione e del sabotaggio, portando queste parole d'ordine nelle stesse file degli illusi e turlupinati proletari partigiani; di questo lottatore che, con dinamica prontezza, subito dopo il 25 aprile, contrapponeva allo slogan del "ricostruire" lanciato dal controrivoluzionario sindaco di Torino la parola d'ordine proletaria "distruggere lo Stato capitalista", ha creato il terreno più propizio alla maturazione e alla raccolta di quel complesso di energie, che il nemico di classe credeva di soffocare col piombo di un sicario.
Ma, se è indubbio che Mario Acquaviva non è morto, ma vive e agisce come elemento propulsore nelle file del Partito, e ogni astrazione sentimentale è svanita di fronte al suo sacrificio supremo, verrà giorno che il suo ricordo si trasformerà in un grande vessillo di battaglia nelle cui pieghe si leggeranno i nomi di tutti i caduti della grande causa dei lavoratori, e questo vessillo sarà impugnato da milioni di proletari, ridivenuti classe per il fatto stesso di aver individuato nel Partito di Mario Acquaviva il loro Partito.
Gravissimo errore sarebbe per noi credere di risolvere il "fatto Acquaviva" in sede giuridica. Non abbassiamo al livello di un episodio di cronaca nera o di una miseranda questione di bottega un fatto che appartiene alla storia della lotta rivoluzionaria del proletariato! Mario Acquaviva è caduto sotto il piombo della guerra, ed egli aveva ben meritato di riceverlo, questo piombo, perché la sua bandiera si chiamava rivoluzione. Se una risposta dovrà essere data alle rivoltellate dell'11 luglio 1945, essa non potrà perciò venire che dal piombo di classe, dal piombo della rivoluzione perché solo la rivoluzione per la quale Mario Acquaviva è vissuto ed è morto può rispondere alla guerra.
Allora, illustri controrivoluzionari di professione, sarà giunto per voi il momento di tremare di fronte all'inesorabile vendetta di classe!
G.DanielisIl cordoglio dei compagni
Sesto - Monza, 15 luglio 1945
I compagni della Sezione Monza-Sesto del Partito Comunista Internazionalista, avuta conoscenza dell'infame delitto perpetrato contro il compagno Mario Acquaviva, ne traggono motivo per rinsaldare le loro file e continuare come nella volontà dell'Estinto la loro azione di combattenti per la vera causa proletaria, anche se questa è oggi più ardua che mai per l'avvenuto tradimento del Partito Comunista Italiano e dell'Internazionale. Essi invitano i compagni lavoratori, di qualsiasi corrente politica, a riflettere su quanto è avvenuto.
Milano, 15 luglio 1945
La Federazione di Milano del Partito Comunista Internazionalista ha appreso con profondo cordoglio la morte del compagno Mario Acquaviva, assassinato da sicari del cosiddetto Partito Comunista Italiano. Di fronte a questo nuovo delitto, la Federazione indica alle masse milanesi come ormai il centrismo sia decisamente all'avanguardia della reazione e come, fra il ritorno di un nuovo fascismo dipinto di rosso e la libertà delle masse, esista ormai una sola barriera, il nostro Partito.
La Federazione denuncia pure l'atteggiamento dei CLN i quali, mentre non si peritano di protestare per la morte violenta di qualche delinquente fascista, tengono un atteggiamento equivoco e di tacita connivenza in un caso come questo, in cui la vittima è, per riconoscimento generale, una delle più pure e fulgide figure delle lotte proletarie e dell'antifascismo, tanto che si può parlare di una riedizione del delitto Matteotti.
I compagni della Federazione di Milano traggono da questo sacrificio il più fermo proposito di intensificare la loro azione propagandistica, organizzativa e politica, e serrano i quadri nell'incrollabile certezza che, a onta di ogni campagna di calunnia, di sobillazione e di violenza, la verità non possa tardare a farsi strada nella coscienza delle masse e che sia allora possibile smascherare ogni tradimento e punire ogni delitto.
Viva la rivoluzione internazionale!
Como, 15 luglio 1945
La più subdola e infame reazione antiproletaria ha assassinato il nostro compagno Mario Acquaviva.
La notizia del delitto, comunicataci da un compagno, ci ha come folgorati. Egli era considerato da tutti noi uno dei nostri migliori. Quadrato politicamente, nel senso più ampio della parola, possedeva e dava per la vita del Partito, per la lotta rivoluzionaria del proletariato tutte le sue energie, senza limitazione, vivificandole con la sua tempra di lottatore.
Era normale, pertanto, che la gravità del fatto, consumato col metodo degno di chi l'ordinò, provocasse in noi un senso di opprimente tristezza. Ma ancora lui ci scosse, con le parole riferiteci dal compagno latore della notizia; le ultime che egli poté profferire nella sua breve ma limpidissima agonia: quelle parole che, come tutte le sue, seppero e sanno dare incitamento e forza ai compagni anche nei momenti più gravi. E allora vedemmo quanto grande e luminosa fosse l'aureola che circonda il suo martirio; quanto egli, "l'audace", operasse diuturnamente e profondamente, col bisturi temprato dal fuoco ideologico delle nostre posizioni politiche, nel vivo della cancrena controrivoluzionaria e perciò antiproletaria. E, nella sua mostruosa interezza, quanto fosse infame e meschina l'azione dei nostri avversari.
A questa luce ci esaltammo per esaltarlo, ricevendo quella forza e quello stimolo all'azione ch'egli voleva per noi e che si abbisogna per continuare sempre più decisi la lotta.
Il martirio si aggiunge alla lunga catena dei più puri martiri della lotta rivoluzionaria del proletariato, e non invano, perché non è lontano il giorno che la catena serrerà alla gola i nemici più o meno mimetizzati del proletariato.
Se il nemico crede che uccidendo potrà salvarsi, i martiri nostri lo smentiscono categoricamente.
Con l'assassinio del compagno Acquaviva, il Partito non solo ha avuto un nuovo Martire, ma ha avuto il suggello più vivo, più concreto, la conferma della forza e della giustezza delle sue posizioni politiche, la garanzia d'essere la degna guida del proletariato rivoluzionario verso la conquista del potere.
Compagno Acquaviva, il tuo proletariato ti esalta suo Martire e alla luce del tuo sacrificio marcerà sulla giusta via per la sua Vittoria!
Portoferraio, 30 luglio 1945
Il sistema del pugno di ferro, già esercitato in Russia contro la vecchia guardia bolscevica e in tutti i paesi contro i comunisti veri, ha dunque avuto in Italia la sua continuazione col delitto che ha colpito uno dei più cari nostri compagni, il nostro "Paolo".
Noi giuriamo di vendicarlo come si vendicano i rivoluzionari, cioè riprendendo con decisione e tenacia la nostra battaglia. Se questi avventurieri passati al servizio del "capitalismo rosso" ci hanno lanciato il guanto di sfida credendo di farci retrocedere, ebbene, sappiano che noi accetteremo con slancio rivoluzionario l'aspra battaglia impostaci e non arretreremo di fronte a nessun ostacolo e di fronte a nessuna minaccia.
In nome di Mario Acquaviva, viva la rivoluzione proletaria! Abbasso la reazione centrista!
I compagni di PortoferraioTorino, luglio 1945
Compagni,
un grave lutto colpisce il nostro Partito: nel tardo pomeriggio del giorno 11 luglio il nostro caro compagno Mario Acquaviva (Paolo) veniva colpito a morte da un sicario rimasto sconosciuto. Sconosciuto però come persona fisica di agente prezzolato, ma quella mano che ha inesorabilmente colpito il nostro caro compagno Paolo, noi sappiamo da chi è stata armata; sappiamo cioè che la reazione borghese capitalista persegue i suoi sistemi stile fascista, cercando di sopprimere con l'omicidio quell'idea di eguaglianza sociale e di libertà, che non morirà mai.
Non vogliamo in questo momento di dolore accusare di questo nefasto delitto questa o quell'altra tendenza politica, non ci interessa sapere chi è stato l'esecutore, sappiamo però che il mandante è uno solo e che si identifica nel nostro nemico di classe.
Il piombo del vigliacco che ha sparato contro il nostro compagno, non ha spento quello spirito battagliero che animava il compagno Paolo: esso vive tuttora nei nostri cuori, e la certezza che lui non ci ha lasciati idealmente crea la premessa del domani.
Compagno Paolo, tu che instancabilmente, col tuo spirito indomito, hai partecipato alla lotta iniziata dal nostro Partito contro gli sfruttatori; tu che ci fosti di guida e di esempio; tu che mai dubitasti della realizzazione del nostro ideale, ma che, anzi, incitasti alla battaglia anche i più restii, noi tuoi compagni di tante belle battaglie ti diciamo che il tuo sacrificio non è stato vano. La fiaccola ardente del nostro Ideale, che tu lasciasti cadere nell'ora suprema in cui tutto donasti per la causa rivoluzionaria, è stata da noi raccolta, e la sua fiamma, ravvivata dal tuo sangue generoso, continuerà a rischiarare il cammino che ci porterà al trionfo finale: la RIVOLUZIONE PROLETARIA!
S'inchini il rosso vessillo dell'Internazionale Comunista sulla salma del nostro glorioso martire, perché fintanto esistono uomini della tempra del compagno Paolo l'Ideale non morrà mai.
Compagno Paolo, tu rivivi in noi; il tuo spirito sarà sempre presente nelle lotte durissime che ci aspettano, e sarai ancora e sempre presente sulle barricate, ovunque si agiterà la bandiera dell'Internazionalismo.
Comitato Federale TorineseDalla Redazione di Battaglia comunista
Il caso ha voluto che, in questi giorni, passassero per la Redazione i rappresentanti di quasi tutte le Federazioni del Partito. E con tutti si è parlato della tragedia che si è abbattuta su di noi, e del Compagno che abbiamo perso.
Sono venuti i casalesi, quelli cresciuti alla Sua scuola di assoluta dedizione alla causa e di altissimo senso del dovere, a narrarci gli ultimi momenti del loro fratello maggiore, l'impressione della città, i propositi dei rimasti, di quelli che non si sono lasciati intimidire.
Con quelli di Piombino abbiamo rievocato momenti dell'ultima visita di Mario Acquaviva laggiù, e del viaggio all'Isola d'Elba. E un compagno ha ricordato come, essendogli l'anno scorso stato teso dai centristi un agguato fra Capo Liveri e Portoferraio, "Paolo" gli dicesse scherzando: "Non vorrai mica farmici lasciare la pelle...". Era un mese prima dell'assassinio.
Ci hanno detto delle battaglie sostenute da Mario laggiù, dell'affetto che i compagni avevano per lui, del dolore che provocherà la notizia.
Un compagno del Veneto lo ha rievocato nei primi tempi della nostra attività in Piemonte, quando erano tutti e due a Torino; un altro, pure del Veneto, ha ricordato l'impressione lasciatagli dall'energico intervento di "Paolo" in una riunione e dell'autorità ch'era riuscito a farsi riconoscere. Noi ascoltavamo commossi e desolati.
A Moncalieri, in una riuscitissima riunione di Sezione, si è commemorato fra il raccoglimento dei presenti il compagno Mario Acquaviva. I presenti hanno stigmatizzato i metodi usati dalla burocrazia centrista, sostanzialmente analoghi a quelli del fascismo. Un compagno ha poi illuminato il significato politico del governo sorto dai CLN, e ha messo in chiaro come la politica "popolare" di questo governo si sia concretata in una serie di misure che hanno avuto per effetto di peggiorare le già gravi condizioni di vita del proletariato. Ha poi dimostrato come ogni ritorno a un regime democratico sia reso impossibile dalla situazione economica e politica del capitalismo, che può continuare a sopravvivere solo impedendo ogni risveglio di classe del proletariato e accentuando il sistema dittatoriale della sua dominazione. Di qui la necessità per l'avanguardia proletaria di smascherare la funzione controrivoluzionaria assunta dai partiti di governo contro la classe operaia.
A Casale Popolo, con grande intervento di proletari, è stata commemorata la figura di Mario Acquaviva, e un compagno ha esposto i punti fondamentali del Partito per il quale Egli è caduto. Approvando entusiasticamente l'esposizione del compagno, gli astanti hanno dimostrato il loro attaccamento alla ideologia e alla tattica rivoluzionaria del Partito, che rappresenta gli interessi contingenti e finali del proletariato.
Lo scontro degli internazionalisti con lo stalinismo, e le sue vittime
Le persecuzioni e gli omicidi politici subiti dai comunisti internazionalisti: dall’assassinio di M. Acquaviva e F. Atti ai fatti di Schio e al processo di San Polo, le forze controrivoluzionarie del capitale e le armi dei sicari di Stalin contro i comunisti rivoluzionari.
Ricordando le figure di Mario Acquaviva e di Fausto Atti, additiamo il loro sacrificio eroico ai giovani proletari perché traggano da un così fulgido esempio ammonimenti e sprone per le dure battaglie che li attendono.
L'archivista di partitoAllegato | Dimensione |
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